Cass. Sez. III n. 52633 del 20 novembre 2017 (Ud 17 mag 2017)
Presidente: Amoresano Estensore: Macrì Imputato: Cipolla
Rifiuti.Concorso tra i reati di associazione per delinquere e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti

E’ configurabile il concorso tra i reati di associazione per delinquere (art. 416 cod. pen.) e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 d.Lgs. n. 152 del 2006), in quanto tra le rispettive fattispecie non sussiste un rapporto di specialità, trattandosi di reati che presentano oggettività giuridiche ed elementi costitutivi diversi, caratterizzandosi il primo per una organizzazione anche minima di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti in modo da turbare l'ordine pubblico, e il secondo per l'allestimento di mezzi e attività continuative e per il compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti così da esporre a pericolo la pubblica incolumità e la tutela dell'ambiente.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'Appello di Caltanissetta con sentenza in data 27.9.2016, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Caltanissetta in data 14.10.2014, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Cipolla Virginia Maria Rita, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Trade Com S.r.l., Sferrazza Claudio Maria, Sferrazza Luigi e Sferrazza Maria Rita, in proprio e nella qualità di titolare dell'impresa individuale omonima, per i reati di cui ai capi b) e d), perché estinti per intervenuta prescrizione; ha dichiarato non punibile la ditta individuale Sferrazza Maria Rita per l'illecito amministrativo dipendente dal reato alla medesima ascritto; ha ridotto la pena agli imputati per i residui reati, con la continuazione, ad anni 3, mesi 2 di reclusione ciascuno, con conferma dell'impugnata sentenza per il resto.

1.1. Oggetto del presente ricorso per cassazione sono quindi i reati di cui ai capi A), l'associazione dell'art. 416 c.p. al fine di commettere i reati di raccolta, smaltimento e traffico illecito di rifiuti, in Caltanissetta in data antecedente e prossima al marzo 2009 e fino al dicembre 2009 (capo d'imputazione così modificato all'udienza del 13.5.2013) e C), il concorso nella gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti, mediante cessione, ricezione e trasporto, ai sensi degli art. 110 c.p. e 260, d. Lgs. 152/06, in Caltanissetta dal marzo al dicembre 2009. 2. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all'applicazione degli art. 416 c.p. e 260 T.U.A. La sentenza avrebbe dovuto spiegare in base a quali prove aveva ritenuto la sussistenza degli elementi di differenziazione tra le due fattispecie di reato, ed in particolare degli elementi del delitto associativo, tanto più che si era in presenza di società regolarmente costituite, operanti nel settore, fornite di ampie autorizzazioni, che commerciavano in materiale edilizio e che il conferimento dei rifiuti era nelle pertinenze, a cielo aperto e facilmente constatabile.
La sentenza era contraddittoria nella misura in cui, da un lato, aveva riconosciuto l'insufficienza dei rapporti familiari ed imprenditoriali a comprovare il reato associativo e, dall'altro, ne aveva ritenuto la sussistenza in modo apodittico. Con il secondo motivo, deducono la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all'art. 260 T.U.A., perché i Giudici di merito non avevano compiuto alcun accertamento sull'ingente quantitativo di rifiuti.
Evidenziano una serie di elementi di fatto a proprio favore, non considerati: a) la ditta era titolare di ampie e numerose autorizzazioni al ritiro di rifiuto, sfabbricidi e tanto altro materiale usato nonché al trattamento dell'amianto, alla commercializzazione di materiali edilizi nuovi ed usati, che si trovavano legittimamente nell'area di pertinenza; b) il sito ove si trovavano gli sfabbricidi era a cielo aperto e perfettamente visibile e accessibile a chiunque; c) il mezzo utilizzato per il trasporto e lo scarico era uno solo, un autocarro Fiat 80 E18; d) la portata massima di tale mezzo era inferiore ai 30 quintali, sicché, anche a viaggiare a pieno carico, la quantità complessiva di materiale era di poche decine di tonnellate nell'arco di un mese; e) non era stata valutata l'ingente quantità in prospettiva, considerato l'andamento altalenante dell'edilizia locale; f) non erano stati effettuati carotaggi o analisi sulla scarpata, né verificato se, in precedenza, altri aveva scaricato in quell'area sfabbricidi o altro; g) non si era verificato alcun inquinamento delle falde acquifere; h) anche il terreno e l'ambiente non erano risultati compromessi se si considerava che era stato possibile effettuare una rapida e completa bonifica a loro cura e spese. L'omessa valutazione di tutti tali elementi avrebbe dovuto portare ad escludere il reato contestato.
Con il terzo motivo, censurano la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 62, n. 6, c.p., perché, a fronte della richiesta di applicazione dell'attenuante, stante l'eliminazione dal sito di tutto quello che era stato classificato con codice CER dell'ARPA, la Corte territoriale aveva negato l'attenuante definendo l'attività espletata come doverosa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato quanto ai primi due motivi di ricorso e fondato quanto al terzo.

3.1. Con riferimento alle doglianze di merito, la motivazione è solida e congrua perché la Corte territoriale ha valutato che, nel caso di specie, le strutture familiari ed imprenditoriali (sovrapponibili) si erano poste al servizio del programma di realizzazione di una serie indefinita di reati-fine ed era perciò rilevante l'individuazione in concreto del ruolo di ciascuno nella prospettiva dell'attuazione del programma criminoso.
Dopo aver dato conto delle risultanze investigative che si erano avvantaggiate del gps sul camion (che aveva registrato i movimenti di scarico), della documentazione fotografica relativa alla discarica, degli accertamenti dell'ARPA relativi al rinvenimento di rifiuti pericolosi (tra i quali eternit, batterie, gomme, residui di demolizioni), dei FIR che avevano consentito i riscontri, ha osservato: a) che il camion caricava i rifiuti speciali e li smaltiva illecitamente nell'area dove poi venivano compattati svolgendo un'attività sistematica che impiegava mezzi ed immobili delle due imprese, con il chiaro obiettivo di abbattere notevolmente i costi e realizzare agevolmente il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti anche senza l'osservanza delle norme a tutela dell'ambiente; b) che l'attività era stata sistematica e dettagliatamente organizzata con suddivisione dei ruoli, tutti passati in rassegna nella sentenza; c) che i movimenti dei rifiuti illeciti erano stati 44 anche se il consulente di parte aveva affermato la sovrapponibilità di 17 di questi movimenti, numero di per sé assai rilevante e compatibile con la realizzazione sistematica di un programma criminoso.
Sul punto, deve quindi rilevarsi che la Corte territoriale ha fatto buon governo del principio di diritto già affermato da questa Sezione, con sentenza n. 5773/14, Napolitano, Rv 258906, secondo cui è configurabile il concorso tra i reati di associazione per delinquere (art. 416 cod. pen.) e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 d.Lgs. n. 152 del 2006), in quanto tra le rispettive fattispecie non sussiste un rapporto di specialità, trattandosi di reati che presentano oggettività giuridiche ed elementi costitutivi diversi, caratterizzandosi il primo per una organizzazione anche minima di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti in modo da turbare l'ordine pubblico, e il secondo per l'allestimento di mezzi e attività continuative e per il compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti così da esporre a pericolo la pubblica incolumità e la tutela dell'ambiente.
Tale principio va in questa sede ribadito.
Con riferimento al terzo motivo, invece, il ricorso è fondato. La Corte territoriale ha ritenuto che nessun concreto elemento poteva giustificare l'applicazione delle circostanze attenuanti perché la bonifica del sito non integrava la circostanza dell'art. 62, n. 6, c.p.p., trattandosi di attività doverosa.
Tale spiegazione non convince. Ed invero, la Corte avrebbe dovuto accertare se, prima del giudizio, il danno era stato riparato interamente o se l'autore si fosse adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Al fine, va richiamato e ribadito l'orientamento di questa Sezione già consolidatosi per i reati edilizi, secondo cui l'attenuante è sempre applicabile, quando l'abbattimento (attività pur essa "doverosa") sia stato eseguito volontariamente prima o in assenza dell'ordinanza sindacale, e comunque prima dell'inizio del giudizio (Cass., Sez. 3, n. 29991/11, Crisà, Rv 251025, n. 15731/16, Ledda, Rv 266585; si veda altresì n. 41518/10, Bove, Rv 248745).
In definitiva, va disposto l'annullamento con rinvio solo rispetto all'applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, c.p., ai fini del trattamento sanzionatorio, mentre va dichiarato irrevocabile l'accertamento della responsabilità penale per i reati residui, ai sensi dell'art. 624 c.p.p.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente alla concedibilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. e rinvia ad altra Sezione della Corte dì Appello di Caltanissetta.
Rigetta nel resto i ricorsi.

Così deciso, il 17 maggio 2017.