Gli impianti “minimi” nel servizio di gestione integrata dei rifiuti. Tutela dell’ambiente e promozione della concorrenza tra potere di direttiva dello Stato, pianificazione regionale e regolazione di ARERA
(nota a Cons. St., sez. II, 12 dicembre 2023, n. 10734)

di Saul MONZANI

pubblicato su giustiziainsieme.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Sommario: 1. Premessa. La classificazione degli impianti di trattamento secondo la regolazione ARERA. - 2. Il principio di evidenza pubblica in rapporto ai principi di prossimità e libera circolazione dei rifiuti urbani. La illegittimità di regimi di privativa non giustificati. - 3. La governance “multi-livello” del servizio di gestione integrata dei rifiuti. La ritenuta carenza di potere, anche implicito, di ARERA in tema di impianti “minimi”. - 4. Il meccanismo degli impianti “minimi” quale strumento di natura regolatoria al servizio della pianificazione regionale nel quadro delle direttive statali. La ricomposizione della governance “multi-livello”.

 1. Premessa. La classificazione degli impianti di trattamento secondo la regolazione ARERA.

La fattispecie che è stata oggetto della giurisprudenza che ci si accinge ad esaminare riguarda il meccanismo introdotto dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) nell’ambito del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani in tema di impianti “minimi”.

In particolare, con la delibera del 3 agosto 2021 n. 363 di approvazione del Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025 (MTR-2), l’Autorità, per quanto qui rileva, ha prospettato, “al fine di sostenere lo sviluppo di un adeguato sistema infrastrutturale”, di adottare strumenti di regolazione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento, sulla base della classificazione, operata a livello di pianificazione regionale, degli impianti di chiusura del ciclo integrato dei rifiuti in “integrati”, “minimi” e “aggiuntivi”.

Tale classificazione viene ora effettuata sulla base di quanto previsto nel Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti (PNGR) di cui al decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica n. 257 del 24 giugno 2022 per cui: gli impianti “integrati” sono quelli gestiti dall’operatore incaricato del servizio integrato di gestione dei rifiuti; gli impianti “minimi” sono quelli individuati come indispensabili nella misura in cui offrono capacità in un mercato con rigidità strutturali, caratterizzato da un forte e stabile eccesso di domanda e da un limitato numero di operatori; mentre, infine, quelli “aggiuntivi” sono individuati in via residuale. 

Ebbene, sotto il profilo tariffario, gli impianti di chiusura del ciclo gestiti dall’operatore incaricato del servizio di gestione integrata dei rifiuti sono sottoposti ad una regolazione dei costi riconosciuti e delle tariffe di accesso secondo quanto previsto dal Metodo tariffario adottato dall’Autorità, integrata da un meccanismo di perequazione ambientale, il quale, prevede, da un lato, il riconoscimento di incentivi a favore di chi conferisce agli impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani e di incentivi (più limitati e comunque vincolati a prestazioni ambientali soddisfacenti raggiunte nei territori di provenienza) a favore di chi conferisce agli impianti di incenerimento con recupero di energia (a parziale compensazione dei corrispettivi dovuti per l’accesso a tali impianti) nonchè, dall’altro lato, l’applicazione di disincentivi per chi conferisce in discarica o in impianti di incenerimento senza recupero di energia (come maggiorazione dei corrispettivi dovuti per l’accesso a tali impianti).

Gli impianti classificati come “minimi”, anche se facenti capo a gestori non integrati, sono parimenti sottoposti all’applicazione di una regolazione dei costi riconosciuti e delle tariffe integrata dal meccanismo di perequazione ambientale appena descritto.

Infine, gli impianti di chiusura del ciclo “aggiuntivi” non sono assoggettati a regolazione tariffaria, potendo offrire sul mercato la loro capacità, ma sono comunque tenuti all’obbligo di applicare condizioni di conferimento non discriminatorie, pubblicando, sul proprio sito internet, i criteri principali alla base della individuazione dei corrispettivi di accesso, nonché sono sottoposti a disincentivi ove si tratti di discariche o di impianti di incenerimento senza recupero di energia.

Nel descritto contesto, il metodo MTR-2 prevede, in particolare, che in sede di classificazione degli impianti di chiusura del ciclo siano esplicitati: a) i flussi che si prevede vengano trattati per impianto; b) la distinzione dei medesimi secondo il criterio di prossimità che si ritiene utile specificare; c) l’elenco dei soggetti che si prevede conferiscano ai medesimi impianti.

In sostanza, in sede di individuazione degli impianti “minimi”, la pianificazione regionale giunge a determinare i flussi “di prossimità” dei rifiuti che obbligatoriamente devono essere convogliati a ciascun impianto ubicato sul territorio regionale stesso, a fronte del riconoscimento al gestore di una remunerazione determinata in via regolatoria.

Il meccanismo fin qui succintamente illustrato è stato oggetto di contestazione da parte degli operatori del settore, in particolare di quelli titolari di impianti collocati fuori dalla regione presa a riferimento, i quali hanno lamentato un effetto restrittivo della concorrenza nonché hanno dubitato della legittimazione di ARERA ad intervenire sul tema.

Così, la sentenza che ci si accinge ad illustrare ha esaminato e definito la latitudine applicativa della regola dell’evidenza pubblica nel campo del servizio di gestione integrata dei rifiuti, ciò rispetto agli (ulteriori) principi contenuti nel Codice dell’ambiente in tema di “prossimità” nonchè di libera circolazione sul territorio nazionale di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata. Inoltre, la giurisprudenza oggetto del presente commento si è interrogata circa la sussistenza in capo ad ARERA del potere di disciplinare in via regolatoria il meccanismo in questione, con le relative conseguenze che, asseritamente, produrrebbero una sorta di regime di “privativa” del segmento dello smaltimento[1].

 2Il principio di evidenza pubblica in rapporto ai principi di prossimità e libera circolazione dei rifiuti urbani. La illegittimità di regimi di privativa non giustificati.

Come è noto, il Codice dell’ambiente (di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 s.m.i.) ha previsto, all’art. 200, che, in via “ordinaria”, la gestione dei rifiuti urbani sia effettuata sulla base degli Ambiti Territoriali Ottimali delimitati dalle Regioni, in una prospettiva “integrata” volta al superamento della frammentazione gestionale e al conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, nonché previa valutazione del sistema stradale e ferroviario di comunicazione e ricognizione degli impianti di gestione di rifiuti già realizzati e funzionanti nell’ambito territoriale di riferimento. Come è altrettanto noto, però, il comma 7 del predetto art. 200 consente alle Regioni di adottare modelli alternativi o in deroga al modello degli Ambiti Territoriali Ottimali; ciò sulla base di un piano regionale dei rifiuti che dimostri la propria adeguatezza rispetto agli obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente, con particolare riferimento ai criteri generali e alle linee guida riservati, in materia, allo Stato.

Il successivo art. 202 del Codice dell’ambiente, in tema di modalità di affidamento del servizio in questione, fa riferimento, in particolare, alla “gara” pubblica, rinviando comunque alla disciplina vigente, anche di livello europeo, in materia di affidamento dei servizi pubblici locali. A tale ultimo proposito, rileva il disposto del vigente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, il quale, all’art. 7, in nome del principio di “auto-organizzazione amministrativa”, effettua a sua volta un rinvio, per quanto riguarda i servizi di interesse economico generale di livello locale, a quanto previsto dal d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201 recante “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali a rilevanza economica”. 

Ebbene, l’art. 14 di quest’ultimo corpus normativo, in quanto a “modalità di gestione del servizio pubblico locale”, fa riferimento sostanzialmente alle consuete tre possibilità: a) affidamento a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica svolta in conformità al diritto dell’Unione europea; b) affidamento a società a capitale misto pubblico-privato tramite una gara avente come doppio oggetto la quota societaria e l’affidamento del servizio, in conformità al diritto dell’Unione europea; c) affidamento diretto c.d. “in house”, nei limiti fissati dall’Unione europea.

Più specificamente, il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. nella l. 24 marzo 2012, n. 27, dettato in tema di “concorrenza, sviluppo delle infrastrutture e competitività” (decreto c.d. “Crescitalia”), ha ribadito, all’art. 25, volto alla “promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali”, comma 4, che la gestione ed erogazione dei servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani sono affidate ai sensi del predetto art. 202 del Codice dell’ambiente, nel rispetto della normativa europea e nazionale sull'evidenza pubblica; ciò con esplicito riferimento alle attività di raccolta, raccolta differenziata, commercializzazione e avvio a smaltimento e recupero.

Segue l’ulteriore precisazione per cui nel caso in cui gli impianti siano di titolarità di soggetti diversi dagli enti locali di riferimento, come spesso avviene, all’affidatario del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani devono essere garantiti l’accesso agli impianti a tariffe regolate e predeterminate e la disponibilità delle potenzialità e capacità necessarie a soddisfare le esigenze di conferimento indicate nel piano d’ambito.

D’altro canto, l’art. 181, comma 5, del Codice dell’ambiente specifica che per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio e recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale al fine di favorire il più possibile il loro recupero, privilegiando, anche con strumenti economici, il principio di prossimità agli impianti di recupero.

Quest’ultimo principio, peraltro, risulta valorizzato nel già citato Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR), ove, con particolare riferimento ai rifiuti organici, si afferma che essi devono essere gestiti “prioritariamente” all’interno del territorio regionale nel rispetto del principio di prossimità, al fine di limitarne il più possibile la movimentazione. In tale prospettiva, si indica alle Regioni la necessità di verificare la propria autonomia impiantistica e di pianificare eventuali impianti necessari alla copertura del fabbisogno, rimanendo comunque impregiudicata la libera circolazione di tale frazione nonché la possibilità di conseguire l’autonomia gestionale, anche su un territorio più ampio, da individuare come “macroarea”, previo accordo tra le Regioni interessate[2].

Ebbene, la giurisprudenza oggetto del presente commento ha proceduto ad una disamina del rapporto sistematico che intercorre, da un lato, tra il principio generale dell’evidenza pubblica, quale modalità “principale” di affidamento del servizio di igiene urbana che, in quanto “integrato” comprende anche l’attività di recupero, e, dall’altro lato, il principio di “prossimità” degli impianti di recupero delle frazioni di rifiuto urbano oggetto di raccolta differenziata nel contesto della “sempre ammessa” circolazione di tale tipologia di rifiuti sul territorio nazionale[3].

Così individuato il quadro di riferimento, la giurisprudenza ora in esame è giunta a negare la sussistenza di una qualche forma di “privativa” rispetto, in particolare, alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati, da intendersi in senso lato fino a comprendere anche le attività di avvio al recupero, le quali attività devono pertanto ritenersi suscettibili di essere svolte anche dai privati muniti delle prescritte autorizzazioni ambientali[4].

A siffatte conclusioni, si è pervenuti partendo dal dato normativo di cui agli artt. 101-109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea per cui un regime di privativa e dunque di “riserva di attività”, per essere ammesso nel sistema, deve essere sia previsto da una esplicita norma di legge, senza che possa essere ricavato o esteso in via interpretativa, nonché deve essere giustificato alla luce del principio di concorrenza.

Ancora più specificamente, la giurisprudenza che si sta considerando ha osservato come la direttiva europea 2008/98/CE “Rifiuti”, nel considerando 6, indichi come obiettivo principale in materia quello di “ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente”, giungendo a prescrivere, all’art. 15, agli Stati membri di adottare “le misure necessarie per garantire che ogni produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provveda personalmente al loro trattamento oppure li consegni ad un commerciante o ad un ente o a un’impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti o ad un soggetto addetto alla raccolta dei rifiuti pubblico o privato”, prefigurando, così, un “sistema complesso nel quale agiscono vari soggetti, pubblici e privati”. Tali indicazioni si ritrovano nella normativa nazionale e, in particolare, nell’art. 177 del Codice dell’ambiente, secondo il quale i soggetti pubblici possono esercitare le loro competenze anche “avvalendosi, ove opportuno, mediante accordi, contratti di programma o protocolli d'intesa anche sperimentali, di soggetti pubblici o privati”.

Sotto altro profilo, sempre nella medesima sede, si è rilevato che la direttiva predetta indica, all'art. 23, lo strumento a disposizione degli Stati membri per raggiungere gli obiettivi indicati, là dove prevede che essi “impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l'autorizzazione dell'autorità competente”, introducendo così un regime autorizzatorio che peraltro non è universale, dato che, ai sensi del successivo art. 24, gli stessi Stati membri possono escludere la necessità dell’autorizzazione in due casi, uno dei quali è proprio l’attività di recupero. Per tale via, si è concluso che la scelta di un regime autorizzatorio, per di più derogabile, appare di per sé contraria alla previsione di una privativa in materia, sia di carattere generale, sia nel caso particolare dell’attività di recupero, che, in ipotesi, potrebbe svolgersi anche senza autorizzazione e ciò anche sulla base dei principi europei di proporzionalità e adeguatezza: ne consegue, in tale prospettazione, che l’attività predetta può esser svolta da più soggetti, purché nel rispetto degli interessi pubblici coinvolti, non essendovi spazio per ricavare l’esistenza di una privativa che non risulta espressamente prevista dalle norme sulla gestione integrata dei rifiuti urbani[5].

Dal contesto così come appena ricostruito, la sentenza oggetto precipuo del presente commento, ha tratto spunto per ribadire che la regola generale in tema di gestione integrata dei rifiuti urbani è quella improntata all’evidenza pubblica, ovvero in prima battuta alla gara. In siffatto ordine di idee, si è osservato come il principio di “prossimità”, pur funzionale alla migliore tutela ambientale possibile, tuttavia non è in grado di comprimere in maniera assoluta il valore della concorrenza, costituendo, al più, un fattore di “mitigazione”, attraverso il quale, pur sempre nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica, si valorizzino ed incentivino, con l’attribuzione di un punteggio premiale, le offerte che, tra le altre,  garantiscano al meglio anche tale, ulteriore, principio[6]

Del resto, sempre secondo l’impostazione ora in rassegna, dallo stesso testo dell’art. 181, comma 5, del Codice dell’ambiente traspare come l’obiettivo principale del legislatore sia quello di “favorire il più possibile” il recupero  delle frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata, mentre il criterio della “prossimità” viene individuato quale criterio preferenziale da incentivare “anche con strumenti economici”, ma senza che tale obiettivo ulteriore sia in grado di trasformare la libera circolazione di tali frazioni di rifiuti da regola ad eccezione, legittimando regimi di privativa o affidamenti diretti tali da sovvertire le regole in materia di affidamento degli appalti pubblici.

Sulla scorta del descritto impianto argomentativo, in definitiva, la giurisprudenza in commento ha statuito la illegittimità dei meccanismi che finiscano per stabilire una sorta di privativa ingiustificata, in particolare per quanto attiene l’attività di recupero delle frazioni di rifiuto urbano oggetto di raccolta differenziata (nel caso concreto si trattava della frazione organica - FORSU), a favore degli impianti “minimi” collocati sul territorio regionale; ciò nel momento in cui, come è avvenuto nella fattispecie concreta decisa dalla giurisprudenza in commento, vengano individuati a livello di pianificazione regionale, con carattere ritenuto “precettivo”, i bacini di riferimento di ciascun impianto, al quale gli enti locali interessati debbano, di fatto, conferire i rifiuti, così da sottrarre indebitamente tale attività alla dinamica concorrenziale del mercato del trattamento e smaltimento dei rifiuti, a discapito degli operatori collocati fuori del contesto regionale[7]

La necessità di sottoporre il conferimento dei flussi presso gli impianti di trattamento alla predetta dinamica competitiva, evitando regimi di privativa non giustificati, emerge nella giurisprudenza anche dal punto di vista delle modalità di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti. Si allude al fatto che, con l’abrogazione dell’art. 201 del Codice dell’ambiente, il quale attribuiva all’Autorità d’Ambito il compito di individuare un soggetto preposto alla realizzazione, gestione ed erogazione “dell'intero servizio”, quest’ultimo non è più configurato come un tutto inscindibile, essendo ben possibile che entro i confini di un Ambito Territoriale Ottimale si affidi tutto il servizio ovvero singoli segmenti di esso separatamente[8].

Da quest’ultimo punto di vista, in giurisprudenza è apparsa censurabile la scelta di una stazione appaltante di affidare tramite procedura ad evidenza pubblica il servizio di gestione integrata dei rifiuti sulla base di un unico lotto, senza fornire un’adeguata motivazione, ai sensi e per gli effetti del disposto di cui all’art. 51 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (ora art. 58 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36), che dia conto dei vantaggi economici e/o tecnico-organizzativi derivanti dall’opzione del lotto unico, piuttosto che della suddivisione in più lotti, e che espliciti le ragioni che giustifichino il sacrificio della concorrenza in un determinato settore del mercato, in relazione agli interessi, oltre che delle imprese, anche degli utenti[9]. In altri termini, il carattere “integrato” del servizio in questione non è considerato elemento valido e sufficiente, di per sé, a giustificarne l’affidamento “in blocco”, senza una preventiva indagine dei differenti mercati aventi ad oggetto le singole attività per le differenti tipologie di rifiuto. Alla luce della giurisprudenza segnalata, pertanto, occorre considerare, ancora una volta, che, pur nell’ambito di una gestione “integrata” dei rifiuti, nulla osta, anzi è doveroso, considerare le specificità dei singoli settori della filiera; ciò, con particolare riferimento al segmento relativo al recupero dei rifiuti, il quale costituisce un’attività di mercato che, come tale, non può essere oggetto di una privativa ingiustificata[10].

 3. La governance “multi-livello” del servizio di gestione integrata dei rifiuti. La ritenuta carenza di potere, anche implicito, di ARERA in tema di impianti “minimi”.

Un’ulteriore questione passata in rassegna dalla sentenza in commento, riguarda la riconducibilità, o meno, delle disposizioni in tema di impianti “minimi” al potere regolatorio attribuito dalla legge all’Autorità, nonché l’eventuale sovrapposizione di tale potere rispetto alle attribuzioni spettanti alle Regioni e, salendo al livello superiore, allo Stato.

L’impostazione che ci si accinge ad esaminare[11] prende le mosse dalla constatazione per cui la disciplina legislativa attributiva dei poteri alle Autorità indipendenti si connota spesso, vista l’oggettiva difficoltà di fare altrimenti, per l’utilizzo di clausole di ampio respiro, più orientate verso una prospettiva finalistica piuttosto che determinate in maniera tassativa nel loro contenuto: ciò ha portato la giurisprudenza all’elaborazione della nota teoria dei c.d. “poteri impliciti”, con riferimento a quei poteri che non sono espressamente contemplati dalla legge ma che si desumono, all’esito di una interpretazione sistematica, dal complesso della disciplina della materia, perché strumentali all’esercizio di altri poteri, posto che nei settori di competenza delle Autorità indipendenti è oggettivamente complesso per il legislatore predeterminare quale possa essere il contenuto del provvedimento amministrativo, in presenza di poteri di regolazione con una valenza tecnica e che si esplicano in ambiti in costante evoluzione per dinamiche di mercato differenti; ciò con l’ulteriore precisazione per cui siffatto meccanismo, in quanto derogatorio del principio di legalità, va applicato in modo stringente nonché va “affiancato” da particolari garanzie di carattere procedimentale, per consentirne la compatibilità costituzionale[12].  

Così individuata la cornice di riferimento, il ragionamento condotto dai giudici amministrativi, al fine di pervenire alla decisione in commento, prende le mosse dalla considerazione del disposto di cui all’art. 1, comma 527, della l. 27 dicembre 2017, n. 205, il quale, proprio nella citata dimensione “finalistica”, conferisce ad ARERA una funzione di regolazione e controllo del servizio integrato dei rifiuti, al fine di garantire accessibilità, fruibilità e diffusione omogenee sull’intero territorio nazionale nonchè adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione, armonizzando gli obiettivi economico-finanziari con quelli generali di carattere sociale, ambientale e di impiego appropriato delle risorse, nonchè di assicurare l’adeguamento infrastrutturale agli obiettivi imposti dalla normativa europea. In particolare, tra le funzioni così attribuite, quelle che interessano la tariffa del servizio riguardano la predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, a copertura dei costi di esercizio e di investimento, compresa la remunerazione dei capitali, sulla base della valutazione dei costi efficienti e del principio «chi inquina paga» (lett. f); la fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento (lett. g); l’approvazione delle tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall’ente di governo dell'ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento (lett. h).

Ciò posto, secondo i giudici amministrativi l’attività di regolazione così attribuita all’Autorità “non può avere una portata illimitata”, dovendo l’atipicità finalistica del relativo potere confrontarsi con la tipicità dei poteri di altre amministrazioni che con il primo in qualche modo interferiscono. In tale ottica, sempre in base all’orientamento ora in considerazione, le norme del Codice dell’ambiente che ripartiscono le competenze in tema di gestione dei rifiuti, “non possono che costituire un limite all’espansione finalistica del potere di ARERA, arginandolo alla radice”.

Ebbene, le predette norme che vengono in considerazione riguardano l’aspetto di indirizzo, di competenza dello Stato, nonché quello di pianificazione, attribuito alle Regioni, del servizio di gestione integrata dei rifiuti. 

Dal primo punto di vista, la giurisprudenza in commento ha richiamato l’impostazione, ormai consolidata, per cui la disciplina dei rifiuti rientra nella materia inerente la “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, lett. s), della Costituzione: in tale prospettiva, si è precisato che la legislazione statale, anche in attuazione degli obblighi europei, rappresenta un livello di tutela uniforme trasversale che si impone sull’intero territorio nazionale come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino[13].

Ciò posto, il carattere trasversale di detta competenza statale andrebbe ad interessare non solo le disposizioni di carattere sostanziale in tema di rifiuti, ma anche la dimensione organizzativa, entro la quale lo Stato alloca le funzioni amministrative in materia di tutela dell’ambiente, individuando più livelli e soggetti, i cui rispettivi ruoli devono essere coordinati nella prospettiva di una maggiore adeguatezza ed efficienza degli interventi di attuazione delle politiche ambientali.

Partendo da tale presupposto, la sentenza oggetto precipuo del presente commento, passa in rassegna le norme del Codice dell’ambiente le quali, anche innovando rispetto all’assetto precedente, “disegnano” un meccanismo pianificatorio “a cascata” che coinvolge Stato e Regioni, secondo un approccio multilivello.

In primo luogo, sul fronte statale, l’art. 195 del Codice ha attribuito al livello centrale, in un’ottica di integrazione e coerenza delle pianificazioni regionali, la funzione volta ad individuare criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini dell’elaborazione dei piani regionali. In siffatta ottica, l’introduzione dell’art. 198-bis del Codice in tema di “Programma nazionale per la gestione dei rifiuti” confermerebbe la scelta di avocare al livello centrale le scelte di principio, affidando a tale atto il compito di definire i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Provincie autonome devono attenersi nell’elaborazione dei piani regionali.

In secondo luogo, e di conseguenza, viene in considerazione, ai sensi dell’art. 196, la predisposizione del “Piano regionale di gestione dei rifiuti”, il quale comprende, secondo quanto specificato dal successivo art. 199, l’analisi delle modalità di gestione dei rifiuti adottate nell’ambito geografico interessato, le misure da assumere per migliorare l’efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una valutazione del modo in cui i piani contribuiscono all’attuazione degli obiettivi e delle disposizioni nazionali di cui al Codice dell’ambiente stesso. In particolare, per ciò che attiene al tema oggetto del presente in commento, i piani regionali suddetti, sempre in forza del predetto art. 199, comma 3, del Codice, individuano: tipo, quantità e fonte dei rifiuti prodotti all’interno del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio nazionale e valutazione dell’evoluzione futura dei flussi di rifiuti, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a livello regionale (lett. a); i sistemi di raccolta dei rifiuti e impianti di smaltimento e recupero esistenti (lett. b); una valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità e se necessario degli investimenti correlati (lett. c). Si tratta, in sostanza, di svolgere un’analisi della domanda e dell’offerta, al fine di stabilire: le politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione (lett. e); il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti (lett. h).

L’assetto di competenze fin qui descritto, in definitiva, esprime la necessità, sempre secondo la giurisprudenza in commento, che la “regìa” in tema di gestione dei rifiuti resti unitaria, in modo da assumere una visione d’insieme delle criticità, così da individuare soluzioni che possono anche travalicare i confini territoriali. In altri termini, sussisterebbe la necessità di salvaguardare un sistema che preveda un coordinamento statale nella individuazione delle scelte necessarie a chiudere in maniera efficiente il ciclo dei rifiuti. In particolare sotto il profilo della dotazione impiantistica, il bilanciamento tra tutela dell’ambiente, da un lato, e promozione della concorrenza, dall’altro lato, non potrebbe essere rimessa alla singola Regione in assenza di indicazioni da parte dello Stato soprattutto in situazioni di deficit infrastrutturale, rispetto al quale occorrerebbe una valutazione prospettica ed equidistante al fine di valutare necessità e priorità.

Nel quadro così ricostruito, si è giunti a ritenere che ARERA, nel fornire i criteri per individuare gli impianti “minimi” quale fattore essenziale per la chiusura del ciclo integrato dei rifiuti, abbia finito per indirizzare il potere pianificatorio delle Regioni, avocando, di fatto, un potere di direttiva il quale, come si è visto, spetta allo Stato, potere che quest’ultimo non ha inteso delegare all’Autorità, così che quest’ultima ha finito per individuare una soluzione di carattere normativo alle criticità impiantistiche consistente nella sostanziale acquisizione al sistema pubblicistico di impianti operanti in regime di libera concorrenza.

4. Il meccanismo degli impianti “minimi” quale strumento di natura regolatoria al servizio della pianificazione regionale nel quadro delle direttive statali. La ricomposizione della governance “multi-livello”.

Così ricostruito l’iter argomentativo seguito dalla giurisprudenza in commento al fine di escludere un potere, anche implicito, di ARERA in tema di individuazione di impianti “minimi”, occorre svolgere alcune considerazioni sulle conclusioni cui sono approdati i giudici amministrativi.

Sul punto si potrebbe anche dubitare che l’Autorità abbia effettivamente sconfinato nell’ambito coperto da attribuzioni statali e regionali in materia di gestione integrata dei rifiuti, soprattutto tenendo conto che il suo intervento era da considerarsi limitato alle situazioni di conclamato deficit impiantistico, con riferimento alle quali l’intento dell’Autorità è stato quello di arginare,  tramite la sottoposizione ad una regolazione tariffaria, un eccessivo potere di mercato in capo ai pochi impianti esistenti, nonché i conseguenti riflessi in tema di incremento dei costi di gestione dei rifiuti urbani e dunque di una maggiore spesa per gli utenti.

Tale, limitato, campo di applicazione del meccanismo degli “impianti minimi” non parrebbe rientrare nel potere di “direttiva” attribuito allo Stato dall’art. 198-bis del Codice dell’ambiente, in quanto consistente nella definizione dei “criteri e linee strategiche” delle pianificazioni regionali. Analogamente, al livello territoriale viene demandato, come già illustrato, il compito, tra gli altri, di svolgere un’analisi della domanda e dell’offerta, al fine di stabilire le politiche generali di gestione dei rifiuti, entro cui si colloca l’individuazione della eventuale necessità di realizzare nuovi impianti, in modo da garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità ma anche autosufficienza e prossimità. Così, in fondo, l’individuazione degli impianti “minimi” costituisce solo un possibile strumento di carattere regolatorio al servizio delle “politiche generali” predette, del quale le singole Regioni, a seguito delle necessarie analisi della situazione di riferimento, possono decidere di avvalersi, o meno, fermi restando i poteri di programmazione e pianificazione in capo a Stato e Regioni sulla realizzazione di nuovi impianti[14].

Per contro, tra le competenze legislativamente conferite all’Autorità rientra, come già sottolineato, oltre alla predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, ivi comprese quelle che si inseriscono in un contesto di mercato, anche la fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento. Peraltro, le attribuzioni delle Autorità in materia di regolazione economico-tariffaria sono state ulteriormente confermate e ribadite, in linea generale, dal disposto di cui al d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, recante “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” (art. 6, comma 1, e art. 26, comma 1).

Nel descritto scenario, si sarebbe potuto anche riconoscere ad ARERA quantomeno un potere di natura implicita desumibile in via interpretativa volto ad impedire eccessivi poteri di mercato in capo a pochi operatori in certi e specifici contesti, proprio allo scopo di “di garantire accessibilità, fruibilità e diffusione omogenee sull’intero territorio nazionale nonchè adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione”, così come prescritto in una prospettiva “finalistica” dal già segnalato art. 1, comma 527, della l. 27 dicembre 2017, n. 205.

Del resto, lo stesso Ministero competente, nell’approvare il PNGR attraverso il già citato d.m. 24 giugno 2022 n. 257, ha mostrato di non ravvisare alcuna “invasione” di competenza da parte di ARERA nel momento in cui essa ha disciplinato il meccanismo degli impianti “minimi” nell’ambito del Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025 (MTR-2), così come ammesso anche dai giudici amministrativi nella giurisprudenza in commento[15]. Infatti, il citato Programma ministeriale, al par. 5.2., ha dato atto dell’adozione da parte di ARERA, con un intervento evidentemente ritenuto legittimo, di una sua “propria distintiva tassonomia degli impianti di trattamento dei rifiuti urbani”assoggettabili a regolazione tariffaria, cui lo stesso Ministero rinvia, riconoscendo, pertanto, il potere dell’Autorità in tema. In particolare, sempre secondo il Ministero, la definizione del meccanismo in questione si colloca nell’ambito degli obiettivi che hanno guidato da subito l’azione di ARERA: da un lato, la promozione della capacità del sistema locale (regionale o di macroarea) di gestire integralmente i rifiuti, con una forte attenzione al profilo infrastrutturale del settore, per ricomporre i divari territoriali e le carenze impiantistiche rilevate, favorendo così anche il pieno esplicarsi degli stimoli concorrenziali al raggiungimento dell’efficienza allocativa; dall’altro lato, lo sfruttamento ottimale delle potenzialità di valorizzazione economica insite nelle diverse filiere dei rifiuti, incentivando lo sviluppo di soluzioni tecnologiche innovative ed ambientalmente sostenibili, penalizzando oltremodo lo smaltimento in discarica, in coerenza con gli obiettivi di carattere ambientale dettati dal quadro euro-unitario e nazionale. 

In tale “riconoscimento” operato dal Ministero si potrebbe scorgere una conferma della possibilità, in realtà, di riconoscere all’Autorità un potere anche solo in via implicita nel campo in considerazione, proprio nell’ottica del perseguimento e della realizzazione degli obiettivi che la legge le ha affidato.

Ancora, sempre nella medesima sede, si è dato atto che il perimetro di azione di ARERA è da ritenersi circoscritto, quantomeno prioritariamente, agli impianti di trattamento finale dei rifiuti urbani volti all’effettiva chiusura del ciclo mediante operazioni di smaltimento o di recupero (impianti di trattamento della frazione organica, inceneritori e discariche), con esclusione degli impianti riconducibili alle filiere del riciclaggio, destinati al recupero di materia, gestiti da Consorzi di filiera, o da altri soggetti, con i quali i Comuni possono sottoscrivere specifiche convenzioni per la copertura degli oneri sostenuti per le raccolte differenziate dei rifiuti, nonché degli impianti riconducibili ad altre filiere di riciclaggio destinati al recupero di materia diversi dagli impianti di trattamento biologico della frazione organica.

Al successivo par. 9, si precisa ulteriormente che le scelte in ordine alla qualificazione degli impianti di chiusura del ciclo come “minimi” devono trovare adeguata giustificazione e sviluppo nei pertinenti atti di programmazione regionale, a seguito dell’analisi dei flussi nonché di una ricognizione degli impianti di trattamento presenti sul proprio territorio: in tale ordine di idee, la classificazione in questione può essere attribuita agli impianti che “risultino operare, offrendo la propria capacità di trattamento, in un mercato caratterizzato da rigidità strutturali, nella misura di un ampio e stabile eccesso di domanda a fronte di un limitato numero di operatori presenti, avendo eventualmente capacità di trattamento già impegnata da flussi garantiti dagli strumenti di programmazione, o da altri atti amministrativi, o, comunque, essendo individuati come tali in sede di programmazione”. 

Infine, per quanto qui rileva, viene anche ribadito dal PNGR che l’individuazione degli impianti di chiusura del ciclo “minimi” richiede da parte delle Regioni e Province autonome la contestuale indicazione: a) dei flussi che si prevede vengano trattati per impianto, anche ove ancora non risultassero negli strumenti di programmazione vigenti; b) dell’eventuale distinzione dei medesimi secondo il criterio di prossimità che la Regione o Provincia autonoma ritengano utile specificare; c) dell’elenco dei soggetti che si prevede conferiscano ai medesimi impianti (quali per esempio i gestori della raccolta e del trasporto dei rifiuti urbani o i gestori di impianti di trattamento intermedio). 

Tutto ciò considerato, pare confermato l’assunto in precedenza proposto per cui l’individuazione degli impianti “minimi” costituisce un possibile strumento di carattere regolatorio al servizio delle “politiche generali” che comunque sono decise a livello regionale, sulla base delle direttive impartite dallo Stato nell’ottica di garantire livelli uniformi di tutela ambientale. 

Ad ogni buon conto, a ricomporre il quadro in qualche misura “spezzato” dalla giurisprudenza commentata è intervenuta nuovamente la stessa ARERA con la deliberazione del 23 gennaio 2024 n. 7, la quale, in dichiarata ottemperanza alle sentenze amministrative esaminate, pur confermando sostanzialmente l’impostazione già assunta, ha dato espressamente conto della necessità che la determinazione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento avvenga tramite la modulazione degli strumenti di regolazione, distinguendo gli impianti di chiusura del ciclo in “integrati”, “minimi” e “aggiuntivi”, di cui al MTR-2, “in coerenza con i criteri indicati nel Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (PNGR) approvato con il decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica 24 giugno 2022, n. 257”.

In definitiva, l’Autorità, con la recente delibera indicata, ha preso atto dell’emanazione del PNGR, ancora non esistente all’epoca della delibera del 3 agosto 2021 n. 363 di approvazione del MTR-2, il quale comunque, come si è illustrato, si è espresso in senso conforme a quanto già stabilito in precedenza dall’Autorità stessa[16]. Quest’ultima, nell’ottemperare alle statuizioni del giudice amministrativo, ha comunque rivendicato il fatto che attraverso la definizione del meccanismo degli impianti “minimi” essa non ha mai “inteso intervenire sulle competenze pianificatorie di altri soggetti competenti alla concreta individuazione di tale tipologia di impianti, né sulle competenze in materia di assegnazione dei servizi che possono essere svolti attraverso i medesimi impianti”. L’intervento in tale ambito, sempre secondo l’Autorità, non ha certo voluto provocare la creazione di una privativa nei termini che i giudici amministrativi hanno ritenuto di cogliere, bensì, al contrario, è stata animata da una “finalità di tipo pro-concorrenziale” volta a ridurre il potere di mercato detenuto in certi contesti in maniera eccessiva dai gestori degli impianti di trattamento, con i conseguenti effetti negativi in termini di costo del servizio per i cittadini.

In definitiva, una volta ricostruite le dinamiche di governance “multi-livello” del servizio in questione, si può affermare, conclusivamente, come il dibattito sviluppatosi sul tema degli impianti “minimi” testimoni un processo, avviato ma ancora in corso, di armonizzazione ed equilibrio tra valori tradizionalmente ritenuti, perlomeno in qualche misura, antitetici, ossia la tutela dell’ambiente, attraverso i principi di auto-sufficienza e prossimità, da un lato, e la promozione della concorrenza, dall’altro lato, in coerenza con la gerarchia dei valori affermati a proposito delle modalità di affidamento di contratti pubblici.

La sfida, come si diceva tuttora in atto, è quella di individuare un punto di equilibrio tra i suddetti valori, nella consapevolezza che lo stimolo della concorrenza può risultare funzionale anche ad una migliore tutela dell’ambiente, nel contesto di un’economia sostenibile e circolare; ciò a beneficio della società e della qualità dell’ambiente. 

Tuttavia il corretto dispiegarsi di una sana e virtuosa logica di mercato necessita ancora di interventi “correttivi”[17], soprattutto sul fronte impiantistico, come quello posto in essere dall’Autorità, e poi di fatto recepito anche in sede ministeriale, anche se probabilmente si sarebbe dovuto verificare il contrario. In tale quadro, appare chiarissima la situazione di squilibrio infrastrutturale che caratterizza il nostro Paese: come rilevato nel PNGR, infatti, la distribuzione geografica degli impianti risulta fortemente disomogenea tra le Regioni italiane in termini di numerosità, capacità autorizzata e scelte tecnologiche, in quanto circa il 65% della complessiva capacità di trattamento autorizzata per gli impianti di recupero della frazione organica biodegradabile è operativa al Nord; per converso, quote considerevoli di rifiuti prodotte nelle aree del Centro e nel Mezzogiorno vengono trattate in impianti localizzati in altre aree, soprattutto nell’Italia Settentrionale, quindi non coerentemente con i principi di auto contenimento territoriale o prossimità dettati dagli indirizzi normativi e delle buone pratiche.

In tale contesto, dunque, un ruolo importante ai fini del reperimento del punto di equilibrio poc’anzi evocato è svolto senz’altro dall’attività di regolazione di ARERA, in coerenza ai poteri che la legge le ha attribuito, da ultimo anche rispetto al servizio di gestione integrata dei rifiuti. In tale ottica, come da sempre rivendicato dall’Autorità stessa, l’intervento in tema di impianti “minimi”, che di fatto ha solo anticipato quello statale nei contenuti, appare necessario al fine di contenere un fenomeno che ancora diffusamente sussiste, ovvero quello per cui i (troppo) pochi operatori esistenti in molti contesti territoriali detengono un potere di mercato eccessivamente ampio, tanto da costituire una sorta di oligopolio che appare il contrario del libero mercato (solo) astrattamente propugnato dai giudici amministrativi, a tutto discapito dei costi riversati sui cittadini.

Dunque, ove la situazione di deficit impiantistico lo richieda (e ciò purtroppo si verifica ancora in parecchi contesti territoriali, costituendo più che l’eccezione la regola), l’intervento di ARERA appare, come da sempre dichiarato dall’Autorità stessa, come volto a correggere una sorta di fallimento del mercato, nell’ottica di garantire condizioni eque di gestione del servizio e, in prospettiva, di sviluppare un’effettiva concorrenza laddove ancora non vi siano le condizioni (ciò anche stimolando nuovi, quanto cospicui, investimenti infrastrutturali), piuttosto che, come invece ritenuto dai giudici amministrativi, a creare dei regimi di privativa ingiustificati. Così, una volta ricostruite correttamente le dinamiche della governance “multilivello” del servizio di gestione integrata dei rifiuti, con il ripristino del potere di indirizzo statale, appare condivisibile la sostanziale conferma, nei termini illustrati, del meccanismo degli impianti “minimi”, quale (possibile) strumento delle politiche generali di gestione dei rifiuti individuate dalle Regioni.

 

[1] Cons. St., sez. II, 12 dicembre 2023, n. 10734, in www.giustizia-amministrativa.it.

[2] In tema si v. anche F. Smerchinich, Servizi rifiuti, impianti minimi, principio di prossimità e concorrenza: alcuni chiarimenti tra giurisprudenza e programma nazionale di gestione dei rifiuti (PNGR), in Appalti & Contratti, 2023, 39 ss.

[3] Sul punto cfr., oltre alla sentenza oggetto precipuo del presente commento, anche Cons. St., sez. IV, 31 luglio 2023, n. 7412, in www.giustizia-amministrativa.it

[4] Sul punto cfr. Cons. St., sez. IV, 29 maggio 2023, n. 5257 nonché Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 30 marzo 2022, n. 410, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it. Sul tema si v., in generale, A. Benedetti, Organizzazione e regolazione dei servizi locali di interesse economico: il caso del ciclo dei rifiuti urbani, in www.federalismi.it, 24 febbraio 2021.

[5] In tema cfr. anche R. Raponi, L’autorizzazione alla realizzazione di nuovi impianti nel settore della gestione dei rifiuti assoggettati al libero mercato. Quali limiti incontra la discrezionalità amministrativa e il principio di precauzione?, in www.giustamm.it, 20 ottobre 2023.

[6] In tal senso già Cons. St., sez. IV, 24 dicembre 2020, n. 8315, in www.giustizia-amministrativa.it., ha sottolineato che sebbene i principi di “libera circolazione” nel territorio nazionale e di “prossimità” agli impianti di recupero (o di autosufficienza) siano entrambi presenti nella legislazione nazionale, il primo costituisce il criterio cardine, mentre il secondo è individuato come l'opzione preferibile tra più scelte.

[7] In tema è intervenuta anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), con segnalazione del 22 dicembre 2022, pubblicata sul Bollettino dell’Autorità n. 2 del 9 gennaio 2023, ove è stato rimarcato che l’individuazione di impianti “minimi” per la chiusura del ciclo appare uno strumento condivisibile in una prospettiva concorrenziale quando la sua finalità sia quella di garantire, in situazioni di carenza di capacità di trattamento o di smaltimento dei rifiuti, il completo asservimento ai flussi regionali degli impianti esistenti in base a tariffe definite dal regolatore per evitare l’applicazione di prezzi eccessivi da parte dei pochi impianti esistenti (dotati di potere di mercato), ed anche nella prospettiva di stimolare nuovi investimenti (per coprire il gap impiantistico) e per il tempo necessario allo sviluppo di tale nuova capacità. Tuttavia, prosegue l’Autorità, in assenza di uno specifico deficit impiantistico o di rigidità strutturali a livello regionale tali da giustificare la predeterminazione dei flussi e degli impianti di destinazione, non è giustificabile l’individuazione di impianti “minimi”, in quanto essa finisce per impedire la concorrenza tra gli impianti regionali e gli altri impianti limitrofi, collocati in regioni diverse, la quale, invece, è di per sé idonea a consentire di raggiungere un livello adeguato di qualità e prezzi competitivi. In tale prospettiva, sempre secondo l’Autorità, anche l’osservanza del principio di “prossimità” non può riferirsi rigidamente ai confini amministrativi regionali, ma deve eventualmente essere declinato in termini di effettiva distanza dal luogo di raccolta del rifiuto nonché deve tenere conto della tipologia e delle caratteristiche dei potenziali impianti di destinazione nonchè dei mezzi di trasporto impiegati. In dottrina, F. Leonardis, Codice dell’ambiente e regolazione dei rifiuti nella nuova stagione dell’economia circolarein Riv. quad. dir. amb., 2022, 82-83, ha evidenziato la tendenza ad affidare insieme alle attività di raccolta, trasporto e avvio a smaltimento delle diverse frazioni della raccolta urbana, anche le attività di recupero e riciclo di essa che, invece, dovrebbero tipicamente essere svolte in regime di mercato, così che tale impropria attribuzione di titolarità esclusiva in capo al gestore delle suddette frazioni viene a configurare una sorta di monopolizzazione dei mercati concorrenziali “a valle”. In tale ottica, si rileva anche la necessità di valutare le determinazioni di ARERA nel momento in cui consentono alle Regioni di “ripubblicizzare”, attraverso lo schema degli impianti “minimi”, la gestione degli impianti di riciclo organico senza tener conto del principio di concorrenza. Viene poi rilevata la necessità di indagare come possa conciliarsi l’apertura alla concorrenza dei cd. mercati “a valle” con il principio di prossimità nella gestione dei rifiuti. Sempre in tema si v. anche G. Marchianò, L’economia circolare con particolare attenzione ai rifiuti urbani, ex d.l. n. 121 del 3 settembre 2020, in www.ambientediritto.it, 2022.

[8] Così, Cons. St., sez. IV, 29 maggio 2023, n. 5257, cit.

[9] Così T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 24 aprile 2023, n. 1012, in www.giustizia-amministrativa.it. Nello stesso senso cfr. anche T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 2 gennaio 2024, n. 9; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 29 marzo 2024, n. 259, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it.

[10] Sul punto, la sentenza oggetto precipuo del presente commento ha rilevato come, in particolare dopo l’introduzione del concetto di economia “circolare”, l’approccio al servizio dei rifiuti, nella sua dimensione integrata, necessita di una “completa rivisitazione”, al fine di valorizzare/valutare quelle attività che escono dal regime di privativa per inserirsi in un ambito di mercato. In tema, oltre alla giurisprudenza già citata in precedenza, cfr. T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, 16 gennaio 2023, n. 17, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 16 ottobre 2023, nn. 2331, 2332, 2334, ivi, in cui, pur confermando l’insussistenza di una privativa comunale, tuttavia non si esclude a priori la possibilità da parte di un ente locale di acquisire il servizio di recupero della FORSU alla mano pubblica ai sensi dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 201 del 2022, purchè siffatta scelta avvenga, come previsto dalla legge, all’esito di apposita istruttoria, svolta sulla base di un effettivo confronto tra le diverse soluzioni possibili, da cui risulti che la prestazione dei servizi da parte delle imprese liberamente operanti nel mercato sia inidonea a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali. 

[11] Siffatta impostazione si rinviene, oltre nella sentenza oggetto principale del presente commento, anche in Cons. St., sez. II, 6 dicembre 2023, n. 10548 e n. 10550, nonché in Id., 14 dicembre 2023, n. 10775, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.

[12] Così, di recente, T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 24 febbraio 2023, n. 486, in Foro amm., 2023, II, 211. In tema, si v. anche Cons. St., sez. VI, 14 dicembre 2020, n. 7972, in Giur. comm., 2022, II, 152, in cui si è rilevato che nell'esercizio dei poteri desunti in via interpretativa occorre rafforzare la legalità procedimentale, la quale assume una valenza forte per “compensare” le mancanze della legalità sostanziale. Ancora prima cfr. Cons. St., sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532, in Foro amm., 2015, n. 760. In tema si v. in dottrina, tra gli altri, A. Marra, I poteri impliciti, in Dir. amm., 2023, 697 ss.; F.F. Guzzi, I poteri amministrativi impliciti: un tema alla ricerca di soluzioni, in www.ambientediritto.it, 2023; S. Spuntarelli, Poteri impliciti (ad vocem), in Enc. dir., I Tematici, V, 2023, 934 ss.; M. Ramajoli, Attività regolatoria e norme attributive dei poteri: alcune considerazioni, in Riv. reg. merc., 2022, 26 ss.; G. Manfredi, Legalità procedurale, in Dir. amm., 2021, 749 ss.; C. Acocella, Poteri indipendenti e dimensioni della legalità. Le prospettive di sostenibilità dell'implicito nell’esperienza delle autorità amministrative indipendenti, in Id. (a cura di), Autorità indipendenti. Funzioni e rapporti, Napoli, 2022, 11 ss.; F.L Maggio, Questioni interpretative sui poteri normativi delle Autorità amministrative indipendenti, in www.federalismi.it, 2001; P. Pantalone, Autorità indipendenti e matrici della legalità, Napoli, 2018; G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, 703 ss.; N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001.

[13] Così, tre le tante, si v. Corte cost., 7 ottobre 2021, n. 189, in Foro amm., 2022, II, 358; Corte cost., 23 luglio 2015, n. 180, in Giur. cost., 2015, 1355; Corte Cost., 14 luglio 2015, n. 149, ivi, 1282; Corte Cost., 10 aprile 2015, n. 58, ivi, 519. Sul punto cfr. anche Cons. St., sez. IV, 17 maggio 2022, n. 3870, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 27 giugno 2017, n. 3146, in Riv. giur. ed., 2017, I, 940; Cons. St., sez. IV, 16 dicembre 2016, n. 5340, in Foro amm., 2016, 2932. 

[14] Sul punto cfr. anche P. La Selva, Alcune riflessioni su ambiente e concorrenza nella regolazione del mercato dei rifiuti, in Dir. ec., 2023, 89 ss, il quale sottolinea come in tema di classificazione degli impianti “minimi” non risulti una riserva di regolamentazione statale evincibile dal quadro normativo. 

[15] In particolare, al punto 53 della sentenza del Consiglio di Stato n. 10550 del 2023, cit., si ammette proprio che “il Ministero mostra in verità di condividere le opzioni dell’Autorità, evidentemente non ravvisando nella relativa estrinsecazione alcuna invasione delle proprie competenze”.

[16] Per la verità, ARERA, già nel documento di consultazione n. 196 del 2021, recante “Primi orientamenti per la definizione del Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio”, aveva espresso l’opportunità di un intervento governativo con il quale individuare (e aggiornare con frequenza periodica, ad esempio biennale) gli impianti di chiusura del ciclo “minimi” da assoggettare a regolazione al fine di promuoverne l’efficienza in un quadro di progressivo dinamismo concorrenziale. Senonchè, come si è ampiamento rappresentato, tale intervento governativo è pervenuto solo con il d.m. 24 giugno 2022, n. 257, il quale ha comunque sostanzialmente confermato l’impostazione adottata in precedenza dall’Autorità con la delibera del 3 agosto 2021 n. 363 di approvazione del MTR-2.

[17] Sul tema degli interventi correttivi di situazioni di “fallimento del mercato” cfr., tra gli altri, P. Lazzara, La regolazione amministrativa: contenuto e regime, in Dir. amm., 2018, 355. 

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Pubblicato il 12/12/2023

N. 10734/2023REG.PROV.COLL.

N. 03166/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3166 del 2023, proposto dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

contro

la Società Montello s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Clarizia, Mario Pagliarulo e Andrea Bonanni, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Principessa Clotilde, n.2,

nei confronti

della Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Caia, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,
della Società Iren Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giancarlo Cantelli, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,
dell’Agenzia territoriale dell’Emilia Romagna per i Servizi idrici e rifiuti (ATERSIR) in persona del legale rappresentante pro tempore e delle Società Herambiente s.p.a., Maserati Energia s.r.l., La Città Verde società cooperativa sociale a r.l., Salerno Pietro s.r.l., Biorg s.r.l., Sogliano Ambiente s.p.a., Clara s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sezione Prima, 6 marzo 2023, n. 557, resa tra le parti, avente ad oggetto «Metodo tariffario rifiuti (MTR-2) per il secondo periodo regolatorio 2022-2025».


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Società Montello s.p.a. e Iren Ambiente s.p.a. e della Regione Emilia Romagna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2023, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Luigi Simeoli, l’avvocato Massimo Calcagnile, su delega dell’avvocato Giusepe Caia, l’avvocato Francesca Giuffrè, su delega dell’avvocato Giancarlo Cantelli e gli avvocati Paolo Clarizia, Mario Pagliarulo e Andrea Bonanni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La Società Montello s.p.a. (d’ora in avanti solo la Società) è un’impresa attiva da oltre 25 anni nel settore del recupero e del riciclo dei rifiuti, nello specifico ambito del trattamento di quelli organici (FORSU) provenienti dalla raccolta differenziata, con sede in Montello (BG), ove riferisce di trattarne circa 750.000 tonnellate all’anno ricavandone biogas utilizzato per produrre biometano, con recupero di anidride carbonica (CO2) per uso industriale e un fertilizzante organico di elevata qualità.

1.1. Ha impugnato innanzi al T.a.r. per la Lombardia (ricorso n.r.g. 1568/2022) la deliberazione dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA o l’Autorità) del 3 agosto 2021, n. 363/2021/R/Rif, comprensiva del suo Allegato A, avente ad oggetto il «Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025 (MTR-2)», la delibera di Giunta della Regione Emilia-Romagna n. 2032 del 29 novembre 2021, di individuazione dei c.d. impianti “minimi” in relazione alle discariche e ai termovalorizzatori, e la n. 801 del 23 maggio 2022, riferita agli impianti di compostaggio e digestione anaerobica, nonché le note (comunicazione del 31 marzo 2022, nota del 7 aprile 2022, del 12 maggio 2022 e del 18 maggio 2022) con le quali l’Agenzia territoriale incaricata allo scopo (ATERSIR) ha indicato agli operatori inclusi nell’elenco, e segnatamente alle Società richiamate in epigrafe, le destinazioni ipotizzate per le annualità 2022-2023 per i rispettivi bacini di gestione e i flussi di rifiuti assegnati.

2. La Società ha contestato la carenza di potere di ARERA in base all’art. 1, comma 527, della l. n. 205 del 2017, che ne ha individuato le competenze in materia di rifiuti, in combinato disposto con la disciplina comunitaria (art. 16 della direttiva 98/2008/CE, modificata dalla direttiva 851/2018/UE), con le disposizioni di cui agli artt. 181 e 182-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché, da ultimo, con i principi sull’evidenza pubblica di cui al d.lgs. n. 50 del 2016.

3. Nel procedimento di primo grado è intervenuta ad opponendum la Società Iren Ambiente s.p.a., come sopra chiarito individuata quale impianto “minimo” nella delibera regionale n. 801 del 2022.

4. Il T.a.r. per la Lombardia, nella resistenza dell’ARERA e della Regione Emilia Romagna, con la sentenza n. 557 del 2023, effettuata una ricostruzione della cornice normativa di riferimento, ha accolto il ricorso introduttivo, evidenziando come la disciplina contenuta nella delibera n. 363 del 2021 sottragga indebitamente la materia trattata «[…] all’ambito concorrenziale del mercato del trattamento e smaltimento dei rifiuti, venendo assoggettati alla pianificazione regionale dei flussi di rifiuti conferiti e a una conseguente fissazione delle tariffe di accesso (cfr. segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato 22 dicembre 2022, pubblicata sul Bollettino dell’Autorità medesima n. 2 del 9 gennaio 2023)». La delibera n. 363 del 2021, inoltre, avrebbe travalicato il perimetro delle competenze che l’art. 1, comma 527, della legge n. 205 del 2017 ha attribuito ad ARERA, nel contempo invadendo ambiti riservati allo Stato o alle Regioni. In particolare, il legislatore ha previsto (art. 195, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 152 del 2006, Codice dell’ambiente) un sistema programmatorio che a livello statale -e quindi con un angolo prospettico nazionale ed unitario- può porre mano alle esigenze impiantistiche del Paese «secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale», sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281. Esso deve essere adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria, con indicazione degli stanziamenti necessari per la loro realizzazione. L’art. 196 a sua volta attribuisce alle Regioni la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d’ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all’articolo 199 del medesimo Codice (lett. a). Da ultimo, l’assetto delle competenze è stato inciso in maniera chiarificatrice dall’art. 198-bis, inserito nel d.lgs. n. 152 del 2006 dal decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio»: il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti ivi previsto, la cui approvazione, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, deve avvenire con decreto del Ministro dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, costituirebbe ormai la sedes materiae istituzionale per la declinazione delle definizioni che l’Autorità ha inteso inopinatamente anticipare nella propria delibera. Ciò troverebbe peraltro conferma nello sviluppo delle consultazioni prodromiche all’adozione della delibera stessa: mentre nel primo documento per la consultazione, n.196/2021/R/RIF, ancora si auspicava un intervento risolutivo del Governo, proprio attraverso il Programma nazionale, per affrontare le criticità rivenienti dalla situazione deficitaria sotto il profilo impiantistico di alcune zone del Paese, nel successivo, n. 282/2021/R/RI, F, si annunciava l’indicazione alle Regioni di individuare i c.d. “impianti minimi”, per il caso «[…] in cui le tempistiche di adozione di tale intervento [approvazione del Programma ] non si rivelino compatibili con quelle richieste per il varo degli atti necessari alle determinazioni tariffarie per il secondo periodo regolatorio […]».

4.1. In sintesi, ad avviso del Tribunale adito, la delibera di ARERA avrebbe:

- invaso l’ambito di competenza che il legislatore statale ha assegnato allo Stato ed in particolare al Ministero, individuato dall’art. 198-bis del d.lgs. n. 152/2006 in relazione ai contenuti del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti;

- attribuito, di fatto, alle Regioni poteri che il legislatore statale non ha loro, recta via, assegnato traslando quanto dovrebbe essere definito in sede nazionale in un ambito locale, nuovamente in piena violazione delle competenze dello Stato (combinato disposto degli artt. 195 e 196 del Codice dell’ambiente), così da allontanarsi dall’obiettivo del riequilibrio socio-economico fra aree del territorio nazionale;

- sovvertito la logica tipica degli atti programmatori in materia ambientale, e, in generale, nei contesti in cui concorrono competenze “multilivello”, stante che sempre ai sensi dell’art. 198-bis, comma 2, il Programma nazionale fissa i macro-obiettivi, definisce i criteri e le linee strategiche e sulla base di essi le Regioni e le Province autonome elaborano i Piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 199, così trasformando questi ultimi in atto programmatorio di prima istanza.

5. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’ARERA articolando due distinti motivi di gravame.

6. Con il primo motivo ha contestato la ricostruzione del quadro delle competenze operata dal T.a.r., sia in assoluto - ovvero avuto riguardo alla corretta lettura da dare all’articolo 1, comma 527, della l. n. 205 del 2017, con riferimento all’esatta estensione ed accezione da attribuire al proprio potere regolatorio - sia in relazione alle competenze delle altre Amministrazioni, e segnatamente dello Stato e delle Regioni, di cui al complesso normativo costituito dagli artt. 195, 196, 198-bis e 199 del d.lgs. n. 152 del 2006. La categorizzazione dei c.d. “impianti minimi” non costituirebbe affatto un indebito esercizio di potere normativo o programmatorio, ma la mera modulazione di quello tariffario, da intendere necessariamente in senso pro-concorrenziale, come consentito dalle finalità dello stesso elencate nella legge del 2017. In particolare la lettera g) del comma 527 dell’art. 1 della legge n. 205 consente espressamente di introdurre le c.d. “tariffe al cancello” per tutti gli impianti di trattamento dei rifiuti. La scelta di circoscrivere l’applicazione delle stesse solo a taluni impianti, individuati come “minimi”, oltre che riduttiva rispetto alle potenzialità ammesse dalla norma, risponderebbe ad un obiettivo di tutela dei clienti finali, ovvero i cittadini, evitando loro aggravi tributari, e sarebbe pertanto in linea con quanto ricavabile dalla legge istitutiva dell’Autorità, n. 481/1995, comunque richiamata da quella del 2017. L’Autorità infatti avrebbe avuto la possibilità di tariffare tutti gli impianti di trattamento indistintamente, intendendosi per tali quelli riconducibili alla relativa definizione contenuta nell’art. 183, comma 1, lett. s), d.lgs. n. 152 del 2006, ovvero gli impianti di «recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento». D’altro canto, non era possibile non tenere conto della situazione di deficit impiantistico che connota alcuni territori del Paese, di cui si è anche dato atto nel primo documento di consultazione (n. 196/2021/R/rif, in particolare paragrafi 4.1 e 4.2). La situazione di «[…] eccessivo potere di mercato in capo ai pochi impianti esistenti, con un possibile incremento dei costi di complessiva gestione dei rifiuti urbani e maggiore spesa per i cittadini» che ne è conseguita, ha imposto la scelta effettuata, peraltro preannunciata nel secondo documento di consultazione (n. 282/2021/R/rif). In presenza di una gestione “non integrata” l’attività di regolazione presuppone necessariamente la valutazione del livello di efficacia dell’eventuale esistenza di pressione competitiva che contribuisce alla promozione di efficienza allocativa. Il tutto assumendo quale parametro di valutazione la presenza di flussi garantiti in ingresso, sulla base di quanto previsto in atti di programmazione o di affidamento e la possibilità di incidere significativamente sulla formazione dei prezzi tenuto conto delle caratteristiche dell’operatore che gestisce e delle limitazioni strutturali alla capacità di trattamento dell’impianto. In sintesi, il T.a.r., ritenendo ARERA non legittimata a introdurre concetti strumentali all’attività di tariffazione, avrebbe confuso la regolazione con la programmazione, rimessa interamente, nel rispetto del riparto delle competenze, alle Regioni, cui è infatti demandata l’individuazione in concreto degli impianti “minimi” (v. art. 6, comma 1, in forza del quale «L’individuazione degli impianti di chiusura del ciclo “minimi” di cui al comma 3.2 avviene, di norma, nell’ambito delle attività di programmazione settoriale previste dalla normativa vigente, e comunque in tempo utile per la determinazione di entrate tariffarie, corrispettivi e tariffe d’accesso secondo quanto previsto dal presente provvedimento»). Infine, la correttezza della tesi proposta avrebbe trovato recente conferma nella sentenza del T.a.r. per l’Emilia-Romagna, 16 gennaio 2023, n. 17, laddove si afferma che «[…] nell’allegato A della delibera ARERA è previsto, riguardo agli impianti in questione di chiusura del ciclo “minimi”, esclusivamente “…una regolazione dei costi riconosciuti e delle tariffe che prevede delle incentivazioni coerenti con la menzionata gerarchia per la gestione dei rifiuti, secondo quanto disposto dall’Articolo 23…”». Quanto agli effetti del sopravvenuto Programma nazionale, la presenza al suo interno di una disciplina «identica nella sostanza alle disposizioni di cui alla delibera n. 363/2021» non può che essere intesa come un sostanziale recepimento del MTR-2 nello strumento pianificatorio sopravvenuto, con conseguente novazione della fonte delle regole sugli impianti “minimi”, tale da fare comunque venire meno il contrasto di competenze affermato dal primo giudice. Non può infatti essere condivisa la sua dequotazione a mero riferimento “storico”, come opinato dal T.a.r., in quanto ciò significherebbe da parte del Ministero avallare un’invasione di competenze rinunciando all’esercizio delle proprie prerogative in merito. D’altro canto, che il Ministero abbia ben chiara l’attività effettuata da ARERA e la condivida troverebbe conferma nel percorso che ha portato all’approvazione del Programma, come riferito nel preambolo dello stesso, ove se ne ricorda l’avvenuta stesura all’esito dei lavori di un tavolo tecnico cui ha partecipato anche l’Autorità di Regolazione per Energia reti e ambiente.

6.1. Con un secondo motivo di censura, l’Autorità ha lamentato una lettura strumentale e distorta dei documenti di consultazione. L’auspicio, contenuto nel capitolo 3 di quello contrassegnato dal n. 196/2021/R, a che il futuro Programma nazionale si assumesse l’onere di ridefinire il fabbisogno impiantistico, infatti, andava letto come mera sottolineatura di un dato di fatto, pur nella evidenziata diversa funzione dell’attività programmatoria di competenza statale (superare il deficit, appunto) rispetto a quella regolatoria (attivarsi, alla luce del deficit attuale, per ridurne le conseguenze negative sugli utenti, destinatari finali dei maggiori costi determinati dalla presenza di un mercato con rigidità strutturali). Ciò troverebbe un avallo perfino nella sistematica del documento, che inserisce ridetto auspicio nella parte relativa alla descrizione del contesto (capitolo III), mentre illustra gli orientamenti in tema di “impianti minimi” nel successivo capitolo IV, contenente le opzioni per la regolazione degli impianti di trattamento. Il coinvolgimento delle Regioni, infine, nel rispetto delle previsioni di cui al combinato disposto degli artt.196 e 199 del d.lgs. n. 152 del 2006, è stato in qualche modo ribadito nel paragrafo 9.6 del Programma nazionale, ove si evidenzia come l’analisi dei flussi costituisca un’attività necessaria per l’elaborazione dei Piani regionali, al fine di tracciare i rifiuti e colmare i gap impiantistici. Tali attività sono «funzionali e sinergiche alla ricognizione e alla classificazione degli impianti di trattamento» effettuata ai sensi della deliberazione 363/2021/R/rif, che si è dunque preoccupata di coordinare il proprio contenuto tariffario con le competenze programmatorie di Stato e Regioni, senza che le relative attribuzioni venissero modificate, sovvertite, né tanto meno invase.

7. Si sono costituiti in giudizio la società Montello s.p.a., la Regione Emilia Romagna e la Società Iren Ambiente s.p.a., queste ultime ad adiuvandum.

8. Con memoria in data 3 maggio 2023, la Società ha riproposto le censure non esaminate in primo grado, in quanto assorbite nel motivo accolto. In particolare ha rilevato come il modello regolatorio introdotta da ARERA, nella misura in cui pretende di applicarsi anche agli impianti di trattamento della FORSU, contraddirebbe i basilari principi e norme in tema di economia circolare, libera circolazione e massima concorrenza dei rifiuti. Sarebbe inoltre errata l’assimilazione dell’attività di smaltimento, assoggettata a privativa comunale (cfr. art. 198, del d.lgs. n. 152/2006, nonché, in precedenza, art. 21, commi 1 e 7, del d.lgs. n. 22/1997), stante che anche a livello comunitario, alla stregua dell’art. 23 della direttiva 98/2008/CE, gli Stati membri impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il “trattamento” dei rifiuti solo di ottenere “l’autorizzazione” dall’autorità competente, fatta salva la possibilità, per i medesimi stati membri, di dispensare da tale obbligo gli enti o le imprese che svolgono, fra l’altro, proprio l’attività di recupero dei rifiuti (art. 24). Pertanto la disciplina – italiana ed UE - non reca la previsione di una privativa per quanto concerne l’esercizio delle attività di recupero, essendo piuttosto preordinata a garantire che la medesima venga svolta nel rispetto degli interessi pubblici coinvolti. Il d.lgs. n. 152 del 2006 a sua volta richiama il rispetto del principio di concorrenza nella gestione dei rifiuti (art. 178); nonché quello di libera circolazione sul territorio nazionale delle frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero (art. 181, comma 5). Anche nell’ambito della gestione integrata, la componente di attività legata al recupero di rifiuti differenziati (in primis, la FORSU) deve essere affidata al mercato all’esito di procedure ad evidenza pubblica e non esercitata in proprio dal gestore unico. L’inammissibilità di dinamiche distorsive della concorrenza è stata più volte confermata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), a partire dagli esiti dell’indagine conoscitiva “IC49” del 2016, ove si auspica «che il ricorso alla gestione integrata da parte degli Enti Locali avvenga solo laddove essa sia indispensabile per porre rimedio ad un fallimento del mercato, ovvero laddove il mercato da solo non sia in grado di fornire la capacità di trattamento, smaltimento in discarica e recupero energetico della frazione indifferenziata necessaria a soddisfare la domanda e il mancato intervento regolatorio conduca ad un deficit impiantistico tale da mettere in discussione l’autosufficienza dell’area territoriale interessata». Ad analoghe conclusioni è giunta l’A.N.AC., la quale ha sottolineato a sua volta che «il criterio di limitazione territoriale secondo il principio di prossimità e la conseguente definizione della disciplina applicabile dipend[e] dalla tipologia dei rifiuti trattati, con possibilità di riconoscere la vigenza dei seguenti principi: autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti urbani, differenziati e indifferenziati; autosufficienza locale nel recupero dei rifiuti urbani indifferenziati; libera circolazione sul territorio per i rifiuti urbani differenziati destinati al recupero» (v. delibera A.N.AC. n. 449 del 9 giugno 2021, doc. 4).

9. La Società Iren Ambiente s.p.a. ha rivendicato la correttezza dell’individuazione degli impianti “minimi” in quanto effettuata in coerenza con le indicazioni di ARERA, “censendo” quelli in esercizio indispensabili per la chiusura del ciclo dei rifiuti, come da definizione di cui all’art. 1.1. dell’Allegato A alla delibera n. 363/2021, sussistendo le condizioni indicate dall’art. 21.2. Essa è peraltro avvenuta, come previsto dall’art. 21.3 (che richiama il contenuto dell’art. 6.2 della delibera), «nell’ambito delle attività di programmazione settoriale previste dalla normativa vigente, e comunque in tempo utile per la determinazione di entrate tariffarie, corrispettivi e tariffe d’accesso secondo quanto previsto dal presente provvedimento».

10. La Regione Emilia Romagna ha censurato la ricostruzione dell’estensione dei poteri dell’Autorità basata sul mero dato letterale riveniente dalla formulazione dell’art. 1, comma 527, della l. n. 205 del 2017, che di fatto decontestualizza l’elenco delle attività dalla loro finalizzazione e comunque non tiene conto che solo tre delle dodici lettere nelle quali si articola la disposizione (lett. f), lett. g) e lett. h) riguardano profili tariffari, mentre le restanti attengono a compiti di più ampio carattere regolatorio, direttivo e di formulazione di criteri generali e proposte. Ciò avrebbe trovato recente riscontro nei principi affermati dal giudice delle leggi (Corte cost. 2 febbraio 2023, n. 11) in forza dei quali le scelte di regolazione operate anche dalle Autorità indipendenti devono attuare logiche di ripartizione dei benefici rispondenti «alla consapevolezza della complessità della tutela dell’ambiente, che peraltro oggi trova specifica valorizzazione, anche nell’interesse delle future generazioni, nel novellato art. 9, terzo comma, Costituzione» e non limitate alle singole considerazioni in relazione alle esigenze del libero mercato. Da qui la necessità di una lettura costituzionalmente orientata e non inutilmente riduttiva delle disposizioni in esame.

11. Con memoria in data 6 maggio 2023 ARERA ha eccepito la inammissibilità della riproposizione dei motivi di doglianza di cui al primo grado di giudizio riproposti dalla Società Montello. Ciò in quanto essi sarebbero stati mutuati letteralmente dal gravame originario, senza darsi neppure cura di distinguere quanto già scrutinato dal primo giudice e quanto rimesso alla valutazione di quello d’appello.

12. Alla camera di consiglio del 9 maggio 2023 le parti hanno concordemente chiesto di rinviare al merito la controversia.

13. Sono seguite ulteriori memorie, anche in replica, di tutte le parti.

14. In data 16 ottobre 2023 l’Autorità ha versato in atti la deliberazione del 3 agosto 2023 n. 389/2023/R/RIF, sopravvenuta a sentenza della Sezione (n. 7196 del 2023) e correlata alla necessità di adeguamento ai principi nella stessa sanciti. Ciò allo scopo di enfatizzare la precisazione ivi contenuta (v. il preambolo) di non avere inteso svolgere «alcuna delle funzioni di programmazione che la legge affida ai diversi livelli istituzionali (e, in particolare, alle regioni), demandando al competente livello territoriale la decisione in ordine all’individuazione (o meno) degli impianti “minimi” da assoggettare alla regolazione», malgrado il diverso avviso espresso dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia. Quanto al rapporto con il decreto ministeriale 24 giugno 2022, n. 257, il Programma nazionale di gestione dei rifiuti (PNGR), che con lo stesso è stato approvato, avrebbe individuato la tassonomia fissata da ARERA quale strumento con il quale stabilire i macro-obiettivi, i criteri e le linee strategiche cui le regioni e le province autonome devono attenersi nell’elaborazione dei piani regionali di gestione dei rifiuti. Il PNGR ha evidenziato anche che «le attività necessarie per l’elaborazione dei Piani regionali, in particolare l’analisi dei flussi, a supporto della pianificazione per tracciare i rifiuti e colmare i gap impiantistici, (…) sono azioni altresì funzionali e sinergiche alla ricognizione e alla classificazione degli impianti di trattamento, richieste da ARERA (…), e ai connessi adempimenti ai sensi della deliberazione 363/2021/R/RIF (…), con specifico riferimento alla determinazione delle tariffe di accesso per il trattamento dei rifiuti conferiti. Peraltro, l’esito di tale classificazione e, in particolare, le scelte in ordine alla qualificazione degli impianti di chiusura del ciclo come “minimi” devono trovare adeguata giustificazione e sviluppo nei pertinenti atti di programmazione regionale».

14.1. la Società Montello ha ritenuto di precisare alcuni dati, a suo dire acquisiti all’esito del contraddittorio processuale e segnatamente:

-i provvedimenti impugnati determinano la sostanziale “chiusura” del mercato regionale della FORSU, conformato da assegnazioni vincolate di flussi in favore degli impianti “minimi” individuati sul territorio al punto da prestabilire «quantitativi prenotati dal sistema pubblico», sicché al di fuori dello stesso nessun operatore nazionale avrebbe possibilità di accesso al relativo mercato;

- anche a prescindere dai profili di illegittimità della delibera di ARERA, sarebbe conclamato il difetto di istruttoria degli atti regionali, riconosciuto dalla stessa Regione nel “considerato” a pag. 4 della deliberazione impugnata, ove si riporta che «sulla base della produzione di rifiuto organico prevista dagli scenari del Piano di Gestione dei Rifiuti 2022-2027 e della dotazione impiantistica regionale, emerge un sostanziale equilibrio tra il fabbisogno di smaltimento e la capacità di trattamento di tale tipologia di rifiuti», circostanza questa non contestata in giudizio (sul punto, rinvia ai rilievi contenuti nella segnalazione dell’AGCM del 22 dicembre 2022);

- la scelta peraltro si è rivelata addirittura diseconomica, stante che l’affidamento (diretto) ad un impianto “minimo”, in ragione dell’esclusiva di cui gode in forza della delibera, ha prodotto l’applicazione di un prezzo sostanzialmente doppio rispetto a quello di mercato, senza considerare l’ulteriore significativa tendenza al ribasso registrata negli ultimi mesi, che ha determinato l’aggiudicazione a tariffe pari a € 34,99, con conseguente aggravio per l’utenza (v. affidamenti diretti effettuati dalla Società a partecipazione pubblica Clara s.p.a. e dalla Società San Donnino Multiservizi s.r.l., gestore in house del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani, che ha dovuto affidare alla stessa Montello per 5 mesi il servizio di trattamento della FORSU, nella sua veste di precedente aggiudicataria a seguito di gara ad evidenza pubblica, al fine di evitare soluzione di continuità, dando espressamente atto che il prezzo offerto dalla stessa «[…] anche sommando gli oneri di trasporto in capo a San Donnino Multiservizi s.r.l., risulta particolarmente vantaggioso per la Società e consente una sensibile riduzione dei costi rispetto ai corrispettivi deliberati da ATERSIR per il servizio di trattamento e recupero della frazione organica».

14.2. Ha infine richiamato la sentenza del T.a.r. per l’Emilia Romagna n. 17 del 2023, confermata in appello da quella del Consiglio di Stato, 31 luglio 2023, n. 7412, che ha già sancito l’illegittimità della delibera regionale n. 801 del 2022, statuendo in via definitiva che «in base al diritto settoriale vigente, la specifica attività di recupero della frazione organica di RSU proveniente da raccolta differenziata è pacificamente assoggettata a libero mercato, senza restrizioni territoriali di sorta e, pertanto, l’affidamento dei relativi appalti di servizio deve necessariamente essere effettuato tramite indizione di procedure ad evidenza pubblica […]».

15. All’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2023, esaurita la trattazione orale, i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

16. In limine litis, in applicazione del criterio della ragione più liquida, il Collegio ritiene che non sia necessario procedere ad uno scrutinio di dettaglio della eccezione pregiudiziale di inammissibilità della riproposizione delle censure non esaminate in primo grado da parte della Società Montello, esaminando direttamente i motivi di impugnazione, essendone palese la loro infondatezza (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015, § 5.3.).

17. Per mera completezza, tuttavia, occorre precisare che su talune questioni questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di esprimersi in una controversia avente ad oggetto gli esiti dell’affidamento ad un impianto “minimo”, impugnato dalla medesima Società oggi appellata (Cons. Stato, sez. IV, 31 luglio 2023, n. 7412), ai cui principi sul punto si intende fare integrale rinvio. In particolare, con riferimento al rapporto sistematico che intercorre fra la previsione dell’evidenza pubblica quale modalità di affidamento della gestione dei rifiuti, il ruolo che assume il principio di prossimità degli impianti di recupero per il trattamento (di recupero) delle frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata e, infine, la valenza rivestita dalla “sempre ammessa” libera circolazione di questa tipologia di rifiuti sul territorio nazionale, si è in tale occasione rimarcato il carattere generale dell’affermazione, già riferita al regime della “privativa”, ma a valere come enunciazione a carattere generale, in forza della quale «la deroga al principio di concorrenza previsto negli artt. 101-109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea per essere ammesso nel sistema, deve essere sia previsto da un’esplicita norma di legge, senza che possa essere ricavato o esteso in via interpretativa, sia giustificato alla luce del principio di concorrenza». Nel caso di specie ridetta deroga, invece, è conseguita all’individuazione degli impianti “minimi”, comprensivo della individuazione dei flussi in entrata e della relativa provenienza.

18. Come il Collegio ha già avuto modo di precisare, con ricostruzione di dettaglio alla quale per ragioni di sintesi si rinvia (Cons. Stato, sez. II, 6 dicembre 2023, n. 10550), il nucleo essenziale della controversia, per come proposta dall’ARERA, risiede nella riconducibilità o meno delle disposizioni di cui è causa all’esercizio del potere regolatorio attribuito all’Autorità dalla legislazione vigente, nonché, da altra angolazione, nel loro ipotetico sovrapporsi ai contenuti di un atto programmatorio, la cui adozione spetta per legge alle Regioni e, in un ambito sopraelevato, allo Stato. Secondo le argomentazioni di parte pubblica, infatti, l’introduzione del concetto di “impianti minimi” non avrebbe alcuna portata autonoma, o innovativa (e quindi normativa), ma rivestirebbe una funzione esclusivamente strumentale alla successiva declinazione delle metodiche tariffarie, in un’ottica di valorizzazione della portata propulsiva delle stesse in vista dell’efficientamento e miglioramento del servizio, così da arginare gli effetti distorsivi sui costi delle riscontrate posizioni di monopolio. Con una sintesi non priva di apprezzabili suggestioni, la Regione Emilia Romagna valorizza invece la sostanziale prevalenza dell’aspetto regolatorio rispetto a quello strettamente tariffario, giusta il sostanziale intersecarsi tra gli stessi, valorizzato dalla declinazione di quest’ultimo in un’elencazione di attività di respiro, e soprattutto finalizzazione, decisamente più ampia. Al di là delle categorizzazioni a monte, resterebbe comunque il fatto che la competenza programmatoria regionale sarebbe stata pienamente rispettata giusta il rinvio, per l’individuazione in concreto degli impianti “minimi”, ai relativi atti di siffatta natura.

19. Il Collegio non condivide tale ricostruzione, accedendo piuttosto a quella effettuata dal T.a.r. per la Lombardia, seppure con le precisazioni e integrazioni di seguito sviluppate.

20. Va innanzi tutto premesso come la problematica di cui è causa non sia nuova in relazione agli atti, quale che ne sia il contenuto, delle Autorità indipendenti, stante che la loro disciplina di settore si connota spesso per l’utilizzo di clausole di ampio respiro, sbilanciate piuttosto in direzione finalistica che di tassatività contenutistica. In tale solco si inserisce anche la formulazione dell’art. 1, comma 527, della l. 205 del 2017, che non a caso ricalca quella di cui all’art. 10, comma 11, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, istitutivo dell’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, in sostituzione del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche di cui art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006. Né gli ambiti funzionali dell’attività regolatoria risultano più chiari ove si acceda direttamente alla norma originaria, ovvero la l. n. 481 del 1995, a più riprese invocata dagli appellanti di parte pubblica, egualmente connotata da laconiche affermazioni di principio, se si eccettua l’art. 20, le cui previsioni di maggior dettaglio sono riferite esclusivamente all’esercizio del potere sanzionatorio.

21.Proprio a fronte degli effetti della oggettiva difficoltà per il legislatore di predeterminare il contenuto di certi provvedimenti, in particolare nel settore dei servizi di pubblica utilità e dei mercati finanziari in senso ampio, la giurisprudenza ha elaborato pertanto la teoria dei poteri impliciti, che comporta una inevitabile limitazione del principio di legalità sostanziale degli atti, cui fa da contraltare il rafforzamento di quella procedimentale (sul punto, v. Cons. Stato, sez. VI, 14 dicembre 2020, n. 7972, ove si valorizzano gli aspetti partecipativi, sia sub specie di consultazioni generali, che di comunicazione di avvio del procedimento). In tale ricostruzione, la l. n. 481 del 1995 sarebbe soltanto «una legge di indirizzo, che poggia su prognosi incerte, rinvii in bianco all’esercizio del futuro potere, inscritto in clausole generali o concetti indeterminati che spetta all’Autorità concretizzare» (Cons. Stato, sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532, ove si ritiene conforme al quadro costituzionale la previsione di un potere regolatorio circoscritta alla predeterminazione degli obiettivi propri dell’attività e dei limiti che ne connotano l’esercizio in concreto).

21.1. La legge istitutiva dell’Autorità di settore, 14 novembre 1995, n.481, nel cui solco si sono inserite le successive per ampliarne l’originaria competenza, richiamandola, dunque, ne limitava l’ambito di operatività ai settori del gas e dell’energia (da cui l’originaria denominazione di AEEG). Con l’art. 21, comma 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono state trasferite a ridetta Autorità anche le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, già assegnate all’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, sicché la relativa denominazione è stata mutata in Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico (AEEGSI).

22. Mentre tuttavia in relazione agli ambiti dell’energia elettrica e del gas le direttive comunitarie di riferimento disciplinano direttamente le finalità e i compiti delle autorità di regolazione (direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE), per il settore dei rifiuti, come per quello idrico, ridetto livello di disciplina sovranazionale manca, essendo la materia rimessa alla discrezionalità degli Stati membri per quanto riguarda sia l’organizzazione che l’ampiezza della regolazione.

23. L’art. 1, comma 527 della l. n. 205 del 2017, dunque, risponde all’esigenza di indicazione finalistica esplicita - in verità non del tutto consona alle regole della tecnica normativa - mediante un incipit di largo respiro sotto la cui egida vanno ricondotte tutte le attività attribuite alla neo denominata ARERA. L’Autorità, pertanto, deve agire: «Al fine di migliorare il sistema di regolazione del ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani e assimilati, per garantire accessibilità, fruibilità, diffusione omogenea sull’intero territorio nazionale nonché adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione, armonizzando gli obiettivi economico-finanziari con quelli di carattere sociale, ambientale e di impiego appropriato delle risorse, nonché di garantire l’adeguamento strutturale agli obiettivi imposti dalla normativa comunitaria, superando così le procedure di infrazione già avviate con conseguenti benefici economici a favore degli enti locali interessati da dette procedure […]». Tale ultimo inciso, inserito nel corso dei lavori parlamentari, viene correlato nella documentazione a corredo del disegno di legge, al deferimento dell’Italia, in data 17 maggio 2017 da parte della Commissione europea alla Corte di giustizia dell’Ue per la mancata bonifica o chiusura di 44 discariche indicate come fonti di grave rischio per la salute umana e per l’ambiente, in ragione della ritenuta violazione della direttiva europea sulle discariche (Direttiva 1999/31/CE), la cui tempistica di attuazione era ampiamente decorsa. Ritiene il Collegio che esso contribuisca a dare un’ulteriore colorazione in termini “conformativi” all’esercizio dei poteri di ARERA, finalizzato finanche al superamento di un problema specifico e contingente quale quello derivante dalla presenza sul territorio di uno di quei siti che sono stati oggetto di attenzione da parte della Commissione Ue. Tale orizzonte prospettico ampio, d’altro canto, è altresì imposto anche dalle più recenti riforme conseguite al recepimento - al quale peraltro va attribuita l’introduzione nel Codice dell’ambiente dell’art. 198-bis- del c.d. pacchetto “energia circolare” concretizzatosi in quattro direttive datate 30 maggio 2018 (si tratta delle direttive n. 2018/849 UE, n. 2018/850 UE; n. 2018/851 UE e n.2018/852). Con esse infatti cambia definitivamente l’approccio al servizio dei rifiuti, suggellandosi un’evoluzione già avviatasi da anni, e il relativo ciclo integrato, attratto nel regime di privativa pubblica, necessita di una completa rivisitazione, al fine di valorizzare/valutare quelle attività che escono da tale ambito, per comporre attività di mercato. In tale logica la regolazione è sicuramente strumento anche pro concorrenziale, come rivendicato da ARERA; funzionale a garantire condizioni di qualità uniformi sul territorio, pur salvaguardando le specificità territoriali, quanto meno in termini di livello minimo essenziale. Ciò tuttavia non può avere una portata illimitata, dovendo l’atipicità finalistica del relativo potere confrontarsi con la tipicità di quelli delle altre amministrazioni che con esso interferiscono.

24. Come chiarito dai lavori preparatori della norma, dunque (v. Dossier XVII legislatura a cura degli uffici studi delle Camere, Volume II, pag. 162 e seguenti), ARERA avrebbe dovuto sostituirsi ai compiti già attribuiti all’Osservatorio nazionale sui rifiuti dall’art. 206-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 (inserito dall’art. 2, comma 29-bis del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4), indi trasferiti al Ministero dell’ambiente dal c.d. “collegato ambientale” del 2015. Lo scarso coordinamento tra le varie disposizioni, che non agevola la ricostruzione di un quadro preciso della materia, trova peraltro conferma nel fatto che la norma da ultimo citata prevedeva, fino alla recente abrogazione avvenuta con d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla l. 29 luglio 2021, n. 108, anche il potere di definire un sistema tariffario equo e trasparente basato sul principio dell’ordinamento dell’Unione europea «chi inquina paga» e sulla copertura integrale dei costi efficienti di esercizio e di investimento (lettera g-bis).

25. D’altro canto, l’attrazione della gestione dei rifiuti tra i servizi di interesse pubblico a rete, che in qualche modo costituisce il presupposto della sentita esigenza di individuare anche per gli stessi un’Autorità di regolazione tariffaria, costituisce una conquista relativamente recente del legislatore, seppure anticipata in via pretoria dalla giurisprudenza amministrativa. Solo con l’inserimento del comma 6-bis nell’art. 3-bis del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148 del 2011, avvenuto con l’art. 1, comma 609, lett. e) della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si è infatti positivizzato ridetto inquadramento, estendendo al settore la prevista individuazione di un ambito territoriale ottimale (ATO) in funzione di tutela sia della concorrenza che dell’ambiente, con l’obbligatoria istituzione di nuovi enti di governo sovracomunali.

25.1. Un più ampio sforzo in tale direzione fu intrapreso in occasione della ipotizzata riforma dei servizi pubblici locali che avrebbe dovuto essere varata in attuazione degli artt. 16 e 19 della legge 7 agosto 2015, n. 124, allo scopo di dettare una «disciplina generale organica» del settore, attraverso un riordino del quadro normativo «risultato di una serie di interventi disorganici che hanno oscillato tra la promozione delle forme pubbliche di gestione e gli incentivi più o meno marcati all’affidamento a terzi mediante gara» (così testualmente nella relazione illustrativa). A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016, che ha interrotto di fatto l’iter di perfezionamento del Testo unico de quo, censurandone il paradigma procedimentale in quanto non sufficientemente coinvolgente le Regioni pur attingendo anche materia di loro competenza (si pensi, per quanto qui di interesse, al trasporto locale), il legislatore ha inteso perseguire comunque la scelta originaria di attrarre la regolazione del ciclo dei rifiuti alla competenza dell’Autorità, inserendola in una sorta di norma stralcio della precedente, confluita nell’articolato della finanziaria del 2018, legge n. 205 del 2017, più volte citata.

25.2. Va ricordato per completezza che nel solco di tale ormai consolidata opzione si pone oggi anche l’art. 33 del d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, di «Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica», che nel dettare regole di coordinamento in relazione alla gestione dei rifiuti urbani, ne conferma l’inquadramento, rinviando al disposto degli artt. 3-bis del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 e 200, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, sull’ambito territoriale ottimale di erogazione del servizio. Il decreto, peraltro, contiene una specifica disposizione avente ad oggetto il potere regolatorio di ARERA (art. 7), con riferimento al quale menziona anche la possibilità di individuazione di «indicatori» e di «livelli minimi di qualità dei servizi», che seppure concettualmente distinti dalla nozione di impianto “minimo”, ne evocano, quanto meno nell’aggettivazione, il contenuto finalistico. Il che, a ben guardare, parrebbe deporre nel senso dell’inesistenza di omologo potere in base alla legislazione previgente.

26. L’analisi di dettaglio delle singole attività consentite all’ARERA contenuta nell’art. 1, comma 527 della l. n. 205 del 2017, nulla aggiunge alla cornice per come sopra ricostruita. Nella relativa elencazione, la tariffazione ne costituisce soltanto una delle possibili declinazioni, contenuta in particolare alle lettere f), ove si prevede la «predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, a copertura dei costi di esercizio e di investimento, compresa la remunerazione dei capitali, sulla base della valutazione dei costi efficienti e del principio “chi inquina paga”» (originariamente sovrapponentesi rispetto all’analogo potere ministeriale come detto venuto meno solo con la decretazione del 2020 ); g), relativa alla «fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento») e h), che si riferisce alla « approvazione delle tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento»).

27. Sotto un profilo strettamente letterale, dunque, mentre con riferimento alla individuazione del «metodo tariffario», l’oggetto è limitato al «servizio integrato dei rifiuti» e ai «singoli servizi che costituiscono attività di gestione»; con riguardo alle «tariffe di accesso» (c.d. “tariffe al cancello”), esso può estendersi a tutti gli impianti di trattamento, anche estranei al servizio (i c.d. “gestori non integrati”), purché tuttavia ciò avvenga con la dimostrata finalità di migliorare il ciclo dei rifiuti urbani e assimilati. Da qui la sostanziale estraneità allo stesso della regolamentazione delle tariffe “al cancello” degli impianti di trattamento di rifiuti speciali, salvo si tratti della particolare tipologia degli stessi che deriva dal recupero dei rifiuti urbani medesimi (art. 184, comma 2, lett. g), siccome in grado di impattare sulla chiusura del ciclo. Astrattamente, dunque, non esiste una pregiudiziale negativa per oggetto ad applicare le “tariffe al cancello” a impianti di trattamento di tale tipologia di rifiuti speciali.

28. La definizione di “trattamento”, infatti, non può non essere attinta dal d.lgs. n. 152 del 2006, che vi riconduce tutte le «operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento» (art. 183, lettera s), precisando poi che per “recupero” si intende «qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale» (art. 183, lettera t).

29. La precisazione, tuttavia, sulla quale pure insiste l’Autorità, non ha rilievo una volta che si escluda la sussistenza a monte di un potere di indirizzo dell’attività programmatoria regionale in capo all’ARERA.

30. Privo di pregio appare pertanto il riferimento, di cui al primo motivo di appello dell’Autorità, al contenuto testuale della lettera g) del più volte richiamato comma 527 dell’art. 1 della l. n. 205 del 2017, che comunque non può essere astratto dal contesto della norma nella quale si inserisce, ivi comprese le più volte richiamate finalizzazioni delle relative attività attribuite alla stessa.

30.1. Secondo il T.a.r. per la Lombardia, la delibera avrebbe anche invaso le competenze programmatorie della Regione, nonché quelle statali di indirizzo delle stesse. Salvo poi concludere individuando nel solo Programma nazionale introdotto dall’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 il limite legislativo alla configurabilità dell’esercizio di poteri impliciti in quello di tariffazione, teleologicamente orientato agli obiettivi statuiti dal legislatore.

31. L’assunto necessita di talune precisazioni.

32. La ripartizione multilivello delle competenze in materia ambientale in genere e di rifiuti in particolare è stata oggetto, come noto, di un intenso dibattito costituzionalistico cui non è rimasta estranea neppure l’approvazione del d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento al quale si levarono voci di dissenso avuto riguardo all’asserito scarso coinvolgimento delle Regioni.

33. Sul punto, e senza attingere la tematica della prevalenza degli interessi quale soluzione di compromesso suggerita per analoghe questioni dal giudice delle leggi, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha da tempo aderito ad una lettura rigorosa che sulla scia dei principi più volte affermati dalla Consulta (ex plurimis, Corte cost. 11 marzo 2015, n. 58) ha ritenuto che la disciplina dei rifiuti rientri nella «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, lettera s), della Costituzione, a prescindere dalle possibili interferenze con altri interessi e competenze. Deve intendersi pertanto riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. Per i rifiuti, dunque, «necessita una normazione generale, valevole sull’intero territorio nazionale, non potendo l’ordinamento tollerare che le caratteristiche intrinseche di un rifiuto, ai fini del suo trattamento, possano essere diversificate a seconda della diversa convenienza, opportunità o percezione avvertita dai singoli enti territoriali» (Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2022, n. 3870).

34. L’individuazione della allocazione delle competenze amministrative in materia ambientale ha a lungo risentito delle incertezze nella definizione del rapporto tra i livelli di governo nella definizione degli interventi per la tutela ambientale, e dunque della titolarità della potestà legislativa in materia. Con la sentenza della Corte costituzionale 28 maggio 2019, n. 129, tuttavia, la questione pare definitivamente chiarita. Nei paragrafi 3.1 e seguenti del “Considerato in diritto”, la Corte chiarisce infatti che la disciplina delle competenze fissata con legge dello Stato riveste carattere di piena trasversalità rispetto alle eventuali attribuzioni regionali. Essa «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino». Ridetta trasversalità della legislazione statale, dunque, caratterizza non soltanto le disposizioni di natura sostanziale, ma anche quelle aventi contenuto organizzativo, con le quali lo Stato alloca le funzioni amministrative in materia di tutela dell’ambiente. Ciò in quanto la cura dell’interesse ambientale non si limita alla definizione degli obiettivi di protezione, all’attuazione di politiche ambientali ed alla gestione del territorio, ma, proprio per rendere effettivi i livelli di tutela stabiliti dal legislatore statale, si spinge fino «all’individuazione di specifiche competenze amministrative, il cui riparto si presta ad essere inquadrato nell’ambito di una necessaria differenziazione dei diversi attori, i cui rispettivi ruoli vanno coordinati nella prospettiva di una maggiore adeguatezza dell’intervento». Esse pure, pertanto, integrano i “livelli di tutela uniforme” che non ammettono deroga da parte del legislatore regionale.

35. É da tale imprescindibile angolazione che vanno pertanto lette le disposizioni della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 relative alla individuazione delle competenze in materia di rifiuti, tipicamente ripartite sui vari livelli, centrale e territoriali. Esse non possono che costituire un limite all’espansione finalistica del potere di ARERA, arginandolo alla radice.

35.1. La potestà pianificatoria/programmatoria consegue alle indicazioni contenute nell’art. 28 della direttiva 2008/98/CE, che prevede che gli Stati membri provvedano affinché le rispettive autorità competenti predispongano uno o più piani di gestione dei rifiuti. Tali piani devono comprendere un’analisi della situazione della gestione dei rifiuti esistente nell’ambito geografico interessato; le misure da adottare per migliorare una preparazione per il riutilizzo, un riciclaggio, un recupero e uno smaltimento dei rifiuti corretti dal punto di vista ambientale; una valutazione del modo in cui i piani contribuiranno all’attuazione degli obiettivi e delle disposizioni della medesima direttiva.

35.2. In coerenza con tale previsione, l’art. 196, comma 1, lettera a), individua quale prima competenza delle Regioni quella di predisporre, adottare e aggiornare, sentiti le province, i comuni e le Autorità d’ambito, i piani regionali di gestione dei rifiuti. L’art. 199 a sua volta, inserito nel successivo Capo III, dedicato nello specifico al «Servizio di gestione integrata dei rifiuti», indica il contenuto di dettaglio di tali piani (PRGR), connotandoli anche come strumenti di analisi dello stato di fatto in termini di gestione dei rifiuti esistente nell’ambito geografico interessato, in funzione dell’individuazione delle misure da adottare per migliorare l’efficacia ambientale delle diverse operazioni, contribuendo altresì agli obiettivi generali in materia validi su scala nazionale. In tale ottica, i Piani devono dunque indicare (lettera a): «[…] tipo, quantità e fonte dei rifiuti prodotti all’interno del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio nazionale e valutazione dell’evoluzione futura dei flussi di rifiuti, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a livello regionale […]»; essi devono altresì proporre «una valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, di chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e se necessario degli investimenti correlati » (lettera c). L’atto di pianificazione, pertanto, si concretizza in una sorta di analisi della domanda e dell’offerta, declinando le «politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione» (lettera e) e « il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti» (lettera h).

36. Per quanto sia difficile, in un contesto, anche lessicale, di tale complessità, isolare concettualmente talune definizioni, collocandole in un ambito (regolatorio) piuttosto che nell’altro (programmatorio) è di tutta evidenza che l’attività demandata alla Regione è già rigorosamente indirizzata verso una soluzione alle criticità impiantistiche, delle quali pure si tracciano gli indici, consistente nell’individuazione, all’interno degli impianti di trattamento già presenti, di quelli che le occorrono per la chiusura del ciclo, non a caso indicando anche il quantitativo di rifiuti da conferire coattivamente e la relativa provenienza. Ciò non solo travalica il potere delle Regioni, ma prescinde anche dalle indicazioni che a monte lo Stato doveva fornire loro per risolvere ridette criticità. La non chiara articolazione sequenziale, inoltre, tra indicazioni e atto nel quale inserirle (programmatorio solo «di norma», così ammettendo che si addivenga ad una sorta di programmazione ricognitoria ad horas, peraltro in tempo utile per l’applicazione del nuovo regime tariffario), aggrava ulteriormente la percezione da un lato di sostanziale innesto di contenuti normativi nelle metodiche tariffarie (che divengono così metodiche di redazione dei piani regionali), dall’altro, di intrusione nei Piani regionali di principi guida che avrebbero dovuto essere forniti dallo Stato.

37. Non a caso, da subito il d.lgs. n. 152 del 2006 ha previsto un potere di direttiva dello Stato nei confronti delle Regioni, laddove ha previsto (art. 195) che sia lo stesso a determinare i «[…] criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini della elaborazione dei piani regionali di cui all’articolo 199 con particolare riferimento alla determinazione, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, delle linee guida per la individuazione degli Ambiti territoriali ottimali, da costituirsi ai sensi dell’articolo 200, e per il coordinamento dei piani stessi». Si tratta di un’attribuzione che non va confusa con l’esercizio dell’attività programmatoria, ma che si pone a monte della stessa, al chiaro scopo di garantire che le pianificazioni si integrino e si omogeneizzino anche tra di loro, in modo che la gestione dei rifiuti sia oggetto di una strategia coesa e coordinata, in linea con gli atti strategici e regolamentari dell’Unione Europea.

37.1. La disposizione, dunque, ritiene necessario allo scopo un atto regolamentare a carattere normativo, come comprovato dalla sua richiesta adozione «ai sensi della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e dell’interno, sentite la Conferenza Stato-regioni, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» (art. 195, comma 3). Il legislatore del 2020 ha demandato compiti in parte sovrapponibili ad un atto amministrativo avente la veste del decreto ministeriale, collocandolo in un contesto analitico di più ampio respiro e contenuto scientifico egualmente predeterminato.

37.2. Trattasi, lo si ripete, di una competenza diversa da quella, enfatizzata dal primo giudice, pure rimessa allo Stato, di localizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, che richiede l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 195, comma 1, lett. f) ed egualmente il parere della Conferenza unificata Stato-regioni.

38.L’avvenuta introduzione dell’art. 198-bis nel d.lgs. n. 152 del 2006 con il d.lgs. 3 settembre 2020, n. 116, di recepimento di una delle ricordate Direttive del 30 maggio 2018 sull’economia circolare (art. 2, comma 1), peraltro, non innova l’originario assetto delle competenze, ma caso mai lo arricchisce di un tassello ulteriore, che seppure formalmente per certi versi sovrapponibile per contenuti conferma la scelta originaria di avocare al livello centrale le opzioni pianificatoria “di principio”. Non a caso, il Programma successivamente approvato con d.m. n. 257 del 24 giugno 2022, che costituisce anche obiettivo esplicitato quale misura del PNRR (Missione 2, «Rivoluzione verde e transizione ecologica»), contiene un’espressa salvaguardia dei Piani regionali già conformi alle proprie indicazioni (art. 199, comma 8, a sua volta novellato sul punto). A tale Programma è demandato il compito di fissare i macro-obiettivi e di definire «i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Province autonome si attengono nella elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 199 del presente decreto».

39. Viene in tal modo a configurarsi, cioè, un meccanismo pianificatorio “a cascata”, del tutto assimilabile a quello vigente in materia urbanistica (laddove, tuttavia, si intersecano anche molteplici previsioni settoriali specifiche), ove la disciplina di dettaglio è demandata all’amministrazione più vicina ai bisogni della collettività, in attuazione del principio di sussidiarietà verticale che tipicamente ispira la ripartizione multilivello di tale tipologia di competenze. Laddove in passato era configurabile un solo livello di programmazione, “guidata” dalle direttive statali, ora si configura la collocazione della stessa in una cornice, egualmente programmatoria, elaborata a livello centrale. La regia resta unitaria e sovraordinata, in modo da garantire la visione d’insieme delle criticità, individuandone soluzioni non necessariamente circoscritte al territorio.

40. Non è, dunque, soltanto l’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 a non rendere «[…] possibile far ricorso al principio dei poteri impliciti che, in quanto derogatorio del principio di legalità, va applicato in modo stringente per consentirne la compatibilità costituzionale», come affermato dal primo giudice. Esso costituisce semplicemente la conferma della ribadita necessità, con una norma peraltro sopravvenuta all’avvenuta attribuzione ad ARERA di poteri in materia di rifiuti, di un coordinamento statale nella individuazione delle scelte necessarie a chiudere in maniera efficiente il relativo ciclo.

41. Nell’uno (regolamento a carattere normativo), come nell’altro caso (programma nazionale) è lo Stato a dover indicare le regole, cui le Regioni daranno attuazione, in primo luogo attraverso il proprio strumento principe costituito dal PRGR. Alla indicazione di “principi”, si aggiunge (non si sostituisce) un vero e proprio “Programma” - dizione più ampia e per questo più ambiziosa di quella di “Piano” in quanto implica una direttrice di sviluppo delle politiche ambientali in materia di rifiuti - che tiene conto delle problematiche per l’ambiente, localizzando le maggiori e individuando i siti più idonei per impiantistica di interesse sovraregionale, ma nel contempo mettendo a regime le potenzialità economiche della intrinseca natura di risorsa di un rifiuto recuperato a diverso utilizzo.

42. D’altro canto, il necessario bilanciamento tra contrapposti interessi egualmente tutelati dalla Costituzione (la tutela dell’ambiente, da un lato, in tutte le sue implicazioni, da un lato e le ragioni dell’imprenditoria privata, dall’altro) non può essere rimesso alla singola Regione in assenza di scelte dello Stato, che, ove richiedono elaborazioni concettuali, dovranno assumere veste necessariamente normativa; ove siano correlate a situazioni concrete di deficit, necessitano comunque di un’angolazione prospettica equidistante e complessiva, come tale capace di valutare necessità e priorità nonché di imporre conseguentemente il sacrificio dell’una a discapito di altra.

43. Non a caso, laddove il legislatore ha inteso fornire indicazioni per migliorare il sistema gestionale attraverso le regole tariffarie, lo ha detto espressamente: si pensi a quanto disposto dall’art. 1, comma 667, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità del 2014), come modificato dall’art. 42, comma 1, della legge n. 221 del 2015, in forza del quale è stato emanato il d.m. 20 aprile 2017, che disciplina i criteri per la realizzazione da parte dei Comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati.

44. L’ARERA, pertanto, nel fornire i criteri per individuare gli “minimi” quale fattore essenziale per la chiusura del ciclo integrato dei rifiuti, non solo ha indirizzato il potere programmatorio delle Regioni, avocandosi un potere di direttiva attribuito allo Stato, che il legislatore non ha inteso delegarle, neppure nelle più recenti novelle di settore (v. la legge del 2020 che ha introdotto l’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006); ma ha di fatto arricchito di contenuti ad esso estranei il potere pianificatorio delle Regioni, individuando la soluzione “normativa” alle criticità impiantistiche nella sostanziale acquisizione al sistema pubblicistico di impianti operanti in regime di libera concorrenza.

45. Quanto ai documenti di consultazione prodromici all’adozione della deliberazione, se un qualche valore può essere attribuito all’auspicio, di cui al primo di tali documenti (documento di consultazione 196/2021/R/RIF), che la futura programmazione nazionale di cui all’art. 198-bis del Codice dell’ambiente divenga «un’utile occasione per ridefinire il fabbisogno impiantistico nazionale (che richiederebbe comunque un meccanismo di aggiornamento periodico, al fine di accrescere l’efficacia degli strumenti di programmazione regionale) tanto da essere individuato nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza” come riforma necessaria “ ad evitare procedure di infrazione sui rifiuti [e a consentire] di colmare lacune impiantistiche e gestionali”, a fronte “ delle evidenze [segnalate] dalla Commissione Europea sull’assenza di una rete integrata di impianti di raccolta e trattamento rifiuti attribuibile all’insufficiente capacità di pianificazione delle regioni e, in generale, alla debolezza della governance”», esso non può che coincidere con quello attribuitogli dal primo giudice. Quand’anche, tuttavia, non si voglia seguire la linea di attribuire al cambiamento di impostazione che pare trasparire dal raffronto tra il contenuto dei due documenti di consultazione un preciso significato in senso rafforzativo della consapevolezza originaria dell’esatta ripartizione delle competenze, superata per esigenze di celerità, ciò non inficia la ricostruzione fornita. Resta infatti la circostanza oggettiva che l’intento di ARERA è stato palesato nel secondo documento di consultazione, in coerenza o in contraddizione, a seconda della lettura datane, con quanto affermato nel precedente, preannunciando l’adozione del metodo MTR-2 per come poi concretamente effettuato, «mediante un coinvolgimento attivo delle Regioni», laddove «le tempistiche di adozione di tale intervento [ovvero di approvazione del Programma, che necessita di condivisione in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 281/1997] non si rivelino compatibili con quelle richieste per il varo degli atti necessari alle determinazioni tariffarie per il secondo periodo regolatorio». E ciò appare sufficiente a salvaguardarne la valenza partecipativa delle consultazioni, peraltro non messa in dubbio da nessuna delle parti in causa.

46. La carenza di potere e il vizio di incompetenza che affligge la delibera di ARERA si riverbera inevitabilmente sulle deliberazioni e sugli atti regionali adottati in esecuzione della stessa.

47. Né a diversa conclusione può addivenirsi valorizzando il contenuto in concreto del sopravvenuto PNGR, nonché il richiamo allo stesso di cui alla deliberazione del 3 agosto 2023 n. 389/2023/R/RIF. Essa riporta, infatti, la personale interpretazione del richiamo che il Programma inconfutabilmente fa alla “tassonomia” degli impianti introdotta da ARERA, nonché alle valutazioni che le Regioni sono chiamate a fare per addivenirvi, evidentemente ritenute funzionali anche alla corretta redazione dei Piani sui rifiuti, ma non incide sulla natura di ridetto Programma, introdotto nell’ordinamento dal più volte richiamato art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2016. La finalità che lo contraddistingue, anche in relazione agli impegni assunti dall’Italia con la presentazione del PNGR, lo rende ontologicamente autonomo, pure in ragione della sua assoluta novità contenutistica. Il significato di convalida, recepimento, ovvero mero richiamo da attribuire alle affermazioni contenute in particolare nei §§ 5.1 e 9.6 del Programma esulano pertanto dal perimetro dell’odierna decisione. La loro valenza, infatti, attiene ai contenuti dello stesso, «che costituisce in realtà la corretta sedes materiae, date le competenze individuate dall’art. 198-bis del Codice dell’Ambiente» e sposta definitivamente ogni questione sull’analisi del documento de quo.

48. Per tutto quanto sopra detto l’appello deve essere respinto e conseguentemente va confermata la sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 557 del 2023, con le precisazioni di cui in narrativa.

49. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339).

50. La complessità della materia trattata giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Sabbato, Presidente FF

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Maria Stella Boscarino, Consigliere

Ugo De Carlo, Consigliere

Stefano Filippini, Consigliere