Cass. Sez. III n. 13263 del 9 aprile 2021 (UP 10 feb 2021)
Pres. Lapalorcia Est. Reynaud Ric. Volpi
Urbanistica.Rimozione delle opere abusive e applicazione art. 131-bis cp  

Pur essendo vero che per la valutazione sulla particolare tenuità dell’offesa di cui all’art. 131 bis cod. pen. non è del tutto indifferente considerare se, e fino a quando, perdurino le conseguenze lesive di un reato permanente, da un lato va ribadito che per tale giudizio occorre innanzitutto esaminare l’oggettiva gravità del danno arrecato all’interesse protetto al momento della consumazione del reato, d’altro lato non può appunto attribuirsi valore positivo ad una condotta riparatrice non immediata e, soprattutto, non spontanea, ma imposta sotto minaccia dell’applicazione di ulteriori sanzioni, anche gravi (si allude all’acquisizione gratuita dell’area interessata al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.P.R. 380/2001).

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza del 20 giugno 2019, la Corte d’appello di Brescia, rimediando, in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero, all’illegale determinazione della pena che era stata fatta in primo grado, ha confermato  l’affermazione di penale responsabilità di Lodovico Volpi per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, condannandolo alla pena di giorni cinque di arresto e 5.164 euro di ammenda.

2. Avverso la predetta sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
 2.1. Con il primo motivo si deducono carenza di motivazione e violazione dell’art. 131 bis cod. pen. per essere stata respinta la richiesta di declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto, omettendosi una valutazione complessiva della vicenda e limitandosi a considerare la superficie dell’area oggetto di intervento e la tipologia delle strutture abusivamente realizzate, senza tuttavia tener conto che le baracche non erano ancorate al suolo e che erano state immediatamente rimosse dall’imputato il quale, anche in ragione della giovanissima età, aveva erroneamente ritenuto di non compiere alcuna violazione.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 62 bis  cod. pen. per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza e perché sottopone a questa Corte valutazioni di merito incompatibili con lo scrutinio di legittimità.
3.1. L’applicazione della causa di non punibilità invocata postula che l’offesa sia di particolare tenuità «per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma» cod. pen. (così, l’art. 131 bis, primo comma, cod. pen.).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez.  U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590), ma, da un lato, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez.  6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647) e, d’altro lato, è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell'assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez.  3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta e a., Rv. 273678; Sez.  6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647).
Con specifico riguardo all’applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, i parametri di valutazione utilizzabili sono stati indicati nella consistenza dell'intervento abusivo - data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive - nella destinazione dell'immobile, nell'incidenza sul carico urbanistico, nell'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici con impossibilità di sanatoria, nel mancato rispetto di vincoli e nella conseguente violazione di più disposizioni, nell'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, nella totale assenza di titolo abilitativo o nel grado di difformità dallo stesso, nel rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente, nelle modalità di esecuzione dell'intervento (Sez.  3, n. 19111 del 10/03/2016, Mancuso, Rv. 266586).
3.2. Diversamente da quanto opina il ricorrente, la Corte territoriale, con valutazione di merito non illogicamente argomentata e qui non sindacabile, ha fatto buon governo di tali principi. Si è infatti osservato che l’imputato aveva realizzato su terreno agricolo – modificandone quindi la destinazione - un piazzale destinato alla sosta di automezzi su un’area di oltre 600 mq., collocandovi altresì due strutture in metallo ed edificando, su due lati del lotto, una recinzione in blocchi di calcestruzzo e lamiera dell’altezza di ben due metri. Il giudizio, dunque, non ha riguardato soltanto le caratteristiche delle opere abusive in sé, ma anche l’impatto che le stesse avevano determinato nella trasformazione urbanistica di un’area di apprezzabili dimensioni in contrasto con la destinazione agricola, e perciò non sanabile. La sentenza impugnata, concordando con la conforme valutazione fatta dal primo giudice, ha peraltro valutato anche l’intensità dell’elemento soggettivo che, lungi dal poter consentire di qualificare la condotta – come sostiene l’imputato – come un mero “errore”, ha indotto a ritenerne la natura dolosa perché espressione «di uno stile di vita fondato sulla soddisfazione dei propri interessi, seppure confliggenti con la legge».
Del pari incensurabile è la mancata valorizzazione della successiva rimozione delle opere abusive, in quanto effettuata – nota la sentenza – non già spontaneamente ed immediatamente dopo la contestazione, ma solo a seguito, ed in ottemperanza, all’ordinanza di demolizione adottata dal Comune. Pur essendo vero che per la valutazione sulla particolare tenuità dell’offesa di cui all’art. 131 bis cod. pen. non è del tutto indifferente considerare se, e fino a quando, perdurino le conseguenze lesive di un reato permanente (cfr. Sez.  3, n. 47039 del 08/10/2015, Derossi, Rv. 265448), da un lato va ribadito che per tale giudizio occorre innanzitutto esaminare l’oggettiva gravità del danno arrecato all’interesse protetto al momento della consumazione del reato, d’altro lato non può appunto attribuirsi valore positivo ad una condotta riparatrice non immediata e, soprattutto, non spontanea, ma imposta sotto minaccia dell’applicazione di ulteriori sanzioni, anche gravi (si allude all’acquisizione gratuita dell’area interessata al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.P.R. 380/2001).
3.3. Gli stessi argomenti sfavorevoli – non sminuiti dalla giovane età dell’imputato, chiosa la sentenza - sono stati correttamente e non illogicamente valutati, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., per escludere che sussistessero le ragioni invocate  per ottenere le circostanze attenuanti generiche.
Nel ribadire, in ricorso, la mancata valorizzazione dei medesimi elementi più sopra richiamati, il ricorrente sottopone a questa Corte una doglianza non consentita posto che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché – come nella specie - sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv . 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).  
     
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 10 febbraio 2021.