Cons.Stato, Sez. V  n. 4610. del 27 agosto 2012
Urbanistica.Legittimità repressione tardiva abuso edilizio su area con vincolo paesistico.

Quando gli immobili abusivi ricadono in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, la prevalenza dell'interesse pubblico sull'interesse privato deve considerarsi “in re ipsa”, in considerazione del rilievo costituzionale del paesaggio, ex art. 9, comma 2 Cost.” (la tutela del paesaggio inserita dall’art. 9 Cost. tra i propri principi fondamentali, assurgere a valore primario o assoluto v. Corte Cost. n. 367/07), dunque, sono da considerarsi recessivi gli interessi privati in conflitto con il preminente interesse alla tutela del bene paesaggio. Pertanto, è legittima la repressione dell'abuso edilizio, disposta anche a distanza di tempo ragguardevole, purchè accompagnata da una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi, tesa a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04610/2012REG.PROV.COLL.

N. 07660/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7660 del 2011, proposto da Al Martini di Salvatore Fantini & C. s.a.s., rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Biagetti, Felice Laudadio e Guido Anastasio Pugliese, con domicilio eletto presso Vittorio Biagetti in Roma, via Antonio Bertoloni, 35;

contro

il Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Tarallo e Anna Pulcini, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA -NAPOLI -SEZIONE IV, n. 708/2011, resa tra le parti, concernente CONCESSIONE SUOLO PUBBLICO;

 

Visti il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli, con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 27 marzo 2012 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Vittorio Biagetti, Felice Laudadio e Giuseppe Tarallo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.- La quarta sezione del TAR Campania –Napoli, con la sentenza n. 708 del 2011, ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il ricorso e l’atto di motivi aggiunti proposti dalla società Al Martini per l’annullamento:

a) della disposizione dirigenziale n. 509 del 16.7.2009 con la quale il Comune di Napoli ha ingiunto alla ricorrente/ appellante la demolizione delle opere e il ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’ art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione a opere di ristrutturazione edilizia ex art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. 380/01 cit. abusivamente realizzate in via Petrarca n. 48 - in zona sottoposta a vincolo ambientale con d. m. 24.1.1953 -"collina di Posillipo versante mare" e con d. m. del 28.3.1985 -"collina di Posillipo versante Flegreo", su una rotonda destinata a belvedere pubblico di circa mq. 540,00; opere costruite senza il prescritto permesso di costruire e consistenti in: 1) manufatto in muratura a forma irregolare completo di solaio di copertura di circa mq. 125 x h. m. 3,00 costituito da locale bar, cucina, deposito e bagni; 2) manufatto antistante quello di cui al punto 1, strutturato in ferro chiuso da ampie vetrate sui due lati prospicienti il belvedere comprensivo di un corpo sporgente di accesso per complessivi mq. 100,00 x h. m. 2,70 al colmo e h. m. 2,30 alla gronda della copertura costituita da pannelli di plexiglas con sottostante controsoffittatura; 3)manufatto a forma di corona circolare ubicato lungo il perimetro esterno del belvedere e contiguo al manufatto di cui al punto 2, di circa mq. 108,00 x h. m. 2,70, strutturato in pilastrini di ferro, chiuso da vetrate e teloni in PVC sui lati semicircolari e da parziale muratura in ragione di m. 3,00 x 2,70 nell'angolo di nord-ovest, nonché coperto da pannelli in policarbonato ad un’altezza di circa m. 2,70; 4)area pavimentata in cotto e chiusa da cancello in ferro a due battenti e ringhiere;

b) della precedente disposizione dirigenziale n. 446 del 16.6.2009, di contenuto simile a quello del provvedimento sub a), ma da quest’ultimo non espressamente sostituito;

c) del provvedimento dirigenziale n. 1916 del 20.7.2009, di dichiarazione della inammissibilità di istanza di concessione di suolo pubblico presentata dalla società Al Martini.

Il TAR ha rigettato il ricorso dopo avere disposto c. t. u. allo scopo di “accertare la risalenza degli immobili di cui è stata contestata l'abusività, nella loro attuale consistenza, e in particolare l'anteriorità o meno degli stessi rispetto alla data di apposizione del vincolo paesistico, nonché la tipologia e la risalenza degli interventi susseguitisi nel tempo" (v. pag. 8 sent.).

2.-Con ricorso notificato il 14.9.2011 e depositato in segreteria il 30.9.2011 la società Al Martini ha proposto appello con cinque, articolati motivi, contestando le statuizioni e le argomentazioni della sentenza.

Il Comune di Napoli si è costituito rilevando la infondatezza del gravame.

L’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata è stata accolta dalla Sezione con l’ordinanza n. 4606/11.

All’udienza del 27.3.2012 il ricorso è passato in decisione.

3.-Per una migliore comprensione delle questioni devolute alla cognizione del Collegio vanno ricostruiti in modo sintetico i fatti per i quali è causa.

Con atto in data 13.7.1987 il Commissario straordinario del Comune di Napoli rilasciò alla s.a.s. Al Martini, di Salvatore Fantini, una concessione di suolo pubblico, per voltura da Fantini Corrado, di durata ventennale, con riferimento alla piattaforma panoramica situata nel quartiere di Posillipo, in Via Petrarca, fronte n. 75 (“rotonda sottostante il piano stradale”), sulla quale insistevano “veranda in ferro -cristallo e muratura di mq. 187, banco in marmo, tettoia con struttura in ferro di mq. 78, fontanina, toilette in muratura e paline reggenti ognuna un fanale”.

“In virtù del richiamato titolo” (v. pag. 2 ric. app.) la società Al Martini avviò l’esercizio di una attività di somministrazione di alimenti e bevande all’insegna “Le Terrazze”.

Si trattava di opere abusive, in quanto non esisteva un titolo abilitativo, né per esse risulta essere mai stato richiesto condono edilizio (v. nota Servizio Edilizia Privata n. 3120 del 25.9.09).

Il 6.2.2009 la Polizia locale di Napoli –Servizio Antiabusivismo Edilizio, ha eseguito un sopralluogo presso la struttura sottoponendo a sequestro l’intera area, di 540 mq. -assoggettata a vincoli urbanistici e ambientali- , comprensiva del manufatto, di circa 300 mq. e di ogni altro arredo.

In seguito a ulteriori indagini della Polizia municipale, l’11.4.2009 l’A. G. ha sottoposto il complesso “Le Terrazze” a sequestro preventivo.

L’8.7.2009 l’Amministrazione ha effettuato un sopralluogo ulteriore presso la struttura, nel corso del quale il tecnico del SEP ha dichiarato che da ricerche effettuate presso il Servizio Edilizia privata non risultavano rilasciati titoli edilizi abilitativi per l’immobile.

Nella “scheda istruttoria tecnica” 15.7.2009 risulta una “descrizione dell’abuso” corrispondente alle specificazioni contenute nella determinazione dirigenziale n. 509 del 16.7.2009.

Dopo l’emanazione e la notifica della disposizione dirigenziale n. 509 del 16.7.2009 (su cui v. sopra, p. 1.), il Comune, con nota prot. n. 1916 del 20.7.2009 ha dichiarato inammissibile l’istanza di rilascio di concessione di suolo pubblico, che la società Al Martini aveva nel frattempo presentato, ritenendo preclusa, da parte dell’Ufficio, ogni determinazione nel merito, a causa dell’ordine di abbattimento del manufatto relativo alle Terrazze in quanto opera abusiva.

Con nota prot. n. 1414 del 16.10.2009, avente a oggetto “consistenza delle opere all’8.7.2009 confrontata con la cosap n. 811 del 13.7.1987” il Comune ha puntualizzato che “anche in relazione alle opere esistenti alla data di concessione su suolo pubblico non era stato ottenuto alcun titolo edilizio e non era stata avanzata alcuna domanda di condono e che comunque le stesse erano state sottoposte a notevoli modifiche, elencate nella nota medesima, evidenziando, in particolare: 1)quanto al manufatto in muratura, sub. 1, di circa mq. 125 x h. m. 3,00, di cui all'ordinanza di demolizione, che lo stesso fosse derivato probabilmente dalla trasformazione parziale della veranda in ferro, cristallo e muratura di mq. 187 citata nell'atto di concessione su suolo pubblico;

2) quanto al manufatto sub 2) che lo stesso doveva intendersi realizzato successivamente al provvedimento di concessione, nonché successivamente al mese di luglio 2004, in quanto non riportato sulla relativa avio ripresa; 3)quanto al manufatto sub 3) che lo stesso derivasse dalla restante parte della veranda in ferro, cristallo e muratura di mq. 187, descritta nella concessione di suolo pubblico; 4) quanto alle opere indicate sub 4 non potesse definirsi con certezza l'epoca della realizzazione” (v. sent. TAR, pagine 11 e 12. Il Comune ha soggiunto che, quanto poi alla tettoia di mq. 78.00 menzionata nella concessione di suolo pubblico del 1987, dalla lettura dei rilievi Sacif ed S.T.R. risulterebbe demolita e il sito parzialmente occupato dal manufatto a forma di corona circolare di cui al punto 3); anche la toilette in muratura di mq. 3 indicata nella concessione 13.7.1987 risulterebbe demolita).

Alla stregua di tali puntualizzazioni, poiché parte ricorrente aveva dedotto che l’ordinanza di demolizione era stata adottata “sulla base di presupposti erronei e su un'errata istruttoria in quanto le opere contestate sono pressoché coincidenti a quelle preesistenti alla voltura della concessione di suolo pubblico in favore (della società), approssimativamente descritte nel provvedimento di concessione, per cui essa ricorrente non poteva essere considerata quale responsabile degli abusi contestati, avendo eseguito nel tempo meri interventi manutentivi” (v. pag. 10 sent.), tenuto conto dei contrapposti rilievi contenuti nella c.t.p. della ricorrente il TAR, come si è accennato sopra al p. 1. , “in finem”, “ha disposto consulenza tecnica d'ufficio al fine di verificare la consistenza degli interventi succedutesi nel tempo e la data della loro realizzazione, nonché l'antecedenza o meno degli stessi rispetto ai vincoli ambientali sussistenti sull'area de qua” (v. pag. 12 sent.).

In base alle risultanze della c. t. u. , giudicate –correttamente, come si vedrà- “largamente condivisibili” e “congruamente motivate”, il Giudice di primo grado (v. da fine pag. 12 a pag. 19 sent.) ha respinto le censure basate sulla erroneità dei presupposti e dell’istruttoria evidenziando, in particolare:

-che secondo il c.t.u. le vere e più profonde trasformazioni dello stato dei luoghi si sono concretizzate tra il settembre del 1986 e l’aprile del 1992, vale a dire a cavallo della concessione di suolo pubblico del luglio del 1987;

-che è da ritenersi, “in via presuntiva”, che le trasformazioni, e i correlativi aumenti di superfici indicati dal c.t.u. , subìti dai manufatti a partire dal settembre del 1986, siano successivi al rilascio della concessione di suolo pubblico del luglio 1987 e vadano pertanto ascritti alla ricorrente, essendo stati realizzati nel contesto di ristrutturazioni eseguite dalla società dopo il rilascio della cosap e presumibilmente nell’àmbito dello stesso contesto temporale nel quale si era proceduto alla demolizione della tettoia menzionata nella concessione del 1987 e identificata dal c.t.u. come manufatto sub C, tenuto anche conto che “le dimensioni dei manufatti riscontrati nell'aereo fotogramma del 1992 sono di gran lunga maggiori rispetto a quelle dei manufatti, pur se sommariamente descritti, indicati nell'atto di concessione; dimensioni queste che dovevano essere verosimilmente quelle reali, in ragione della circostanza che il canone di concessione doveva essere calcolato in relazione alla superficie occupata” (v. pag. 16 sent.). Inoltre –soggiunge il TAR- è da ritenere inverosimile che i precedenti concessionari, i quali non avevano modificato lo stato dei luoghi tra il 1975 e il settembre del 1986, “avessero realizzato consistenti opere di ristrutturazione in prossimità della cessione dell’attività” (v. fine pag. 16 sent.);

-che la realizzazione di alcuni dei manufatti indicati nella perizia del c.t.u. va collocata in diversi periodi, tutti però posteriori al 1992, secondo quanto specificato a pag. 17 sent. ;

-che, in definitiva, le trasformazioni subite nel tempo dai manufatti sono ascrivibili alla ricorrente.

3.1.- Con i motivi d’appello sub I. e II.A) (v. da pag. 8 a pag. 21 ric. app.) la società Al Martini ha dedotto “erroneità di giudizio e travisamento delle risultanze della c.t.u.”: il TAR avrebbe erroneamente spostato in avanti nel tempo il momento della pretesa realizzazione dei manufatti, giungendo ad affermare che le ultime opere “sine titulo” sarebbero state fatte nel 2003-2004; le argomentazioni svolte in sentenza non corrispondono alle risultanze della c.t.u., secondo le quali, con riguardo alle trasformazioni più significative, non risulta possibile stabilire se le stesse precedano o seguano la concessione di suolo pubblico del luglio 1987 e, di conseguenza, chi ne sia stato l’artefice: appare evidente la forzatura nella quale è incorso il TAR nel ritenere le trasformazioni successive al 1987 imputabili alla società Al Martini, sulla base di una “ricostruzione della vicenda meramente congetturale”; la scelta di “post –datare” il tempo di realizzazione dei pretesi abusi è smentita da documenti prodotti in giudizio.

La sentenza resiste ai profili di censura su esposti.

Innegabilmente il c.t.u. , in alcuni passaggi della relazione, si esprime in termini dubitativi sulla possibilità di ricostruire con esattezza lo stato di fatto e di accertare, con piena attendibilità, il tempo in cui sono stati realizzati gli immobili di cui è stato contestato il carattere abusivo (v. pag. 6 relaz. c.t.u. , là dove si afferma che la documentazione cartografica e aerofotografica reperita, “spesso prezioso supporto alle deduzioni tecniche, in questo caso lascia aperti non pochi dubbi interpretativi…”; ma v. soprattutto pag. 8 relaz. cit. là dove il c.t.u. , dopo avere evidenziato che le vere e più profonde trasformazioni si sono concretizzate tra il settembre del 1986 e l’aprile del 1992, vale a dire “a cavallo della concessione del luglio 1987”, soggiunge che, “come è facile immaginare, per tali opere non risulta possibile stabilire se siano precedenti o successive alla concessione stessa e, di conseguenza, chi risulta esserne l’artefice”; conf. p. 6. relazione –“conclusioni”, alle pagine 10 e 11, in cui il c.t.u. si limita a rilevare che gli interventi eseguiti sui vari manufatti sono pressoché tutti successivi al settembre del 1986 e antecedenti all’aprile del 1992, senza assumere però una posizione più specifica sulla data presumibile di compimento delle opere).

Peraltro, è vero anche che:

-in termini generali, il giudice di merito può discostarsi dalle valutazioni e dalle conclusioni del c.t.u. purché motivi in modo adeguato tale sua decisione (giurisprudenza univoca, il che esime il Collegio dal citare decisioni specifiche);

-nella specie il c.t.u. , nel rispondere ai quesiti formulati, si è basato in particolare sulla documentazione aerofotografica, che è stata comunque di prezioso ausilio alla attività svolta (v. da pag. 6 relaz.);

-dall’esame della relazione peritale (v. da pag. 4) e dalla lettura della sentenza (v. da pag. 13 e, in particolare, in modo condivisibile, da fine pag. 15, da “peraltro occorre ritenere che le modifiche apportate a partire (dal settembre 1986) siano successive all'atto di concessione del luglio 1987 e vadano pertanto ascritte alla ricorrente…”) emergono una descrizione della situazione attuale dei luoghi e una ricostruzione della evoluzione nel tempo “delle consistenze esistenti” documentate e, nel complesso, attendibili (inesattezze o lievi incongruenze, in ordine alle superfici dei manufatti, rilevabili raffrontando le risultanze della c.t.u. con quanto è dato ricavare dall’ordinanza di demolizione n. 509/09 e dalla nota del Comune di Napoli prot. n. 1414 del 16.10.2009 trovano una logica spiegazione nella difficoltà, puntualmente posta in risalto dal c.t.u. , di ricostruire in modo esatto lo stato dei luoghi). In particolare il TAR si è motivatamente discostato dalla affermazione del c.t.u. sulla impossibilità di stabilire se gli interventi eseguiti tra il settembre del 1986 e l’aprile del 1992 fossero precedenti o successivi alla concessione di suolo pubblico del luglio 1987 “e, di conseguenza, chi risulti esserne (stato) l’artefice”, osservando, in maniera argomentata, logica e convincente, come “occorra ritenere che le modifiche apportate a partire (dal settembre del 1986) siano successive all'atto di concessione del luglio 1987 e vadano pertanto ascritte alla ricorrente… lo stesso C.T.U. ha evidenziato che il manufatto da lui indicato come "C" - corrispondente alla tettoia di mq. 78,00 di cui all'atto di concessione - non compaia più nella ripresa del 1992. Pertanto si deve ritenere che la sua demolizione sia ascrivibile alla ricorrente, essendo detto manufatto presente nell'atto della concessione su suolo pubblico alla medesima. Alla stessa stregua deve ritenersi, in via presuntiva, che le trasformazioni, con i correlativi aumenti di superficie indicati nell'elaborato peritale, subite dai manufatti indicati dal C.T.U. come sub. A) e sub B) nonché la realizzazione del manufatto sub E), di prolungamento del manufatto "A" , corrispondenti nel loro insieme ai manufatti di cui rispettivamente al n. 1, 2 e 3 dell'ordinanza di demolizione, indicati dal c.t.u. come realizzate nel periodo compreso fra il settembre del 1986 e l'aprile del 1992, siano state realizzate in data successiva al rilascio alla ricorrente della concessione su suolo pubblico, nel contesto di opere di ristrutturazione poste in essere dalla medesima in data successiva alla suddetta concessione e presumibilmente nell'ambito dello stesso contesto temporale in cui si era proceduto alla demolizione della tettoia menzionata nel provvedimento di concessione e identificata dal C.T.U. come manufatto sub C). Ciò anche in ragione della circostanza che le dimensioni dei manufatti riscontrati nell'aereo fotogramma del 1992 sono di gran lunga maggiori rispetto a quelle dei manufatti, pur se sommariamente descritti, indicati nell'atto di concessione; dimensioni queste che dovevano essere verosimilmente quelle reali, in ragione della circostanza che il canone di concessione doveva essere calcolato in relazione alla superficie occupata. Inoltre lo stesso C.T.U. ha ritenuto che detti manufatti presentassero verosimilmente la medesima consistenza nel periodo che va del 1975 al settembre del 1986, antecedente alla concessione su suolo pubblico a parte ricorrente, per cui è da ritenere inverosimile che i precedenti concessionari che non avevano modificato lo stato dei luoghi in un così lungo lasso di tempo, avessero realizzato delle consistenti opere di ristrutturazione in prossimità della cessione dell'attività. Lo stesso C.T.U. inoltre colloca in un periodo sicuramente posteriore al 1992 e forse anche al 1998, non essendo evincibile nella relative riprese, la realizzazione del manufatto sub F), che appare come un prolungamento del manufatto a forma di corona circolare indicato dal C.T.U. come manufatto "B" e al n. 3) dell'ordinanza di demolizione, nonché le modifiche apportate al manufatto "E". Le modifiche realizzate secondo il C.T.U. in data successiva al 1992, salvo quella che il C.T.U. ha riscontrato nella ripresa del 1998, relative al manufatto "E", devono invero collocarsi nel periodo temporale del 2003-2004, come evincibile dal decreto di sequestro preventivo del G.I.P. di Napoli del 11 aprile 2009 (pag. 2), del pari basato sul raffronto tra i rilievi aerei eseguiti, adottato in relazione al reato di cui al combinato disposto degli artt. 633-639 bis c.p., prodotto dalla difesa del Comune in data 7 settembre 2009. A tale stregua si deve ritenere che le successive trasformazioni subite nel tempo dai vari manufatti siano senz'altro ascrivibili alla ricorrente che - in data verosimilmente successiva al 1998 e quindi all'approvazione del P.T.P. di Posillipo che ha sottoposto l'area de qua al regime della P.I.- realizzava anche il manufatto a forma di corona circolare identificato dallo stesso C.T.U. come manufatto "F". Inoltre l'area de qua risultava già sottoposta al più generico vincolo ambientale con i DD.MM. del 24/01/1953 e del 20/03/1985, menzionati nel gravato provvedimento e posti a base dell'ordine di demolizione, in quanto adottato, in considerazione dell'esistenza di detti vincoli, non ai sensi dell'art. 33 D.P.R. 380/01, ma ai sensi dell'art. 27 comma 2 del medesimo D.P.R., che si riferisce a qualsiasi ipotesi di vincolo e non solamente a quelli di inedificabilità assoluta”.

Sulla base delle circostanze di fatto e degli elementi presuntivi suindicati il TAR, nel suo prudente apprezzamento, ha concluso, in modo motivato e condivisibile, nel senso che le trasformazioni dei manufatti specificate nell’ordinanza di demolizione sono avvenute dopo il rilascio della concessione di suolo pubblico del luglio 1987 e sono quindi attribuibili alla società Al Martini. Né la foto aerea del 1992, nè i documenti indicati dall’appellante a pag. 21 ric. app. , né le “note tecniche” arch. Graziani sono idonei a sovvertire le conclusioni alle quali è giunto il TAR sul punto.

3.2.- Con la seconda parte del motivo d’appello sub II. (v. da pag. 22 ric. app.), l’appellante sottolinea che il TAR avrebbe violato il divieto di integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti amministrativi, non potendo la legittimità dell’ordinanza di demolizione n. 509 del 16.7.2009 essere valutata richiamando la (successiva) nota del Comune di Napoli –Direzione Centrale VI –Ufficio Contenzioso, prot. n. 1414 del 16.10.2009, indirizzata all’Avvocatura comunale, trattandosi di una semplice nota informativa interna all’Amministrazione; l’impugnata ordinanza di demolizione non individua le opere imputabili alla società Al Martini; le ragioni del provvedimento adottato non emergono dal dispositivo dell’ordinanza medesima; in particolare, il TAR avrebbe errato nell’affermare (v. da fine pag. 21 sent.) che l’ordinanza impugnata era motivata in modo sufficiente mediante il richiamo al carattere abusivo delle opere in contestazione, e che non occorreva una motivazione specifica sull’interesse pubblico alla demolizione delle opere; l’appellante rimarca che la repressione dell’abuso edilizio, disposta a distanza di un periodo di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi allo “status quo ante”, dovendosi tenere conto dell’affidamento ingenerato nel privato e comprovato, nella specie, dall’avvenuto pagamento, al Comune, in via continuativa, di un elevato cosap; né l’affidamento del privato sarebbe immeritevole di tutela solo perché l’ordinanza di demolizione perseguiva finalità di tutela ambientale.

Anche sotto questi aspetti ulteriori la sentenza non merita le critiche che le sono state rivolte (fatto salvo quanto sarà precisato “infra”, al p. 3.5.) .

Sull’argomento relativo alla integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato il Collegio rileva, anzitutto, che dal verbale relativo al sopralluogo del 6.2.2009 e dall’esame della impugnata ordinanza n. 509/09 emerge l’indicazione delle trasformazioni eseguite nel tempo sull’area sulla quale si trova il belvedere. In particolare, nel verbale del febbraio del 2009 si fa menzione delle difformità tra l’occupazione di suolo pubblico assentita nel 1987 e la situazione dei luoghi successiva alla esecuzione dei manufatti, nel senso che la concessione di suolo pubblico accordata nel 1987 riguardava una superficie sensibilmente inferiore a quella effettivamente occupata, trasformata e ampliata nel corso degli anni mediante il compimento di varie opere abusive (in una zona di particolare pregio ambientale, come si preciserà più avanti).

Il provvedimento impugnato, alla luce degli atti e dei documenti del procedimento medesimo, appare dunque, di per sé, sorretto da una motivazione sufficiente, essendosi il Comune, con la nota prot. n. 1414 del 16.10.2009, limitato a integrare gli elementi di fatto del contesto specificando le trasformazioni subite nel tempo dai manufatti citati nel cosap del 1987, e confermando l’attribuibilità degli interventi alla società Al Martini.

In questa situazione, caratterizzata dalla natura vincolata della funzione svolta dal Comune e dal fatto che il dispositivo del provvedimento impugnato non poteva essere diverso da quello che in concreto è stato, in modo plausibile il TAR ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale (su cui v. Cons. St. , sez. VI, n. 1241/10 e sez. V, n. 5271/07) in base al quale ”sebbene il divieto di motivazione postuma, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, meriti di essere confermato, rappresentando l'obbligo di motivazione il presidio essenziale del diritto di difesa, non può ritenersi che l'amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato” aggiungendo, in modo condivisibile, che della posizione giurisprudenziale che attenua il divieto di integrazione postuma della motivazione, in maniera coerente con l’orientamento del legislatore processuale amministrativo indirizzato verso l’abbandono di impostazioni formalistiche, “ben può farsi applicazione (quando) le ragioni dell'agere amministrativo siano evincibili dagli atti del procedimento e si verta, come nella specie, in ipotesi di attività vincolata…(tanto più quando) la correttezza del contenuto dispositivo del provvedimento sia accertata attraverso un'attività istruttoria… consistente… in una consulenza tecnica d'ufficio, facendo leva sul principio del raggiungimento dello scopo dell'azione amministrativa, introdotto nel processo amministrativo dall'art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990…” (così il TAR, a pag. 19 sent.).

Sull’argomento difensivo riguardante l’asserito obbligo di una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi allo “status quo ante”, qualora –come nel caso in esame- la repressione dell’abuso edilizio intervenga a una distanza di tempo ragguardevole dalla esecuzione dell’abuso, il Collegio ben conosce l’orientamento giurisprudenziale (su cui v. Cons. St. , sez. V, nn. 883 del 2008 e 3270 del 2006), richiamato dal TAR a sostegno dell’ordinanza cautelare di accoglimento n. 2077/09 (annullata dal Consiglio di Stato con ord. n. 6231/09) secondo cui, fermo il carattere dovuto dell’ingiunzione a demolire, in presenza della constatata realizzazione di un’opera senza titolo abilitativo (o in totale difformità da esso) e, in linea di principio, la sufficienza della motivazione limitata all’affermazione dell'accertata abusività dell'opera, “la repressione dell'abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”.

Tuttavia, con riferimento al caso di specie questo Collegio, come fondatamente osservato dal TAR, ritiene che l’orientamento suindicato non possa trovare applicazione quando -come accade nella fattispecie- “gli immobili abusivi ricadano in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto in tale ipotesi la prevalenza dell'interesse pubblico sull'interesse privato deve considerarsi “in re ipsa”, in considerazione del rilievo costituzionale del paesaggio, ex art. 9, comma 2 Cost.” (sulla tutela del paesaggio inserita dall’art. 9 Cost. tra i propri principi fondamentali, così da assurgere a valore primario o assoluto v. C. cost. , n. 367/07), di tal che sono da considerarsi recessivi gli interessi privati in conflitto con il preminente interesse alla tutela del bene paesaggio. A questo proposito va rammentato che le opere indicate nell’ordinanza impugnata si trovano in zona sottoposta a tutela paesaggistica, dato che ricadono nel perimetro del piano territoriale paesistico di Posillipo, approvato con d. m. 14.12.1995, e sono sottoposte al regime delle zone assoggettate a protezione integrale: ciò rende evidente in modo immediato la rilevanza dell’interesse pubblico al ripristino della corretta utilizzazione del territorio (l’area è di proprietà pubblica).

Inoltre, correttamente in sentenza (v. da fine pag. 23) si osserva:

-che l’ordinanza impugnata, nel richiamare il fatto che l’area in cui ricade l’intervento è vincolata con i dd. mm. del 24.1.1953 e del 28.3.1985, ex d. lgs. n. 42/04 non mira al mero ripristino della legalità violata ma persegue scopi di tutela ambientale;

-che non si vede, inoltre, “a fronte dell'interesse pubblico sotteso all'applicazione dell'art. 27 comma 2 del d.P.R. n. 380/01, come possa essere oggetto di tutela l'affidamento ingeneratosi nella ricorrente che, ancora in data presumibilmente prossima al 2003-2004, in epoca recente e comunque successiva all'apposizione del vincolo paesaggistico introdotto dal P.T.P. di Posillipo…ha realizzato ulteriori opere abusive”, tenuto anche conto che la stessa ricorrente non ha presentato istanza di condono (v. sent. cit. , pag. 24);

-che anche le opere preesistenti, menzionate nell’atto di concessione di suolo pubblico del 1987, benché non ascrivibili alla ricorrente –ed è per questo che alla società Al Martini è stata contestata non la nuova costruzione ma soltanto la ristrutturazione- sono state eseguite “sine titulo”, come si evince dalla documentazione prodotta in giudizio dalla P. A. (v. pag. 21 sent.). Non appare superfluo specificare che l’affidamento del privato non poteva trarsi dal (la accettazione comunale del) pagamento del canone per l’occupazione del suolo pubblico, riferito all’area utilizzata e alle strutture, dato che una cosa è l’autorizzazione alla occupazione di aree pubbliche, e altro era, nella specie, il dover dotarsi di un idoneo titolo edilizio per poter realizzare una determinata struttura sul belvedere (cosap e attività edilizia riguardano materie, discipline, uffici e scopi differenti, e si è già detto che le opere originarie, richiamate nella cosap del 1987, erano abusive, non avendo il Comune rinvenuto, negli uffici, alcun titolo).

3.3.- Sulla riproposizione delle censura riguardante la dedotta violazione dell’art. 7 della l. n. 241/90 va ribadito, con il TAR (v. pag. 26 sent.), che nel caso in esame trova applicazione l’ art. 21 octies, comma 2, prima parte, della l. n. 241 del 1990, “vertendosi in tema di attività vincolata ed essendo emerso, anche all'esito dell'esperita attività istruttoria, che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Ciò trova conferma anche alla luce delle considerazioni esposte fino a questo momento.

3.4.- Il motivo di appello sub IV (pagine 32 e seguenti ric. app.) si incentra principalmente sull’affermato errore di giudizio in cui sarebbe caduto il TAR in ordine al rigetto delle censure proposte contro la nota dirigenziale prot. n. 1916 del 20.7.2009 di dichiarazione della inammissibilità della istanza di concessione di suolo pubblico presentata dalla società Al Martini. Con la nota suindicata il Comune ha ritenuto che la società fosse carente dei requisiti preparatori necessari per richiedere il rinnovo della concessione, vista l’avvenuta notifica dell’ordinanza n. 509/09 finalizzata all’abbattimento del manufatto relativo alle Terrazze, in quanto opera abusiva.

Su questo aspetto del ricorso di primo grado, il TAR ha ritenuto che la nota 20.7.2009 assumesse contenuto non provvedimentale ma solo interlocutorio, con conseguente inammissibilità del ricorso “in parte qua” “per difetto di interesse a ricorrere”. Ma anche ammettendo che la nota citata avesse contenuto provvedimentale, le censure proposte contro la nota stessa, per illegittimità derivata e per vizi autonomi, non avrebbero potuto essere accolte.

L’appellante ha anzitutto riproposto le censure di illegittimità diretta avverso la nota prot. n. 1916 del 20.7.2009, qualificando l’atto dell’Ufficio Cosap del 22.5.2006 come concessione di suolo pubblico, sulla base della quale la società Al Martini ha continuato negli anni a corrispondere il canone al Comune, e facendo discendere da ciò la conclusione secondo cui “non possono ritenersi abusive sul piano sostanziale opere che lo stesso Comune concede in uso al privato, ricevendo il pagamento di un canone” il quale, per entità, non si riferisce alla sola area ma comprende anche le strutture, esistenti al di sopra del suolo, erroneamente ritenute abusive. Diversamente opinando si creerebbero antinomie collidenti con il principio che vieta contraddizioni nell’attività amministrativa. L’atto suindicato contrasta inoltre con l’affidamento della società, che da oltre 20 anni è destinataria di atti ampliativi riguardanti aree e strutture ivi situate. E il rinnovo della concessione non è stato mai revocato o annullato in via di autotutela dal Comune.

Il profilo di censura sopra riassunto è infondato e va respinto.

In primo luogo, la nota del Servizio Commercio su Aree Pubbliche prot. n. 830 del 21.4.2006 non è qualificabile come provvedimento di cosap, trattandosi di un atto interno con il quale il detto Servizio si limita ad invitare il Servizio riscossione entrate –Ufficio Cosap a ritenere ancora valida la cosap del 13.7.1987, relativa alla struttura “de qua”, “nelle more della predisposizione di nuove concessioni da parte di questo Servizio”. Alla stregua di tale nota l’Ufficio Cosap, con atto del 22.5.2006, ha determinato il canone annuale per la occupazione di suolo pubblico relativamente al 2006. La rilevanza meramente attuativa e soltanto tributaria, e non amministrativa (del resto, nel 2006 non erano scaduti i 20 anni di efficacia della cosap del 13.7.1987) dell’atto del 22.5.2006 risulta avvalorata dalla adozione dell’atto stesso da parte del Servizio Entrate –Ufficio Cosap, anziché dal competente Servizio Commercio su Aree Pubbliche, benché sia innegabile la presenza di elementi letterali di equivocità, posti in risalto dall’appellante. Ci si riferisce in particolare alla locuzione “si rilascia la concessione in data 22.5.2006”, “simmetrica” peraltro a quanto indicato nella parte superiore sinistra dell’atto del 22.5.2006 là dove l’Ufficio Cosap richiama e qualifica l’atto n. 830 del 21.4.2006 come “concessione” (quando invece l’atto medesimo, come detto, non poteva essere considerato quale provvedimento autonomo di concessione). Da ciò il TAR (v. pag. 29 sent.) ha fatto discendere la conclusione secondo la quale la concessione su suolo pubblico era da ritenersi scaduta sin dal luglio del 2007.

In ogni caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’atto del 22.5.2006 come una mera determinazione del canone dovuto per l’anno in corso, o come un atto di concessione di suolo pubblico (avente però durata annuale, dato che in esso viene indicato il canone annuale e viene menzionato l’avvenuto versamento di € 7.000 a titolo, evidentemente, di acconto o di prima rata), per superare il profilo di censura è decisivo rilevare che il rilascio o il rinnovo della concessione su suolo pubblico che riguardi anche strutture è subordinato al possesso del titolo edilizio, cosicché la procedura di abbattimento di manufatti eseguiti senza il prescritto permesso di costruire è assorbente e preclusiva del rilascio o del mantenimento di concessioni su suolo pubblico, esprimendo una volontà incompatibile con la perdurante efficacia o il rinnovo di una cosap sull’area interessata dall’ordinanza di demolizione (le diversità tra cosap e permessi di costruire non escludono che una situazione di abusività edilizia precluda il rilascio o il rinnovo di una cosap).

Sulla insussistenza di una posizione di affidamento meritevole di tutela in capo alla società si rinvia a quanto detto sopra, al p. 3.2. , ultima parte.

La critica all’argomentazione del TAR secondo la quale, vista la “inammissibilità allo stato dell'istanza di proroga della concessione, per carenza dei requisiti propedeutici al rilascio della concessione, non poteva essere indetta la conferenza dei servizi prima della definizione del contenzioso relativo al contestato abuso edilizio” (v. pag. 29 sent. ), oltre a basarsi, in modo fragile, su una semplice congettura, pone in ombra, ancora una volta, il carattere preliminare e preponderante della questione relativa al possesso del titolo edilizio rispetto a ogni altro interesse di settore.

3.5.- Anche il profilo di censura con cui, a pag. 37 del ricorso in appello, la società Al Martini lamenta l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione n. 509/09 quantomeno nella parte in cui è stata disposta la demolizione integrale delle opere che insistono sull’area, senza distinguere tra le opere preesistenti, menzionate nella cosap del 13.7.1987, e quelle abusivamente realizzate dalla società, appare superabile se non altro per la estrema difficoltà, in concreto, di separare e distinguere le cosiddette “preesistenze”, menzionate nella cosap del 1987 ed eseguite “sine titulo”, dai manufatti realizzati senza permesso di costruire dopo il 1987, essendo le opere oggi sanzionate del tutto diverse da quelle indicate nella cosap del 1987, avendo queste ultime subìto nel corso degli anni profonde trasformazioni che hanno inciso in modo radicale sull’aspetto materiale dell’immobile (si vedano le fotografie depositate in giudizio).

Il fatto, poi, che l’abuso insista su suolo pubblico non è ostativo all’adozione di un’ordinanza di demolizione come quella impugnata dinanzi al TAR.

Quasi inutile aggiungere che le considerazioni su esposte comportano le reiezione anche del motivo d’appello sub V , di illegittimità derivata della nota prot. n. 1916 del 20.7.2009.

Nel suo complesso l’appello va dunque respinto.

3.5.2. -Resta fermo tuttavia che le affermazioni svolte in sentenza alle pagine 21, 24 e 25, 29 e 30, secondo cui:

-la ricorrente non potrebbe vantare alcun diritto al mantenimento delle preesistenze –il cui ripristino tra l’altro comporterebbe un costo maggiore rispetto alla integrale demolizione- , in relazione alle quali non ha mai presentato istanza di condono, istanza che, ove avanzata, non avrebbe potuto concludersi con una concessione in sanatoria come prevede l’art. 36 del d.P.R. n. 380/01, stante il divieto di cui all’art. 146 del d. lgs. n. 42/2004 (anche se a pag. 30 sent. il TAR evidenzia il carattere unicamente “ad colorandum” dell’inciso del Servizio Commercio –chiaramente incompetente sulla questione- circa il divieto di sanare “ex post” la mancanza del titolo edilizio sulla base del citato decreto n. 42/04);

-la società non avrebbe interesse a mantenere le preesistenze essendo la cosap scaduta nel luglio del 2007 e non essendo stata più rinnovata, proprio per gli abusi edilizi compiuti; queste affermazioni, si diceva, appaiono come altrettanti “obiter dicta”, tutt’altro che decisivi ai fini della risoluzione della controversia diretta, essenzialmente, a verificare la legittimità dell’impugnata ordinanza di demolizione n. 509/09.

Detto altrimenti, le affermazioni giudiziali sopra riassunte vanno qualificate come affermazioni svolte unicamente in via incidentale.

Diversamente opinando, si porrebbe una questione –giustamente segnalata dalla difesa dell’appellante, senza che però da ciò si possa trarre motivo per un accoglimento, anche solo parziale, del giudizio- di (impropria) “valutazione preventiva rispetto all’adozione di atti amministrativi” e di travalicamento delle attribuzioni giurisdizionali del TAR.

Fatta questa precisazione l’appello va respinto e la sentenza di primo grado confermata.

Nella complessità e nelle peculiarità di alcune delle questioni trattate il Collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c. , eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Vito Poli, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/08/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)