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Cass. Sez. III sent. 865 del 23 settembre 2005 (ud. 5 luglio 2005)
Pres. Zumbo Est. Fiale Ric. D’Amario
Urbanistica – Interventi in difformità – Ammissibilità del sequestro

Secondo la vigente disciplina urbanistica si ha “difformità totale”allorché si costruisca “aliud pro alio” e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale. Il concetto di “difformità parziale” si riferisce, invece, ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma.
E’ ammissibile il sequestro preventivo, alla luce dei principi fissati dalle S.U., di locali interrati destinati a cantina e trasformati in locali residenziali in quanto trattasi di interventi in difformità totale determinanti un aggravamento del carico urbanistico

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 05/07/2005
Dott. MIRANDA Vincenzo - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 865
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 15829/2005
ha pronunciato la seguente:

 

 

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D'AMARIO Massimiliano, N. A Pomezia il 2.3.1970;
avverso l'ordinanza 23.2.2005 del Tribunale per il riesame di Roma;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. IZZO G. che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore Avv.to FORTUNA Francesco Saverio, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Il G.I.P. del Tribunale di Velletri, con ordinanza del 28.4.2004, convalidava il sequestro operato dai Carabinieri di Marina Tor San Lorenzo e disponeva autonomamente il sequestro preventivo di n. 3 immobili, in corso di costruzione in via Orte di Ardea, la cui realizzazione avveniva in totale difformità dalla concessione edilizia per l'intervenuta trasformazione dei locali interrati, destinati a cantina secondo il progetto, in locali residenziali. La misura di cautela reale veniva disposta nei confronti di D'Amano Massimiliano, quale amministratore della "DMD Costruzioni", indagato per il reato di cui all'art. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001. Lo stesso G.I.P., con provvedimento del 5.11.2004, respingeva un'istanza di dissequestro.
Il Tribunale di Roma - con ordinanza del 23.2.2005 - rigettava, per la parte concernente gli immobili dianzi descritti, l'appello proposto nell'interesse del D'Amarlo avverso detto provvedimento reiettivo.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il D'Amano, il quale ha eccepito:
- la inconfigurabilità della ritenuta difformità totale dalla concessione edilizia, in quanto sarebbero state effettuate mere "modifiche interne" rispetto al progetto approvato;
- l'insussistenza del periculum in mora, tenuto conto della ultimazione dei lavori, dell'inesistenza di alcun aumento del carico urbanistico e delle "legittime aspettative" correlate alla buona fede dei terzi acquirenti delle unità immobiliari. Per i manufatti era stata presentata, inoltre, istanza di condono edilizio, che comporterebbe il venire meno di ogni esigenza di cautela. Il ricorso deve essere rigettato, poiché infondato. 1. A norma dell'art. 31 del T.U. n. 380/2001 (e già dell'art. 7 della legge n. 47/1985), devono ritenersi eseguite in totale difformità dal permesso di costruire quelle opere "che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile".
La difformità totale si verifica, dunque, allorché si costruisca "aliud pro alio" e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale. Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma.
Nella previsione legislativa in esame:
a) l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo sia all'effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull'assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico". Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto;
b) il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma soltanto che conduca alla creazione di una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente, anche se l'accesso a detto corpo sia possibile esclusivamente attraverso lo stabile principale.
La fattispecie in oggetto è caratterizzata dalla trasformazione di locali autorizzati come cantine in unità immobiliari residenziali, muniti di servizi igienici, angolo cottura ed impianto di riscaldamento: si profila ad evidenza, pertanto, l'intervenuta realizzazione di opere non rientranti tra quelle autorizzate, per le diverse caratteristiche tipologiche e di utilizzazione, che hanno "una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della vantazione economico-sociale".
2. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 29.1.2003, n. 2, Innocenti - hanno ritenuto ammissibile il sequestro preventivo di una costruzione abusiva già ultimata, affermando che:
- il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato;
- in tema di reati edilizi o urbanistici, "spetta al giudice di merito, con adeguata motivazione, compiere una attenta valutazione del pericolo derivante da libero uso della cosa pertinente all'illecito penale. In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa, da parte dell'indagato o di terzi, possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività. In altri termini, il giudice deve determinare in concreto, il livello di pericolosità che la utilizzazione della cosa appare in grado di raggiungere in ordine all'oggetto della tutela penale, in correlazione al potere processuale di intervenire con la misura preventiva cautelare. Per esempio, nel caso di ipotizzato aggravamento del c.d. carico urbanistico, va delibata in fatto tale evenienza sotto il profilo della consistenza reale ed intensità del pregiudizio paventato, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione del provvedimento coercitivo";
- tra le specifiche conseguenze antigiuridiche che, ex art. 321 c.p.p., possono determinarsi a causa del mancato impedimento della libera disponibilità del manufatto abusivo, ben può farsi rientrare la perpetrazione dell'illecito amministrativo sanzionato dall'art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie (divieto di abitare gli edifici sforniti di certificato di agibilità), non inquadrarle "nella agevolazione di commissione di altri reati", ma certamente costituente una situazione illecita ulteriore prodotta dalla condotta (la libera utilizzazione della cosa) che il provvedimento cautelare è finalizzato ad inibire (principio ribadito da Cass., Sez. 3^, 21.1.2005, Cappa; si veda però - in senso contrario - Cass., Sez. 3^, 6.7.2004, Sardi).
H Tribunale di Roma, nell'ordinanza impugnata, ha dato conto, con motivazione adeguata, di avere compiuto quella "attenta valutazione del pericolo derivante dal libero uso" delle unità immobiliari illecitamente realizzate, secondo il riferito orientamento delle Sezioni Unite: a fronte della sostanziale creazione di ulteriori unità immobiliari residenziali, invero, ha fatto corretto riferimento all'aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti, oggettivamente configurabile sia come ulteriore domanda di strutture ed opere collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di spazi pubblici per abitante nella zona urbanistica interessata (standards di cui al D.M. 2.4.1968, n. 1444).
In una situazione siffatta del tutto irrilevanti sono le prospettate esigenze degli acquirenti, trattandosi di aspettative non legittime per l'illiceità della res acquistata (o oggetto di preliminare di vendita) e tenuto conto del regime di incommerciabilità degli immobili ed unità immobiliari abusivi previsto dall'art. 46 del T.U. n. 380/2001 (già art. 17, 1 comma, della legge n. 47/1985). 3. L'istanza per il c.d. "condono edilizio" - avanzata ai sensi dell'art. 32, commi 25 e segg., del D.L. 30.9.2003, n. 269, convenite, con modificazioni, nella legge 24.11.2003, n. 326 - non impedisce l'adozione o la permanenza di un provvedimento di sequestro, preventivo (o probatorio), sia perché detta misura ha lo scopo di lasciare inalterata la situazione e di impedire la prosecuzione dell'opera e la commissione di ulteriori reati, sia perché, ai fini dell'operatività della speciale causa estintiva, è necessario l'accertamento della ricorrenza di tutti i presupposti e requisiti cui essa è subordinata (vedi Cass., Sez. 3^, 26.7.2004, Neri; 10.12.2003, Baldi e, in relazione alla normativa precedente, Cass., Sez. 3^: 5.7.1996, Ferretto; 6.2.1996, Fusco; 4.12.1995, Cascarano; 26.5.1995, Simonini; 7.4.1995, Matera; 2.3.1995, Clemente;
3.3.1993, Strianese).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2005. Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2005