Cass. Sez. III n. 20935 del 19 maggio 2009 (ud. 11 mar. 2009)
Pres. Onorato Est. Marini Ric. Anselmi e altri
Rifiuti. Trasporto e confisca del mezzo

In tema di gestione dei rifiuti, va disposta la confisca obbligatoria, prevista dall\'art. 53, comma secondo, D.Lgs. 5 febbraio 1997, del mezzo impiegato per il trasporto non autorizzato di rifiuti, pur quando sia in proprietà di un terzo legato da un rapporto contrattuale al soggetto responsabile dell\'illecito.

La Procura della Repubblica di Prato ha proceduto ad indagini nei confronti dei titolari della società di autotrasporti, cooperativa “R.A.T.” e dei titolari delle società Gommatex, LSD e Nuova Mabel, destinatarie dei trasporti, per avere proceduto a trasferimenti irregolari di una miscela di acqua e DMF, prodotto costituente rifiuto speciale pericoloso. Le indagini sono state quindi estese ai trasportatori che per conto della “R.A.T.” avevano effettuato i trasferimenti della miscela.
Secondo l’accusa, infatti, negli anni 2000-2002 erano stati effettuati molteplici trasporti di una soluzione di acqua e DMF (dimetilformammide) in violazione delle prescrizioni previste dall’art.52 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. Il DMF è un solvente utilizzato nelle lavorazioni di prodotti in similpelle, attività molto diffuse nell’area territoriale interessata dalla vicenda. Detto solvente, che viene mescolato ad acqua, è incluso tra i rifiuti speciali pericolosi dall’allegato D al citato decreto n.22 del 1997. I trasporti oggetto di indagine sarebbero stati effettuati secondo l’accusa con diverse modalità illecite: in una prima fase sarebbe avvenuti con accompagnamento dei formulari di identificazione del rifiuto previsti dall’art.15 recanti indicazioni inesatte o incomplete, mentre in epoca successiva sarebbero stati effettuati in assenza di detti formulari e con accompagnamento della semplice dichiarazione di trasporto (di seguito DDT).
Detti trasporti avrebbero avuto lo scopo di trasferire la soluzione di acqua e DMF dalle società che l’avevano utilizzata nel ciclo produttivo ad altre società che avrebbero provveduto al “recupero” della sostanza attiva mediante separazione del DMF dalla componente acquosa, attività che richiede un complesso processo di “rigenerazione”, al fine di restituire il prodotto alle aziende di produzione.
A seguito di stralcio dall’originario procedimento, il processo oggetto della presente impugnazione concerneva le sole contestazioni che concernono i soci-trasportatori della cooperativa “R.A.T.”, con sede in Calenzano (Prato), cui erano state affidate le operazioni di trasferimento su strada del prodotto.
La contestazione mossa agli imputati aveva ad oggetto la violazione degli artt. 15 e 52, comma terzo del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22, in relazione (quoad poenam) all’art.483 c.p., e riguardava un duplice profilo: l’avere effettuato trasporti con formulari contenenti dati inesatti o incompleti; l’avere effettuato trasporti in assenza dei formulari.
Al Sig. Fabiano erano contestate anche plurime ipotesi di violazione degli artt. 30 e 51, comma 1, lett. b) del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 per avere effettuato i trasporti con veicoli privi della necessaria autorizzazione.
Al termine del giudizio di primo grado il Tribunale di Prato con sentenza del 29 Settembre 2005 ha affermato la sussistenza della penale responsabilità degli imputati per le sole condotte di trasporto in assenza di formulari, ritenendo che per i trasporti con formulari asseritamente incompleti o non veritieri dovesse giungersi ad assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”.
La sentenza ha altresì deciso che per l’ipotesi ulteriore contesta al solo Sig.Fabiano ai sensi dell’art.51, primo comma d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 dovesse giungersi ad assoluzione “perché il fatto non sussiste” con riferimento alle condotte contestate alle lettere b) e c) del capo 5.1 della rubrica, affermando la sussistenza del reato esclusivamente per le condotte contestate alla lettera a) che precede.
Le pene, condizionalmente sospese, sono state fissate nella misura della reclusione pari a due mesi e diciassette giorni per il Sig. Anselmi; due mesi e quattro giorni per il Sig.Fabiani; due mesi e sette giorni per il Sig. Eschini; due mesi e cinque giorni per il Sig. Nocentini; due mesi e due giorni per il Sig. Pini.
E’ stata, infine disposta la confisca del semirimorchio Adige 37 S, targato MN 013379, sequestrato in sede di indagini alla ditta Fabiani Emilio e C.
Avverso tale decisione tutti gli imputati hanno proposto appello, con motivi in larga parte comuni ma non del tutto coincidenti:
1. Per alcuni imputati (Eschini, Nocentini e Pini) si chiedeva con primo motivo la correzione dell’errore materiale in cui sarebbe incorso il primo giudice per avere in sede motivazionale (pag. 11) escluso la sussistenza dell’illecito consistente nella effettuazione di trasporti con accompagnamento di documentazione incompleta o inesatta, come contestata rispettivamente ai capi 6.1, 7.1 e 8.1, e quindi omesso di includere la relativa formula assolutoria nel dispositivo della decisione.
2. Con secondo motivo, comune a tutti, si contestava che il DMF possa essere considerato “rifiuto” secondo la normativa di settore, ed in particolare secondo una corretta applicazione dell’art.14 del d.l. 8 Luglio 2002, n.138 (convertito con legge 8 Agosto 2002, n.178). I rapporti esistenti tra le società produttive e quelle di recupero, nonché le concrete modalità di riutilizzo del prodotto avrebbero dovuto condurre il Tribunale a concludere che si è in presenza di un prodotto, il DMF, destinato ad essere immediatamente e integralmente re-impiegato all’interno del ciclo produttivo delle società destinatarie dei trasporti, escludendosi la necessità che la sostanza subisse qualsiasi trattamento preventivo e qualsiasi attività di recupero tra quelle individuate nell’allegato C del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. Sul punto il motivo di appello recava l’indicazione di ampio testimoniale (tra cui in particolare le dichiarazioni del teste Bacinetti) che avrebbe contraddetto in modo irrefutabile la circostanza, decisiva per il Tribunale, che il prodotto una volta giunto a destinazione subisse processi di “recupero”, emergendo con chiarezza che la miscela veniva direttamente impiegata all’interno del ciclo produttivo.
3. Con terzo motivo, anch’esso comune a tutti gli appellanti, si chiedeva che in ogni caso andasse esclusa la presenza dell’elemento soggettivo del reato. Premesso che gli imputati non avevano alcun rapporto diretto con le società che avevano richiesto l’effettuazione dei trasporti e che ne erano beneficiarie, si evidenziava che tali rapporti erano intrattenuti dai soli responsabili della cooperativa “R.A.T.” ai quali erano state fornite giustificazioni attendibili circa la regolarità delle operazioni di trasporto e della relativa documentazione. La complessità della situazione di fatto, nonché le caratteristiche del prodotto e la sua destinazione ad aziende del settore costituivano elementi che non potevano consentire ai trasportatori di apprezzare eventuali inadempienze rispetto al dato normativo, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere esclusa in radice la possibilità per i trasportatori stessi di comprendere l’esistenza di irregolarità penalmente rilevanti. Anche questo motivo recava l’indicazione di ampio testimoniale a supporto della circostanza che gli stessi responsabili della coop. “R.A.T.” fossero convinti della regolarità dei trasporti ed in tal senso si fossero espressi con i trasportatori (testi Fulceri, Desideri, Bacinetti, Merconcini, Viani)
4. Con quarto motivo, anch’esso comune, si lamentava l’eccessività della pena inflitta, se ne chiedeva la conversione in sanzione pecuniaria e si chiedeva di non applicare a quest’ultima la sospensione condizionale.
5. Due specifici motivi di appello riguardavano la posizione del Sig.Fabiano. Con il primo, di evidente portata assorbente, si lamentava la nullità del decreto di citazione a giudizio per vizio radicale sia della notificazione dell’avviso ex art.415-bis c.p.p. sia del successivo atto di citazione per il giudizio, posto che tali atti indicavano come difensore di fiducia l’Avv. Andrea Niccolai, del Foro di Pistoia, difensore in realtà mai nominato dal Sig.Fabiano. Tale vizio, ritualmente segnalato in apertura del giudizio, sarebbe stato erroneamente ritenuto non rilevante dal Tribunale, mentre rappresenta violazione sanzionata a pena di nullità che avrebbe dovuto comportare la dichiarazione di nullità dell’atto introduttivo e la restituzione degli atti al Pubblico Ministero.
Con il secondo si chiedeva la restituzione dell’autoarticolato in sequestro e del quale il Tribunale aveva disposto la confisca.
Con sentenza del 19 Dicembre 2007 la Corte di Appello di Firenze ha accolto parzialmente le impugnazioni.
Ha respinto i motivi presentati dal solo Sig.Fabiano, ritenendo che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado non recasse alcun vizio radicale e che, una volta confermata la condanna per il reato ex art.52 d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 debba permanere l’ordine di confisca dell’automezzo in sequestro.
Ha accolto il motivo relativo alla sussistenza di contrasto fra la motivazione e il dispositivo della decisione di primo grado con riferimento ai trasporti effettuati con formulari asseritamente incompleti o infedeli, cosi pronunciando assoluzione nei confronti dei Sigg. Pini, Eschini e Nocentini “perché il fatto non costituisce reato”.
Ha confermato la condanna per i trasporti che erano stati effettuati in assenza del previsto formulario.
Ha convertito le pene detentive inflitte a ciascun imputato nella corrispondente pena pecuniaria in ragione di euro 38,00 per giorno di detenzione, ed ha revocato per ciascun appellante il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Avverso tale decisione sono stati ritualmente proposti ricorsi per cassazione dai Sigg. Anselmi, Eschini, Fabiano, Nocentini e Pini.
Anche questi ricorsi presentano alcuni motivi comuni, contenenti premesse e argomenti identici, e per il solo Sig.Fabiano vengono richiamate le censure oggetto degli specifici motivi di appello in relazione al vizio dell’atto introduttivo del giudizio ed alla erroneità dell’ordine di confisca dell’automezzo in sequestro. In sintesi:
Per il solo Sig. Fabiano:
1. Violazione dell’art.606, lette) ed e) c.p.p. i n relazione agli artt. 4l5-bis, 522, comma secondo, 522, comma primo, lett. e), 97, commi primo e secondo c.p.p., per avere il Pubblico ministero ed il Tribunale notificato l’avviso di chiusura delle indagini e l’atto di citazione a giudizio all’Avv. Niccolai quale difensore di fiducia in assenza di qualsiasi nomina da parte dell’indagato e imputato, con conseguente assenza di indicazione del difensore d’ufficio e della comunicazione all’indagato e imputato che aveva facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia. Tali vizi debbono essere esaminati anche alla luce della circostanza che l’Avv. Niccolai non solo non era iscritto all’Albo professionale di Prato ma di quello di altro circondario, ma non risultava incluso neppure nelle liste dei difensori d’ufficio. Erroneamente il Tribunale, prima, e la Corte di Appello, poi, avrebbero ritenuto che tali vizi non conducano alle conseguenze di radicale nullità ex art.l78, comma primo, lett. c) c.p.p. prospettate ritualmente dalla difesa fin dagli atti introduttivi al giudizio di primo grado.
2. Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e) c.p.p. in relazione agli artt. 240 c.p. e 53, comma secondo d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. Si è in presenza di confisca che opera non su un mezzo di proprietà del ricorrente, bensì su mezzo che risulta intestata ad un soggetto terzo, la Fabiano Emilio & C s.a.s., con la conseguenza che erroneamente i giudici di merito avrebbero ritenuto di poter estendere la misura ablativa in danno di soggetto estraneo alla commissione del reato. Se pure è vero che il Sig.Fabiano è il legale rappresentante della società proprietaria dell’automezzo, ma nel caso in esame il trasporto non avveniva dietro incarico della società, bensì della cooperativa “R.A.T.”, con la conseguenza che la Sas “Fabiano & C.” è rimasta estranea rispetto all’incarico che detta cooperativa ha affidato al Sig. Fabiano quale persona fisica. Infine, si sarebbe in presenza di confisca disposta ex art.240 c.p. che cade su una cosa che non costituisce in sé oggetto pericoloso o intrinsecamente destinato alla commissione di reati, con la conseguenza che non sussisterebbero i presupporti per il provvedimento ablativo.
3. Omessa dichiarazione di estinzione del reato ex art.51, comma primo d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. Nel contesto del motivo relativo alla mancata applicazione dell’art. l4 del d.l. 8 Luglio 2002, n.l38 (convertito con legge 8 Agosto 2002, n.178), come sotto illustrato, il ricorrente introduce un diverso profilo di censura, e cioè la mancata dichiarazione di estinzione del reato previsto dall’art. 5l, primo comma del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. Secondo il ricorrente, infatti, la Corte territoriale avrebbe dovuto prendere atto dell’avvenuto decorso dei termini massimi di prescrizione. Premesso che l’ultimo dei trasporti contestati al Sig.Fabiano si colloca alla data del 15 Febbraio 2002, nel momento in cui fu pronunciata la sentenza di appello (19 Dicembre 2007) il termine prescrizionale di quattro anni e sei mesi risultava ormai decorso interamente, con la conseguenza che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del reato e rideterminare la pena inflitta.
Per tutti i ricorrenti:
4. Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e) c.p.p. in relazione all’art. 6, primo comma, lett. a) del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 come interpretato in via autentica dell’art.14 del d.l. 8 Luglio 2002, n. 138 (convertito con legge 8 Agosto 2002, n.178), nonché in relazione all’art. 192 c.p.p. e conseguente erronea applicazione dell’art. 483 c.p. e dell’art. 5l, comma primo del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
I ricorrenti ripropongono i contenuti del motivo di appello che la Corte territoriale ha respinto. Si sostiene in ricorso che le concrete modalità operative che concernono la destinazione e l’impiego della soluzione di acqua e DMF avrebbero dovuto escludere, anche alla luce dei legami societari esistenti tra le diverse imprese che utilizzavano il solvente, la natura di “rifiuto” del prodotto. Ed infatti, una volta impiegato in un primo ciclo di lavorazione, il DMF veniva inviato ad altra azienda che, a sua volta, impiegava la soluzione direttamente in diverso ciclo produttivo e senza che fosse necessaria alcun trattamento preventivo nonché senza che si procedesse ad alcuna operazione di “recupero” (allegato C del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22). Tali circostanze ricondurrebbero i fatti all’interno della sfera di applicabilità delle deroghe contenute nel citato art. l4, con la conseguenza che non si sarebbe in presenza di “rifiuto” e non sussisterebbe la necessità di effettuare i relativi trasporti con accompagnamento del formulario previsto dall’art. 15 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
Sia il Tribunale sia la Corte di Appello, pur non disconoscendo le soluzioni interpretative della legge proposte dalla Difesa, avrebbero erroneamente ritenuto che la ricostruzione in fatto smentisca la prospettazione difensiva. In particolare, la Corte di Appello sarebbe incorsa in errore allorché afferma che deve trovare conferma la ricostruzione dei fatti operata dai primi giudici e che pertanto “occorreva avviare la sostanza acquosa ad un impianto di distillazione e sottoporla ad un complesso processo di rigenerazione”, con conseguente “operazione di recupero, peraltro, rientrante tra quelle individuabili nell‘allegato C del D.lgs.22/97 “.
In realtà, secondo i ricorrenti, gli esiti dell’istruttoria dibattimentale avrebbero dovuto condurre a conclusioni del tutto diverse. Tali conclusioni erano state ampiamente illustrate nei motivi di appello, con riferimento ai puntuali passaggi delle dichiarazioni testimoniali; in particolare, il teste
Bacinetti aveva integrato le generiche dichiarazioni del teste Marconcini e puntualmente illustrato le modalità effettive di impiego della soluzione di acqua e DMF, così dimostrandosi che l’attività di distillazione non rappresentava una operazione di recupero, bensì una fase del processo produttivo. A fronte di questa prospettazione difensiva degli appellanti fondata sugli elementi probatori raccolti in giudizio, la Corte di Appello si è limitata ad affermare, con riferimento al periodo in cui i trasporti furono eseguiti in assenza dei formulari: “Inoltre, è da ritenere dalle (contorte/reticenti) deposizioni raccolte in tema di rigenerazione/recupero che, all‘epoca dei trasporti, gli impianti di distillazione/recupero non erano in attività. E che proprio per questo s‘erano indotti, committenti, loro tecnici e trasportatori alla soppressione del formulari o ed all‘escamotage del DDT”. La Corte di Appello avrebbe in tal modo omesso di operare il controllo che le era stato demandato circa la decisione dei primi giudici e che aveva formato oggetto di specifico motivo di impugnazione, e ciò sarebbe avvenuto anche per una errata interpretazione del materiale probatorio, riferendo alla società “Nuova Mabel”, destinataria dei trasporti oggetto di imputazione, una scelta di sospensione delle attività produttive adottata da altre e diverse società.
5. Violazione dell’art.606, lett. b) ed e) c.p.p. in relazione agli artt. 52, comma terzo d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e 483 e 43 c.p. I vizi della motivazione relativi alla mancata applicazione dell’art.14 del d.l. 8 Luglio 2002, n. l38 riverberano i propri effetti anche sulla mancata assoluzione degli imputati quanto meno sotto il profilo della mancanza dell’elemento soggettivo del reato. Il motivo di ricorso riproduce il corrispondente motivo di appello, e richiama gli elementi probatori, in particolare le dichiarazioni testimoniali, che la Corte di Appello avrebbe erroneamente disatteso. La circostanza che i trasportatori si siano attenuti alle disposizioni ricevute dalla “R.A.T.” escluderebbe, secondo l’impostazione difensiva, la consapevolezza delle irregolarità nei trasporti, e ciò è tanto più vero atteso che dalle dichiarazioni testimoniali emerge con chiarezza che gli stessi responsabili della “R.A.T.” esaminarono e discussero il regime applicabile al trasporti e seguirono le indicazioni fornite dal loro consulente. In tale contesto può comprendersi anche la ragione per cui i trasportatori non destinavano ai trasporti della miscela di acqua e DMF una sola tipologia di automezzi e potevano fare ricorso anche a mezzi non iscritti all’apposito albo.

OSSERVA
I ricorsi debbono essere respinti, potendo trovare accoglimento esclusivamente il ricorso del Sig. Fabiano nella parte in cui lamenta la mancata dichiarazione di estinzione del reato contravvenzionale.
1. Il ricorso del Sig. Fabiano contiene tre motivi che non hanno riferimento alle censure proposte anche dagli altri ricorrenti e che attengono esclusivamente alla sua posizione. Rinviando la trattazione di quelli concernenti la sussistenza dei reati e la conseguente confisca dell’automezzo in sequestro ad un esame che può essere svolto in unico contesto con quello dei motivi dei restanti ricorrenti, deve qui affrontarsi il motivo di ricorso che, con potenziale valenza assorbente, attiene alla pretesa nullità del decreto di citazione a giudizio.
Afferma il ricorrente, riproducendo identico motivo di appello disatteso dalla Corte territoriale, che sussisterebbe un vizio radicale dell’atto introduttivo per essere stato erroneamente l’Avv. Niccolai indicato quale difensore di fiducia sia nell’avviso di chiusura delle indagini ex art.415-bis c.p.p. sia nel successivo atto di citazione a giudizio avanti il Tribunale.
Va evidenziato a tale proposito che il Tribunale di Prato rilevò l’esistenza del vizio denunciato dal Difensore in sede di apertura del dibattimento, ma ritenne che tale vizio non comportasse la nullità degli atti denunciati e che l’errore potesse trovare rimedio nel considerare l’Avv. Niccolai quale difensore d’ufficio. Avverso tale soluzione si dirigono, come sopra ampiamente esposto, le censure del ricorrente, sottolineando le ragioni per cui non poteva esservi nomina dell’Avv. Niccolai quale difensore d’ufficio e le ragioni per cui detto errore avrebbe limitato il diritto dell’imputato al pieno esercizio del diritto di difesa.
Trovandoci in presenza di censura per violazione di legge questa Corte non è vincolata alle motivazioni adottate dai giudici di merito ed ha piena cognizione dei presupposti procedurali e delle conseguenze giuridiche della lamentata nullità.
Ritiene la Corte che il vizio in cui incorse l’organo della pubblica accusa e quello in cui incorse successivamente il Tribunale non comportino alcuna nullità.
La circostanza che il Pubblico ministero abbia erroneamente indicato l’Avv. Niccolai quale difensore di fiducia del Sig. Fabiano, difensore in realtà mai nominato fino ad allora, non ha privato l’indagato, prima, e l’imputato, poi, dei diritti fondamentali riconosciuti dal codice di rito in relazione all’art. 24 Costituzione.
Quanto alla fase delle indagini, va rilevato che sia il Sig.Fabiano sia l’Avv. Niccolai ricevettero la notifica dell’avviso di chiusura delle indagini recante l’indicazione dell’Avv. Niccolai quale difensore fiduciario e tale errata indicazione non fu oggetto di osservazioni, almeno di ciò non risulta menzione negli atti di impugnazione e nei provvedimenti dei giudici di merito. Appare evidente, dunque, che sia l’indagato sia il Difensore furono portati a conoscenza della circostanza che il primo risultava assistito dal secondo, così che va escluso che l’indagato sia rimasto privo di assistenza tecnica e non sia stato messo in condizione di prendere contatto con il proprio difensore ed effettuare in tal modo le eventuali scelte a fronte dell’accusa che il Pubblico ministero si apprestava a muovere.
Quanto all’atto di citazione a giudizio ed alla fase dibattimentale, la Corte rileva che per il primo operano le medesime considerazioni svolte in precedenza per l’avviso di chiusura delle indagini, mentre per la seconda deve escludersi che la soluzione adottata dal Tribunale risulti sanzionata di nullità. Ed in effetti, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte osservato che l’applicazione del principio di tassatività delle nullità non consente di far discendere un vizio radicale dal mancato rispetto della disciplina in tema di individuazione del difensore all’interno dell’elenco previsto dall’art. 97 c.p.p.
Sotto un primo profilo, non configura nullità la nomina di un difensore d’ufficio iscritto ad elenco di un distretto o circondano diverso da quello cui appartiene l’autorità giudiziaria procedente (Sesta Sezione Penale, sentenza n.6089 del 15 Dicembre 2003-16 Febbraio 2004, Amirante, rv 227649). Si osserva in motivazione che “potrebbe al più trattarsi di mera irregolarità in quanto, in difetto di previsione di una sanzione processuale testuale, deve valutarsi soltanto se l’ipotesi possa ricadere nella sanzione della nullità virtuale comminata dagli artt.178, lett. c) e 180 c.p.p., ed una tale eventualità va decisamente esclusa, in quanto l’esercizio della difesa da parte di avvocato che è stato ammesso a far parte dell’elenco dei difensori d’ufficio, e quindi dotato della qualità che la legge richiede e ritenuto idoneo a garantire 1‘effettività della difesa, assicura l’assistenza dell’imputato (ed altresì la rappresentanza ove questi sia contumace). Tanto può affermarsi con maggiore certezza dopo che, a seguito della legge 27/97, sono cadute le barriere territoriali per l’esercizio della professione forense ... (sez. 4°, Udienza pubblica 8/10/03, ricorrente Bottega Lucilla)”.
Sotto un secondo profilo, non configura nullità la nomina di un difensore d’ufficio che non sia iscritto all’apposito elenco, non essendo tale sanzione prevista espressamente dalla norma (Terza Sezione Penale, sentenza n.l4742 del 18 Febbraio-25 Marzo 2004, Maiorana, rv 228528). Afferma in tale decisione la Corte che “le modalità di reperimento del difensore d’ufficio non sono mai motivo di nullità della nomina, non essendo tale sanzione espressamente prevista dalla norma dovendo trovare applicazione il principio di tassatività fissato dall‘art. 177 c.p.p. Né può ritenersi che tale nullità derivi dalla violazione radicale del diritto di difesa, essendo stata in ogni caso garantita un ‘assistenza tecnica professionalmente qualificata attraverso la nomina di un difensore abilitato all‘esercizio della professione davanti al giudice.”.
Sui principi che conducono alla mancata integrazione di una nullità ai sensi degli artt. 178, lett. c) e
179 c.p.p., si veda anche Sezione Prima Penale, sentenza n. 22934 del 9 Maggio-4 Luglio 2006, Contorno, rv. 235235.
2. Escluso in tal modo che per il ricorrente Fabiano sussistano ragioni di annullamento delle decisioni di merito per nullità dell’atto introduttivo del primo giudizio, la Corte deve affrontare le censure che tutti i ricorrenti hanno mosso con riferimento alla pretesa insussistenza degli estremi obiettivi dei reati contestati e, in subordine, alla pretesa insussistenza delle’elemento soggettivo.
Va rilevato in via generale che entrambi i motivi di ricorso in esame prospettano censure attinenti l’errata applicazione della legge penale, ma contengono, in realtà, ragioni di critica che attengono alla coerenza e correttezza della motivazione. E’ sufficiente confrontare il contenuto dei motivi di ricorso con quello dei motivi di appello per constatare come l’impostazione, le argomentazioni e le conclusioni siano nella sostanza coincidenti.
Ciò impone alla Corte di effettuare due considerazioni di ordine generale prima di procedere all’esame specifico dei motivi.
3. Innanzitutto questa Corte ritiene di condividere il principio, affermato in modo convincente da precedenti decisioni, secondo cui quando le sentenze di primo e secondo grado “concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente” (Prima Sezione Penale, sentenza n.8886 del 26 giugno-8 agosto 2000, Sangiorgi, rv. 216906). Da tale principio discende, nel caso in esame, che i motivi di ricorso possano essere esaminati alla luce della complessiva motivazione adottata da entrambe le decisioni di merito.
4. Come affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2l20, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla più recente giurisprudenza (si vedano la sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte, 5 maggio-7 giugno 2006, n.19584, Capri ed altra, rv. 233773, rv. 233774, rv 233775, e la sentenza della Sesta Sezione Penale, 24 marzo-20 aprile 2006, n. 14054, Strazzanti, rv 233454), il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione.
Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla legge n.46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello”
Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha “la pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art.606, lett. e) c.p.p. non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.
Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica della lett. e) dell’art. 606 c.p.p. apportata dall’art.8, comma primo, lett. b) della legge 20 febbraio 2006, n.46, dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207), secondo le quali può aversi vizio di travisamento della prova quando l’errore sia in grado “di disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione”, e che questo può avvenire solo nei casi
in cui “si introduce in motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo”, oppure “si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione”.
L’esame di uno specifico materiale processuale, dunque, non può mai comportare per la Corte di legittimità una nuova valutazione del risultato probatorio e delle sue ricadute in termini di ricostruzione del fatto e delle responsabilità, ma deve limitarsi a verificare che la sentenza impugnata non sia incorsa nel vizio del travisamento della prova.
5. Alla luce dei principi così richiamati la Corte ritiene che non si sia in presenza di un vizio di motivazione radicale come prospettato dai ricorrenti.
E’ ben vero che la sentenza di appello affronta in modo estremamente sintetico i temi demandati dagli appellanti con riferimento ad entrambi i profili di censura, e tale impostazione è stata correttamente sottolineata in sede di ricorso. E tuttavia, la richiamata possibilità per la Corte di valutare congiuntamente la motivazione delle sentenze di merito consente di escludere che la decisione della Corte territoriale sia incorsa nel vizio di carenza di motivazione o di radicale travisamento delle prove.
Il Tribunale di Prato ha ritenuto di concludere per l’esistenza di una prova certa che almeno parte della miscela restituita alle società di provenienza venisse destinata ad operazioni di recupero, fondando tale giudizio non solo sulle dichiarazioni testimoniali richiamate, ma anche su elementi obiettivi di evidente rilievo, come la ricostruzione degli impianti, con la presenza di strutture destinate proprio ai processi di distillazione, separazione e raccolta del solo solvente, e la ricostruzione dei processi di lavorazione. Parimenti, il Tribunale ha desunto dall’intera vicenda storica, e non solo dal contenuto del testimoniale, che il cambiamento di strategia nell’uso della documentazione di accompagnamento dei trasporti si rapportasse non tanto alle intervenute modifiche normative, quanto al modificarsi delle attività produttive ed alla conseguente esigenza di dissimulare i trasporti della miscela di acqua e DMF.
Può così rilevarsi che, a fronte della diversa prospettazione difensiva contenuta nei motivi di appello, la Corte territoriale ha ritenuto che le dichiarazioni testimoniali addotte dalla Difesa risultino “contorte” e “reticenti”, ma che comunque dalle stesse trovi conferma la circostanza che nel periodo Febbraio-Maggio 2002 “gli impianti di distillazione / recupero non erano in attività”, così confermando le ragioni poste a sostegno della decisione di primo grado.
La pur sintetica e per certi versi apodittica motivazione della sentenza impugnata deve essere letta, allora, alla luce della assai più ampia motivazione del giudice di primo grado, dovendosi chiedere se i motivi di appello — integralmente richiamati in sede di ricorso per cassazione — contenessero elementi decisivi che il giudice di appello ha pretermesso. Ritiene la Corte che non sia così. Compiutamente riportando i passaggi salienti del testimoniale invocato, la Difesa in sede di impugnazione ha evidenziato come il teste Bacinetti, che i giudici di merito avrebbero non congruamente apprezzato, affermi che il processo produttivo comprende sia una fase di coagulazione, sia una fase di distillazione, con separazione del DMF dall’acqua, ribadendo più volte che a seconda delle lavorazioni la miscela poteva essere avviata ad un impianto di coagulazione. Tali circostanze, a parere di questa Corte, non consentono affatto di escludere che la miscela subisse quei processi di rigenerazione e recupero che renderebbero applicabile la deroga al regime dei “rifiuti” pericolosi invocata dalla difesa.
Si è in presenza, in sostanza di una questione che attiene alla ricostruzione del fatto e che, in assenza di vizio di travisamento della prova, è sottratta al controllo del giudice di legittimità.
Ad analoga conclusione deve giungersi con riferimento alle censure mosse alla sentenza impugnata con riguardo all’assenta mancanza dell’elemento soggettivo del reato. Essendosi in presenza di delitto di natura dolosa, si sostiene, la mancanza di prova certa circa la consapevolezza e la volontà dell’illecito avrebbe dovuto condurre ad una sentenza assolutoria, a tale conclusione dirigendosi le dichiarazioni testimoniali che i giudici di merito hanno erroneamente valutato. La sentenza di primo grado in modo più diffuso e quella di appello in modo assai più sintetico hanno affermato che i trasportatori operavano da tempo tramite la coop. R.A.T. in favore delle medesime società, così che
conoscevano perfettamente le caratteristiche del prodotto, le regole in vigore e la situazione delle aziende presso cui effettuavano i trasporti; sulla base di tali elementi di fatto i giudici di merito hanno ritenendo provato che la chiara situazione di fatto in cui i trasportatori operavano escluda la invocata buona fede o la sussistenza di un vero e proprio errore.
Appare evidente alla Corte che si è ancora un volta in presenza di una censura che si dirige nella sostanza alla valutazione della prova effettuata dai giudici e che non appare sostenuta da elementi probatori (le dichiarazioni testimoniali ampiamente richiamate prima nei motivi di appello e poi in quelli di ricorso) decisivi ed univoci: si tratta di testimonianze che prospettano una ricostruzione dei fatti e delle relazioni tra le aziende diversa da quella fatta propria dai giudici di merito sulla base di una serie di elementi fattuali che sono stati ritenuti univoci nel condurre a conclusioni sfavorevoli agli imputati. In questo contesto la Corte ritiene che il contenuto del ricorso esuli dalle proprie attribuzioni quali definite al punto 4 che precede.
6. In sede di discussione la Difesa al fine di escludere la sussistenza del reato di illecito trasporto ha introdotto un argomento non compreso nei motivi di ricorso, in particolare invocando la disciplina introdotta con il d.lgs. n.4 del 16 Gennaio 2008. Ritiene la Corte che la prospettazione difensiva non possa trovare accoglimento. La natura di rifiuto pericoloso del DMF e le modalità con cui veniva trattato non sembrano giustificare la conclusione secondo cui la disciplina fissata dalla normativa introdotta col citato decreto del 2008 sottrarrebbe il prodotto alle cautele previste per i “rifiuti”. In effetti, l’art.18-bis del decreto ora richiamato ha sostituito l’art.18l-bis del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 nei termini che seguono:
“1. Non rientrano nella definizione di cui all’articolo 183, comma 1, lettera a), le materie, le sostanze e i prodotti secondari definiti dal decreto ministeriale di cui al comma 2, nel rispetto dei seguenti criteri, requisiti e condizioni:
a) siano prodotti da un‘operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti; b) siano individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre;
c) siano individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse; d) siano precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l’utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti dall’utilizzo o dal trasporto del materiale, delta sostanza o del prodotto secondario;
e) abbiano un effettivo valore economico di scambio sul mercato.
“2. I metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materie, sostanze e prodotti secondari devono garantire l’ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre 2008.
“3. Sino all’emanazione del decreto di cui al comma 2 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269.
“4. Nelle more dell’adozione del decreto di cui all’articolo 181-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, comma 2, continua ad applicarsi la circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN.”
Come si può agevolmente constatare, la nuova disposizione pone una serie di requisiti innovativi e richiede una serie di garanzie circa la situazione di fatto e le caratteristiche del prodotto e della sua lavorazione che non sono riscontrabili nel caso in esame e che esulano dai contenuti delle decisioni di merito e delle stesse impugnazioni.
7. Cosi esclusa la possibilità di accogliere i motivi principali proposti dai ricorrenti, restano da esaminare due degli specifici motivi presentati dal Sig.Fabiano.
Il primo di essi riguarda l’omessa dichiarazione di estinzione del reato contravvenzionale previsto dall’art. 51 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Il motivo merita accoglimento. Pur precisandosi che l’ultimo dei trasporti in contestazione risulta effettuato alla data del 15 Maggio 2002, e non del 15 Febbraio come prospettato dal ricorrente, non vi è dubbio che il termine prescrizionale è maturato nel mese di Novembre 2007, e quindi anteriormente alla decisione oggi impugnata. I1 reato deve dunque essere dichiarato estinto e la pena relativa, fissata dai primi giudici in quattro giorni di reclusione, eliminata.
Va, invece, respinto il motivo concernente la confisca del mezzo di trasporto in sequestro. La misura deve essere confermata in quanto la legge stabilisce l’obbligatorietà della confisca degli strumenti utilizzati per la commissione del delitto punito dal terzo comma dell’art. 52 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22, delitto che è stato oggetto di decisione di condanna e in ordine al quale i motivi di ricorso vengono oggi respinti. Si consideri, poi, che la stessa difesa evidenzia che i trasporti furono effettuati su richiesta della coop. R.A.T. e invoca l’assenza di elemento soggettivo da parte dei trasportatori, in tal modo prospettando una realtà di fatto che esclude qualsiasi interruzione del legame funzionale tra società proprietaria e suo dipendente o legale rappresentante che utilizza l’automezzo, con la conseguenza che deve considerarsi sussistente l’elemento che colloca i trasporti effettuati del ricorrente con mezzi della ditta per cui operava all’interno del rapporto contrattuale tra questa ditta e la committenza.