Cass. Sez. III n. 31311 del 17 luglio 2019 (UP 4 giu  2019)
Pres. Di Nicola  Est. Gai Ric. Castaldfi
Rifiuti.Deposito incontrollato

Il reato di deposito incontrollato, è integrato dal mancato rispetto delle condizioni dettate per la sua qualificazione come temporaneo, ha natura permanente, perchè la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dall'art. 183, comma primo, lett. bb), D.Lgs. n. 152 del 2006, la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l'eventuale sequestro


RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Vercelli ha condannato Castaldi Paolo, alla pena di € 8.000 di ammenda, con il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato all’eliminazione delle conseguenze dannose da attuarsi mediante bonifica del sito, perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 256 comma 2 d.lgs n. 152 del 2006, perchè, quale liquidatore nominato, con atto dell’08/04/2015, della Naturalfibre srl, esercente l’attività di fabbricazione di pasta per carta a partire dal legno od altre materie fibrose, non avviava alle operazioni di smaltimento e recupero rifiuti speciali non pericolosi costituiti da liquido presente all’interno dell’impianto di depurazione, scarti di corteccia e legno, entro i termini stabiliti dall’articolo 183 comma 1 lett. bb) punto 2) del d.lvo n. 152 del 2006. Accertato in Serravalle Sesia il 29 giugno 2016.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen., per avere il Tribunale ritenuto la responsabilità in capo al liquidatore della società mediante richiamo alla figura, tutt’affatto diversa, del curatore fallimentare. Il liquidatore non è il soggetto autore dell’abbandono né è titolare del diritto di proprietà e/o altri diritti di godimento sull’area che gli avrebbero imposto di smaltire i rifiuti. La mancata rimozione sarebbe imputabile a forza maggiore (avverse condizioni metereologiche) e dalla difficoltà di reperire idonea società per lo smaltimento. Illegittima è anche la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena allo smaltimento dei rifiuti, giacchè questi sarebbero di proprietà di terzi (Pianasso), di tal chè non si potrebbe imporre alcun obbligo di tal fatta in capo all’imputato.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. per avere il Tribunale affermato la responsabilità penale anche con riguardo ai cumuli di corteccia acquistati da Pianasso, sicchè la condotta di mancato smaltimento non potrebbe essere ascritta all’imputato.

In data 22 maggio 2019, il difensore ha depositato motivi nuovi con cui, rilevato l’intervenuto fallimento della società, ha dedotto l’impossibilità dell’adempimento della prestazione cui era subordinata la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.  

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso, i cui motivi possono essere trattati congiuntamente, non mostra ragioni di fondatezza.
5.  Va innanzitutto evidenziato che l'imputato, nella qualità di liquidatore della s.r.l. Naturalfibre, poi dichiarata fallita in data 11/04/2019 (nelle more del giudizio di legittimità), è stato ritenuto responsabile del reato di deposito incontrollato di rifiuti costituiti da liquido presente all’interno dell’impianto di depurazione, scarti di corteccia e legno codice CER 030301, e non avviati allo smaltimento nei termini di cui all’art. 183 comma 1 lett. bb) del d.lgs n. 152 del 2006. Accertato il 29/06/2016.
6. Secondo quanto accertato dal Tribunale, all’imputato, quale liquidatore della s.r.l. Naturalfibre, a far data dall’08/04/2015, era ascrivibile l’obbligo di smaltimento a partire dalla cessazione della carica di amministratore di Sgarlata Mauro, ed essendo decorsi i termini per lo smaltimento, senza che l’imputato vi avesse provveduto, era responsabile del reato di deposito incontrollato.
Spiegava il Tribunale che, quanto ai residui di pasta di legno contenute nei reflui, a nulla rilevava, ai fini dell’esclusione della responsabilità, la difficoltà a reperire una ditta specializzata per lo smaltimento, mentre, quanto agli scarti di corteccia e legno, in parte accumulati nella campata centrale del capannone e in parte in quella laterale, solo una parte di essi era stata ceduta a Domenico Pianasso il quale, riscontrando un volume inferiore rispetto a quello indicato in fattura, l’aveva contestata e ne era scaturita una controversia civile. In ogni caso, il materiale legnoso, e i residui di pasta di legno presenti nelle acque reflue, erano da qualificarsi tutti quali rifiuti non pericolosi, qualifica spettante anche ai residui di corteccia in quanto detto materiale aveva perso le caratteristiche di sottoprodotto ai sensi dell’art. 184 bis del d.lgs n. 152 del 2006, ed essendo decorso l’anno dall’assunzione della carica di liquidatore in assenza di smaltimento, era provata la responsabilità in capo all’imputato.

7. Le censure difensive si appuntano sull’attribuzione della condotta all’imputato in quanto non sarebbe soggetto responsabile del deposito, non essendo a lui imputabile lo smaltimento e non potendosi richiamare i principi stabiliti in tema di responsabilità per smaltimento di rifiuti del curatore del fallimento, ed essendo, poi, la condotta scriminata da forza maggiore.
7.1. Sotto quest’ultimo profilo la censura è manifestamente infondata.
Le avverse condizioni meteorologiche, intervenute in epoca successiva all’integrazione del reato (cfr. pag. 9), non sono idonee a integrare una autonoma causa di forza maggiore tale da giustificare l'inadempimento dell'obbligo di ripristino ambientale e la violazione del principio: "chi inquina paga" (art. 3-ter, d.lgs. n. 152 del 2006), cui è informata l'intera legislazione ambientale.
È sufficiente qui ricordare che la forza maggiore sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già, come nel caso di specie, in condizioni di illegittimità ovvero ne sia egli stesso la causa (Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv.147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191). Allo stesso modo, la difficoltà di reperire una ditta idonea allo smaltimento dei reflui, non costituisce, nei termini sopra indicati, causa di forza maggiore.
7.2. Quanto al primo profilo di censura, è bene chiarire che, in presenza di una causa di scioglimento (art. 2484 cod. civ.), il liquidatore è nominato dall’assemblea (art. 2487 cod. civ.), o dal Tribunale (art. 2487 comma 2 cod. civ.), ed è il soggetto cui spetta l’amministrazione sociale, a cui è affidata la gestione dell’impresa in vista della procedura di liquidazione dell’attivo e, in tale, ambito, egli è equiparato a tutti gli effetti all’amministratore di diritto che gestisce l’impresa; egli è il legale rappresentante e colui che agisce in nome e per conto in forza dei poteri a lui conferiti dalla legge o dall’assemblea (art. 2487 comma 1 cod. civ.).
Il liquidatore è un amministratore che prosegue l'attività sociale, sebbene ai limitati fini della liquidazione del patrimonio sociale (art. 2489 cod. civ.), e su di esso gravano i medesimi diritti e doveri gravanti e responsabilità degli amministratori (art. 2489 comma 2 cod. civ.).

8. In tale ambito, la sentenza impugnata, pur con richiamo alla figura del curatore fallimentare non pertinente, ha comunque correttamente argomentato che il Castaldi, nominato liquidatore della s.r.l. Naturalfibre, in data 08/04/2015, non aveva proceduto allo smaltimento dei rifiuti che erano costituiti, in parte, da pasta di legno contenuta nei reflui (della cui natura di rifiuti nessuno discute) e, quanto agli scarti di legno e corteccia, essi avevano perso la qualifica di sottoprodotto, ex art. 184 bis del d.lgs n. 152 del 2006, giacchè si trovavano ammassati da più di un anno (cfr. pag. 4) e certamente da più di anno, dal 08/04/2015, essendo l’attività sociale cessata a partire da tale data (cfr. pag. 3) nella quale il Castaldo era stato nominato liquidatore, essendo stati rinvenuti, i rifiuti, nello stato di fatto come descritto in sentenza, alla data del primo sopralluogo in data 29/06/2016.
Dunque, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente il reato di deposito incontrollato, sul rilievo che il reato de quo è integrato in presenza di un’attività di stoccaggio di materiali costituiti da rifiuti ab origine (pasta di legno contenuta nei reflui) e scarti da corteccia e legno che avevano assunto la qualifica di rifiuto perché trascorso l’anno in assenza di smaltimento.
Il reato di deposito incontrollato, è integrato dal mancato rispetto delle condizioni dettate per la sua qualificazione come temporaneo, ha natura permanente, perchè la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dall'art. 183, comma primo, lett. bb), D.Lgs. n. 152 del 2006, la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l'eventuale sequestro (Sez. 3, n. 7386 del 19/11/2014, Cusini, Rv. 262410 – 01; Sez. 3, n. 28890 del 24/03/2011, Trapletti, non mass., Sez. 3, n. 11802 del 29/01/2009, Berardi, Rv 243402 secondo cui il reato di deposito incontrollato di rifiuti si configura ogniqualvolta si accerti un'attività di stoccaggio e smaltimento di materiali, costituiti anche in parte da rifiuti, abusivamente ammassati).
La sentenza impugnata mostra di avere fatto corretta applicazione dello ius receptum di Questa Corte di legittimità. Quanto al profilo dell’attribuzione del fatto di reato ha, poi, affermato la responsabilità in capo al Castaldi il quale, nella sua qualità di liquidatore della società, non aveva provveduto, nei termini di cui all’art. 183, comma primo, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, al recupero di quanto depositato e costituente rifiuto, in forza dei poteri di gestione della società connessi alla carica ricoperta anche in stato di liquidazione, e ciò sul rilievo che, come affermato da indirizzo ermeneutico di legittimità, il reato di deposito incontrollato di rifiuti, previsto dall'art. 256, comma secondo, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile anche in caso di attività occasionale commessa non soltanto dai titolari di imprese e responsabili di enti che effettuano una delle attività indicate al comma primo della richiamata disposizione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione), ma anche da qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 cod. civ., o di ente, con personalità giuridica o operante di fatto (Sez. 3, n. 30133 del 05/04/2017, Saldutti, Rv. 270323 – 01) e nel caso di gestione limitata alla liquidazione sociale.

9. Infine, non ha miglior sorte la censura sulla illegittima subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena e il correlato motivo aggiunto.
Quanto a quest’ultimo motivo aggiunto, è sufficiente rilevare che l’intervenuto fallimento non costituisce circostanza impeditiva all’adempimento dell’obbligo a cui è subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, potendo, l’imputato adempiere munendosi delle opportune autorizzazioni da parte del curatore/giudice delegato per l’adempimento.
Quanto al primo profilo rileva, il Collegio, la legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena all’adempimento di un obbligo, quale l’eliminazione delle conseguenze dannose, ai sensi dell’art. 165 cod.pen., mediante bonifica del sito (Sez. 3, n. 35501 del 30/05/2003, Spadetto, Rv. 225881 – 01), ed è stato legittimamente disposto, tale obbligo, in conseguenza della ritenuta responsabilità in capo all’imputato del deposito incontrollato, con riguardo a tutti i rifiuti, e ciò in attuazione del più generale principio secondo cui “chi inquina paga” di matrice comunitaria e nazionale.

10. Il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 04/06/2019