Cass. Sez. III n. 32198 del 8 agosto 2007 (Cc 12 giu. 2007)
Pres. Postiglione Est. Ianniello Ric. Calenzo ed altro
Beni Culturali. Qualificazione del bene come culturale

Un bene deve qualificarsi come culturale, ove si tratti di cose ritrovate nel sottosuolo o sui fondi marini, poiché a tali cose compete la qualificazione di beni culturali appartenenti allo Stato indipendentemente dalla dichiarazione di cui all'art. 13 del D. Lgs. n. 42 – 2004. Si desume dalla disciplina di settore l'esistenza di una presunzione di "culturalità" di tali beni, la quale peraltro assume carattere provvisorio, in quanto le cose ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini che appartengono allo Stato sono sottoposte al regime indicato fino a quando non sia effettuata la verifica di effettiva "culturalità" di cui al secondo comma dell'art. 12 del medesimo decreto, il cui esito positivo determina la definitiva sottoposizione alla disciplina dei beni culturali.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 12/06/2007
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 642
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNELLO Antonio - Consigliere - N. 12126/2007
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) CALENZO ENRICO, N. IL 16/11/1959;
2) TALLINI FLORINDA, N. IL 20/11/1958;
avverso ORDINANZA del 28/02/2007 TRIB. LIBERTÀ di LATINA;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. IANNIELLO ANTONIO;
sentite le conclusioni del P.G. Dott. IZZO Gioacchino, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
La Corte:
OSSERVA
Con ordinanza del 28 febbraio 2007, il Tribunale di Latina ha respinto l'istanza di riesame del decreto di sequestro preventivo di un locale interrato, nel quale erano state eseguite da parte dei ricorrenti Enrico Calenzo e Florinda Tallini opere ritenute riconducibili ai reati di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 169 e 181 e all'art. 733 c.p., in ragione dell'effettuazione di uno scavo tramite escavatore e della demolizione di una volta a botte riconducibile ad epoca romana.
Avverso tale ordinanza propone ricorso per Cassazione il difensore degli indagati, deducendo:
1 - la violazione D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169 e difetto di motivazione sul punto: il reato era stato ritenuto sussistente nonostante che i beni non avessero ricevuto il crisma del bene culturale sulla base della dichiarazione prevista D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 13;
2 - la violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149 e l'assenza assoluta o la mera apparenza di motivazione sul punto, in quanto tale norma consentirebbe lavori del tipo di quelli operati dagli indagati senza necessità di autorizzazione;
3 - la mera apparenza di motivazione in ordine alla sussistenza in concreto delle esigenze cautelari.
Il ricorso è infondato.
Col primo motivo, il ricorrente lamenta che il fatto sia stato ricondotto senza alcuna motivazione all'ipotesi contravvenzionale di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 169, comma 1, lett. a), nonostante che il bene demolito non fosse stato dichiarato di interesse culturale a norma del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 13.
Al riguardo si rileva che sull'argomento della qualificazione del bene come culturale, ove si tratti di cose ritrovate nel sottosuolo o sui fondi marini, si registra all'interno di questa Corte un contrasto interpretativo tra chi ha ritenuto che a tali cose competa la qualificazione di beni culturali appartenenti allo Stato indipendentemente dalla dichiarazione di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 13 (Cass. 28 novembre 2006 n. 39109) e l'orientamento che viceversa richiede in ogni caso la preesistenza di quest'ultima dichiarazione (Cass. 2 luglio 2004 n. 28929). In proposito, il collegio dichiara di condividere il primo orientamento interpretativo, in quanto fondato su una appropriata analisi del dato normativo.
D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 10, qualifica infatti, al comma 1, come beni culturali le cose mobili o immobili appartenenti, tra gli altri enti, allo Stato, "che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantro-pologico".
Il comma 2 dell'articolo in esame individua poi alcuni beni che sono comunque qualificati come culturali, mentre il terzo elenca una serie di altre cose (tra le quali quelle che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1), cui la qualificazione spetta unicamente a seguito della dichiarazione di sussistenza del relativo interesse di cui al successivo art. 13.
Infine, ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 91, comma 1, "le cose indicate nell'art. 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato".
Si desume pertanto dalla disciplina citata l'esistenza di una presunzione di "culturalità" dei beni da ultimo citati, la quale peraltro assume carattere provvisorio, in quanto le cose ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini che appartengono allo Stato sono sottoposte al regime indicato fino a quando non sia effettuata la verifica di effettiva "culturalità" di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 12, comma 2, il cui esito positivo determina la definitiva sottoposizione alla disciplina dei beni culturali. Ciò posto, vanno anzitutto ricordati i limiti del controllo del Tribunale di riesame sul decreto di sequestro (cfr., tra tante, la sent. 18 maggio 2004, n. 23214) sul piano della legittimità della misura, controllo che non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al reato oggetto di indagine, ma deve limitarsi a un controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante la valutazione dell'antigiuridicità penale del fatto così come contestato, sulla base degli elementi dedotti dall'accusa risultanti dagli atti processuali nonché delle relative contestazioni difensive. L'ordinanza in esame ha correttamente applicato tali principi, riconducendo il fatto, come specificatamente descritto nella richiamata denuncia presentata dalla Soprintendenza dei beni archeologici del Ministero per i beni e le attività culturali - e quindi con una valutazione di culturalità dei beni distrutti ancorata ad elementi di indubbio rilievo - alla ipotesi investigativa di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 169. Fermo restando che spetterà al giudizio di merito l'accertamento pieno della sussistenza degli elementi costitutivi del reato, ivi compresa la qualificazione definitiva del bene.
Sulla base delle considerazioni svolte, il motivo esaminato è pertanto valutato come infondato.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, risolvendosi in una censura di insufficienza di motivazione in ordine alla riconducibilità dell'opera ad uno degli interventi che non necessitano di autorizzazione paesaggistica in quanto qualificabile come di manutenzione ordinaria o straordinaria. Al riguardo infatti l'ordinanza non solo non è assolutamente priva di motivazione (o contenente una motivazione meramente apparente), vizio che sarebbe riconducibile alla violazione di legge e pertanto azionabile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 325 c.p.p. ma appare dotata di motivazione adeguata, spiegando correttamente come non possa qualificarsi nei termini indicati un intervento di tipo demolitivo con conseguente rilevante alterazione dello stato dei luoghi e ritenendo del tutto estranea ad esso la dichiarata finalità di eliminare la fonte di alcuni liquami maleodoranti.
Altrettanto inammissibile appare l'ultimo motivo di ricorso, avendo il Tribunale adeguatamente spiegato che la necessità di sottrarre la disponibilità del bene agli indagati deriva dal fatto che le opere di demolizione erano in corso al momento del sequestro e quindi suscettibili di essere portate a compimento, con irreparabile danno dei beni ancora non distrutti, tenuto conto delle spregiudicate dichiarazioni effettuate in proposito dall'indagato e riportate nel testo dell'ordinanza.
Concludendo, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2007