Le misure straordinarie e urgenti in materia ambientale decreto ancora in conversione

di Alberto PIEROBON

(pubblicato in Gazzetta enti locali on line in data 19 marzo 2012)

 

Quanto è leggibile nei lavori di conversione del d.l. 25.1.2012, n. 2 recante “Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale” è davvero sintomatico di quanto sta accadendo in questa nostra Italia, in questo nostra sofferta epoca.

Chi voglia infliggersi la lettura del disegno di legge Camera dei Deputati n. 4999, approvato dal Senato della Repubblica il 23 febbraio 2012 (tutto naturalmente accessibile nei siti parlamentari), noterà come le numerose modifiche apportate, in sede di conversione, al decreto-legge in parola, costituiscano in realtà l’occasione (corsara) per rimaneggiare (“di brutto” direbbe qualcuno, usando un linguaggio intonato alla rozzezza dei mass media e dei suoi amanti frequentatori) il codice ambientale, approfittando (se ci si concede la franchezza) sempre di emergenze (rectius, misure straordinarie e urgenze) che tali non sono, per assaltare il fortino democratico (se ancora non è capitolato, o se mai è esistito) e portare la legge a spasso tra commissioni e colpi di fiducia.

Per vero qui, come abbiamo già notato (1), la tecnica diventa spesso uno strumento politico, dove il politico ridefinisce i confini della tecnica e, così pure, il proprio campo, e qui riscontriamo il segno di colpi di emendamenti e/o di modifiche talvolta frutto di laboriose negoziazioni e/o  di concordamenti tra la politica partitica e la politica tecnica.
Andando, come si suol dire… al pratico, rassegniamo, di seguito, le disposizioni del disegno di legge (nella versione “originaria”, ed in quella che sarà sottoposta all’approvazione del Senato in questi giorni).

L’art. 1 (Interventi in materia di rifiuti nella regione Campania) conferma una disciplina derogatoria e di favore “per garantire la complementare dotazione impiantistica ai processi di lavorazione”, sia come soggetti (sono previsti commissari), sia come procedure (vedi per esempio sulle espropriazioni, sull’AIA integrata nella VIA, ecc.), sia sui termini (che vengono dilatati). Il comma 2-bis dopo il tentativo di portare alla Conferenza Stato-regioni-province autonome un accordo interregionale per lo smaltimento dei rifiuti campani in altre regioni, torna ad affermare (come fa il codice ambientale) la necessità di una previa intesa tra la regione Campania e la regione interessata (si veda l’art. 182 – smaltimento dei rifiuti, comma 3, come modificato dal comma 1 dell’art. 8 del d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205) ove “È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano”. Quindi il recupero extraregionale viene permesso, perché qui rileva l’autosufficienza bacinale per lo smaltimento (vedasi però anche il principio di specializzazione, per cui i rifiuti pericolosi potrebbero essere più utilmente e vantaggiosamente smaltiti in impianti fuori regione). Insomma, il principio dell’autosufficienza va valutato non assiomaticamente.  La richiesta del Comune di Napoli e della Regione Campania di evitare l’obbligatorietà della trattativa con le singole regioni per conferire i propri rifiuti in impianti extraregionali, com’è noto, cade in una contingenza che vede pendere l’infrazione della Unione Europea sulla gestione dei rifiuti campani. E qui il giuridico passa la parola al politico, o, come la si voglia intendere, il giuridico mostra la sua parte politica e viceversa. Così il Ministro dell’Ambiente afferma che “i rifiuti napoletani vanno in Olanda perché a Napoli non hanno fatto il termovalorizzatore e questo dovrebbe far pensare. La preoccupazione di dover ricevere i rifiuti non è solo della Lega, ma di tutte le regioni del Nord. Con grande impegno stiamo accompagnando la Campania a uscire dall’emergenza”, dall’altra il sindaco di Napoli tuona che così si compromette il lavoro che sta facendo Napoli per uscire dalle note criticità, e così via (2). Addirittura le ipotesi o interpretazioni di soccorso sembrano non mancare, per esempio “Il Consiglio di Stato ha chiesto al governo di dare entro giugno il suo parere sulla natura “speciale” dei rifiuti campani. In questo lasso di tempo i singoli impianti potrebbero continuare a accettare autonomamente i rifiuti campani. Ma le rispettive Regioni potrebbero cominciare a contestare il traffico sulla base del decreto” (3).

Ma questa è, evidentemente, una altra storia, che merita altri approfondimenti… (4).

Il comma 3-bis modifica l’art. 180, comma 1-bis del codice ambientale sul programma nazionale di prevenzione dei rifiuti (integrato con i piani di gestione dei rifiuti regionali ex art. 199 del medesimo codice) con obbligo del ministro dell’ambiente di presentare alle Camere una relazione annuale sull’aggiornamento del programma di cui trattasi, “contenente anche l’indicazione dei risultati raggiunti e delle eventuali criticità registrate nel perseguimento degli obiettivi di prevenzione dei rifiuti”.

Il comma 3-ter, richiamando l’art. 195 del codice ambientale “al fine di assicurare l’integrale attuazione delle disposizioni dettate” “e di prevenire il determinarsi di situazioni di emergenza nel territorio nazionale connesse all’insufficienza dei sistemi e dei criteri di gestione del ciclo dei rifiuti” indica nel Ministro dell’Ambiente, sentita la Conferenza Stato-regioni-provincie AA, colui che relaziona annualmente alle Camere e individua le “eventuali situazioni di criticità e delle misure atte a fronteggiarle”. Anche qui sarebbe utile intrattenersi sull’emergenza e sui termini qui utilizzati (anche in senso causale) cioè i sistemi e i criteri di gestione che qualora apprezzati come “insufficienti” vengono connessi all’emergenza… in altre parole, si dà atto che la programmazione e pianificazione possono considerarsi linde e pure, mentre sono i “sistemi” di gestione ed i loro criteri che possono essere messi alla gogna. Chi ha esperienza sa che così non è, o almeno così solo non può essere…, ma –anche qui - ci riserviamo di sviluppare più veracemente questi aspetti.
L’articolo 1-bis, dai lavori (5) originariamente recava “misure in tema di rifiuti di attività agricole e di materiali vegetali, agricoli e forestali”, modificando il codice ambientale: l’art. 183 (definizioni), comma 1 (inserendo la lettera ff-bis “digestato da non rifiuto”) e l’art. 185 (limiti al campo di applicazione) circa i requisiti di sottoprodotto (art. 184-bis) per il riutilizzo come produzione di energia della biomassa derivante dalla manutenzione del verde pubblico  e privato, anche corroborando in modo “incrociato” siffatta nuova disciplina (vedasi le modifiche che, lette assieme, “blindavano” la previsione normativa). Il che conferma come la lettura della disciplina sui rifiuti (ambientale in genere) necessiti di non fermarsi alle definizioni, ma di leggere a contrario dalle esclusioni e poi ancora riandando alle nozioni per relationem o alle connessioni con discipline più specifiche che aprono altre porte, una volta varcato il confine delle definizioni e pure delle non definizioni.

Il comma 2 interveniva sull’art. 39 del d.lgs. n. 205/2010, avendo a riferimento la disciplina dei trasporti di rifiuti effettuati dagli imprenditori agricoli, spostando i termini (ampliandoli), allargando la soglia della tolleranza di peso/volume dai 100 kg/lt ai 300 kg/lt e con una previsione particolarissima (comma 9-bis) per i trasporti dei rifiuti (pericolosi e non) di produzione degli imprenditori agricoli che venivano considerati fuori dalla necessarietà di iscrizione all’Albo e pure dalla gestione professionale. Il problema sembra rilevare per gli agricoltori che dispongono di un terreno ubicato nei pressi della sede aziendale e sul quale terreno svolgono attività agricola. Infatti, talvolta gli organi di controllo hanno irrogato sanzioni per violazioni alla disciplina sul trasporto di rifiuti (per esempio in occasione di trasporto dei contenitori di fitofarmaci vuoti, peraltro considerati pericolosi). Rimane fermo che la formulazione come proposta (e per fortuna ora espunta) poneva in  discussione alcune nozioni, per esempio quella del deposito temporaneo; la controversa nozione di “deposito temporaneo collettivo” (idea geniale sotto un profilo teorico, che poi cercava di mettere radici e di stare giuridicamente in piedi tramite gli accordi di programma, onde semplificare la vita agli agricoltori) inoltre è opinabile la distanza prevista dei dieci chilometri (misurata come? Probabilmente con il criterio utilizzato per il km zero per le fonti energetiche da biomassa, ovvero in linea d’aria?). Ma…anche qui  la tematica merita, da parte nostra, un apposito focus.

Il comma 3 introduceva una disciplina speciale, applicabile “Nelle isole con popolazione residente inferiore a 15.000 abitanti” ove veniva consentito l’utilizzo (nel luogo di produzione o in latro luogo idoneo limitrofo) di paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso “nei limiti delle loro proprietà fertilizzanti scientificamente riconosciute”, ecc.

Il comma 4 facoltizzava la rimozione e l’utilizzo per la produzione di energia, o per il riutilizzo a fini agricoli, delle biomasse vegetali di origine marina e lacustre spiaggiate lungo i litorali, a determinate condizioni, anche qui col grilletto del passepartout del sottoprodotto (art. 184-bis).

L’articolo 1-terTrattamento di rifiuti tramite compostaggio aerobico e digestione anaerobica” escludeva dalle autorizzazioni (art. 208 e seguenti del codice ambientale) le attività di trattamento tramite compostaggio aerobico o digestione anaerobica dei rifiuti urbani organici biodegradabili a certune condizioni (lettere a)-d)) che specificavano quali rifiuti (biodegradabili di cucine e mense e quelli, parimenti biodegradabili, prodotti da parchi e giardini), la quantità totale annua, il territorio di trattamento con esistenza di apposita convenzione, lo stoccaggio temporale previsto per i diversi rifiuti. Inoltre, al comma 2, si prevedeva che per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, la realizzazione e l’esercizio di tali impianti fossero soggetti a denuncia di inizio attività (DIA).

L’art. 1-quater riguardava le “Misure in tema di realizzazione di impianti nella regione Campania” ed ha ora trovato numerazione (collocazione) all’art. 1-bis. Quivi si interviene,ancora una volta, sulla decretazione emergenziale del 2008 (e quella successivamente adottata), ampliando i termini ed introducendo talune specificazioni.
L’art. 2 concerne le “Disposizioni in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci nel rispetto dell’ambiente”, confermando che l’Italia non riesce a rispettare i termini che si dà essa stessa, nonostante proroghe e rinvii, cercando di eludere il divieto di commercializzazione di questi sacchi introducendo specifiche (regole) tecniche che rispondono a logiche perlopiù mercatistiche e industriali, evitando (almeno questo sperano in molti) una caduta di occupazione. In quella sede si rinviava a decreti ministeriali (sentite le Commissioni parlamentari, con il che si conferma che i nostri parlamentari non hanno abdicato alla tecnica: non vogliamo qui valutare se bene o male, ci limitiamo a registrare questo aspetto) per individuare, anche successivamente, ulteriori caratteristiche tecniche ed informazioni ai consumatori. Il comma terzo prevedeva  che in caso di utilizzo per la costruzione dei sacchi di materiale plastico da raccolta differenziata doveva sentirsi il Corepla e le associazioni dei produttori, il che la dice lunga su come la tecnica di fabbricazione cambia a seconda del risultato che si vuole ottenere, indipendentemente da logiche sanitarie o alimentari di altri organi (quali l’istituto superiore di sanità, ecc.). Vengono poi adeguate le sanzioni , precisando l’applicazione della depenalizzazione (legge 24.11.1981, n. 689), ecc.

L’articolo 3 riguarda la “Interpretazione autentica dell’articolo 185” del codice ambientale “disposizioni in materia di matrici materiali di riporto e ulteriori disposizioni in materia di rifiuti”, qui le definizioni di “suolo” (art. 185, comma 1, lett. b)-c) e comma 4) “si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV” del codice ambientale. E poi vengono definite (con un meccanismo “ a cannocchiale”, che rinvia ad altre “coeve” discipline) cosa sono queste matrici, ovvero si intendono esse dei “materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di cui all’articolo 49 del d.l. 24.1.2012, n. 1, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei” e poi, ecco (comma 3), di nuovo la leva del sottoprodotto per far uscire a certe condizioni (l’ineffabile art. 184-bis) le matrici ambientali di riporto… e, ancora, si interviene nella parte bonifiche, cioè sulle definizioni di cui all’art. 240 dove, coerentemente alla scelta operata nell’art. 185, il suolo considera anche questi materiali di riporto come attratti al suolo, incorporandosi così definizione e materialità e quind’anche le attività (e loro qualificazioni) attratte dall’oggetto. In altri termini: i soggetti e le attività cambiano con l’oggetto, in un riflesso ascendente che illumina diversamente la disciplina portandola al fuori rifiuto (questo l’obiettivo). Anche gli allegati vanno, di conseguenza, opportunamente coerentizzati, per cui all’art. 264 (abrogazione di norme) si prevede un nuovo comma ove le integrazioni e le modifiche agli allegati alle norme in materia di gestione di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati  provvede il ministro con decreto, di concerto con altri, previo parere Ispra e sentita la Conferenza Stato-regioni-province autonome.

Originariamente, l’art. 3 si intratteneva anche  su altri argomenti.

Per esempio i commi 5 e 6 di questo articolo 3, intervenivano sull’art. 182-ter (rifiuti organici) considerando la (sempre imminente) soppressione delle Autorità d'ambito territoriale ottimale (A. d’ATO) prevedendo che ai loro adempimenti potessero provvedere le regioni con “le autorità competenti individuate ai sensi dell’art. 2, comma 186-bis della legge 23 dicembre 2009, n. 191”. Venivano, poi, specificate all’art. 183, comma 1, la definizione di rifiuti organici e l’autocompostaggio… anche, sulla scia della esternalizzazione delle fonti normative e di una loro specializzazione, con rinvio alle norme tecniche (UNI EN 13432:2002).

Il comma 7 inseriva un nuovo comma all’art. 187 (divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi) al fine di prorogare gli effetti delle autorizzazioni in essere riguardanti gli impianti di miscelazione di rifiuti speciali, permettendo col comma 9, che sostituisce l’art. 216-bis, la miscelazione degli oli usati nel rispetto dei requisiti indicati nella norma.
Il comma 8 aggiungeva il comma 3-bis all’art. 205 (misure per incrementare la raccolta differenziata)  consentendo la raccolta di materiali o indumenti usati ceduti da privati da parte delle associazioni di volontariato da destinare al riutilizzo e alla raccolta differenziata, il tutto previa convenzione con i comuni che consideravano questo intercetto ai fini degli obiettivi della raccolta differenziata (classica operazione di cosmesi statistica: nulla cambia in realtà, perché questi indumenti sono tutt’ora presi in carico da operatori non venendo “anagrafati” come rifiuti, ora si prevede che nel calcolo delle percentuali di raccolta differenziata questi indumenti rientrino, anche se essi indumenti sono - nella stragrande maggioranza dei casi - già ripresi da qualcuno…).

Il comma 11 dell’art. 3 escludeva (vedi d.lgs. 23 febbraio 2010, n. 49) dalla definizione di alluvione gli allagamenti causati da impianti fognari al fine di adeguare la norma nazionale a quanto disposto nella disciplina comunitaria.

Il comma 12, sempre dell’art. 3, estendeva la facoltà, per i comuni, di applicare la tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (in vigore dal 2013) per i comuni “che hanno realizzato sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso”. Quindi non solo per i comuni che adottavano sistemi puntuali (come prevede la norma istitutiva, ovvero l’art. 14 del decreto legge n. 201 del 2011) ma pure per quelli che applicano sistemi di fatto a fiscalità locale, quale l’art. 65, comma 1 del d.lgs. n. 507 del 1993, utilizzando un po’ di strumenti amministrativi per supportare questa “deroga”…

Nel prossimo commento proseguiremo (e completeremo), l’analisi del decreto (che dovrebbe venire nel frattempo convertito  in legge) richiamando ancora  - quale istruttivo esercizio di lettura - le parti per ora “obliate” (ma che erano state fortemente inserite nei lavori di cui trattasi), per finire la nostra rapida analisi con l’importante (ancorché modificato rispetto alla formulazione introdotta in sede di commissione) questione della pericolosità del rifiuto di cui al comma 6 dell’art. 3, dell’attuale versione del disegno di legge sottoposto all’approvazione del Senato.

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(1) Cfr. A. Pierobon, Nuovo Manuale di diritto e gestione ambientale, Rimini, 2012, p. 1663, in particolare la nota 2.

(2) Si veda articolo di R. Fuccillo, in “La Repubblica”, Cronaca di Napoli, 16.3.2012.
(3) Ibidem.

(4) Vedi anche F. Geremicca, Rifiuti, grande business per i privati, in “Corriere del Mezzogiorno”, 17.3.2012, preceduto dal titoletto: Il caso. La spazzatura campana viene inviata in diversi impianti in tutto il territorio italiano ed estero con un costo medio di 100 euro a tonnellata. Si noti come “il termovalorizzatore di Trieste impone una tariffa di cento euro a tonnellata, gli olandesi 45”. Qui ovviamente sarebbe da entrare nel merito della bontà merceologica e di altro, ma che molti approfittino della emergenza per lucrare tariffe più pingui non è certo una novità, né in Campania, né altrove. Piuttosto sono le ragnatele dei controllori e le cointeressenze tra diversi potentati che andrebbero meglio capite…
(5) Si veda, ancora, il disegno di legge Camera dei Deputati, n. 4999,  approvato dal Senato il 23.2.2012. Per una disamina sui rifiuti agricoli si rinvia a A.M.PROSPERONI, La gestione dei rifiuti in agricoltura, Nuovo Manuale..cit.,pagg. 347-383.