Tar Toscana Sez.II sent 173 del 21 febbraio 2008
Rifiuti. Attività estrattive

Sono esclusi dalla normativa sui rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo produttivo della estrazione e connessa pulitura; di talché l'attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali: se si esula dal cielo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale. (si ringrazia il Dr. Gilberto Nelli per la segnalazione)
REPUBBLICA ITALIANA N. 173 REG. SENT.
ANNO 2008
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 426 REG. RIC.
ANNO 2004
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
Sezione Seconda
composto dai Signori:
Giuseppe PETRUZZELLI Presidente
Vincenzo FORENTINO Componente;
Stefano TOSCHEI Estensore;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. R.g 426 del 2004 proposto da
“CAOLINO D’ITALIA S.r.l.”, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Monica Passalacqua e Giancarlo Lo Manto e presso lo studio del primo di tali difensori elettivamente domiciliata in Firenze, via XX Settembre n. 60;
contro
 il COMUNE DI ROCCASTRADA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Carrozza e presso lo studio dell’avv. Francesco Brizzi elettivamente domiciliato in Firenze, Piazza S. Spirito n. 10;
 la REGIONE TOSCANA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Vincelli e presso il proprio Ufficio Legale elettivamente domiciliato in Firenze, via Cavour n. 18;
e con l’intervento ad opponendum
 dell’associazione “LEGAMBIENTE O.N.L.U.S.”, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Roberto Vannetti e presso la Segreteria di questo Tribunale elettivamente domiciliato in Firenze, via Ricasoli n. 40;
 della PROVINCIA DI SIENA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Carrozza e presso lo studio dell’avv. Francesco Brizzi elettivamente domiciliato in Firenze, Piazza S. Spirito n. 10;
 della PROVINCIA DI GROSSETO, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Carrozza e presso lo studio dell’avv. Francesco Brizzi elettivamente domiciliato in Firenze, Piazza S. Spirito n. 10;
per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia
dell’ordinanza n. 104 del 22 dicembre 2003, a firma del Sindaco di Roccastrada;
nonché per l’annullamento (in virtù di motivi aggiunti)
della determinazione n. 490 del 25 ottobre 2005 del Comune di Roccastrada avente ad oggetto “convalida della ordinanza n. 104 del 22.12.2003 prot. 19503;
per l’annullamento (in virtù di ulteriori motivi aggiunti)
 della determinazione dirigenziale della Provincia di Grosseto, Dipartimento territorio ambiente e sostenibilità – U.O.S. Scarichi idrici industriali, n. 884 del 2 marzo 2006 avente ad oggetto: “Caolino d’Italia S.r.l., Comune di Roccastrada (GR) – Diffida a non scaricare le acque reflue industriali provenienti dalle vasche di raccolta e sedimentazione”;
 nonché di ogni atto presupposto, connesso e conseguente ancorchè incognito;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale e della Regione Toscana nonché i documenti prodotti;
Visti gli atti di intervento ad opponendum dell’Associazione Legambiente, della Provincia di Siena e della Provincia di Grosseto;
Vista l’ordinanza n. 40 del 16 marzo 2004 e l’ordinanza n. 1087 del 20 ottobre 2004, quest’ultima con la quale questo Tribunale ha respinto l’istanza cautelare avanzata dalla parte ricorrente;
Vista l’ordinanza n. 521 dell’1 febbraio 2005, con la quale la Sesta sezione del Consiglio di Stato ha respinto l’appello interposto nei confronti dell’ordinanza n. 1087 del 2004;
Esaminate le ulteriori memorie depositate ed i documenti versati in atti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 15 dicembre 2006 ed alle camere di consiglio del 21 febbraio 2007 e del 4 aprile 2007 il dott. Stefano Toschei; presente per la parte ricorrente l’avv. Monica Passalacqua nonché, per le parti resistenti gli avv.ti Nicola Marcuccetti delegato da Paolo Carrozza e Giuseppe Vincelli;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. - Premetteva la Società Caolino d’Italia S.r.l. (d’ora in poi, Caolino), di essere titolare di una concessione mineraria per “argille con grado di refrattarietà superiore a 1630°” detta “I Piloni” e situata nel Comune di Roccastrada (Grosseto). Dalla miniera si estrae “riolite alterata o liparite”, un minerale con concentrazione di allumite (composti di alluminio) inferiore al caolino (e di minor pregio rispetto ad esso) la cui coltivazione ha avuto inizio nei primi anni del secolo scorso.
Soggiunge la ricorrente che nel 1999, dopo che la Società era stata acquistata dal Gruppo Colorobbia, veniva accolta l’istanza di proroga ventennale della concessione, all’esito di un procedimento nel corso del quale avevano partecipato la Provincia di Grosseto, il Comune di Roccastrada, l’ARPAT di Grosseto, la Soprintendenza di Siena, la Camera di commercio di Grosseto e tecnici del Distretto minerario di Grosseto, i quali avevano espresso parere favorevole al piano di coltivazione e di recupero ambientale presentato dalla stessa Società. Anzi, il Comune di Roccastrada aveva subordinato il suo consenso proprio all’esecuzione del piano strutturale che prevedeva “l’ampliamento della zona estrattiva sulla base di progetti e programmi di ripristino delle aree oggetto di escavazione che garantisca un equilibrato sviluppo di attività estrattive, attività ricettiva e ripristino ambientale” (così a pag. 3 del ricorso introduttivo). Derivava da quanto sopra la sottoscrizione di una convenzione, in data 7 giugno 1999, con la quale la Caolino d’Italia si impegnava a riqualificare alcune strutture turistico-ricettive.
Riferisce la ricorrente che, nel contesto sopradescritto e mentre erano in corso le attività estrattive nel rispetto del progetto approvato, oltre che della normativa ambientale e mineraria, nel corso di un sopralluogo, effettuato da personale della Polizia municipale del Comune di Roccastrada in data 25 giugno 2003, veniva riscontrata sul fondale e sulle sponde del torrente Farma, nel tratto successivo alla confluenza con il fosso Rigualdo, la presenza di materiale sabbioso, di colore bianco-giallastro, rinvenuto anche sulle sponde del fosso nella parte che attraversa la miniera. Nel corso del sopralluogo, riferisce ancora la ricorrente, ispezionando la miniera gli agenti intervenuti ipotizzarono che il fenomeno di cui sopra potesse dipendere dal dilavamento delle acque meteoriche nell’area di miniera, con la conseguente immissione nel letto del torrente Rigualdo del materiale di scavo ed il successivo riversarsi nelle acque del torrente Farma in occasione di precipitazioni particolarmente intense (ved. verbale polizia municipale n. 10099 del 2003 e pag. 4 del ricorso introduttivo).
Racconta la Caolino che in seguito ai fatti come sopra descritti si provvedeva ad effettuare un sopralluogo congiunto, in data 3 luglio 2003, con la presenta di rappresentanti della medesima Società, del Corpo delle miniere, dell’ARPAT di Grosseto e del Comune di Roccastrada nel corso del quale venne accertato che l’acqua del Farma del Riguardo, ancorché a tratti manifestasse tracce di intorbidimento, non presentava alcun rilevante segno di degrado. Peraltro l’assenza di pesci morti o boccheggianti escludeva in modo inequivovo che l’intorbidimento avesse ridotto significativamente la quantità di ossigeno presente nell’acqua.
Precisa la ricorrente che in occasione del sopralluogo del 3 luglio 2003 si provvedeva al prelevamento di campioni delle incrostazioni presenti sulle sponde del Farma (in particolare sia a monte che a valle della confluenza con il Rigualdo) e del Rigualdo ed anche ai piedi della scarpata della miniera, dall’analisi dei quali non emergevano elementi utili a determinare la provenienza delle sostanze colloidi causa dell’intorpidimento dell’acqua. In particolare, facendo riferimento alle conclusioni dell’ARPAT, riferisce la Caolino che nella relazione di quest’ultima si legge che tutte le rocce su cui scorre il torrente Rigualdo possono fornire materiale argilloso, ma in periodo di secca “non è possibile valutare la capacità erosiva delle acque e neppure l’apporto legato all’attività estrattiva, nonché il buon funzionamento del sistema di drenaggio delle acque meteoriche interno all’area industriale” (così a pag. 5 del ricorso introduttivo nonché nell’atto dell’ARPAT indicato).
Anche la Caolino provvedeva ad effettuare prelievi ed analisi, ma l’esito era nel senso che nei sedimenti prelevati dal Farma e dal Rigualdo si riscontrava la presenza di componenti mineralogiche non provenienti dalla miniera.
Seguivano nel mese di luglio 2003 ulteriori sopralluoghi effettuati anche dal Corpo della polizia della Provincia di Grosseto, nel corso dei quali era riscontrata una certa opalescenza dell’acqua ma nessun danno alla fauna ittica.
2. - All’esito di questa prima fase della vicenda in esame, l’ARPAT invitava la Caolino a predisporre misure di miglioramento della regimazione idraulica dell’area della miniera onde impedire “che anche modeste quantità del minerale estratto venga eventualmente trascinato, in seguito a precipitazioni meteoriche intense, nel suddetto fosso” (ved., con riferimento al torrente Riguardo, pag. 7 del ricorso introduttivo ed il documento ivi richiamato).
Ne seguiva l’attivazione della Caolino che, al fine di dare risposta a quanto sollecitato dall’ARPAT, affidava al proprio geologo di redigere un progetto che era inviato alla Regione nell’ottobre 2003. Il progetto che, riferisce la Caolino, prevedeva la realizzazione di un intervento di regimazione idraulica suddiviso in due stralci di interventi separatamente realizzabili a distanza di tempo l’uno dall’altro, veniva approvato dall’Autorità di vigilanza sulle attività minerarie e sulla geotermia della Regione Toscana nell’ottobre 2003.
Lamenta la ricorrente che, proprio nel corso dello svolgimento dei lavori di regimazione delle acque, il Comune di Roccastrada adottava il provvedimento qui gravato che la Caolino ritiene illegittimo per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili:
a) l’Ente locale ha erroneamente ritenuto che i residui da escavazione costituiscano rifiuti in senso tecnico e che dunque nei loro confronti trovi applicazione la disciplina normativa di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997. Viceversa l’art. 8 del predetto decreto legislativo esclude espressamente tali residui dall’ambito di applicazione delle disposizioni da esso recate, sottraendo in pratica dalla normativa sui rifiuti tutto quel che deriva dalla estrazione da cave e miniere, in ragione della specifica disciplina dell’attività estrattiva;
b) peraltro sulla scorta delle disposizioni di legge applicabili nel settore la collocazione del materiale da scavo in altro sito ovvero in una diversa cava coltivata esclude ex se la riconducibilità di detto materiale nell’ambito del genere “rifiuto”, con la conseguenza che, a maggior ragione, deve escludersi tale qualificazione per terre e rocce impiegati, come avviene per le attività della Caolino, nella stessa miniera nella quale i materiali vengono prodotti. Difatti, il provvedimento del Comune di Roccastrada fa riferimento a materiale consistente in terra e rocce rimosse dal terreno per raggiungere il minerale, materiale che è destinato ad essere reimpiegato nel riempimento e nel ripristino ambientale della miniera a fine coltivazione;
c) a quanto sopra va aggiunto che, a conferma dell’illegittimità del provvedimento impugnato, nella specie il Piano di coltivazione e di recupero ambientale della miniera (che come si è già riferito la ricorrente aveva predisposto nel 1999) aveva espressamente previsto il riutilizzo del materiale costituito dai residui dello scavo nel medesimo ciclo produttivo, in quanto il terreno asportato nel corso della coltivazione della miniera è destinato al ripristino della miniera stessa, con la conferma quindi che tale materiale non può essere considerato un rifiuto;
d) né si potrebbe supporre, anche ammettendo che il materiale in questione possa ricondursi al genere rifiuto, che si verta nella specie in una ipotesi di deposito incontrollato, visto che lo stoccaggio nei piazzali dei cantieri presenti nella miniera dei residui di escavazione risulta essere stato autorizzato dall’Autorità competente;
e) il provvedimento è comunque viziato per incompetenza dell’Autorità che lo ha adottato in quanto avrebbe dovuto essere emesso dal dirigente di settore e non già dal Sindaco e non è stato preceduto dalla necessaria comunicazione di avvio del procedimento.
Da qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.
3. – Faceva seguito all’originario gravame introduttivo la proposizione di un ricorso per motivi aggiunti, con il quale la Caolino impugnava, riproponendo sostanzialmente le censure già dedotte con il ricorso introduttivo del presente giudizio, la determinazione dirigenziale n. 490 del 25 ottobre 2005 con la quale il Comune di Roccastrada, confermando nel contenuto sostanziale il provvedimento qui già fatto oggetto di gravame, lo convalidava nella parte in cui avrebbe potuto manifestare la propria illegittimità a cagione dell’incompetenza dell’organo che lo aveva adottato. Il Comune, nella specie, riteneva ferma la riconducibilità del fatto inquinante ai rifiuti prodotti dalla Caolino, confermando l’applicabilità del decreto legislativo n. 22 del 1997, tuttavia sospettava che, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 107 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, la competenza ad adottare gli atti indicati nell’art. 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 fosse stata trasferita dal Sindaco al dirigente di settore e per tale motivo riteneva opportuno di provvedere in tal senso.
La Caolino confermava l’illegittimità derivata della determina dirigenziale dall’originaria ordinanza sindacale che il Comune aveva inteso sanare, specificando altresì che anche l’operazione di convalida doveva ritenersi illegittimamente realizzata.
Da qui la richiesta di annullamento del nuovo atto impugnato.
4. – Si è costituito in giudizio il Comune di Roccastrada confermando la legittimità degli atti adottati e del percorso procedimentale che li ha preceduti, di talché il ricorso proposto, ivi compreso quello contenente motivi aggiunti, contenendo censure infondate si presterebbe ad una inesorabile reiezione.
In particolare, chiarisce il Comune, va considerato che l’ARPAT e le competenti autorità intervenute nel corso della vicenda qui in esame hanno costantemente monitorato le condizioni del bacino idrografico costituito dal torrente Farma e dal suo affluente fosso Rigualdo, registrando, fin dal giugno 2003, “una consistente e preoccupante diminuzione quantitativa dei macroinvertebrati bentonici nei due corsi d’acqua” assunti tali organismi quali “precisi biondicatori dello stato di salute dell’ambiente fluviale”(così a pag. 2 della comparsa di costituzione del Comune); da qui, afferma il Comune, l’evidenza che “l’accertata diminuzione di macroinvertebrati bentonici non è semplicemente un danno all’ambiente, ma costituisce un preciso indicatore di più gravi fenomeni in atto, evidentemente in grado di sconvolgere l’ecosistema dei corsi idrici e la loro capacità di autodepurarsi” (così a pag. 3 della comparsa di costituzione del Comune).
Il Comune quindi sostiene che la situazione, rilevatasi ancor più grave in seguito ai sopralluoghi effettuati dall’ARPAT e soprattutto in seguito a quello del 13 novembre 2003, ha manifestato tutta la sua urgenza di intervento per evitare conseguenze imprevedibili per l’ambiente oltre alla certa individuazione del soggetto destinatario del provvedimento, tenuto conto della provenienza dei materiali coinvolti nel fenomeno di alterazione dei corsi idrici insistenti dall’area della miniera e, dunque, la diretta riconducibilità dei danni lamentati all’attività di coltivazione della stessa (così, ancora, a pag. 3 della comparsa di costituzione del Comune).
Posto che erroneamente la Caolino sostiene che i materiali in questione non siano ascrivibile al genus dei rifiuti e che sussistevano tutti i presupposti per l’adozione degli atti impugnati, i ricorsi non possono, a parere del Comune, che essere respinti.
Si è costituita altresì la Regione Toscana chiedendo la reizione del gravame.
5. – E’ intervenuta in giudizio l’Associazione Legambiente ribadendo la correttezza dell’operato del Comune nella specie e, dunque, confermando l’infondatezza dei gravami proposti dalla Caolino.
E’ intervenuta altresì la Provincia di Siena affermando che nessun dubbio può sorgere in merito alla riconducibilità della questione e dei materiali risultanti dalla attività svolta dalla Caolino nell’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti, atteso che i materiali abbandonati dalla Caolino nei pressi dell’area della miniera, lungo la scarpata e nel corso del torrente Rigualdo vanno ascritti a tale categoria. D’altronde, la presenza di materiali estratti nell’ambito della lavorazione lungo il torrente Rigualdo costituisce causa di forte contaminazione delle acque e, comunque, un illecito ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997.
Conseguentemente il gravame proposto dalla Caolino è da considerarsi privo di fondamento e va respinto.
E’ intervenuta in giudizio, ancora, la Provincia di Grosseto affermando che nella specie la Caolino si è resa responsabile di un comportamento di illecito abbandono e dispersione di materiali – qualificabili come rifiuti –risultanti dalle attività estrattive svolte nell’area di miniera; da qui la correttezza dell’intervento sanzionatorio posto in essere dal Comune di Roccastrada e l’infondatezza delle censure formulate dalla ricorrente.
6. – L’istanza cautelare presentata dalla Caolino all’epoca della proposizione del ricorso provocava una prima ordinanza di questo Tribunale, 16 marzo 2004 n. 40, con la quale era disposto un nuovo sopralluogo dei tecnici del Comune al fine di rilevare, in contraddittorio con rappresentanti delle parti, le condizioni dell’area interessata.
Con successiva ordinanza n. 1087 del 20 ottobre 2004, sulla scorta della prevalenza dell’interesse pubblico alla salvaguardia della zona contaminata, era respinta l’istanza cautelare proposta dalla Caolino. Tale decisione veniva poi confermata dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con ordinanza n. 521 dell’1 febbraio 2005.
Le parti depositavano memorie ed ulteriore documentazione confermando il contenuto delle già rassegnate conclusioni.
7. – Ad opinione del Collegio decisive, ai fini della soluzione della controversia sottoposta all’esame del Tribunale, appaiono due indagini: quella inerente l’esatto contenuto del provvedimento repressivo-sanzionatorio adottato dal Comune e quella relativa alla natura giuridica dei materiali estratti dalla miniera coltivata dalla Caolino.
8. - Sotto il primo profilo, dei due appena indicati, dalla lettura dell’atto gravato sia con il ricorso principale che con l’impugnazione recante motivi aggiunti emerge che il Comune, con l’ordinanza n. 104 del 22 dicembre 2003, disponeva che la :
A) immediata rimozione ed avvio a recupero o smaltimento dei residui di produzione depositati in modo incontrollato sull’area di miniera e lungo la scarpata che finisce nel fosso Rigualdo;
B) l’immediata realizzazione di interventi tecnici per impedire e contenere il dilavamento;
C) la presentazione entro 15 giorni di un progetto di regimazione idraulica e di realizzazione di idonei bacini, facendosi riferimento al contenuto della nota del Comune di Roccastrada n. 17459 del 2003;
D) la presentazione di un progetto di ripristino dello stato dei luoghi.
Quindi gli interventi di immediata realizzazione erano costituiti dalla rimozione del materiale inerte depositato sull’area di miniera e lungo la scarpata che finisce nel fosso Rigualdo nonché la realizzazione di interventi tecnici per impedire e contenere il dilavamento. Ad essi avrebbero fatto seguito ulteriori interventi da porsi in essere all’esito della presentazione del progetto per effettuare una regimazione idraulica e la realizzazione di idonei bacini nonché il ripristino dello stato dei luoghi.
La Caolino sostiene di avere presentato un progetto approvato dalla Regione (per l’esattezza dall’Autorità per la vigilanza sulle attività minerarie e sulla geotermia della Regione Toscana con nota 20 ottobre 2003 prot. 1017) per sopperire alle criticità segnalate dalle Autorità intervenute (Corpo delle miniere, ARPAT della Provincia di Grosseto, Provincia di Grosseto e Comune di Roccastrada) nel corso dei numerosi sopralluoghi svoltisi nell’area della miniera e nei dintorni fino al bacino idrografico (3 luglio 2003, 29 giugno 2003 e 4 luglio 2003) e nel quale prospettava di (come si legge alle pagg. 3 e 4 della memoria della Caolino):
 realizzare la costruzione di opportune canalizzazioni per convogliare le acque meteoriche poste al di fuori dalle aree in coltivazione direttamente nel fosso Rigualdo e le acque provenienti dai vari cantieri in tre vasche di dissipazione, poste a diverse altezze;
 realizzare una strada di delimitazione dell’area mineraria, in modo da permettere l’intercettazione di un fosso proveniente dal Monte Altino e il contemporaneo convogliamento delle acque nella valle di drenaggio.
In seguito al sopralluogo disposto dal Tribunale con l’ordinanza n. 1087 del 2004, l’ARPAT affermava di non essere in grado, se non in seguito ad un monitoraggio “per un periodo sufficientemente lungo”, di stabilire l’efficacia delle opere già poste in essere dalla Caolino.
Riferisce quest’ultima che, in data 9 marzo 2004, veniva ultimata la realizzazione delle vasche di dissipazione delle acque meteoriche ricadenti nella miniera e completata la canalizzazione di intercettazione delle acque piovane lungo la strada di delimitazione della miniera, provvedendosi alla piantumazione, nell’area di miniera e lungo le sponde del torrente Riguardo, di ginestre e biostuoie per contenere l’eventuale dilavamento del materiale presente nella miniera.
Le Autorità competenti effettuavano, in seguito a tali interventi, ulteriori sopralluoghi all’esito dei quali veniva affermato che la capacità dei vasconi realizzati dalla Caolino, “calcolata per un evento atmosferico a carattere di eccezionalità con tempo di ritorno di venti anni, si è rivelata ampiamente sovradimensionata visto che detti vasconi hanno raccolto e ben sopportato le piogge del giorno 29/10/2004” e che “le vasche di decantazione non solo hanno contenuto per intero i prodotti del dilavamento ma la sola acqua in essi contenuta ha appena sfiorato gli stramazzi” (cfr. pag. 7 della memoria della Caolino oltre agli stralci dei documenti allegati ed ivi richiamati).
Riferisce ancora la Caolino di aver redatto un progetto di recupero ambientale, attuativo delle previsioni contenute nel piano di coltivazione e comprendente anche ulteriori interventi volti a contenere i fenomeni di dilavamento indicati nell’ordinanza sindacale del Comune di Roccastrada qui impugnata. Tale progetto veniva approvato dalla Direzione generale delle Politiche territoriali ambientali, Settore Autorità di vigilanza sulle risorse minerarie Toscana-sud della Regione Toscana con nota prot. 556 del 19 settembre 2005.
9. – Orbene, in ragione di quanto sopra, non può che manifestarsi come la Caolino abbia tenuto in considerazione alcune delle prescrizioni impartite dal Comune di Roccastrada con i provvedimenti qui impugnati ed in particolare quelle riferite al contenimento delle conseguenze determinate da fenomeni meteorici: ciò attraverso la realizzazione di vasche di decantazione che sono state ritenute dalle Autorità competenti, addirittura, sovradimensionate quanto alla loro capacità.
Tuttavia nulla dice la Caolino con riguardo all’ordine di immediata rimozione ed avvio a recupero o smaltimento dei residui di produzione depositati in modo incontrollato sull’area di miniera e lungo la scarpata che finisce nel fosso Riguardo.
Sotto tale aspetto val la pena di esaminare quanto la Regione Toscana, costituendosi in giudizio, ha ritenuto di dover precisare osservando che:
a) gli esiti dei sopralluoghi dell’ARPAT hanno evidenziato i gravi rischi ambientali dovuti al permanere dei residui di miniera a ridosso del fosso Rigualdo;
b) effettivamente la Caolino ha posto in essere tutte quelle misure imposte dalla Regione Toscana per il miglioramento della regimazione idraulica;
c) tuttavia va sottolineato che la Caolino ha redatto il progetto tenendo conto solamente della corretta regimazione idraulica, nulla prevedendo con riferimento ai rifiuti abbandonati sulla sponde del fosso Rigualdo.
Sostiene quindi la Regione Toscana che le prescrizioni segnalate alla Caolino dalle Autorità regionali competenti in materia non superano né si sovrappongo a quelle contenute nei provvedimenti comunali qui impugnati, ma si integrano con quelle sicché, dalla documentazione versata in atti, risulta che la Caolino ha ottemperato soltanto ad una parte delle ridette prescrizioni, vale a dire alla realizzazione di quelle riconducibili ad una corretta regimazione idraulica della zona, avendo del tutto non considerato la rimozione dei rifiuti.
10 – A questo punto è cruciale esaminare il secondo dei due aspetti da prendersi in considerazione, cioè quello della natura giuridica attribuibile al materiale che, “estratto dalla miniera viene abbandonato e depositato in maniera incontrollata sul terreno, fino a scivolare nelle acque del fosso Rigualdo e del torrente Farma.
La prospettazione della ricorrente, come si è più sopra chiarito, conduce a ritenere che il materiale di risulta dell’attività di estrazione dalla miniera non sarebbe ascrivibile al genus rifiuto, anche perché destinato ad essere riutilizzato a conclusione del ciclo di vita estrattiva della miniera stessa.
In argomento preme rilevare, come suggerito dalla stessa ricorrente che il decreto legislativo n. 22 del 1997 reca una deroga all’applicabilità delle disposizioni in materia di trattamento dei rifiuti con riferimento al materiale estratto in seguito alla coltivazione di una miniera.
Infatti l’art. 8 sub b) del richiamato decreto legislativo (contenente una disposizione ripetitiva della formula indicata dall'art. 2, comma 7 lett. b), della direttiva 75/442/CEE) esclude dal campo della disciplina sui rifiuti quelli "risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave".
Tuttavia la disposizione in esame non esclude dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22 del 1997 tutto e comunque il materiale risultante dalla estrazione ma, come è confermato anche in giurisprudenza (cfr. Cass. pen, Sez. III, 22 settembre 2005 n. 42966), la norma deve essere letta secondo una interpretazione di stretto diritto trattandosi di una eccezione alla regola generale sulla gestione dei rifiuti. In ragione di ciò:
 il termine "sfruttamento" deve essere inteso come estrazione del materiale di cava da considerarsi, secondo il codice civile (art. 820 cc), un frutto naturale della stessa;
 le espressioni "trattamento ed ammasso" devono essere collegate alle "risorse naturali" e non alla intera attività conseguente allo sfruttamento della cava.
Pertanto, la deroga in oggetto è limitata ai prodotti derivanti dalla attività estrattiva i quali restano disciplinati dalle leggi speciali in materia di miniere, cave e torbiere. Più precisamente, sono esclusi dalla normativa del decreto legislativo n. 22 del 1997 solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo produttivo della estrazione e connessa pulitura; di talché l'attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali: se si esula dal cielo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale.
Né tali conclusioni sono scalfite dall’esame dell’art. 8, lett. f-bis) della legge n. 93 del 2001, pure invocata dalla Caolino a sostegno delle proprie tesi, che esclude dalla applicazione del decreto legislativo n. 22 del 1997 "le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti”.
Sul punto ha avuto modo di esprimersi anche la giurisprudenza della Corte europea che ha chiarito come occorra distinguere, da una parte, i residui che sono utilizzati senza trasformazione preliminare nel processo di produzione per assicurare un necessario riempimento delle gallerie e, dall'altra, gli altri residui.
Infatti, i primi sono utilizzati come materia nel processo industriale minerario propriamente detto e non possono essere considerati come sostanze di cui il detentore si disfi o abbia intenzione di disfarsi, poiché, invece, esso ne ha bisogno per la sua attività principale. Solamente nell'ipotesi in cui un tale utilizzo dei detti residui sia vietato, in particolare per ragioni di sicurezza o di tutela dell'ambiente, e le gallerie debbano essere chiuse e sostenute in modo diverso, si dovrebbe allora considerare che il detentore ha l'obbligo di disfarsi di tali residui e che questi ultimi costituiscono rifiuti.
Al di fuori di quest'ipotesi, se un gestore di una miniera può identificare fisicamente i residui che saranno effettivamente utilizzati nelle gallerie e fornisce all'Autorità competente garanzie sufficienti di tale utilizzo, questi residui non devono essere considerati come rifiuti. A questo riguardo, spetta all'Autorità competente valutare se la durata di ammasso dei residui prima della loro reintroduzione nella miniera non sia così lunga che le dette garanzie non possono essere realmente fornite.
Per quanto riguarda i residui la cui utilizzazione non è necessaria nel processo di produzione per riempire le gallerie, essi devono, in ogni caso, essere considerati nel loro complesso come rifiuti.
Ciò è vero per i detriti accumulati in forma di ammassi e che resteranno sul posto a tempo indeterminato, o per la sabbia di scarto che resterebbe nei vecchi bacini di decantazione. Infatti, tali residui non serviranno al processo di produzione e non possono essere sfruttati o commercializzati in una maniera diversa senza operazioni di trasformazione preliminare. Si tratta quindi di rifiuti di cui il detentore si disfa. La loro eventuale sistemazione in armonia col paesaggio rappresenta solo un modo di trattarli rispettoso dell'ambiente, ma non una tappa del processo di produzione (nel senso fin qui riportato cfr. Corte giustizia CE, Sez. VI, 11 settembre 2003, causa C-114/01 e, prima ancora, cfr. Corte giustizia CE, Sez. V, 27 febbraio 2002 n. 6, ove si precisa che, ai fini della individuazione se il materiale di estrazione di una miniera depositato possa ricondursi alla nozione di rifiuto oppure essere escluso dall’applicazione della relativa normativa, il deposito deve costituire oggetto di una valutazione caso per caso, al fine di stabilire se ciò che lo ha determinato si tratti di un'operazione di smaltimento o di un'operazione di ricupero ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975 n. 75/442/Cee, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991 n. 91/156/Cee e dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996 n. 96/350/Ce, di talché tale deposito costituisce un recupero solo se esso mira principalmente a che i rifiuti possano svolgere una funzione utile, sostituendosi all'impiego di altri materiali che avrebbero dovuto essere usati per svolgere tale funzione.
11. – Dalla lettura della documentazione presente in atti si evince che i materiali di cui si tratta non sono collocati esclusivamente nell’area immediatamente a ridosso della miniera, tanto da potersi anche presumere che siano destinati al riempimento della stessa, ma essi si trovano lungo la scarpata che degrada sul torrente Riguardo e lungo le sponde di questo, tanto che nel corso della riunione svoltasi in data 28 maggio 2004 presso la sala Consiliare della Provincia di Grosseto (presenti rappresentanti della Provincia stessa, dell’ARPAT e del Comune di Roccastrada), all’esito della valutazione di quanto emerso nel corso dei sopralluoghi nell’area in questione, si giungeva alla conclusione che fosse necessario “provvedere al ripristino ambientale rispetto alla situazione provocata al greto fluviale, in particolare la riduzione degli habitat e dei microhabitat a disposizione dei macroinvertebrati bentonici” nel tratto del torrente Rigualdo e nel torrente Farma fino a 300 metri a valle della confluenza con il torrente Rigualdo (cfr. doc. 13 del fascicolo del Comune resistente).
Da quanto sopra può dunque affermarsi che, anche in ragione dei luoghi ove sono collocati i materiali in questione, essi non possono che essere considerati rifiuti e quindi essere sottoposti alla disciplina di riferimento.
Ciò conduce a ritenere che correttamente il Comune ha posto in essere il provvedimento, poi reiterato in sede dirigenziale, adottato ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e supportato adeguatamente da una approfondita istruttoria che ha visto coinvolte le massime Autorità tecniche del settore, senza che l’aver la Caolino posto in essere una parte delle attività richieste dai provvedimenti impugnati conduca ad una considerazione in termine di fondatezza delle censure dedotte negli atti di ricorso.
Né, d’altronde, si manifestano fondate le residuali censure dedotte dalla Caolino evidenziando vizi procedurali, atteso che la Società ricorrente ha avuto modo di interloquire, anche epistolarmente, con le Autorità competenti prima che il comune di Roccastrada adottasse i provvedimenti qui gravati.
Da ultimo, per completezza motivazionale, non può che registrarsi come l’incompetenza sindacale all’adozione del provvedimento di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 sia stata sanata con l’adozione della determina dirigenziale impugnata dalla caolino con ricorso contenente motivi aggiunti.
In proposito si segnala che l'adozione dell'ordinanza ex art. 14, comma 3, del decreto legislativo n. 22 del 1997, trattandosi di un atto di gestione (più precisamente di un provvedimento sanzionatorio), rientra nella competenza del dirigente comunale e non del Sindaco (cfr., ex multis, TAR Basilicata 23 maggio 2007 n. 457 e 2 maggio 2006 n. 248 nonché TAR Veneto, Sez. III, 24 gennaio 2006 n. 125).
Tuttavia il Comune di Roccastrada ha eliminato il vizio di incompetenza sicché anche sotto tale profilo il ricorso si manifesta infondato non essendo condivisibili neppure le osservazioni volte a contestare la legittimità dell’atto di convalida, essendo quest’ultimo assistito da tutti gli elementi di correttezza che sono propri di tale tipologia attizia.
12. – In ragione delle suesposte osservazioni le censure dedotte dalla Società ricorrente debbono ritenersi infondate ed il ricorso va quindi respinto.
Sussistono, nondimeno, stante la complessità delle questioni giuridiche attinenti alla presente controversia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Seconda, pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nelle Camere di consiglio del 15 dicembre 2006, del 21 febbraio 2007 e del 4 aprile 2007.
Il Presidente Il relatore ed estensore
Giuseppe Petruzzelli Stefano Toschei
F.to Giuseppe Petruzzelli F.to Stefano Toschei
Il Segretario
F.to Silvana Nannucci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 21 FEBBRAIO 2008
Firenze, lì 21 FEBBRAIO 2008
Il Direttore della Segreteria
F.to Silvia Lazzarini