Cass. Sez. III n. 19665 del 19 maggio 2022 (UP 27 apr 2022)
Pres. Ramacci Est. Di Stasi Ric. Romanello
Ecodelitti.Natura del delitto di attività organizzate per il traffico di rifiuti

Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo. La gestione dei rifiuti integrante il reato in esame deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio e tale attività deve essere "abusiva", ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute), o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazioni stesse.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 01/06/2021, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del 15/07/2020 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato gli attuali ricorrenti Romanello Angelo, Assanelli Maurizio e Frustillo Daniele responsabili dei reati di cui agli artt. 416., 110, 452-quaterdecies, 484, 512-bis, cod.pen, 110 cod.pen-256, commi 1,3,4 d.lgs 152/2006 come rispettivamente contestati e li aveva condannati alla pene ritenute di giustizia, escludeva per tutti la continuazione interna relativamente al capo 2) dell’imputazione, assolveva Assanelli Maurizio dal reato di cui al capo 16) dell’imputazione e rideterminava le pene in anni tre, mesi 11 e giorni 10 per Frustillo Daniele, anni 1, mesi sei e giorni 20 per Assanelli Maurizio e anni 5, mesi quattro e giorni 20 di reclusione per Romanello Angelo.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Romanello Angelo, Assanelli Maurizio e Frustillo Daniele, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, chiedendone l’annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati.
Assanelli Maurizio propone un unico motivo di ricorso, con il quale deduce vizio di motivazione in relazione al primo motivo di appello.
Argomenta che la Corte territoriale aveva confermato l’affermazione di responsabilità basandosi solo su due conversazioni telefoniche e su due fotogrammi estrapolati dalle videoregistrazioni effettuate dal NIPAF di Milano durante le indagini; in sostanza venivano riportate in sentenza risultanze istruttorie relative a Stefano Assanelli e non a Maurizio Assanelli ed era carente la motivazione in relazione alla questione della incompatibilità della condotta occasionale con il livello di consapevolezza e partecipazione alle azioni del fratello Stefano.
Frustillo Daniele propone tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 452-quaterdecies e vizio di motivazione.
Argomenta che la Corte territoriale aveva confermato l’affermazione di responsabilità dei reati di cui ai capi 1) e 2) dell’imputazione, affermando in maniera apodittica che il Frustillo sarebbe stato l’alter ego dell’amministratore della SMR Ecologia srl, mentre era emerso che il predetto svolgeva solo mansioni esecutive; le diverse dichiarazioni rese dal Molinari era state dettate dalla volontà di ridimensionare la sua responsabilità; la motivazione della Corte territoriale era illogica anche in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico perché non era stato specificato quale sarebbe stato il profitto ingiusto acquisito dal Frustillo; infine, la Corte territoriale aveva ritenuto in maniera contraddittoria che il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod.pen. era un reato abituale senza, però, assorbire il reato di cui al capo 2) in quello di cui al capo 1).
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 416 cod.pen. e vizio di motivazione.
Lamenta che la Corte territoriale aveva confermato l’affermazione di responsabilità in relazione al contestato reato associativo con argomentazioni generiche e senza considerare che non vi era prova del collegamento tra l’attività della SMR Ecologia s.r.l. e quelle delle altre società che si occupavano di smaltimento di rifiuti.
Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 62-bis e 133 cod.pen. e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla eccessività della pena.
Lamenta che la Corte territoriale aveva negato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche nonostante il corretto e significativo comportamento processuale dell’imputato, incensurato all’epoca dei fatti; la pena irrogata, inoltre, era lontana dai minimi edittali e, considerata la diminuzione per il giudizio abbreviato, era pari al massimo edittale e, quindi, illegittima.
Romanello Angelo articola tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento del fatto in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato associativo di cui all’art. 416 cod.pen.
Argomenta che la Corte territoriale aveva espresso in ordine alla sussistenza del reato associativo una motivazione assertiva e riproduttiva per relationem delle argomentazioni del giudice di primo grado; erronea era, poi, la motivazione in ordine alla compatibilità tra il reato di cui all’art. 452-quaterdecies e quello associativo; inoltre, la Corte territoriale, nonostante specifico motivo di gravame, non aveva chiarito perché il Romanello doveva rispondere del reato associativo per fatti che avevano avuto inizio nel 2017 mentre la sua figura era apparsa nel quadro investigativo solo nel marzo 2018, estrinsecandosi in un lasso temporale modestissimo in una struttura già organizzata ex art. 452 quaterdecies cod.pen.; errata era anche la individuazione del ruolo quale “promotore” della struttura associativa in capo al Romanello, che, al più, si poteva qualificare quale amministratore di fatto della SMR dalla data di cessione delle quote (22.10.2018); in definitiva, la condotta addebitata al Romanello in termini di reato associativo, non era sorretta da adeguata motivazione in ordine agli elementi oggettivo e soggettivo del reato, ma doveva essere letta quale ricorrenza dell’ipotesi di reato concorsuale; infine, la condanna sia per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod.pen. che per il reato di cui all’art. 416 cod.pen. violava il principio del ne bis in idem sostanziale di cui all’art. 649 cod.pen., espresso quale principio anche dal diritto europeo di cui all’art. 4 prot. 7 CEDU.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento del fatto in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 4) dell’imputazione, lamentando che la Corte territoriale aveva confermato l’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 256, commi 1,3 e 4, d.lgs 152/2006 nonostante nel periodo temporale oggetto di contestazione non era stato amministratore di fatto della SMR.
Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 62 bis, 81 cpv, 132 e 133 cod.pen. e vizio di motivazione.
Lamenta che la Corte territoriale aveva denegato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche limitandosi ad affermare che non erano emersi elementi postivi valutabili; inoltre era stata valutata la personalità dell’imputato, elemento da considerarsi solo agli effetti dell’art. 133 cod.pen.; eccessiva era poi, l’entità della pena irrogata medianti i singoli aumenti per la continuazione.
3. La difesa dei ricorrenti ha chiesto, a norma dell’art. 23, comma 8, d.l n. 137 del 2020, conv. in l. n. 176/2020, la trattazione orale del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo di ricorso di Assanelli Maurizio ed i primi due motivi di ricorso di Frustillo Daniele sono inammissibili.
I ricorrenti richiedono sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nei motivi in esame, infatti, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; Sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez.5, n.6754 del 07/10/2014, dep.16/02/2015, Rv.262722).
La doglianza afferente al mancato assorbimento del reato di cui al capo a) nel reato di cui al capo 1) proposta da Frustillo Daniele, poi, è generica, perché priva di confronto critico con le argomentazioni esposte sul punto dai Giudici di appello (cfr. pagg. 38 e 39 ove si esplicitano e valutano gli elementi di fatto dimostrativi della non continuità della condotta e, quindi, ostativi al chiesto assorbimento).
Trova, dunque, applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez.2, n.19951 del 15/05/2008, Rv.240109;Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez.2, n.11951 del 29/01/2014, Rv.259425).
La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità del ricorso (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
2. Il terzo motivo di ricorso di Frustillo Daniele è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha denegato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche evidenziando l’assenza di elementi positivi valorizzabili a tal fine.
La motivazione è conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez.6, n.42688 del 24/09/2008, Rv.242419; sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Per quanto la riguarda la censura mosse alla sentenza impugnata relativamente alla mancata irrogazione di una pena contenuta nei minimi edittali, va richiamato il principio consolidato per il quale la motivazione in ordine alla determinazione della pena base, ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti, è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che qui non ricorre. Fuori di questo caso anche l'uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" o il richiamo alla gravita del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'art. 133 cod.pen. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena (Sez.2, n.36245 del 26/06/2009, Rv.245596).
3. Il primo motivo di ricorso di Romanello Angelo è manifestamente infondato.
Va ricordato che il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti tale delitto era contemplato nell’articolo 260 del d.lgs. 152/06, che sanzionava, appunto, la condotta di “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni”. Tale norma è stata trasposta, in attuazione del principio di “riserva di codice”, nell’articolo 452-quaterdecies del codice penale dal d.lgs. 1 marzo 2018 n. 21. Il reato di cui all’art. 260 d.lgs 152/2006 è, quindi, ora disciplinato, ai sensi degli artt. 7 e 8 del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, dall'art. 452-quaterdecies cod. pen. con assoluta continuità normativa.
Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo (Sez. 3, n.52838 del 14/07/2016, Rv.268920 – 01; Sez.3,n.16036 del 28/02/2019, Rv.275395 - 02)
La gestione dei rifiuti integrante il reato in esame deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348; Sez. 3, n. 28685 del 04/05/2006, Buttone, Rv. 234931), e tale attività deve essere "abusiva", ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute), o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazioni stesse (cfr. Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella, Rv. 232350; Sez. 4, n. 28158 del 02/07/2007, Costa, Rv. 236906).
Il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod.pen. concorre con il reato di cui all’art. 416 cod.pen.
Questa Corte, infatti, ha già affermato, con argomentazioni che il Collegio condivide, che il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. non richiede, per la sua configurazione, una pluralità di soggetti agenti, trattandosi di fattispecie mono-soggettiva, sebbene sia richiesta una pluralità di operazioni, in continuità temporale, relative ad una o più delle diverse fasi in cui si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti. In coerenza con la struttura del reato è stata riconosciuta la possibilità di concorso con il reato di cui all’art. 416 cod. pen., ritenendo necessaria la presenza degli elementi costitutivi di entrambe le fattispecie, con la conseguente impossibilità di ricavare la sussistenza del reato associativo dalla mera sovrapposizione della condotta con quella richiesta per l'associazione per delinquere, prevedendo tale ultimo reato la predisposizione di un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte dei singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune, che non può certo essere individuata nel mero allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate e nel compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti indicate dall'art. 260 d.lgs. 152\06, richiedendosi, evidentemente, un'attiva e stabile partecipazione ad un sodalizio criminale per la realizzazione di un progetto criminoso(Sez. 3, n. 4503 del 16/12/2005 (dep. 2006), Samarati; Sez. 3, n. 15630 del 12/1/2011, Costa e altri; Sez. 3, n. 36119 del 30/6/2016, Gavillucci).
E si è precisato che è configurabile il concorso tra i reati di associazione per delinquere (art. 416 cod. pen.) e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006), in quanto tra le rispettive fattispecie non sussiste un rapporto di specialità, trattandosi di reati che presentano oggettività giuridiche ed elementi costitutivi diversi, caratterizzandosi il primo per una organizzazione anche minima di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti in modo da turbare l'ordine pubblico, e il secondo per l'allestimento di mezzi e attività continuative e per il compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti così da esporre a pericolo la pubblica incolumità e la tutela dell'ambiente (Sez.3, n. 5773 del 17/01/2014, Rv. 258906 – 01).
Nella specie, la Corte territoriale ha evidenziato come le emergenze probatorie, comprovavano che dopo il marzo 2018 era stata costituita tra gli imputati un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito dei rifiuti, mediante la stabile predisposizione di un'organizzazione strutturale di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, costituito dalle società di cui all’imputazione che operavano in sinergia avvalendosi delle stesse persone, nella consapevolezza, da parte dei singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune; in particolare, i Giudici di appello rimarcano come l’organizzazione del sodalizio era stata attuata con la messa a disposizione da parte dei sodali, attraverso un’attività di investimento di denaro, delle società di cui avevano la disponibilità, di competenze specifiche in materia di consulenza ambientali, capacità operative, di contatti con società di autotrasporti, di preziose contiguità con la locale criminalità organizzata, di una comune copertura legale per reagire con immediatezza alle azioni di contrasto delle forze dell’ordine (cfr. pagg. 50-56 della sentenza impugnata).
Le argomentazioni esposte sono congrue e logiche ed in linea con i suesposti principi di diritto e si sottraggono al sindacato di legittimità.
Né colgono nel segno le ulteriori deduzioni difensive che rimarcano il breve lasso temporale della ritenuta partecipazione al sodalizio e l’erroneità del ruolo di promotore attribuito al Romanello.
Quanto alla prima questione, va osservato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, opportunamente richiamata dai Giudici di appello, alcun rilievo deve essere riconosciuto all'eventuale durata limitata della partecipazione al sodalizio e lo scioglimento dello stesso dovuto a conflitti interni in quanto la giurisprudenza sostiene l'applicabilità dell'art. 416 cod.pen. anche relativamente ad un pactum sceleris "a tempo", senza che debba sussistere a priori una prospettiva di conservazione del sodalizio per un arco temporale indefinito. Ed infatti, questa Corte ha avuto modo di precisare che non è necessario che il vincolo si instauri nella prospettiva di una permanenza, in seno al sodalizio, a tempo indeterminato, e per fini di esclusivo vantaggio dell'organizzazione stessa. Assumono rilievo anche forme di partecipazione le quali siano ab origine destinate ad una durata temporale limitata ovvero concentrate in una determinata fase, nonché eventualmente caratterizzate da una finalità comprensiva anche del perseguimento, da parte del singolo, di vantaggi ulteriori e personali, di qualsiasi natura, rispetto ai quali il vincolo associativo può assumere, nell'ottica del medesimo soggetto, una funzione strumentale (Sez. II, 24 marzo 2016, n. 52005; Sez. II, 8 novembre 2013, n.46989; Sez. II, 29 novembre 2012, n. 47602).
Quanto al ruolo svolto dal Romanello, va osservato che i Giudici di appello, in aderenza alle risultanze istruttorie ed in linea con i principi di diritto espressi da questa Corte in subiecta materia, hanno evidenziato come il predetto avesse costituito il perno intorno al quale si era costituito il sodalizio criminoso e come lo stesso svolgesse all’interno dello stesso un ruolo di dominus, tanto che le società e le persone che vi operavano ruotavano attorno alla sua figura e la sua intraprendenza aveva reso possibile l’espandersi del progetto criminoso comune (cfr. pagg.51-56 della sentenza impugnata).
Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, riveste il ruolo di promotore sia chi sia stato l'iniziatore dell'associazione, coagulando attorno a sè le prime adesioni e consensi partecipativi, che colui che contribuisce alla potenzialità pericolosa del gruppo già costituito, provocando l'adesione di terzi all'associazione ed ai suoi scopi attraverso un'attività di diffusione del programma, sovraintenda alla complessiva attività di gestione di esso, assuma funzioni decisionali (Sez.2, n. 52316 del 27/09/2016, Rv.268962 – 01; Sez. 6, 45168 del 29/10/2015,Rv.265524 – 01; Sez. 6,n. 5501 del 12/12/1995, dep.04/06/1996, Rv. 205653 - 01).
4. Il secondo motivo di ricorso di Romanello Angelo è inammissibile.
La doglianza è generica, perché priva di doveroso confronto critico con le argomentazioni esposte sul punto della ritenuta responsabilità per il reato di cui al capo 4) dell’imputazione da parte dei Giudici di appello (cfr. pagg. 56 e 57 ove si esplicitano e valutano gli elementi di fatto dimostrativi della condotta accertata in termini contributo a mantenere in attività la discarica abusiva non autorizzata già in essere, in linea con il consolidato principio di diritto, secondo cui il concetto di "gestione" di una discarica abusiva deve essere inteso in senso ampio, in quanto nello stesso deve infatti includersi qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente, cfr. Sez.3, n. 12159 del 15/12/2016, dep.14/03/2017, Rv.270354 – 01).
Vanno richiamate le argomentazioni già espresse al punto 1.
5. Il terzo motivo di Romanello Angelo è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Inoltre, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione , individuando, tra gli elementi di cui all’art.133 cod.pen., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato (Sez.3, n.28535 del 19/03/2014, Rv.259899; Sez.6, n.34364 del 16/06/2010, Rv.248244; Sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).
L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato.
Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche a cagione degli innumerevoli precedenti penali dell’imputato.
Ha, quindi, ritenuto elemento ostativo preponderante la personalità negativa dell’imputato, quale emergente dal certificato penale (cfr in merito alla sufficienza dei precedenti penali dell’imputato quale elemento preponderante ostativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, Sez.2, n.3896 del 20/01/2016, Rv.265826; Sez.1, n.12787 del 05/12/1995, Rv.203146).
Del tutto generica nonchè manifestamente infondata è la doglianza relativa alla eccessività degli aumenti disposti a titolo di continuazione.
La Corte territoriale, nel rideterminare la pena, ha indicato specificamente l’aumento di pena da apportare sulla pena base per la continuazione con gli ulteriori reati, ha espresso sul punto dell’entità dell’aumento applicato dal primo giudice, nella misura di mesi tre, una valutazione di congruità, così adempiendo correttamente all’obbligo di motivazione.
Va ricordato che, secondo il dictum delle Sezioni Unite, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez.U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv.282269 – 01).
Ed è stato chiarito che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (conf. Sez. U, n. 7930/94, Rv 201549-01).
Si è osservato che “il reato continuato non è strutturalmente un reato unico; l'unificazione rappresenta una determinazione legislativa funzionale alla definizione da parte del giudice di un trattamento sanzionatorio più mite di quanto non risulterebbe dall'applicazione del cumulo materiale delle pene. Per tale motivo essa non può spiegare effetto oltre il perimetro espressamente individuato dal legislatore. Ne consegue che dal punto di vista della struttura del reato continuato non vi è ragione di ridurre l'obbligo motivazionale ritenendolo cogente unicamente per la pena relativa al reato più grave”. E si è sottolineato che: “L'autonomia dei reati satellite si salda all'obbligo di motivazione, che accede all'esercizio del potere discrezionale attribuito al giudice per la determinazione del trattamento sanzionatorio, sì che deve essere giustificato ogni risultato di quell'esercizio (art. 132, primo comma, cod. pen.); e che: “In conclusione, il valore ponderale che il giudice attribuisce a ciascun reato satellite concorre a determinare un razionale trattamento sanzionatorio; e, pertanto, devono essere resi conoscibili gli elementi che hanno condotto alla definizione di quel valore.”
Si è, inoltre, evidenziato che “l'obbligo motivazionale richiede modalità di adempimento diverse a seconda dei casi”. In particolare, si è osservato che “la associazione di una pena base determinata nella misura minima edittale ed un aumento per la continuazione di entità esigua esclude l'abuso del potere discrezionale conferito dall'art. 132 cod. pen. e dimostra, per implicito, che è stata operata la valutazione degli elementi obiettivi e subiettivi del reato risultanti dal contesto complessivo della decisione. Quando, invece, la pena per il reato più grave è quantificata a livelli prossimi o coincidenti con il minimo edittale ma quella fissata in aumento per la continuazione è di entità tale da configurare, sia pure in astratto, una ipotesi di cumulo materiale dei reati, l'obbligo motivazionale del giudice si fa più stringente, dovendo egli specificare dettagliatamente le ragioni che lo hanno indotto a tale decisione”
6. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
7. Essendo i ricorsi inammissibili e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
8. I ricorrenti vanno, inoltre, condannati, in base al disposto dell’art. 541 cod.proc.pen. alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili che, avuto riguardo ai parametri di cui alle tabelle allegate al D.M. n. 55/2014, come aggiornate sulla base del DM n. 37/2018, all'impegno profuso, all'oggetto e alla natura del processo, si ritiene di dover liquidare nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido tra loro alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Como, Comune di Varedo, Comune di Dro, Comune di Gizzeria e Cinisello Balsamo, che liquida per ciascuna in euro 3.500,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 27/04/2022