Il trattamento intermedio e/o provvisorio, i vari soggetti (anche nella nuova disciplina rifiuti) e la necessità di “diversi” controlli (prima parte)
di Alberto Pierobon

Com’è noto il recupero va sempre giustificato dal punto di vista ecologico. L’operazione di recupero intermedia (cioè il  recupero non definitivo: il che richiama, a contrario, il concetto del recupero provvisorio (1)) talvolta possono essere operazioni fittizie, ovvero simulare (frodare, celare, mascherare, eccetera) vere e proprie attività di smaltimento.
Ciò non toglie valore al fatto che (diciamolo fuori da ogni piaggeria o conformismo) piuttosto che coprire con falsi recuperi taluni trattamenti di rifiuti, possa  essere più trasparente e conveniente (anche ambientalmente parlando, senza infingimenti) avviare a smaltimento i rifiuti interessati, piuttosto che ricorrere, appunto, a dubbie operazioni che di recupero hanno solo l’etichetta.
Così, sullo smaltimento o sul recupero intermedio, basta voler applicare le disposizioni normalmente utilizzate per lo smaltimento o per il recupero definitivo, poiché generalmente parlando è stato osservato in sede comunitaria come “I rifiuti che richiedono lo stoccaggio a lungo termine o un trattamento preparatorio causano problemi di gestione e favoriscono le frodi” .
Una più ficcante attività non solo di controllo, bensì autorizzativa, implica (per chi ne abbia esperienza e onestà intellettuale) una più ampia visione, che esula dalle mere conoscenze giuridiche o (all’opposto) di quelle meramente tecniche, per invece valorizzare altri aspetti (perlopiù) organizzativi, a tutto campo.
Ed entro un più complesso, diverso, scenario a nostro modesto avviso (ed esperienza) assumono crescente importanza – fermo restando il ruolo primario dei produttori/detentori – i soggetti conosciuti come intermediari e commercianti  dei rifiuti (2).
Del resto, nel cosiddetto “mercato” dei rifiuti emerge sempre più una sua “finanziarizzazione” (e sottesa logica), dove i criteri industriali si impallidiscono, se non vengono meno.
In effetti, paradossalmente, non è più la “materialità” che fa guadagnare, bensì la sua “commercializzazione” (al di là della proprietà del materiale stesso): qui si realizzano gli affari, non tanto recuperando e riciclando, bensì, appunto, commercializzando.
Del resto è stato ben evidenziato come “Chi opera ogni giorno nel mercato di un bene non quale produttore o consumatore finale ma quale negoziatore di professione (trader) non si chiede dove il mercato dovrebbe andare se valutasse correttamente il bene trattato, si chiede dove il mercato di fatto andrà […]. Realizza un guadagno se decide in funzione dell’opinione, una perdita se decide in funzione della realtà. Per concludere un buon affare non deve chiedersi se il prezzo delle case sia sopra o sottovalutato; deve chiedersi che cosa farà il resto del mercato” (3).
Quale primo spunto provocatorio di questa nostra chiave di lettura (4), si veda l’art.183, comma 1, lett. g), del d.lgs. di recepimento della direttiva 2008/98/CE, ove leggiamo che “commerciante” è una “qualsiasi impresa che agisce in qualità di committente al fine di  acquistare e”, il quale, si attenziona il paziente lettore, solo dopo, ovvero “successivamente vendere rifiuti”.
Dal che - pare lapalissiano, ma così non è - si arguisce che il commerciante può vendere solo quello che prima ha già acquistato, ovvero che il commerciante non potrebbe vendere (parodiando il linguaggio borsistico) “allo scoperto” cioè quello che prima non ha comprato.
La disposizione, immediatamente dopo, si preoccupa di specificare che in questa definizione sono “compresi i commercianti che non prendono materialmente possesso dei rifiuti”, ovvero i commercianti che acquistano e vendono ….. sulla carta.
Nella lett. h) del medesimo articolo 183, troviamo che soggetto “intermediario” è sempre considerato una “qualsiasi impresa”, la quale più che agire (come il commerciante) “dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti” non effettuando, quindi, la compravendita di rifiuti (questa è la prima differenza con il commerciante).
Difatti l’intermediario opera “per conto di terzi”, ivi comprendendosi “gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti”, per cui anche qui riscontriamo una attività che si svolge nell’immateriale, solamente sulla carta.
Inoltre, queste attività di gestione dei rifiuti non vanno viste come una sorta di “passaggi”, di fasi gestionali, essendo piuttosto un continuum, dove si gioca anche sui “tempi”, addirittura, il commercio in quanto “benzina” di questo “altro” mercato e fine della gestione diventa veramente l’elemento che “rovescia” (a proprio favore) lo smaltimento o il recupero (e le attività ad essi ancillari, quali il trasporto, lo stoccaggio, eccetera).
Risulta fondato, a nostro avviso, che il concetto del “trattamento” (cfr. la definizione sempre dell’art.183, lett. “q come le “operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento”) ben possa venire riformulato, ivi comprendendovi anche le predette (e, come notato, “finanziarizzate”) attività del commerciante e dell’intermediario.
Altrimenti, diversamente opinando, ricadremmo nel noto “paradosso della bomba atomica”, dove ognuno fa una parte (svolge il suo specifico mansionario), ma poi tutti si ritengono (e, per la morale, vengono considerati) irresponsabili degli effetti della bomba (5).
Ancora una volta a noi pare si voglia “giocare” sulla scomposizione del soggetto individuale e della sua azione entro un contesto in cui questo ultimo soggetto sparisce operando nella complessità.
Il processo dell’attività inizia,  tecnicamente parlando, senza che il soggetto abbia la conoscenza del “tutto”, e, cioè senza un vero sapere, perché si tratta, appunto di una conoscenza (ma anche esperienza) fatta di segmenti, di pezzi, donde il soggetto non sa più dove sta andando e cosa effettivamente sta svolgendo in questo complesso (se non conosce benissimo e svolge benissimo quanto gli pertiene, ovvero il “pezzetto” ad esso attribuito entro il più grande disegno-processo-progetto che sia).
Per questo (ovvero per la tutela dei beni di rilevanza così intensa quali l’ambiente) l’ordinamento giuridico pretende dall’operatore di settore una diligenza superiore alla media, prevedendo la di lui responsabilità per l’intera gestione (dalla culla alla tomba) dei rifiuti.
Riteniamo utile qui rassegnare, seppure in sintesi, i riferimenti e le disposizioni che riteniamo essere rilevanti sull’argomento:

  • nella gestione dei rifiuti (e nella loro programmazione) va sempre ricercato il criterio dell’equivalenza ecologica posto che - oltre alle specifiche e/o speciali previsioni del Regolamento comunitario n.1013/2006 ss.mm.ii. -, per l’art.177, comma 4, del d.lgs. 152/2006 nel testo di disegno legge (di recepimento della direttiva 2008/98/CE) ove i rifiuti sono gestiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare: a) senza determinare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora; b) senza causare inconvenienti da rumori o odori; c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente”;
  • viene prevista per il recupero dei rifiuti la libera circolazione nel territorio nazionale, privilegiando la prossimità. Infatti l’art. 181, comma 4, stabilisce che “Per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale al fine di favorire il più possibile il loro recupero privilegiando il principio di prossimità agli impianti di recupero”;
  • per l’art.182, comma 3, è vietato smaltire i  rifiuti urbani non pericolosi provenienti da Regioni diverse di produzione “fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano”;
  • per l’art. 182-bis (Principi di autosufficienza e prossimità) abbiamo (al comma 1) che i rifiuti urbani non differenziati vengono trattati (smaltiti e recuperati) in ambito nazionale, ovvero con l’impiantistica della “autosufficienza” (ciò avviene sicuramente per lo smaltimento negli ATO, con la precisazione che i rifiuti da recuperare  e/o da smaltire vengono avviati al trattamento col criterio di prossimità al luogo di produzione – ma anche di raccolta –, oppure col criterio di specializzazione, almeno per quanto riguarda i rifiuti pericolosi). Per il comma 2 l’importazione di rifiuti destinati ad inceneritori classificati come impianti di recupero può essere motivatamente limitata (6), inoltre è possibile limitare anche l’esportazione di rifiuti in altri Stati membri per motivi ambientali (non economici) (7);
  • è comunque vietata l’esportazione di rifiuti pericolosi verso paesi non aderenti all’OCSE;
  • occorre sempre il rispetto dei piani di gestione nazionali dei rifiuti;
  • il commerciante e/o l’intermediario rimangono soggetti responsabili anche ove i (precedenti) soggetti della gestione (produttore,raccoglitore, gestore di trattamento) siano ignoti, insolventi o comunque non disponibili, il che viene confermato nella figura del detentore che è figura residuale rispetto alle precedenti (vedi art. 183, cosiccome nel Regolamento n.1013/2006 e nella disciplina previgente);
  • le operazioni di gestione vanno opportunamente estese (nell’ambito definitorio, sia direttamente che indirettamente) in senso temporale e spaziale, considerandosi il confine del trattamento finale raggiungente gli impianti effettivamente finali (cioè dove avviene lo smaltimento o il recupero definitivo) anche se ubicati in paesi terzi. Più esattamente per l’art. 183, comma 1, lett. l), la “gestione” comprende oltre alla raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti, anche la supervisione (quindi non solo il mero controllo) di queste operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento (vedasi il periodo di post mortem della discarica. Quindi per il recupero la gestione sembrerebbe fermarsi al momento in cui il rifiuto diventa qualcosa altro: la materia prima secondaria (8)), nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario, ragion per cui i commercianti e gli intermediari sono considerati gestori (cioè la gestione indirettamente comprende la compravendita di rifiuti e il disporre il trattamento degli stessi per conto terzi) (9);
  • Per l’art.188 (Responsabilità della gestione dei rifiuti) il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano (in positivo, non quale atto – passivo - del far ritirare) a determinati soggetti (che sembrano diventare in questa previsione dei consegnatari: intermediario; commerciante; ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti) in conformità agli articoli 177 e 179. Inoltre, fatto salvo quanto previsto ai successivi commi, dell’art.188, il produttore iniziale o altro detentore conserva la responsabilità (che  aveva e che trattiene) per l’intera (e anche qui occorre richiamarci ai dianzi cennati concetti di definitività e di non provvisorietà del trattamento) catena (il quale termine sembra evocare i nessi causali, lo “inanellamento”delle operazioni/attività, eccetera) di trattamento, restando inteso (ovvero ribadendo quanto sembrava implicito) che, qualora il produttore iniziale o il detentore trasferisca (si noti il termine che differisce da quello di consegna) i rifiuti per il trattamento preliminare (10) a uno dei soggetti consegnatari (si noti il termine che ricorda la contabilità di stato e la disciplina economale di vecchio conio: però, il consegnatario che può effettuare le operazioni di trasformazione preliminare non è certo l’intermediario o il commerciante, bensì gli altri soggetti) tale responsabilità, di regola, comunque sussiste (cioè viene conservata);
  • Inoltre, per quanto ci riguarda,sempre all’art. 188, al comma 2 troviamo che al di fuori dei casi di concorso di persone nel fatto illecito e di quanto previsto dal Regolamento (Ce) n. 1013/2006 (che quindi rimane fermo in parte qua, ma che abbisognerebbe di una precisazione circa la conservazione della responsabilità fino all’avvenuta conclusione della spedizione. La spedizione si conclude, definitivamente,solamente con l’avvenuto smaltimento o recupero del rifiuto. Per cui, come abbiamo avuto modo in passato di affermare, sarebbe opportuno precisare che nella spedizione transfrontaliera in procedura “lista verde”, differentemente dalla procedura in “notifica”, non vengano ammesse operazioni intermedie di recupero (R12-R13) e che il destinatario, in questi casi, deve “corrispondere” all’impianto finale, evitandosi così tutti quei “giochetti” che nella pratica vengono posti in essere tra diversi soggetti, anche tramite la fabbricazione di “carta” (contratti e documenti vari), col passaggio tra intermediari e/o commercianti, con il disinvolto utilizzo di impianti in R13, e così via. Quello che infatti rileva non è la spedizione fine a sé stessa (verso un soggetto e/o un luogo), quanto che il destinatario (soggetto e/o impianto) sia idoneo e svolga effettivamente, in modo completo, il trattamento (senza passaggi intermedi, salvo certune eccezioni). Qualora il produttore iniziale, il produttore e il detentore siano iscritti (quale mero adempimento che, allo stato, trova una sanzione e/o una deterrenza/incentivazione a nostro sommesso avviso sproporzionata) ed abbiano adempiuto agli obblighi  del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri) (11) di cui all’art. 188-bis, comma 2, lett. a), la responsabilità di ciascuno (!) di tali soggetti (consegnatari) viene ad essere limitata (!) alla rispettiva sfera di competenza (!) stabilita dal predetto sistema, con il che pare che la tracciabilità e il suo mero adempimento (nella forma, nel processo) consenta una sorta di presunzione (salvifica) dei predetti soggetti, in una frammentarietà gestionale che viene spostata entro le “sfere” (altra figura che sembra “spezzare”, per questi aspetti, la figura della “catena”) del Sistri.

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(1) Come il riconfezionamento, il trasbordo, lo stoccaggio o altre analoghe operazioni che non si considerano come recupero definitivo .
(2) Sotto il profilo “patologico” ci si permette rinviare allo scritto, apparso in questa Rubrica, “La scorretta attività di “intermediazione” di rifiuti rileva anche fiscalmente” ove, si esordiva con il ruolo di “copertura” degli intermediari per talune evenienze cui possono incorrere gli impianti (esempio per la loro chiusura da sequestro, dove non si voglia perdere e/o sviare la clientela; oppure per occultare e/o diversificare le tariffe praticate, facendo passare le transazioni e le movimentazioni per soggetti diversi); oppure al ruolo di freno/acceleratore di costi/ricavi e quindi ricorrendo all’intermediario (od altro soggetto intermedio) come soggetto che crea/diminuisce lo impatto fiscale della gestione complessiva del rifiuto; oppure ancora al di lui ruolo nella produzione del denaro in “nero” (si veda anche la sentenza del Tribunale di Brescia, Sezione del riesame, del 22 dicembre 2009, n.1198/2009).
(3) Così T. Padoa-Schioppa, La veduta corta, Bologna, 2009, p. 49.
(4) Rinviando ad appositi scritti in corso di redazione proprio sulla “finanziarizzazione” dei rifiuti e dell’ambiente in generale (pervero anche dell’energia da fonti rinnovabili):
(5) Cfr. le numerose opere di Z. Bauman, sulla società e sulla paura liquida.
(6) Qualora sia accertato (!) che l’ingresso di tali rifiuti avrebbe come conseguenza la necessità di smaltire i rifiuti nazionali o di trattare i rifiuti in modo non coerente con i piani di gestione dei rifiuti, in altri termini prima vengono soddisfatte le esigenze impiantistiche nazionali (al di là, s’intende, degli aspetti di maggior appetibilità economica).
(7) “come stabilito nel Regolamento CE n. 1013/2006”, ma perché occorreva qui ribadire la previsione? In ogni caso le Regioni entrano nella limitazione di questo mercato tramite apposito decreto del MATTM. Comunque sia, le autorità competenti di spedizione sempre nell’ambito delle loro attività potrebbero richiedere ai soggetti interessati allo smaltimento in impianti esteri oltre che rispettare il principio di vicinanza, anche di fornire una motivata dichiarazione contemplante anche l’insussistenza dei casi di cui all’art. 11, lettere a), c), d), g), h), del Regolamento. Analoga giustificazione (rectius, motivazione) - onde consentire alla predetta autorità di verificare la concreta applicazione del principio della vicinanza, della priorità al recupero e dell’autosufficienza – dovrebbe essere prodotta per specificare la scelta (o per segnalare l’obbligo) dell’avvio del rifiuto allo smaltimento anziché al recupero e perché lo smaltimento avvenga fuori Italia, ovvero all’estero. Questi accorgimenti potrebbero essere malamente intesi come dissuasivi o, addirittura quale larvata misura “protezionistica”, in realtà per quanto già argomentato in questo scritto (oltre che nel precedente scritto apparso in questa rubrica sulle spedizioni transfrontaliere titolato “Disinsabbiare”), si tratta di (preliminari) concrete verifiche dove lo elemento “commerciale” (si ripete: variamente “camuffabile”) viene ad essere ridimensionato (come vuole la Ue) di fronte della necessità di assicurare le prevalenti esigenze ambientali (che non possono limitarsi al “giro di carte” e, comunque, che possono richiedere ulteriori dimostrazioni, quali, per esempio quelle relative alla qualificazione e alla accettabilità/ammissibilità dei rifiuti.
(8) In realtà la questione è più complessa e il momento del recupero potrebbe venire meno anche riguardo all’effettività prestazionale e/o all’effettivo riutilizzo del materiale costì “recuperato”: ma questa è una questione che abbisogna di un apposito focus.
(9) Ripristinando il termine “detenzione” otterremmo quella estensione gestionale che riguarda, per quanto occorrer possa, anche la figura residuale del detentore, non limitando (bensì fulminando) la gestione dei commercianti e degli intermediari alle loro (connotanti) attività.
(10) Il trattamento preliminare è una zona grigia che va lumeggiata, in proposito sia consentito rinviare a quanto si è avuto occasione di argomentare nel volume A. Lucarelli-A. Pierobon, Governo e gestione dei rifiuti. Idee,percorsi, proposte, Napoli, 2009.
(11) Sul Sistri ci si permetta rinviare (quantomeno per taluni aspetti: genesi, profili evolutivi, vicende e problematiche tutt’ora attuali) ai vari scritti di A. Pierobon pubblicati in Gazzetta Enti Locali on line, più recentemente, si veda “Ultime novità (e ombre) sul Sistri”.