Consiglio di Stato Sez. IV n. 803 del 31 gennaio 2020
Rifiuti.Piano di adeguamento discariche

Il legislatore ha  previsto - in capo ai titolari di discariche autorizzate alla data di entrata in vigore della novella, ossia al 27 marzo 2003 – l’obbligo di presentazione di un piano di adeguamento, che contenga necessariamente anche le garanzie finanziarie. Queste ultime hanno la funzione di assicurare che le discariche, in tutto il loro ciclo di vita mantengano i requisiti minimi di sicurezza ambientale previsti dalla legge, ragion per cui le stesse sono parte integrante ed essenziale anche del piano di adeguamento disciplinato dall'art. 17 del d.lgs. n. 36 del 2003.


Pubblicato il 31/01/2020

N. 00803/2020REG.PROV.COLL.

N. 03479/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3479 del 2019, proposto dalla società Mediterranea Castelnuovo 2 s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Salvatore Paladini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Provincia di Lecce, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Giovanna Capoccia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Commissario Delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione Puglia e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell'ambiente per la Puglia, Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti, Regione Puglia, Azienda sanitaria locale di Lecce, Comune di Nardò, Comune di Cavallino non costituitisi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Lecce – sezione I, n. 1356 del 26 settembre 2018.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il consigliere Silvia Martino e uditi per le parti rispettivamente rappresentate l’avvocato Salvatore Paladini e l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellante, nella sua qualità di gestore dell’impianto di discarica controllata di 1^ categoria ubicata in Nardò in Contrada Castellino, impugnava innanzi al TAR per la Puglia, sezione staccata di Lecce, il provvedimento – prot. n. 55859 del 4 giugno 2013 -con il quale la Provincia di Lecce l’aveva diffidata, ai sensi dell’art.208, comma 13 del d.lgs. n.152 del 2006 (c.d. codice dell’ambiente), ad eseguire una serie di interventi relativi alla discarica in oggetto propedeutici alla procedura di chiusura di cui all’art. 12 del d.lgs. n.36 del 3003.

Avverso tale provvedimento, la società articolata quattro mezzi di gravame, lamentando violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili.

1.1. L’impugnativa veniva poi estesa con motivi aggiunti alla determinazione dirigenziale n.2431 del 27 novembre 2013 con la quale la Provincia di Lecce aveva adottato una ulteriore diffida ex art.208 comma 13 del codice dell’ambiente in ordine agli incombenti di cui ai nn.3,4,5,6,7,8,9,10,11,12 della precedente diffida, rimasti inadempiuti.

1.2. In data 11 giugno 2014 il personale del Servizio Ambiente della Provincia di Lecce eseguiva un nuovo sopralluogo nella discarica di Castellino e, in data 23 luglio 2014, notificava alla società la determina dirigenziale del Servizio Ambiente della Provincia di Lecce n.319 del 7 luglio 2014 con la quale, dando atto del parziale adempimento del gestore alle precedenti diffide, veniva reiterata la diffida del 27 novembre 2013 limitatamente agli interventi di cui ai punti n.4 (in parte), n.7, n.11 e n.12.

Anche quest’atto veniva impugnato con (ulteriori) motivi aggiunti.

1.3. Con determinazione n.296 del 12 maggio 2015 la Provincia di Lecce adottava una nuova diffida ai sensi del più volte menzionato art.208 nella quale, tenuto anche conto della comunicazione della Celtica Energy s.r.l. - di cessazione delle attività di recupero energetico del biogas prodotto dalla discarica - e delle note del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 18 luglio 2014 - riguardanti lo schema di decreto ministeriale per la determinazione delle garanzie finanziarie elaborato a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.67 del 2014 - confermava la diffida n. 1425 del 7 luglio 2014, limitatamente ai seguenti punti:

4) trasmissione di idonea documentazione fotografica, attestante l’avvenuto ripristino dei tratti di geo membrana danneggiati dall’incendio lungo il lato Ovest della discarica;

7) completamento della copertura del primo catino della discarica (lotti I,II,III) in conformità dei progetti approvati dalla Provincia e alle disposizioni della deliberazione del Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984;

10) completamento del sistema di raccolta e trattamento delle acque meteoriche mediante la realizzazione di vasche denominate Y3 e le correlate canalette di raccolta; realizzazione di due pozzi di monitoraggio interni, con le modalità previste nella parte motiva di cui alle lettere b), c), d), f) del decreto Commissario Delegato n.207 del 2006 e l’individuazione di un ulteriore pozzo di monitoraggio esterno con le modalità di cui al punto e) della citata ordinanza;

12) installazione della stazione di monitoraggio dei dati meteo-climatici previsti nel piano di adeguamento al d.lgs. n. 36 del 2003;

13) prestazione delle garanzie finanziarie previste dall’art.14 comma 1 del d.lgs.36 del 2003, per la gestione della discarica, comprese le procedure di chiusura;

14) adeguamento della morfologia della discarica ai progetti di ampliamento e sopralzo approvati dal Commissario delegato;

15) trasmissione di una relazione tecnica attestante il corretto funzionamento della torcia di combustione del biogas residuo a seguito della dismissione dell’impianto di produzione di energia elettrica della Celtica Energy s.r.l., avvenuta il 15 aprile 2015.

1.4. Anche questo atto veniva avversato con motivi aggiunti, mediante i quali la società deduceva le censure che possono essere così sintetizzate.

I. Le prescrizioni nn. 4, 7, 10, 11 e 12 sarebbero state illegittime in quanto lo strumento di cui all’art. 208, comma 13, avrebbe l’esclusivo fine di porre rimedio a quelle violazioni suscettibili di concretizzare un imminente pericolo per la salute e per l’ambiente, nella fattispecie insussistente.

Quanto al punto 7, alcuni interventi erano effettivamente ancora da completare, ma ciò non sarebbe stato imputabile al gestore bensì all’arbitraria interruzione dei pagamenti da parte di alcuni dei Comuni conferitori per i quali erano in via di definizione le azioni giudiziarie avviate per il recupero dei costi di smaltimento.

Per quanto riguarda i punti 10, 11, e 12, si sarebbe trattato di opere la cui realizzazione era prevista dai progetti presentati dal gestore nella fase di post-gestione, che non era ancora iniziata.

In tal senso la società richiamava, in proprio favore, l’esito del giudizio penale definito dal Tribunale di Nardò con sentenza n. 150 del 2011.

Sarebbe stato comunque illogico ed inutile eseguire il richiesto completamento del sistema di raccolta delle acque meteoriche prima della prevista “sagomatura” della discarica.

Anche la realizzazione dei pozzi di monitoraggio era, a dire della società, un adempimento proprio della fase di post-gestione e di ripristino ambientale, secondo quanto previsto dal Piano di adeguamento al d.lgs. n. 36 del 2003 approvato dal Commissario Delegato con decreto n. 207/CD del 13 novembre 2006.

Del pari immotivata e ingiustificata doveva ritenersi la richiesta di installazione della centralina metereologica;

II. La richiesta di prestazione delle garanzie finanziarie era altresì in contrasto con la determinazione della Provincia di Lecce n. 319 del 7 luglio 2014, secondo la quale, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 67 del 2014 e nelle more della fissazione da parte dello Stato dei criteri per la determinazione delle garanzie finanziarie ai sensi dell’art. 195, comma 2, del d.lgs. n .152 del 2006, “non è possibile richiedere al gestore della discarica la prestazione delle garanzie finanziarie relative alle fasi di gestione e post-gestione”.

La società lamentava, in ogni caso, la violazione delle garanzie partecipative in relazione al procedimento che l’amministrazione provinciale aveva condotto per determinare le garanzie finanziarie. Quest’ultimo sarebbe stato illegittimo anche perché fondato su un semplice schema di decreto ministeriale, come pure illegittime sarebbero stato le istruzioni contenute nella nota del Ministero dell’Ambiente, del 18 luglio 2014, inviata a tutte le Regioni, laddove era stato previsto che le amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni avrebbero potuto caso per caso determinare in via sussidiaria gli importi delle garanzie in questione.

La ricorrente sosteneva altresì l’irragionevolezza di una richiesta di adeguamento ex post delle garanzie finanziarie per la fase di gestione di una discarica come quella di Castellino i cui conferimenti erano da tempo cessati;

III. Anche gli inadempimenti di cui ai punti 14 e 15 non comportavano un imminente pericolo per la salute e per l’ambiente. Inoltre, l’abbancamento dei rifiuti era sempre avvenuto in conformità alle autorizzazioni concesse dal Commissario Delegato. L’attuale irregolare conformazione della discarica non sarebbe stata da imputarsi a pregresse inosservanze del gestore, il quale stava comunque completando le varianti al progetto di chiusura precedentemente approvato; anche gli interventi conseguenti alla dismissione della torcia di combustione del biogas da parte della Celtica Enery s.r.l. erano in corso di esecuzione;

2. Nella resistenza della Provincia di Lecce, della ASL di Lecce e del Commissario Delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione Puglia, il TAR ha dichiarato il ricorso in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse - relativamente al ricorso introduttivo, nonché ai primi e secondi motivi aggiunti, risultando gli atti ivi impugnati venuti meno con riferimento alle prescrizioni non confermate nella citata determinazione n.296/2015 - ed infondato per il resto.

3. La società rimasta soccombente ha impugnato la suddetta pronuncia, sulla base delle deduzioni che possono essere così sintetizzate:

I. Falsa ed errata rappresentazione di fatto e di diritto. Errata e superficiale motivazione.

In primo luogo, la società si è doluta del fatto che il primo giudice non abbia concesso il chiesto rinvio dell’udienza di discussione. La questione sarebbe sintomatica della distorta lettura dei fatti di causa che sarebbe stata operata dal TAR, il quale ha ritenuto irrilevante le necessità, emersa nel “tavolo tecnico” del 7 maggio 2018 con la Provincia di Lecce, della presentazione di un nuovo progetto di “risagomatura” della discarica da parte del gestore.

L’appellante ha sottolineato che, al pari di tale progetto, anche gli altri adempimenti richiesti nelle diffide inviate dalla Provincia di Lecce oggetto di impugnativa erano stati decisi nell’ambito della Conferenza di Servizi indetta dalla Provincia di Lecce per discutere della procedura di chiusura ex art. 12 del d.lgs. n. 36 del 2003 della discarica di Castellino.

Gli enti convenuti al suddetto tavolo tecnico erano stati tutti concordi sulla necessità di una nuova proposta per la chiusura definitiva della discarica, in conformità al d.lgs. n. 36 del 2003 e tale da assicurare il corretto deflusso delle acque meteoriche. Il TAR non avrebbe perciò tenuto adeguatamente conto del fatto che sarebbe stato inutile eseguire opere relative ad un progetto del quale era stata successivamente chiesta l'integrale e sostanziale revisione. In tale ottica, il primo giudice avrebbe quindi dovuto non solo accogliere l’istanza di rinvio, ma anche valutare il superamento delle prescrizioni in precedenza imposte dalla Provincia;

II. Errata motivazione in relazione alla violazione delle regole partecipative del procedimento amministrativo. Errata interpretazione art. 208, comma 13 del d.lgs. n. 152 del 2006.

L’appellante ha nuovamente dedotto che le garanzie procedimentali avrebbe dovuto essere assicurate prima dell’adozione dello stesso atto di diffida.

In tal senso, sarebbe rilevante il fatto che la Provincia di Lecce, con i provvedimenti impugnati, abbia richiesto adempimento che, a dire della società, sono nuovi e/o modificativi di quanto previsto nelle vecchie autorizzazioni.

Il TAR non avrebbe poi considerato che la diffida di cui al comma 13 dell’art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006 è finalizzata a porre rimedio alle sole violazioni suscettibili di concretizzare un imminente pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente.

Le diffide impugnate in primo grado sarebbero state pertanto carenti anche sotto il profilo della motivazione e dell'istruttoria.

La società ha poi contestato il richiamo, fatto dal TAR, ai contenuti del controricorso della Provincia in primo grado e alla relazione del Servizio Ambiente, depositata in data 5 giugno 2017, poiché gli atti dei lavori della Conferenza di Servizi e i verbali di sopralluogo ivi citati non sono stati prodotti in giudizio dall’amministrazione resistente.

La Relazione degli Uffici rappresenterebbe poi un illegittima integrazione postuma della motivazione operata in sede di giudizio;

III. Errata e superficiale motivazione in relazione alla valutazione dei presupposti di fatto e di diritto per l’emanazione delle prescrizioni contenute nella diffida ex art. 208, comma 13, del d.lgs. n. 152 del 2006. Omessa pronuncia.

Riguardo alla prescrizione sub 7 (completamento della messa in sicurezza dei lotti I, II e III), la società ha ricordato che è lo stesso legislatore ad avere previsto che i costi delle operazioni per la definitiva messa in sicurezza della discarica debbono trovare copertura nel prezzo corrispettivo per lo smaltimento che devono versare i soggetti conferitori.

La società ha peraltro lamentato anche il fatto che né il Commissario Delegato né l’Autorità per la gestione dei rifiuti del bacino Le/2, abbiano approvato le nuove tariffe, con la conseguenza che è rimasta in vigore la tariffa approvata col progetto iniziale pari a € 33,57/Ton.

Al riguardo, la società rappresenta di avere proposto ricorso ex art. 117 c.p.a. allo stesso TAR di Lecce che, con sentenza n. 1897 del 2012, ha dichiarato l’obbligo delle amministrazioni intimate di pronunciarsi in forma espressa sull’istanza di rideterminazione delle tariffe.

Con riferimento alle prescrizioni sub nn. 10), 11) e 12 ha ribadito l’argomento secondo cui si tratterebbe di opere relative alla fase di post-gestione la quale ha inizio solo dopo il formale provvedimento di chiusura.

In tal senso ha richiamato la sentenza n. 150/2011 del Tribunale penale di Nardò.

Con riferimento alla prescrizione inerente la prestazione delle garanzie finanziarie, l’appellante ha ribadito che, a suo dire, dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 67 del 2 aprile 2014 non sarebbe più possibile chiedere al gestore di una discarica la prestazione delle garanzie finanziarie.

In ogni caso, nella fattispecie, la determinazione di queste ultime avrebbe dovuto essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, tenuto conto del fatto che al momento della diffida emanata nel 2015 il conferimento in discarica era già cessato da otto anni, e precisamente a decorrere dal 30 gennaio 2007 (in tal senso la società ha richiamato le ordinanze n. 40/CD del 31 luglio 2006 e n. 50/CD del 16 novembre 2006 del Commissario Delegato).

Sarebbe stata comunque irragionevole una richiesta di adeguamento ex post delle garanzie finanziarie, in relazione ad una discarica in cui i conferimenti erano cessati da più di otto anni, senza indicare i mezzi attraverso cu il gestore poteva farvi fronte.

Quanto alla prescrizione n. 13, con la quale era stato chiesto di “conformare la morfologia della discarica ai progetti di ampliamento e sopralzo approvati dal Commissario Delegato”, l’appellante ha ribadito che la stessa Provincia di Lecce, successivamente alla diffida, ha richiesto al gestore la presentazione di “una nuova proposta” per la chiusura definitiva della discarica, tale da assicurare il corretto deflusso delle acque meteoriche e garantire un'ottimale conduzione delle attività di post gestione.

La sentenza non sarebbe condivisibile anche nella parte in cui ritiene legittima la prescrizione riportata al punto 15 del predetto atto di diffida.

L'adempimento in essa richiesto e cioè “l'invio di una relazione tecnica attestante il corretto funzionamento della torcia di combustione del biogas residuo a seguito della dismissione dell'impianto di produzione di energia elettrica della Celtyica Energy Srl, avvenuta il 15.04.15” sarebbe infatti incompatibile con la funzione della diffida e comunque non evidenzierebbe alcun pregiudizio per la salute o per l’ambiente.;

IV. Violazione ed errata applicazione dei principi in tema di regolazione delle spese processuali. Violazione artt. 91 e 92 c.p.c..

La sentenza di primo grado avrebbe dovuto condannare la Provincia di Lecce alla rifusione quantomeno parziale delle spese del giudizio in favore della ricorrente ovvero, in subordine compensarle integralmente.

4. Si sono costituiti, per resistere, la Provincia di Lecce e il Commissario Delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione Puglia.

5. Con la memoria conclusionale, la società ha messo ancora una volta in luce che, sebbene le diffide impugnate richiamino l’esecuzione degli interventi così come previsti nel progetto di adeguamento al d.lgs. n. 36 del 2003, autorizzato dal Commissario Delegato con Decreto n. 207/CD del 13/11/2006, tuttavia i successivi progetti (in particolare, quello da ultimo sottoposto alla procedura di AIA), modificherebbero completamente quello in precedenza autorizzato, in particolare per quanto concerne la sagomatura della superficie estradossale .

6. L’appello è infine passato in decisione alla pubblica udienza del 12 dicembre 2019.

7. In via preliminare, rileva il Collegio che:

a) l’atto di appello ha violato il limite dimensionale massimo stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016, successivamente modificato dal decreto del 16 ottobre 2017; si tratta infatti di 40 pagine lorde, a fronte di un numero massimo di 35 pagine nette previste dal suddetto decreto (sulla rilevanza del dovere di chiarezza, specificità e sinteticità degli scritti difensivi e in particolare degli atti di impugnazione, cfr. Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 4413 del 20 luglio 2018; cfr. anche, Cass. civ., sez. un. 17 gennaio 2017, n. 964); né la parte, pur essendovi onerata, ha chiesto al Collegio l’autorizzazione postuma ex art. 7 d.P.C.S. n. 167 del 2016;

b) il capo della sentenza impugnata relativo alla declaratoria di improcedibilità del ricorso principale e dei primi due motivi aggiunti, non è stato impugnato dalla società, con la conseguente riemersione, in sede di appello, delle sole censure dedotte avverso la diffida prot. n. 296 del 12 maggio 2015.

8. Il primo mezzo di gravame è inammissibile, poiché con esso la società appellante ha impugnato una statuizione della sentenza (quella relativo al diniego di rinvio dell’udienza di discussione) che non ha natura decisoria bensì ordinatoria; come tale essa non ha l’attitudine a passare in giudicato e quindi a fondare la soccombenza, che costituisce presupposto indefettibile per appellare (cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. un., sentenza n. 27842 del 30 ottobre 2019; id., n. 24856 del 4 ottobre 2019; cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, ordinanza n. 1835 del 22 marzo 2018; id., 20 marzo 2018, n. 1759).

E’ bene precisare, al riguardo, che l’appellante non ha contestualmente dedotto la violazione del proprio diritto di difesa o alla integrità del contraddittorio, quale conseguenza del diniego di rinvio dell’udienza; di contro, il rinvio della trattazione del merito di una causa deve essere guardato di norma con sfavore perché in contrasto col principio, di rango costituzionale ed internazionale, della ragionevole durata del processo.

Risulta altresì evidente che la doglianza mira a fare valere, sub specie di invalidità sopravvenuta, circostanze successive al provvedimento impugnato (in particolare, le decisioni assunte nel tavolo tecnico del 7 maggio 2918); tanto in aperto contrasto con il principio “tempus regit actum”, secondo cui lo scrutinio di legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere effettuato avuto riguardo alle circostanze di fatto e diritto presenti al momento della sua emanazione (cfr., da ultimo, Corte cost., sentenza n. 76 del 13 aprile 2018; cfr. anche, Cons. Stato, sez. V, ordinanza n. 7587 del 6 novembre 2019).

9. Anche il quarto motivo di appello (con il quale l’appellante si lamenta della condanna alle spese del giudizio di I grado) è inammissibile (anche in considerazione della violazione del limite dimensionale dell’atto di appello come dianzi illustrato).

La regolazione delle spese costituisce infatti esercizio di potere discrezionale del giudice nel quadro di quanto prescritto dagli artt. 91 e ss. c.p.c., richiamati dall’art. 26 c.p.a..

Essa non è censurabile in sede di impugnazione se non in presenza di evidenti abnormità; inoltre, la compensazione delle spese costituisce l’eccezione rispetto alla regola della soccombenza (cfr. Corte cost. n. 77 del 2018; successivamente Cons. Stato, sez. III, n. 4275 del 2018; cfr. anche, sez. IV, n. 7224 del 24 dicembre 2018).

10. I restanti motivi di appello – il secondo ed il terzo che, in ragione della loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono infondati (tanto anche in considerazione della violazione del limite dimensionale dell’atto di appello, come dianzi illustrato, che comporta la parziale inutilizzabilità degli argomenti difensivi contenuti nelle pagine in eccesso).

Al riguardo, valga quanto segue.

10.1 In primo luogo, rileva il Collegio che la discarica di Castellino di Nardò è stata aperta nel 1991, sicché si sono susseguiti, nel corso del tempo, distinti provvedimenti di autorizzazione tra cui, da ultimo, il decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia, n. 207 del 13 giugno 2006, che ne ha approvato il Piano di adeguamento al d.lgs. n. 36 del 2003, nonché il decreto n. 50 del 16 novembre 2006, che ha autorizzato la prosecuzione transitoria dell’esercizio sino al 20 dicembre 2006.

Risulta poi dagli atti di causa che, sebbene i conferimenti nella discarica di Castellino di Nardò siano definitivamente cessati a partire dal 31 gennaio 2017, all’epoca di cui si verte non era ancora intervenuto il provvedimento di chiusura.

La procedura di chiusura, ai sensi dell’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2003 “può essere attuata solo dopo la verifica della conformità della morfologia della discarica e, in particolare, della capacità di allontanamento delle acque meteoriche, a quella prevista nel progetto di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a), tenuto conto di quanto indicato all'articolo 8, comma 1, lettere c) ed e)”.

Pertanto “La discarica, o una parte della stessa, è considerata definitivamente chiusa solo dopo che l'ente territoriale competente al rilascio dell'autorizzazione, di cui all'articolo 10, ha eseguito un'ispezione finale sul sito, ha valutato tutte le relazioni presentate dal gestore ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera l), e comunicato a quest'ultimo l'approvazione della chiusura. L'esito dell'ispezione non comporta, in alcun caso, una minore responsabilità per il gestore relativamente alle condizioni stabilite dall'autorizzazione. Anche dopo la chiusura definitiva della discarica, il gestore è responsabile della manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase di gestione post-operativa per tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare rischi per l'ambiente” (art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 36 del 2003).

Nel caso di specie, al fine di avviare la procedura di chiusura, è stata indetta una conferenza di servizi dalla Provincia di Lecce e sono stati altresì effettuati i sopralluoghi che hanno condotto al riscontro degli inadempimenti contestati con i provvedimenti di diffida impugnati in primo grado.

A tali diffide la società si è parzialmente adeguata, salvo che per quanto concerne, in particolare, il completamento del sistema di raccolta e trattamento delle acque meteoriche, dei pozzi e delle stazioni di monitoraggio, nonché la prestazione delle garanzie finanziarie.

Va sottolineato che si tratta, come testé evidenziato, di adempimenti essenziali ai fini del procedimento di chiusura.

In tal senso, rilevano il già richiamato art. 12 del d.lgs. n. 36 del 2003, ma anche l’art. 8, lett. i) del medesimo decreto, relativo al piano di sorveglianza e controllo nel quale devono essere indicate “tutte le misure necessarie per prevenire rischi d'incidenti causati dal funzionamento della discarica e per limitarne le conseguenze, sia in fase operativa che post-operativa, con particolare riferimento alle precauzioni adottate a tutela delle acque dall'inquinamento provocato da infiltrazioni di percolato nel terreno e alle altre misure di prevenzione e protezione contro qualsiasi danno all'ambiente” secondo le modalità “nella tabella 2, dell'allegato 2” del d..lgs. n. 36 del 2003.

Negli stessi termini è il successivo art. 13 secondo cui “1. Nella gestione e dopo la chiusura della discarica devono essere rispettati i tempi, le modalità, i criteri e le prescrizioni stabiliti dall'autorizzazione e dai piani di gestione operativa, post-operativa e di ripristino ambientale di cui all'articolo 8, comma 1, lettere g), h) e l), nonché le norme in materia di gestione dei rifiuti, di scarichi idrici e tutela delle acque, di emissioni in atmosfera, di rumore, di igiene e salubrità degli ambienti di lavoro, di sicurezza, e prevenzione incendi; deve, inoltre, essere assicurata la manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le opere funzionali ed impiantistiche della discarica.

2. La manutenzione, la sorveglianza e i controlli della discarica devono essere assicurati anche nella fase della gestione successiva alla chiusura, fino a che l'ente territoriale competente accerti che la discarica non comporta rischi per la salute e l'ambiente. In particolare, devono essere garantiti i controlli e le analisi del biogas, del percolato e delle acque di falda che possano essere interessate. [...]”.

Anche le garanzie finanziarie, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 163 del 2006 debbono essere prestate per tutto il ciclo di vita della discarica (attivazione, gestione operativa, procedure di chiusura e gestione successiva alla chiusura).

Le stesse vanno poi commisurate, “alla capacità autorizzata della discarica ed alla classificazione della stessa [...]” e specificamente, per quanto attiene alla gestione successiva alla chiusura, al “costo complessivo della gestione post-operativa” (art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2003).

La prestazione delle garanzie finanziarie (ivi comprese quelle relative alla fase di post-chiusura) è un presupposto per il rilascio dell’autorizzazione e l’esercizio della discarica (art. 9, comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 36 del 2003) come pure dell’approvazione del piano di adeguamento previsto dalle disposizioni transitorie di cui al successivo art. 17.

Nell’ipotesi in cui una discarica non sia più attiva ma non sia stata ancora definitivamente chiusa, permangono in capo al titolare dell’autorizzazione gli obblighi relativi alla corretta gestione dell’impianto e quindi al rispetto non solo delle prescrizioni dell’autorizzazione ma di tutta la normativa ambientale in materia di rifiuti, scarichi, acque ed emissioni nonché la manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le opere funzionali ed impiantistiche della discarica (cfr. l’art. 13 del d.lgs. n. 36/2003, testé riportato nonché, da ultimo, la sentenza di questo Consiglio, sez. V, n. 3585 dell’11 giugno 2018).

10.2. Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale testé evidenziato, risulta palesemente infondata la doglianza con cui la società torna a lamentarsi della pretesa violazione delle garanzie procedimentali.

Secondo quanto un tempo prescritto dall’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997 (e successivamente dall’art. 208, comma 13, del d.lgs. n. 152 del 2006), è infatti proprio attraverso la diffida che al gestore viene contestata l’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione, allo scopo di metterlo nelle condizioni di eliminare le violazioni riscontrate.

La diffida assolve quindi anche alla funzione di mezzo di comunicazione dell’avvio del procedimento destinato a culminare (o meno) nella statuizione sanzionatoria (della sospensione e/o della revoca) in modo da soddisfare le esigenze del giusto procedimento di cui all’art. 7, della l. n. 241 del 1990 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 giugno 2018, n. 3933; sez. V, 5 dicembre 2012, n.6238; sez. VI, 15 novembre 2010, n. 8049).

Va peraltro evidenziato che, nel caso in esame, il provvedimento impugnato con i terzi motivi aggiunti in primo grado è scaturito da un’articolata istruttoria che ha tenuto conto anche dei rilievi del gestore inoltrati a seguito delle precedenti diffide. Sicché, in definitiva, non si vede quale ulteriore e/o diversa interlocuzione avrebbe dovuto essergli assicurata.

Non è poi vero che tra i presupposti della diffida vi sia anche la sussistenza di una situazione di pericolo per la salute e per l’ambiente.

Al riguardo, è sufficiente rinviare alla formulazione testuale dell’art. 208, comma 13, del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo il quale “[...]in caso di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione l'autorità competente procede, secondo la gravità dell'infrazione:

a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze;

b) alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente;

c) alla revoca dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente”.

E’ quindi solo ai fini dell’eventuale provvedimento di sospensione dell’autorizzazione che è necessario l’accertamento di una situazione di pericolo mentre la stessa revoca del titolo è applicabile in due differenti e alternative ipotesi, la prima delle quali richiede esclusivamente l’accertamento dell’inadempimento delle prescrizioni imposte da specifica diffida (Cons. Stato, n. 3933 del 2018, cit.; sez. IV, sentenza n. 401 del 2013).

10.3. Relativamente al contenuto delle prescrizioni imposte, l’impugnativa muove dall’assunto secondo cui vi siano adempimenti ai quali il gestore deve assolvere soltanto nella fase di post – chiusura o che, comunque, presuppongono l’approvazione del progetto di “risagomatura” della discarica nella forma idonea all’allontanamento delle acque meteoriche.

Anche questo assunto è manifestamente infondato poiché si è visto che il gestore deve assicurare la sorveglianza e il controllo della discarica in tutto il ciclo di vita dell’impianto.

Nel caso di specie, l’appellante non ha comunque dato nessuna prova né del fatto che gli adempimenti contestatigli non corrispondessero a quelli previsti dai provvedimenti di autorizzazione richiamati nella diffida (in particolari dai decreti del decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia che si sono succeduti nel tempo), né comunque che gli stessi non fossero funzionali alla corretta procedura di chiusura.

Va da sé che l’inadempimento delle prescrizioni non può trovare alcuna giustificazione nel fatto che il gestore si sia trovato in difficoltà finanziarie per effetto dell’insolvenza dei Comuni conferitori, ovvero che le autorità compenti non abbiano (in thesi) tempestivamente adeguato le tariffe per il conferimento in discarica.

Nessuna di queste circostanze è infatti riconducibile a caso fortuito o forza maggiore, o comunque a circostanze di rilievo tale da neutralizzare ogni sforzo di diligenza del gestore, esonerandolo da responsabilità secondo il paradigma proprio delle obbligazioni contrattuali, applicabile anche a quelle derivanti dai provvedimenti autorizzatori di cui si verte, secondo la disciplina di fonte legale.

10.4. Per quanto concerne le prescrizioni relative alla realizzazione dei sistemi di convogliamento e trattamento delle acque meteoriche, dei pozzi di monitoraggio e della centralina meteoclimatica, non è nemmeno in contestazione il fatto che si tratti di adempimenti facenti parte integrante del Piano di sorveglianza e controllo della discarica approvato dal Commissario delegato.

Il sistema dei controlli è infatti previsto, ex lege, sia nelle fasi di esercizio operativo che di post chiusura (cfr., l’allegato 2, punto 5, al d.lgs. n. 36 del 2003).

Anche in questo caso, il rilievo secondo cui la Provincia avrebbe imposto misure inutili, o non ancora attuali, è rimasta priva di qualsivoglia supporto probatorio.

Lo stesso è a dirsi per la prescrizione relativa alla richiesta di verifica tecnica del corretto funzionamento della torcia di combustione del biogas residuo, non essendo stato in alcun modo dimostrato da parte del gestore che, dopo la dismissione dell’impianto di produzione di energia elettrica della Celtica Energy, tale operazione fosse inutile ai fini della messa in sicurezza della discarica.

10.5. Per quanto concerne la richiesta di prestazione delle garanzie finanziarie, di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 36 del 2003, va ricordato che, secondo l’art. 17, comma 1, del medesimo decreto “Le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui sono state autorizzate”.

Il comma 3 della medesima disposizione stabilisce che “Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il titolare dell'autorizzazione di cui al comma 1 o, su sua delega, il gestore della discarica, presenta all'autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle previsioni di cui al presente decreto, incluse le garanzie finanziarie di cui all’articolo 14”.

Il legislatore ha quindi previsto - in capo ai titolari di discariche autorizzate alla data di entrata in vigore della novella, ossia al 27 marzo 2003 – l’obbligo di presentazione di un piano di adeguamento, che contenga necessariamente anche le garanzie finanziarie.

Queste ultime, come già evidenziato, hanno la funzione di assicurare che le discariche, in tutto il loro ciclo di vita mantengano i requisiti minimi di sicurezza ambientale previsti dalla legge, ragion per cui le stesse sono parte integrante ed essenziale anche del piano di adeguamento disciplinato dal cit. art. 17 del d.lgs. n. 36 del 2003.

Nel caso di specie, la richiesta di prestazione delle garanzie finanziarie non è quindi riconducibile ad una determinazione, di natura discrezionale, della Provincia ma è una conseguenza derivante ex lege dall’intervenuta approvazione del Piano di adeguamento della discarica al d.lgs. n. 36 del 2003.

Su tale obbligo non ha poi inciso la sentenza della Corte costituzionale n. 67 del 2 aprile 2014, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.22 comma 2 della Regione Puglia n.39/2006, con il quale era stabilito che “la Regione provvede entro trenta giorni, in via transitoria, alla determinazione delle garanzie finanziarie per la gestione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti mediante adozione di apposito regolamento”.

Tale pronuncia si è infatti limitata a rilevare che, secondo l’art. 195, comma 2, lett. g), del d.lg. n. 152 del 2006, rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei requisiti e delle capacità tecniche e finanziarie per l’esercizio delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresi i criteri generali per la determinazione delle garanzie finanziarie in favore delle regioni.

L’intervento della Corte non ha quindi eliso l’obbligo di prestazione delle garanzie, previsto dalla normativa in precedenza esaminata come condicio sine qua non per l’attivazione, gestione e chiusura della discarica.

Nella fattispecie, va poi soggiunto che l’appellante non ha nemmeno formulato specifiche critiche né in merito alle istruzioni diramate dal Ministero dell’Ambiente dopo la citata pronuncia della Corte Costituzionale, né in ordine alla concrete modalità di computo delle garanzie, lamentando specificamente soltanto il fatto che esse non potrebbero essere determinate, e quindi richieste, prima dell’approvazione del quadro finanziario del progetto di “risagomatura” della discarica.

Si è però già visto che la fonte primaria è chiara nel richiedere la prestazione delle garanzie, anche per la fase di post chiusura, all’atto dell’autorizzazione della discarica, ovvero in occasione dell’approvazione del piano di adeguamento al d.lgs. n. 36 del 2003.

Tale adempimento non può essere quindi posticipato a discrezione del gestore, né risultare condizionato dalle sue scelte imprenditoriali, tantomeno quando queste ultime si concretizzino, di fatto, nell’inadempimento di attività propedeutiche alla corretta chiusura della discarica.

11. Per quanto testé argomentato, l’appello deve essere respinto, con la conseguente integrale conferma della sentenza impugnata.

12. Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in base ai criteri sanciti dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e dal regolamento n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, n. 3479 del 2019, di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la società appellante alla rifusione delle spese del grado che liquida in complessivi euro 7.000,00 (settemila/00) oltre gli accessori di legge (I.V.A., C:P.A. e spese generali al 15%), se dovuti, in favore della Provincia di Lecce, e in complessivi euro 7.000,00 (settemila/00) oltre gli accessori di legge (I.V.A., C:P.A. e spese generali al 15%), se dovuti, in favore delle amministrazioni difese dall’Avvocatura dello Stato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2019 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Giuseppa Carluccio, Consigliere