Cass. Sez. III n. 40325 del 9 novembre 2021 (CC 5 ott 2021)
Pres. Liberati Est. Corbo Ric. Amato
Ecodelitti.Pesca datteri di mare e profitto del reato di disastro o inquinamento ambientale

I datteri di mare (Lithopaga lithopaga), possono essere prelevati solo previa distruzione delle rocce in cui gli stessi si annidano; di qui la configurabilità dei reati di cui agli artt. 452-bis e 452-quater cod. pen. Vi è un divieto assoluto di pesca dei c.d. “datteri di mare”, stabilito sia da fonti internazionali – come la Convenzione di Berna del 1982, Annesso II, la Convenzione CITES del 1983, Annesso III, la Direttiva c.d. Habitat 92/43/EEC, Annesso IV, la Convenzione di Barcellona del 1982, Annesso II, l’art. 8 del Regolamento (CE) 1967/2006 del Consiglio del 21 dicembre 2006 – sia da leggi italiane (in particolare, l’art. 7 d.lgs. n. 4 del 2012, nonché il D.m. 16 ottobre 1998). Di conseguenza, il profitto del reato deve essere individuato avendo riguardo non tanto e non solo alle operazioni di commercializzazione dei mitili sopra indicati, bensì alle complessive condotte integranti i reati di inquinamento ambientale e di disastro ambientale.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 15 aprile 2021, e depositata in data 6 maggio 2021, il Tribunale di Napoli, pronunciando in sede di riesame, ha confermato il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha disposto il sequestro preventivo della somma di 7.774,00 euro a fini di confisca, anche per equivalente, nei confronti di Pasquale Amato.
La misura cautelare indicata è stata disposta nei confronti di Amato per i reati di cui agli artt. 452-bis e 452-quater cod. pen., avendo riguardo al ricavato delle vendite di molluschi comunemente denominati “datteri di mare”, catturati proprio attraverso le condotte delittuose precisate.   

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe Pasquale Amato, con atto sottoscritto dall'avvocato Michele Basile, nominato quale sostituto del difensore dell’imputato, articolando un unico motivo, con il quale si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 452-bis e 452-quater cod. pen. nonché 321, comma 2, cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla quantificazione del profitto dei reati.
Si deduce che il profitto è stato calcolato sull’intero ricavo delle vendite dei “datteri di mare”, ossia in 40,00 euro al kg. per 194,35 kg., senza considerare i costi, pari a 30,00 per kg., e che, però, tali costi avrebbero dovuto essere presi in esame perché la pescheria interessata al commercio di tali molluschi svolge un’attività in generale lecita, in quanto relativa ad ogni genere di prodotti ittici.    

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Le censure contestano che il profitto del reato è stato calcolato sul ricavo complessivo delle vendite dei c.d. “datteri di mare”, senza considerare i costi per l’acquisto di detti mitili; costi che invece avrebbero dovuto essere considerati, perché le vendite sono state effettuate nell’ambito di un’attività di pescheria generalmente svolta secondo modalità lecite.

3. Occorre premettere che i reati per i quali è stato disposto il sequestro sono quelli di inquinamento ambientale e di disastro ambientale, con riferimento all’attività di distruzione dei fondali marini per catturare i c.d. “datteri di mare”, la cui commercializzazione è vietata.
In proposito, è utile precisare, innanzitutto, che i mitili in questione, il cui nome scientifico è Lithopaga lithopaga, possono essere prelevati solo previa distruzione delle rocce in cui gli stessi si annidano; di qui la configurabilità dei reati di cui agli artt. 452-bis e 452-quater cod. pen., non contestata in questa sede. Va poi rilevato che vi è un divieto assoluto di pesca dei c.d. “datteri di mare”, stabilito sia da fonti internazionali – come la Convenzione di Berna del 1982, Annesso II, la Convenzione CITES del 1983, Annesso III, la Direttiva c.d. Habitat 92/43/EEC, Annesso IV, la Convenzione di Barcellona del 1982, Annesso II, l’art. 8 del Regolamento (CE) 1967/2006 del Consiglio del 21 dicembre 2006 – sia da leggi italiane (in particolare, l’art. 7 d.lgs. n. 4 del 2012, nonché il D.m. 16 ottobre 1998).  
Di conseguenza, il profitto del reato deve essere individuato avendo riguardo non tanto e non solo alle operazioni di commercializzazione dei mitili sopra indicati, bensì alle complessive condotte integranti i reati di inquinamento ambientale e di disastro ambientale.

4. Occorre poi considerare che, come evidenziato dalla giurisprudenza anche delle Sezioni Unite, nella ricostruzione della nozione di profitto oggetto di confisca, non può farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico - quali ad esempio quelli del "profitto lordo" e del "profitto netto" -, fermo restando che tale nozione non può essere dilatata fino a determinare un'irragionevole e sostanziale duplicazione della sanzione nelle ipotesi in cui il reo, adempiendo al contratto, che pure ha trovato la sua genesi nell'illecito, pone in essere un'attività i cui risultati economici non possono essere posti in collegamento diretto ed immediato con il reato (così Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Impianti, Rv. 239924-01, e, più di recente, Sez. 6, n. 9988 del 27/01/2015, Moioli, Rv. 262794-01).
Muovendo da questa prospettiva, si è precisato che, ai fini dell'adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, la nozione di profitto del reato coincide con il complesso dei vantaggi economici tratti dall'illecito e a questi strettamente pertinenti, senza che possano essere sottratti i costi sostenuti per la commissione del reato (così Sez. 3, n. 4885 del 04/12/2018, dep. 2019, Salamita società cooperativa a r.l., Rv. 274851-02, e Sez. 6, n. 24558 del 22/05/2013, Mezzini, Rv. 256812-01).
Questa soluzione, immediatamente rilevante nel caso di specie, è, ad avviso del Collegio, del tutto coerente con il principio enunciato dalle Sezioni Unite nonché pienamente condivisibile con il dettato normativo.
Invero, le Sezioni Unite precisano che la nozione di profitto non può essere determinata sulla base di criteri aziendalistici, come “profitto lordo” o “profitto netto”, ed escludono dalla stessa solo i risultati economici che non possono essere posti in collegamento diretto ed immediato con il reato.
Ora, i costi sostenuti per la commissione di un reato sono entità ben diversa dai risultati economici non in collegamento diretto ed immediato con il reato, ed anzi costituiscono la premessa necessaria perché si perfezioni l’illecito penale dal quale discende il profitto. Si può anzi osservare che le somme impiegate per la realizzazione dell’illecito penale sono «cose che servirono o furono destinate a commettere il reato» o che addirittura «costituiscono il prezzo del reato», per le quali cioè, già in linea generale ed onnicomprensiva, il legislatore, all’art. 240 cod. pen., prevede la confisca, nel primo caso facoltativa, nel secondo obbligatoria.       
 
5. Applicando gli indicati principi alla vicenda in esame, deve concludersi che correttamente l’ordinanza impugnata ha confermato il provvedimento di sequestro a fini di confisca dell’intero ricavato della vendita dei “datteri di mare”.
 Invero, le somme corrisposte dal ricorrente per acquistare i mitili di cui è proibito il commercio costituiscono il compenso versato a chi, per procurarglieli, aveva proceduto alla distruzione dei fondali marini e, quindi, alla materiale esecuzione dei reati di inquinamento ambientale e di disastro ambientale.
Di dette somme, pertanto, non può tenersi conto come costi deducibili ai fini della quantificazione del profitto dei reati di cui agli artt. 452-bis e 452-quater cod. pen., conseguito attraverso la vendita ai consumatori dei molluschi.

6. Alla infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 05/10/2021