Cass. Sez. III n. 13276 del 9 aprile 2021 (UP 12 gen 2021)
Pres. Marini Est. Corbetta Ric. Auriemma  
Urbanistica. Reati edilizi e responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall'altro

In tema di reati edilizi, la responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall'altro può essere rilevata sulla base di oggettivi elementi di valutazione quali il comune interesse all'edificazione, il regime di comunione dei beni, l'acquiescenza all'esecuzione dell'intervento, la presenza sul luogo di esecuzione dei lavori, l'espletamento di attività di controllo sull'esecuzione dei lavori, la presentazione di istanze o richieste concernenti l'immobile o l'esecuzione di attività indicative di una partecipazione all'attività illecita.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli confermava la decisione emessa dal Tribunale di Nola e appellata dagli imputati, la quale, riconosciuta la continuazione, aveva condannato Luisa Allocca e Nicola Auriemma alla pena ritenuta di giustizia, perché ritenuti responsabili, in concorso tra loro, dei seguenti reati: artt. 44, comma 1, lett. b), 93 e 94 d.P.R. n. 380 del 2001, per aver realizzato, in zona sismica, in assenza del permesso di costruire e senza denuncia all’Ufficio tecnico regionale, presso il fondo di loro proprietà sito in Marigliano, via Montevergine, una struttura di ferro aperta e scoperta, con una superficie di 800 mq. e alta 7 m., composta da diciotto pilastri in ferro con relative capriate ancorate al suolo con bulloni su cordolo di cemento preesistente (capo 1); art. 349, comma 2, cod. pen., l’Auriemma in qualità di custode, per aver violato i sigilli apposti all’immobile abusivo sopra indicato, preseguendo i lavori di costruzione dello stesso (capo 2); art. 44, comma 1, lett. b, d.P.R. n. 380 del 2001, per aver proseguito, in assenza d permesso di costruire, i lavori di costruzioni sull’indicato manufatto abusivo, mediante copertura totale del tetto con lamiere coibentate, parziale chiusura laterale con lamiere coibentate, posizionamento di quattro cancelli di accesso (capo 3).
 
2. Avverso l’indicata sentenza, Nicola Auriemma, per il ministero del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

2.1. Con i primi due motivi, esposti congiuntamente, si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 40 cod. pen., 44 d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. Assume il difensore che i giudici di merito hanno affermato la penale responsabilità dell’Auriemma per l’abuso edilizio sulla base unicamente del rapporto di coniugio con la coimputata, la quale era l’unica proprietaria dell’immobile e committente dei lavori, e nonostante l’imputato non abbia mai firmato alcun atto relativo a pratiche amministrative delle opere ritenute abusive.
2.2. Con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 349 cod. pen. Ad avviso del ricorrente, la Corte ha confermato l’affermazione di penale responsabilità per il delitto ex art. 349 cod. pen. in maniera apodittica, senza considerare che la mera omissione di vigilanza sul bene, in relazione al quale è intervenuta la nomina di custode, sarebbe riconducibile a mera trascuratezza, il che integra l’illecito amministrativo di cui all’art. 350 cod. pen.
2.3. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81 e 133 cod. pen., avendo i giudici di merito determinato sia la pena base, sia gli aumenti per la continuazione con formule di stile.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile.

2. I primi due motivi sono inammissibili perché fattuali e generici.

3. Occorre ricordare che, in tema di responsabilità per abuso edilizio del proprietario (o comproprietario) dell'area non formalmente committente, la costante giurisprudenza di questa Corte richiede la disponibilità di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti che sono stati individuati, ad esempio, nella piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del cui prodest); nei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario; nell'eventuale presenza in loco del proprietario dell'area durante l'effettuazione dei lavori; nello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; nella richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; nel particolare regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari; nella fruizione dell'opera secondo le norme civilistiche dell'accessione ed in tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa.
Grava, inoltre, sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (così Sez. 3 n. 35907 del 29/05/2008, Calicchia, non massimata, che riporta anche gran parte degli esempi sopra indicati e ampi richiami a precedenti pronunce; in senso conforme Sez. 3, n. 38492 del 19/5/2016, Avanzato, Rv. 268014; Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e altro, Rv. 261522; Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 257625; Sez. 3, n. 25669 del 30/5/2012, Zeno, Rv. 253065).

4. Con specifico riferimento al rapporto di coniugio, se è vero che la compartecipazione di un coniuge nel reato materialmente commesso dall'altro non può essere desunta dalla mera qualità di comproprietario, ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., ai fini di una responsabilità concorsuale possono rilevare i seguenti elementi: il fatto che entrambi i coniugi siano proprietari del suolo su cui è stato realizzato l'edificio abusivo e che entrambi abbiano interesse alla violazione dei sigilli per completare l'opera al fine di trasferire la loro residenza (Sez. 3 n. 28526 del 30/5/2007, Mele, non massimata); l'abitare nel luogo ove si è svolta l'attività illecita di costruzione; l'assenza di manifestazioni di dissenso; il comune interesse alla realizzazione dell'opera (fattispecie relativa ad imputata la quale, benchè formalmente residente in altro comune, conviveva con il marito, era con il predetto in regime di comunione di beni e ne condivideva anche le iniziative patrimoniali, tanto da rimanere coinvolta, in un precedente giudizio, unitamente al coniuge, in altri illeciti edilizi: Sez. 3 n. 23074 del 16/4/2008, Di Meglio, non massimata); la comunione dei beni, quale regime patrimoniale dei coniugi; lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori; la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria e la presenza in loco all'atto dell'accertamento (Sez. 3 n. 40014 del 18/9/2008, Mangione, non massimata).

5. Tali principi sono stati richiamati in altre pronunce (Sez. 3, n. 49719 del 25/09/2019, Campagna, Rv. 277469, Sez. 3, n. 51489 del 18/9/2018, Bellu, Rv. 274108, non massimata sul punto), in cui si è affermato che, in tema di reati edilizi, la responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall'altro può essere rilevata sulla base di oggettivi elementi di valutazione quali il comune interesse all'edificazione, il regime di comunione dei beni, l'acquiescenza all'esecuzione dell'intervento, la presenza sul luogo di esecuzione dei lavori, l'espletamento di attività di controllo sull'esecuzione dei lavori, la presentazione di istanze o richieste concernenti l'immobile o l'esecuzione di attività indicative di una partecipazione all'attività illecita.

6. Ciò posto, deve rilevarsi che la sentenza impugnata risulta perfettamente allineata ai principi dianzi menzionati, avendo fondato l'affermazione di responsabilità penale del ricorrente sulla base di elementi fattuali, opportunamente valorizzati, perfettamente coincidenti a quelli indizianti individuati dalla giurisprudenza di questa Corte. Segnatamente, si è posto in evidenza: a) che l'edifico oggetto di contestazione è stato realizzato su terreno del quale il ricorrente ha la proprietà in comunione con la moglie, sicché è divenuto anche di sua proprietà per accessione; b) che l’Auriemma era presente in ben due occasioni (il 28 gennaio 2016 e il 24 marzo 2016) sui luoghi ove erano in corso i lavori abusivi al momento degli accessi effettuati dalla polizia municipale di Marigliano; c) che l’Auriemma accettò la nomina a custode dei beni in occasione dei due accessi. Del tutto correttamente, dunque, i giudici del merito hanno ritenuto tali circostanze pienamente indicative di una corresponsabilità dell'imputato, il quale, peraltro, nulla aveva mai obiettato circa la presenza delle opere abusive in relazione ai due accessi.

7. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
7.1. Va osservato che il delitto di cui all’art. 349, comma 2, cod. pen. è punibile a titolo di dolo generico, e, quindi, è configurabile anche nella forma del dolo eventuale, laddove il custode deliberatamente ometta di esercitare lo specifico obbligo di vigilanza sul bene sottoposto al vincolo ablativo da parte dell’autorità giudiziaria, accettando il verificarsi della violazione dei sigilli.
Se è vero che la prova della sussistenza del dolo non può essere desunta dalla negligenza e trascuratezza del custode, tuttavia è onere di quest'ultimo addurre gli elementi specifici che gli hanno impedito di attivarsi, qualora risulti accertato che egli, benché direttamente a conoscenza della effrazione dei sigilli, abbia omesso di avvertire dell'accaduto l'autorità (Sez. 3, n. 7371 del 13/07/2016 - dep. 16/02/2017, Marra, Rv. 269192).
7.2. Nel caso di specie, secondo quanto accertato dai giudici di merito -  e nemmeno oggetto di contestazione da parte del ricorrente – la costruzione dell’opera totalmente abusiva, che era già in atto al momento del primo accesso – era addirittura proseguita anche in costanza dell’apposizione dei sigilli da parte della polizia municipale di Marigliano in data 28 gennaio 2016 e 24 marzo 2014, e, in entrambe le occasione, l’imputato, presente in loco, fu nominato custode.
Orbene, è del tutto evidente un connotato di volizione nella condotta dell’imputato, anche considerando sia la ripetuta violazione dei sigilli, sia il concreto interesse, in capo al ricorrente, alla prosecuzione dei lavori, e non avendo l’Auriemma mai allegato, nemmeno in occasione degli accessi della polizia municipale, alcun elemento tale da fondare un meno grave rimprovero per colpa.

8. Il quarto motivo è inammissibile.
 8.1. Va osservato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; non è perciò consentita la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. Peraltro, l’impegno motivazionale da parte del giudice è direttamente proporzionale all’entità della pena inflitta: quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall'art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio. (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008 - dep. 15/09/2008, Bonarrigo e altri, Rv. 241189). Di conseguenza, nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007 - dep. 03/09/2007, Ruggieri, Rv. 237402).
Principi del genere valgono anche in relazione alla determinazione della pena nel reato continuato: la motivazione offerta a giustificazione dell'aumento disposto è da considerarsi adeguata ogni qual volta il giudice, approssimandosi al minimo edittale, si limiti a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (così Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; negli stessi termini v. Sez. 2, n. 28852 in data 8/05/2013, Taurasi, Rv. 256464; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283), rendendosi necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata soltanto in caso l'irrogazione della pena in una misura prossima al massimo edittale (Sez. 4, Sentenza n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356).
8.2. Nel caso in esame, non solo il ricorso appare generico, ma la Corte territoriale ha ritenuto la pena inflitta del tutto conforme ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., emergendo peraltro dalla motivazione la non trascurabile gravità del fatto, desumibile dalle dimensioni dell’opera, totalmente abusiva ed edificata in zona sismica anche mediante la rimozione, in ben due occasioni, dei sigilli, il che evidentemente denota una particolare intensità del dolo.

9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.



P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12/03/2021.