Cass. Sez. III n. 17422 del 27 aprile 2023 (UP 13 apr 2023)
Pres. Ramacci Rel. Liberati Ric. Varriale ed al.
Urbanistica.Articolo 34 comma 2 TU edilizia

La disciplina prevista dall'art. 34, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, e non equivale a una "sanatoria" dell'abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell'illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9 dicembre 2022 il Tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto la richiesta avanzata da Mario Varriale e Vincenza Scherillo volta a ottenere la revoca dell’ordine di demolizione delle opere abusive realizzate in Procida, in località Pozzo Vecchio, disposta con la sentenza di condanna emessa dal Pretore di Napoli in data 9 giugno 1999, divenuta irrevocabile il 22 marzo 2000.

2. Avverso tale ordinanza i condannati hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo hanno dedotto l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 7 e segg. l. n. 241/1990 e 33, comma 2, e 34, comma 2, d.P.R. n. 380/2001.
I ricorrenti hanno prospettato, da un lato, l’incompatibilità tra l’ordine di demolizione e il permesso di costruire in sanatoria n. 16/2019, relativo a una porzione del fabbricato da demolire della superficie di 32,88 mq., e, dall’altro, l’incompatibilità tra il medesimo ordine di demolizione e le successive istanze di condono ex l. n. 326/2003, non ancora esaminate dall’Ufficio Tecnico Comunale di Procida, del restante corpo di fabbrica, pari alla differenza risultante dalla sottrazione algebrica della superficie della parte sanata da quella dell’intero manufatto oggetto dell’ingiunzione a demolire, pari a complessivi 88 mq.
In particolare, hanno lamentato che il giudice dell’esecuzione, venendo meno al suo potere/dovere di accertare, in sede di incidente, l’eventuale incompatibilità dell’ordine di demolizione con atti emanati dall’autorità amministrativa e/o dalla giurisdizione amministrativa, si sarebbe erroneamente determinato in ordine a un duplice profilo:
- in relazione alle opere oggetto del permesso di costruire in sanatoria n. 16/2019, il giudice avrebbe mal interpretato la mera comunicazione dell’avvio del procedimento volto all’annullamento in via di autotutela di tale permesso, attribuendogli valore di provvedimento di annullamento già emanato dall’amministrazione procedente, così non rilevando l’assoluta incompatibilità tra il permesso regolarmente rilasciato e ancora valido e l’ordine di demolizione delle medesime opere;
- in relazione alle opere oggetto delle successive istanze di condono, n. 2665/2004 e n. 8435/2004, il giudice dell’esecuzione avrebbe ignorato il procedimento amministrativo, allo stato ancora pendente, volto all’ottenimento del condono in relazione al restante corpo di fabbrica, così non rilevando, anche a questo proposito, l’assoluta incompatibilità tra le istanze di condono e l’esecuzione della demolizione di opere idonee a conseguire il titolo autorizzatorio, stante il silenzio dell’amministrazione procedente, che non si era espressa negativamente al riguardo.
      Hanno, inoltre, lamentato che il giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto in debita considerazione l’opportunità di sostituire la sanzione della demolizione con la sanzione pecuniaria (ex art. 33, comma 2, e 34, comma 2, D.P.R. n. 380/2001), in quanto la demolizione non potrebbe avvenire senza arrecare pregiudizio alla parte del fabbricato eseguita sanata mediante il suddetto permesso di costruire in sanatoria, come risulterebbe dalla perizia depositata dai ricorrenti medesimi.
2.2. Con il secondo motivo hanno dedotto la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 33, comma 2, e 34, comma 2.
Dopo aver premesso che l’ordine di demolizione può essere revocato solo se assolutamente incompatibile con atti amministrativi o giurisdizionali che abbiano conferito all’immobile altra destinazione o che abbiano provveduto alla sua sanatoria, hanno lamentato che il giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto conto dell’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi, data l’interconnessione strutturale tra le opere assentite e quelle oggetto delle istanze di condono, e avrebbe seguito un iter motivazionale illogico, affermando, ingiustificatamente, che la demolizione non avrebbe pregiudicato la stabilità dell’edificio.

3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando che il giudice dell’esecuzione aveva, da un lato, rilevato l’assenza di provvedimenti amministrativi incompatibili con l’esecuzione dell’ordine di demolizione, alla luce dell’avvio del procedimento volto all’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire in sanatoria e dell’attivazione della procedura di diniego delle successive istanze di condono per la sussistenza di cause di non condonabilità; e, dall’altro, ritenuto insussistente la dedotta impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi, non essendovi interferenza alcuna tra l’ordine di demolizione e il permesso di costruire che, pur risultando attualmente valido, è prevedibilmente destinato a essere annullato in via di autotutela a seguito della determinazione conclusiva dell’amministrazione procedente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso congiuntamente proposto dai condannati è manifestamente infondato.

2. È orientamento assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la sanzione della demolizione, prevista dall'art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sfugge alla regola del giudicato penale ed è sempre riesaminabile in sede esecutiva, al fine di un’eventuale revoca, consentita solo in presenza di atti della pubblica amministrazione, o dell’autorità giudiziaria amministrativa, che siano assolutamente incompatibili con la demolizione del manufatto, ovvero quando vi sia la ragionevole prevedibilità che tali provvedimenti saranno emanati in un breve arco temporale, sulla base di risultanze concrete, non essendo sufficiente la mera eventualità di una loro adozione (Sez. 3, Ordinanza n. 25212 del 18/01/2012, Maffia, Rv. 253050; nello stesso senso, tra le tante, Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012, dep. 2013, Oliva, Rv. 254426; Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, Brasiello, Rv. 256679; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972; Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, B., Rv. 274135).
Principio, altresì, consolidato nella giurisprudenza di legittimità è quello formatosi in ordine all’ambito di cognizione del giudice dell’esecuzione che, dinanzi alla richiesta di revoca o di sospensione dell’ordine di demolizione di un immobile che sia stato oggetto di un provvedimento che si presume essere incompatibile con lo stesso, deve verificare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti formali e sostanziali richiesti ex lege per il corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972, cit.; Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, Brasiello, Rv. 256679, cit.; Sez. 3, n. 40475 del 28/09/2010, Ventrici, Rv. 249306).

3. Ora, nel caso in esame, il giudice dell’esecuzione ha, in primo luogo, escluso l’incompatibilità tra l’ordine di demolizione e il permesso di costruire in sanatoria n. 16/2019, nonché tra il medesimo ordine e le successive istanze di condono ex l. n. 326/2003, non ancora definite dall’Ufficio Tecnico Comunale del Comune di Procida, in quanto l’attivazione del procedimento volto all’annullamento in regime di autotutela del permesso di costruire e l’avvio della procedura di diniego delle successive istanze di condono, per la sussistenza di cause di non condonabilità, rendono ragionevolmente prevedibili le determinazioni conclusive dell’amministrazione procedente, nel senso della revoca del permesso di costruire in sanatoria rilasciato ai ricorrenti e del diniego delle istanze di condono dagli stessi presentate.
Pertanto, il giudice dell’esecuzione, lungi dal confondere la comunicazione di avvio del procedimento con un vero e proprio provvedimento di annullamento o di diniego, come sostenuto dai ricorrenti, ha correttamente escluso l’esistenza di provvedimenti amministrativi incompatibili con l’esecuzione della demolizione, stante la probabile revoca del permesso di costruire in sanatoria e l’altrettanto probabile diniego del condono richiesto dai ricorrenti in relazione alla restante parte del fabbricato abusivo oggetto dell’ordine di demolizione.
Se è vero, infatti, che la ragionevole prevedibilità dell’emanazione prossima di atti assolutamente incompatibili con l’ordine di demolizione legittima il giudice dell’esecuzione a revocare l’ingiunzione, è, altresì, vero che la ragionevole prevedibilità dell’emanazione di atti assolutamente compatibili con tale ordine ne legittima l’esecuzione. E questo è quanto accade nel caso di specie, nel quale l’avvio del procedimento volto all’annullamento del permesso di costruire in sanatoria e della procedura di diniego delle successive istanze di condono, per la sussistenza di cause di non condonabilità, rendono prevedibile la prossima emanazione di provvedimenti coerenti con l’ordine di demolizione e con la sua esecuzione.
Il giudice dell’esecuzione ha, in particolare, sottolineato come l’inottemperanza alla prescrizione di demolire le parti non oggetto di sanatoria (in relazione alle quali i ricorrenti, anziché demolirle, hanno presentato istanza di condono) e la mancata presentazione della relativa S.C.I.A., hanno determinato l’avvio della procedura volta all’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire in sanatoria ottenuto dai ricorrenti, non avendo i beneficiari rispettato le prescrizioni imposte a  tale atto, costituite dall’abbattimento delle parti escluse dalla sanatoria, con la conseguente prevedibilità dell’annullamento di tale permesso di costruire; il medesimo giudice ha, inoltre, evidenziato come la realizzazione di ulteriori opere in ampliamento, oltre al fabbricato oggetto dell’ordine di demolizione, della superficie di circa 88 mq. (consistenti nella realizzazione di due tettoie laterali al corpo di fabbrica, di una scala che collega il piano di campagna con il solaio di copertura, e di un deposito di circa 4,5 mq. di pertinenza del fabbricato), ha determinato l’avvio della procedura di diniego del condono, sussistendo una causa di non condonabilità, che depone per il probabile il diniego del condono richiesto dai ricorrenti in relazione alla restante parte del medesimo fabbricato e, quindi, per l’insussistenza di ostacoli alla sua demolizione.

4. In secondo luogo, il giudice dell’esecuzione, richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 19090 del 13/2/2013, Buia, Rv. 255891; Sez. 3, n. 16548 del 16/06/2016, dep. 2017, Porcelli, Rv. 269624; nonché Sez. 3, n. 1443 del 18/11/2019, dep. 2020, Bellocco, Rv. 277724), secondo cui il giudice dell’esecuzione deve valutare la possibilità di non eseguire la demolizione qualora la stessa arrechi inevitabile pregiudizio alle opere assentite, ha ritenuto insussistente la pur rappresentata impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi, non risultando alcuna interferenza tra l’ordine di demolizione e le opere allo stato assentite. Invero, il permesso di costruire in sanatoria riguardava solo parte del manufatto e conteneva prescrizioni di demolizione per la restante parte, da eseguire a pena di decadenza da tale titolo abilitativo.
I ricorrenti non solo non hanno ottemperato alle prescrizioni imposte, ossia non hanno proceduto all’abbattimento delle parti escluse dalla sanatoria, così determinando l’avvio della procedura di annullamento in via di autotutela del permesso di costruire in sanatoria, ma hanno anche avanzato ulteriori istanze di condono ex l. n. 326/2003, per le quali risulta avviata la procedura di diniego, sussistendo cause di non condonabilità (costituite, tra l’altro, dalla realizzazione di ulteriori opere di pertinenza del medesimo fabbricato).
Il giudice dell’esecuzione, pur tenendo conto dell’interconnessione strutturale tra le opere assentite (il cui titolo abilitativo è presumibilmente destinato a essere revocato) e quelle oggetto delle istanze di condono, ha quindi ritenuto non sussistenti i requisiti necessari per procedere ai sensi degli artt. 33, comma 2, e 34, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, cioè alla cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso.
Affinché tale procedura possa trovare applicazione, da un lato, è necessario che l’impossibilità di demolire senza arrecare pregiudizio alla parte eseguita in conformità sia fatta valere dall’interessato e sia accertata dall’autorità Comunale, dall’altro, è necessario che il caso di specie sia ricompreso nell’ambito di applicazione della procedura, che è limitato ai soli interventi in parziale difformità dal permesso di costruire o agli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in totale difformità dallo stesso.
Il caso in esame non rientrerebbe comunque nella sfera applicativa di tale procedura, non versandosi in alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 33 e 34 d.P.R. n. 380 del 2001, nelle quali il giudice dell’esecuzione deve procedere alla valutazione della possibilità di non eseguire il ripristino dello stato dei luoghi qualora ne consegua inevitabile pregiudizio per le opere eseguite in conformità (cfr. in proposito Sez. 3, n. 28747 del 11/05/2018, Pellegrino, Rv. 273291, che ha chiarito che la disciplina prevista dall'art. 34, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, e non equivale a una "sanatoria" dell'abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell'illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate; nel medesimo senso già Sez. 3, n. 19538 del 22/04/2010, Alborino, Rv. 247187, e Sez. 3, n. 16548 del 16/06/2016, dep. 2017, Porcelli, Rv. 269624).
Nel caso in esame il giudice dell’esecuzione ha accertato che la demolizione riguarda l’intero manufatto, non sussistendo pertanto alcuna impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto il permesso di costruire in sanatoria è prevedibilmente destinato a essere annullato e le richieste di condono a essere respinte, a seguito delle prossime determinazioni conclusive dell’amministrazione procedente, con ciò correttamente escludendo qualsiasi ostacolo alla esecuzione della demolizione, da cui non possono derivare pregiudizi di sorte per parti legittime del fabbricato, che è interamente destinato alla demolizione.
4. In conclusione il giudice dell’esecuzione ha correttamente ritenuto insussistente sia l’incompatibilità tra atti amministrativi e l’esecuzione della demolizione, sia l’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi, con la conseguente manifesta infondatezza di entrambi i motivi di ricorso, che ne comporta l’inammissibilità.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 13/4/2023