TAR Veneto sent. 3591 del 30 ottobre 2006
Comitati ed associazioni, legittimazione Ricorso n. 264/2005 Sent. n. 3591/06
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della L. 27 aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei magistrati:
Rita De Piero Presidente f.f. e relatore
Angelo Gabbricci Consigliere
Riccardo Savoia Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 264/2005 proposto dal Comune di Cologna Veneta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Fausto Scappini e Antonio Sartori, con elezione di domicilio presso lo studio del secondo in Venezia Mestre, calle del Sale n. 33;
contro
la Provincia di Verona, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
e nei confronti
di Ecoidea s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituita in giudizio col patrocinio degli avv. Francesco Crimaldi e Sergio Camerino, con domicilio eletto presso il secondo in Venezia, S. Bartolomeo n. 5278;
con l’intervento ad adjuvandum di Legambiente Onlus, Sezione Veneto, e del “Comitato contro il Cogeneratore”, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv. Enrico Varali e Beatrice Rigotti, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.24 n. 1054;
per l'annullamento
del provvedimento n. 6866 del 19.11.2004, con cui la Provincia di Verona ha attribuito alla controinteressata Ecoidea s.r.l. il numero 189 del “Registro Provinciale delle Imprese che effettuano attività di recupero di rifiuti non pericolosi”; nonché della comunicazione di inizio attività presentata dalla ditta stessa in data 13.7.2004;.
Visto il ricorso, notificato il 24 gennaio 2005 e depositato presso la segreteria il 4 febbraio 2005 con i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione della controinteressata Ecoidea s.r.l., con i relativi allegati;
visti gli atti di intervento ad adjuvandum di Legambiente Onlus e del “Comitato contro il generatore”;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti della causa;
uditi, alla pubblica udienza dell’8 giugno 2006 (relatore il Presidente f.f. De Piero), l’avv. Scappini, per il Comune ricorrente; l’avv. Mercanti in sostituzione di Camerino per la controinteressata e l’avv. Rigotti per gli intervenienti;
ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. - Il Comune di Cologna Veneta rappresenta che, con gli atti n. 23 del 7.23.2000 e, in particolare, n. 122 del 17.11.2000, il Ministero delle Attività Produttive ha autorizzato la controinteressata Ecoidea s.r.l. (di seguito: Ecoidea) ad installare ad esercitare, presso lo stabilimento Agroidea, sito nel territorio comunale, una seconda linea per la produzione di energia elettrica ottenuta dal recupero energetico dei rifiuti. In forza dei menzionati provvedimenti autorizzatori, Ecoidea il 22.3.2000 chiedeva il rilascio di una concessione edilizia per un manufatto atto a contenere l’impianto, che il Comune assentiva con provvedimento n. 55/2000, con la prescrizione, tra l’altro, che il materiale utilizzato come combustibile fosse “obbligatoriamente: carta, cartone, pallets in legno, come indicato nella relazione tecnica del 27.3.2000 con n. 3838 di prot.”; in data 3.4.2001, il Comune rilasciava inoltre la concessione edilizia in variante n. 237/2000, per la realizzazione di un adiacente capannone destinato allo stoccaggio del CDR (combustibile da rifiuto, utilizzato per la produzione di energia). In data 15.3.2001 la ditta ribadiva al Comune che nel CDR “non verrà utilizzata plastica, né altri tipi di gomme sintetiche, né pneumatici fuori uso” (tali dichiarazioni - in merito ai componenti del CDR - sarebbero peraltro risultate - secondo la prospettazione del Comune - in contrasto sia con quanto dichiarato dalla ditta in sede di successiva comunicazione di inizio attività, sia con le analisi compiute sul materiale stesso - cfr. rapporto del 23.9.2004 - che hanno dimostrato come il rifiuto utilizzato quale combustibile fosse in realtà composto al 39,5% di plastica e al 10,6% da materiali vari).
L’impianto veniva comunque realizzato, collaudato e messo in esercizio.
Con sentenza del 22.10.2004, il Tribunale di Verona dichiarava la falsità di alcuni documenti e, in specie, della nota 30.5.2000 - con cui il Comune aveva asseritamente espresso parere favorevole all’impianto - e del conseguente D.M. 122/2000 di autorizzazione (in parte qua).
In conseguenza di quanto disposto dal Giudice penale, il Comune di Cologna Veneta impugnava innanzi al Tar, con ric. n. 3614/2004, detta autorizzazione. La causa si concludeva con la sentenza della sez. III n. 2170/2005, che dichiarava il ricorso inammissibile.
1.1. - Oggetto del presente giudizio sono la dichiarazione di inizio attività inviata da Ecoidea alla Provincia, nonchè l’atto da quest’ultima emesso in data 19.11.2004, con cui la controinteressata è stata iscritta nel Registro Provinciale delle imprese che effettuano attività di recupero di rifiuti non pericolosi, con il n. 189.
Questi i motivi:
1) violazione degli artt. 2 e 4 della Dir. del Consiglio CE 85/337; dell’art. 1 del D.P.R. 12.4.96 e dell’art. 3 della L.r. 1099. Omessa attivazione della procedura di valutazione di impatto ambientale.
Il progetto di cui trattasi, per poter essere realizzato avrebbe dovuto, a tenore delle richiamate disposizioni, essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, il che, invece, non è avvenuto.
Il Comune esamina in dettaglio le norme invocate precisando, in particolare, che la VIA - secondo la legge regionale n. 10/99 - è necessaria per tutti gli impianti di smaltimento di rifiuti urbani (con capacità superiore a 10 t/giorno) mediante operazioni di incenerimento e per gli impianti di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, parimenti effettuato mediante incenerimento, nonché di recupero di rifiuti non pericolosi, mediante le operazioni di cui all’all. C lett. R1 del D.Lg. 22/97, con capacità superiore a 100 t/giorno, con esclusione di quelli sottoposti a procedura semplificata a tenore degli artt 31 e 33 del D.Lg. stesso. Poichè il CDR è esso stesso rifiuto speciale, il suo trattamento è soggetto alla normativa sui rifiuti prima ancora che a quella sul recupero di energia, come stabilito dall’art. 7 del D.Lg. 22/97.
Se tuttavia si volesse ritenere che la finalità del recupero di energia consenta di disattendere le norme nazionali sul trattamento dei rifiuti, si deve osservare che l’obbligo di VIA deriva direttamente dalle disposizioni comunitarie, che comunque prevalgono su quelle nazionali eventualmente difformi. Il legislatore nazionale, infatti, pretende di esonerare dalla VIA gli impianti di recupero di rifiuti non pericolosi utilizzati come combustibile - indipendentemente dalla capacità dell’impianto - sol perchè sottoposti a procedure semplificate.
La norma in questione, inoltre, ha condotto la Corte di Giustizia a censurare l’Italia per essere venuta meno agli obblighi derivanti dagli artt. 10 e 11 della Dir. CE 75/442, non essendo possibile escludere dalla VIA intere categorie di progetti rientranti nell’all.II.
2) Violazione degli artt. 6 e 8 della Dir. del Consiglio CE 85/337 e dell’art. 12 della Dir CE 2000/76. Carenza di istruttoria e motivazione.
Gli articoli in questione prevedono che gli stati membri approntino le misure necessarie affinché le autorità interessate ai progetti in materia ambientale possano esprimere “il loro parere sulla domanda di autorizzazione”.
L’art. 33, che regola la procedura semplificata (e, attraverso il richiamo di cui alla L.r. 10/99, esclude la VIA) non prevede alcun tipo di partecipazione.
3) Violazione dell’art. 1, comma 6, del D.P.R. 12.4.96 e dell’art. 7 della L.r. 10/99. Omessa previsione della procedura di verifica.
L’art. 1, comma 6, del D.P.R. 12.4.96 prevede che, per i progetti che non ricadono in aree naturali protette, è l’autorità competente a verificare “se le caratteristiche del progetto richiedono lo svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale”. E non esonera affatto dalla verifica i progetti “per i quali è prevista la procedura semplificata”.
4) Violazione degli artt. 10 e 11 n. 1, della Dir. del Consiglio CEE n. 74/442, e successive modifiche.
L’attività di Ecoidea è stata intrapresa con procedura semplificata, ma ciò, secondo la direttiva indicata, non è possibile.
La direttiva prevede la possibilità di dispensare dall’autorizzazione ordinaria “gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti” ma solo dopo che le autorità competenti hanno adottato - per ciascun tipo di attività - norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l’attività stessa può essere esentata da autorizzazione. Il D.Lg. non rispetta le condizioni poste dalla direttiva, tanto che la Corte di Giustizia ha ritenuto lo stato italiano inadempiente.
5) Violazione degli artt. 22, 27, 28, 31 e 33 del D.Lg. 22/97. Necessità dell’autorizzazione.
Secondo la giurisprudenza, anche l’attività di recupero energetico dai rifiuti rientra nella disciplina dei rifiuti stessi e non può essere attivata con procedura semplificata, in assenza di programmazione provinciale e regionale (C.S., sez. VI, n. 5411/2001).
5.2) violazione degli artt. 31 e 33 del D.Lg. 22/97.
L’art. 31, comma 8, originariamente prevedeva che le procedure semplificate non si applicavano alle attività di recupero dei rifiuti urbani, ad eccezione - lett. c) - “dell’impiego di combustibile da rifiuto”. Tale lett. c) è stata soppressa dall’art. 7, comma 11, del D.L. 28.12.2001 n. 452 (convertito in L. 27.2.2002 n. 16). Quindi, consistendo il recupero da CDR sostanzialmente in un incenerimento dei rifiuti stessi (comprendenti anche plastiche in quantità non prefissata, quindi altamente inquinante) se ne deve dedurre che esso - non essendo più ammessa la procedura semplificata - è sottoposto alle regole generali di cui agli artt. 27 e 28 .
5.3) Violazione degli artt. 27 e 28 del D.Lg. 22/97
Poiché il CDR è classificabile quale rifiuto, il suo utilizzo finalizzato al recupero di energia non può essere sottratto alla disciplina dei rifiuti speciali e quindi alla necessità di autorizzazione ordinaria.
6) Violazione dell’art. 44 della L.r. 11/2001 e dell’art. 4 della L.r. 2/2000. Incompetenza.
La comunicazione di inizio attività sostituisce l’autorizzazione all’esercizio per la quale, a tenore delle disposizioni indicate, è competente la Regione e non la Provincia.
7) Violazione degli artt. 27 e 28 del D.Lg. 22/97 e delle prescrizioni contenute nelle concessioni edilizie. Falsità del presupposto e carenza di istruttoria.
La sottoposizione della fattispecie a procedura semplificata non esonerava la Ditta dal rispettare i limiti e le prescrizioni contenute nelle concessioni edilizie, che avevano consentito al Comune di valutare positivamente la compatibilità dell’intervento con la destinazione di zona. In particolare, si era stabilito che “il capannone è in funzione ed in collegamento con l’impianto di cogenerazione che a sua volta non può funzionare privo dello stabilimento Agroidea…L’energia prodotta dovrà servire in maniera prevalente il vicino stabilimento per il funzionamento dello stesso, senza ricorrere all’uso di energia elettrica ENEL” e che “il materiale utilizzato come CDR per la combustione dell’impianto di co-generazione sia obbligatoriamente: carta, cartone, pellets in legno, come indicato nella relazione tecnica del 27.3.2000 con n. 3838 di prot.”.
La Provincia doveva esaminare i suddetti profili ed esercitare dapprima il proprio potere di controllo e successivamente quello inibitorio.
Se lo avesse fatto, avrebbe potuto rilevare che l’energia prodotta servirà solo in parte allo stabilimento Agroidea, mentre una parte sarà venduta a terzi, e che la composizione del CDR indicata nella comunicazione era ben diversa da quella imposta dal Comune con la clausola citata, e anche da quella accertata con l’analisi del 23.9.2004 che aveva indicato la presenza del 39.5% di plastiche e del 10% di materiali vari.
8) Illegittimità derivata dalla falsità e nullità del provvedimento n. 122/2000 e del parere comunale del 30.5.2000. Carenza di motivazione.
9) Violazione dell’art. 54 della L.r. n. 33/85 e dell’art. 8 del D.M. 5.2.98
I laboratori privati che eseguono analisi fisiche, chimiche e biologiche delle emissioni, degli scarichi dei rifiuti e dei residui riutilizzabili, devono essere accreditati secondo le norme UNI-EN 45.000.
Il referto analitico n. 7693 del 23.9.2004 prodotto da Ecoidea riporta una dicitura che pare contrastare con tale regola.
10) Violazione dell’art. 174 del Trattato CEE e del principio di precauzione. Carenza di motivazione.
Tale principio andava sicuramente applicato nel caso di specie, dato che l’impianto è destinato ad inserirsi in un territorio ad elevato rischio ambientale.
2. - La Provincia, pur ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio.
E’ invece presente in giudizio la controinteressata Ecoidea, che puntualmente controdeduce nel merito del ricorso di cui chiede la reiezione.
In limine, ne eccepisce la parziale irricevibilità (o inammissibilità per acquiescenza), non avendo il Comune opposto tempestivamente alcune comunicazioni provinciali dal contenuto delle quali risultava evidente che l’autorizzazione di cui si controverte sarebbe stata rilasciata con procedura semplificata, e comunque l’irricevibilità di tutte le doglianze rivolte contro i provvedimenti di approvazione del progetto.
3. - Si sono costituiti in giudizio, con atto di intervento ad adjuvandum, Legambiente Onlus, sezione Veneto, ed il “Comitato per il Cogeneratore”, che sostengono le ragioni del Comune e chiedono anch’essi l’annullamento degli atti da questo impugnati.
4. - Innanzi tutto va verificata la legittimazione all’intervento di Legambiente Onlus - Sezione Veneto e del “Comitato per il Cogeneratore”.
L’intervento del Comitato Regionale Veneto di Legambiente è inammissibile, in quanto non è stato proposto da Legambiente nella sua connotazione di “associazione di protezione ambientale a carattere nazionale individuata con decreto del Ministro dell'ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell'ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonchè della continuità dell'azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l'ambiente” (art. 13, comma 1, L. 8 luglio 1986 n. 349 così come modificato dall'art. 17 della L. 23 marzo 2001 n. 93), ma come Comitato Regionale Veneto dell’Associazione medesima, rappresentato in quanto tale dal Presidente del Comitato stesso e non già dal Presidente nazionale. Sul punto la giurisprudenza, anche recentemente, ha ribadito che la speciale legittimazione delle associazioni di protezione ambientale a ricorrere innanzi alla giurisdizione amministrativa riconosciuta dall’art. 18 della L. 349 del 1986 riguarda in via esclusiva l’associazione ambientalistica nazionale formalmente riconosciuta, e non già le sue articolazioni territoriali, con la conseguenza che queste ultime non possono reputarsi munite di autonoma legittimazione processuale, neppure per l’impugnazione di atti amministrativi ad efficacia territorialmente limitata (cfr., da ultimo: C.S., sez. V, n 2151/06, nonché Tar Veneto n. 3170/04). Lo stesso ovviamente vale anche per l’intervento in giudizio (Tar Lombardia - Brescia n. 1177/02).
Per quanto concerne, invece, il “Comitato per il Cogeneratore” va precisato che, secondo consolidata giurisprudenza, gli interessi diffusi di cui sono portatori i Comitati, o altre analoghe figure, possono avere ingresso nel processo amministrativo - con autonoma impugnativa - solo se i soggetti che li rappresentano hanno una duratura e non occasionale presenza nel territorio e vi sia uno stabile criterio di collegamento; nella specie lo stesso interveniente precisa che il Comitato è stato costituito ad hoc per opporsi alla realizzazione dell’opera di cui trattasi, e benché ciò non lo legittimi a proporre autonomo ricorso, è però sufficiente, sempre a tenore di consolidata giurisprudenza (da ultimo: Cons. di Stato n. 2534/05 e Tar Toscana n. 341/06), a legittimarlo all’intervento ad adjuvandum del ricorso principale proposto da altri.
L’intervento in giudizio del “Comitato per il Cogeneratore” è pertanto ammissibile.
5. - Vanno, ora, delibate le eccezioni di irricevibilità ed inammissibilità sollevate dalla controinteressata.
Per maggior chiarezza, merita delineare esattamente l’oggetto del presente ricorso (l’ultimo di un abbondante contenzioso che ha visto protagonisti il Comune di Cologna Veneta e la controinteressata Ecoidea): il Comune impugna in questa sede il provvedimento provinciale n. 6866 del 19.11.2004, con il quale Ecoidea è stata iscritta, a conclusione della procedura semplificata di cui agli artt. 31 e sg. del D.Lg. 22/97, nel Registro Provinciale delle Imprese che effettuano attività di recupero di rifiuti non pericolosi, nonché la comunicazione di inizio attività da quest’ultima presentata, affinché ne venga accertata la carenza di presupposti per l’esercizio dell’attività stessa, con dichiarazione di illegittimità anche del comportamento della Provincia che non avrebbe dovuto consentire l’iscrizione, bensì esercitare i propri poteri inibitori.
Va da sé, quindi, che ciò che viene qui contestata è solo la possibilità di svolgere concretamente l’attività, non certo il progetto dell’impianto, che è cosa tutt’affatto diversa, la cui autorizzazione compete ad altre autorità ed è intervenuto in tempi precedenti.
Ciò è tanto vero che il già un precedente ricorso, proposto dal Comune nel 2004, avverso l’approvazione del progetto, è stato dichiarato irricevibile con sentenza della III Sezione n. 2170/2005.
5.1. - Tutti i motivi di ricorso che riguardano espressamente il progetto (che si lamenta, sostanzialmente, non essere stato sottoposto a VIA) sono quindi palesemente tardivi e irricevibili. Si tratta dei motivi rubricati sub n. 1, 2 e 3.
6. - I restanti motivi sono tutti infondati e ciò dispensa il Collegio dall’esaminare gli ulteriori profili di (parziale) inammissibilità del ricorso.
La disamina va quindi iniziata dal quarto, con cui si lamenta l’illegittimità dell’iscrizione nel Registro (che vale autorizzazione all’esercizio dell’attività) per l’asserita contrarietà del D.Lg. 22/97 alle Direttive comunitarie.
Il ricorrente Comune ritiene infatti che la decisione della Corte di Giustizia delle Comunità n. C103 del 7.10.2004 - con cui la stessa ha dichiarato che la previsione di procedura semplificata, di cui agli artt. 30 e sg. Del D.Lg. 22/97, in assenza di alcuni dei requisiti previsti dalla direttiva (e, in specie la previa determinazione di norme generali che fissino i tipi e quantità di rifiuti, le condizioni dell’autorizzazione, e se i metodi di smaltimento e di recupero rispettano le condizioni previste dall’art. 4) costituisce inadempimento dello stato italiano agli obblighi derivanti dal Trattato - sia idonea a riflettersi in modo diretto su atti emessi dalla Provincia.
Così non è; infatti l’unico obbligo derivante da tale tipologia di sentenze in capo allo Stato membro è quello di porre in essere il corretto adeguamento alla Direttiva; obbligo che, se ulteriormente disatteso, potrà, al più, portare ad un ulteriore procedimento contenzioso finalizzato alla condanna dello Stato al pagamento di una sanzione pecuniaria. Il cittadino (o, in questo caso, il Comune) non ritrae da tale sentenza alcuna pretesa tutelabile (tranne che un titolo per il risarcimento dell’eventuale danno patito, nella fattispecie peraltro neppure adombrato). E ciò anche in ragione del fatto (come correttamente rileva la controinteressata), che ciò che la Corte di giustizia ha contestato non è una violazione del precetto comunitario, bensì una mera mancata esplicitazione dei limiti entro cui l’eccezione alla regola (consentita) può essere esercitata. In altre parole, anche la disciplina comunitaria prevede l’autorizzazione ordinaria e quella semplificata (che in Italia si consolida per silentium), ma non ne ha regolamentato tutti i casi e limiti, rimessi dalla Direttiva stessa allo Stato membro. Non vi è, quindi, alcuna norma comunitaria di tipo sopraordinato che sia possibile, nella specie, applicare direttamente.
6.1. - Anche il quinto motivo va respinto.
Il Comune si duole dell’utilizzo, nel caso, della procedura semplificata di cui agli artt. 31 e sg., a suo dire non corretta per un triplice ordine di ragioni:
a - mancanza della programmazione regionale;
b - sopravvenuta abrogazione della lett. c) dell’art. 33, comma 8 del D.Lg. 22/97;
c - contrarietà della stessa alle norme generali in tema di ambiente.
Richiama, in proposito, la sentenza del C.S., sez. VI, n. 5411/2001. Fa poi presente, che l’art. 33 (nella sua originaria formulazione) stabiliva che le disposizioni semplificate non si applicano all’attività di recupero dei rifiuti urbani, ad eccezione, (lett. c) “dell’impiego di combustibile da rifiuto, nel rispetto delle specifiche norme tecniche adottate ai sensi del comma 1, che stabiliscono, in particolare, la composizione merceologica e le caratteristiche qualitative… ai sensi della lett. p) dell’art. 6”. Peraltro, tale lett. c) risulta abrogata dall’art. 7, comma 11, del L. 179/02, il che può comportare - secondo la prospettazione del ricorrente - due diverse conseguenze: o che l’uso del combustibile da rifiuto è, ora, totalmente libero; ovvero, al contrario, che non può essere sottoposto a procedura semplificata. Non potendosi ammettere che il recupero del C.D.R. (consistente, in sostanza, nell’incenerimento di rifiuti) sia totalmente libero, si deve optare per la seconda ipotesi, come conferma anche l’art. 31, comma 6, secondo cui l’autorizzazione di operazioni di recupero di rifiuti non individuati ai sensi dell’articolo medesimo, sono sottoposte ad autorizzazione ordinaria.
Da ultimo osserva che non appare ragionevole che l’uso del C.D.R. sia sottratto alla disciplina dei rifiuti speciali.
6.1.1. - Quanto al primo aspetto, va rilevato che la programmazione regionale è intervenuta. Infatti, con delibera del Consiglio regionale n. 59 del 22.11.2004 (in B.U.R. n. 6 del 18.1.2005) è stato approvato il Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Urbani che, all’elaborato D, denominato “Organizzazione del sistema di recupero energetico dei rifiuti urbani e stima degli oneri finanziari” (che, tra l’altro, tiene distinti gli inceneritori, intesi come impianti di smaltimento con recupero energetico di cui alle voci D10 e D11 dell’all. B al D.Lg. n. 22/97, dagli impianti di recupero, ritenendo tali “esclusivamente gli impianti che utilizzano come combustibile il C.D.R. e gli altri rifiuti individuati all’all. 2, suballegato 1 al D.M. 5.2.98”) a pg. 118, richiama espressamente l’ “impianto della Società Ecoidea di Cologna Veneta”, menzionato anche a pg. 277 tra le “schede degli impianti di recupero e smaltimento pubblici e dei principali privati”. E’ ben vero che l’atto di cui si controverte è - sia pure di poco - precedente all’approvazione del Piano (ma successivo alla sua adozione, intervenuta con le deliberazioni della G.R. n. 89 del 14.9.2001 e n. 62 del 7.5.2004), tuttavia (anche ammessa la necessità di previa programmazione regionale), la circostanza che il piano sia stato adottato nel 2001 - con integrazione nel maggio 2004 - ed effettivamente approvato contemplando anche l’impianto in questione, vale, quanto meno, a sanare ex post ogni eventuale irregolarità temporale.
Va peraltro precisato che il C.S., con la sentenza della Sez. VI, n. 6657/02, in un caso simile ha stabilito che l’installazione di una centrale di produzione di energia elettrica, ancorché derivante da utilizzo di rifiuti, è “realtà aziendale e giuridica diversa da una discarica e/o da un inceneritore e/o da un impianto di trattamento, stoccaggio temporaneo o definitivo dei rifiuti (tale da dovere esser inserito nel piano regionale di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 915/1982) “, con ciò prevedendone la possibile realizzazione anche al di fuori del piano regionale.
6.1.2. - Vale inoltre la pena di ricordare come, dopo la decisione del Consiglio di Stato richiamata dal Comune, la qualificazione del C.D.R. sia mutata da rifiuto urbano a rifiuto speciale (art. 7, comma 3, lett. l bis del D.Lg. 22/97, come definitivamente modificato dalla L. 16/02), con la conseguenza che anche l’art. 33, comma 8, ne è rimasto conseguentemente modificato. Esso prescrive (prescriveva in allora, essendo, oggi, l’intera normativa stata abrogata dal D.Lg. 3.4.06 n. 152) che le disposizioni semplificate non si applicano alle attività di recupero dei rifiuti urbani, tranne le eccezioni ivi previste. Peraltro, non essendo più il C.D.R. rifiuto urbano, ne consegue che all’impiego dello stesso le disposizioni, viceversa, si applicano.
L’avvalersi della procedura semplificata per gli impianti di produzione di energia con utilizzo di C.D.R., inoltre, è pacificamente ammesso dalla giurisprudenza. Si veda, in proposito: Tar Veneto n. 248/2001 e C.S., sez. V. n. 5333/04.
6.2. - Infondato è anche il sesto motivo, con cui si eccepisce l’incompetenza della Provincia - a tenore degli artt. 44 della L..r. 11/01, 4, comma 1, lett, f) n. 2, nonché 6, comma 1, lett. c) della L.r. 3/20000 - in materia di autorizzazione all’attività di recupero di rifiuti non pericolosi quale, appunto, il C.D.R..
Infatti, dal combinato disposto di tali disposizioni (peraltro di non agevole lettura e coordinamento) si desume che alla Regione spetta - in sostanza - l’approvazione dei progetti degli impianti, mentre la Provincia ne autorizza l’esercizio; e, a tenore dell’art. 33, la Provincia è certamente competente ad autorizzare (in via semplificata) le operazioni di recupero dei rifiuti, la prima della quali, come specifica l’all. C, è “l’utilizzazione … come combustibile, o come altro mezzo per produrre energia”.
Non diversamente, inoltre, si esprime l’art. 31 della L.r. 3/2000.
6.3. - Il settimo motivo va, esso pure, respinto.
Con tale doglianza il Comune afferma l’illegittimità dell’atto opposto in quanto la Provincia non avrebbe previamente verificato il rispetto da parte della ricorrente delle prescrizioni e dei limiti imposti in sede di rilascio del titolo edilizio relativo al capannone che contiene l’impianto. Dette prescrizioni riguardavano il rapporto tra l’impianto ed il preesistente stabilimento Agroidea, al servizio del quale esso doveva essere destinato, nonché la tipologia di rifiuto da utilizzare per produrre energia.
In realtà, nella procedura semplificata di cui agli artt. 31/33 del D.Lg. 22/97, la Provincia deve compiere solo le verifiche e valutazioni ivi indicate, alla stregua della documentazione che gli interessati presentano. Tra queste non sono ricomprese quelle di carattere urbanistico (che, all’evidenza, sono funzionalmente demandate al Comune stesso).
Quanto alla tipologia di rifiuti da cui deriva il C.D.R. utilizzato nell’impianto (dei quali, secondo il Comune, la Provincia avrebbe dovuto rilevare la diversa composizione dichiarata dalla Ditta in sede di istanza per il rilascio del titolo edilizio e nella procedura semplificata), va osservato innanzi tutto che le materie che compongono il C.D.R. erano, in allora, puntualmente individuate dal D.M. 5.2.98, al punto 14.1.2 dell’all. 1, suball. 2 (ora modificato dal D.M. 5.4.2006 n. 186), specie per quanto concerne la percentuale di presenza di plastiche. Inoltre, non corrisponde al vero quanto affermato dal ricorrente, secondo cui Ecoidea avrebbe maliziosamente taciuto alcuni di tali componenti, inducendo il Comune a credere che avrebbe utilizzato solamente “carta, cartone e pallets di legno”, laddove, ad una successiva verifica, si è accertato che il C.D.R. conteneva anche il 39,5% di plastica (peraltro ammessa dal D.M. fino alla percentuale del 50%) e da un altro 10% di materiali vari. In realtà, la Ditta, come si evince dalla relazione dimessa a corredo dell’istanza di titolo edilizio, ha sempre richiamato la norma del D.M. citata indicando quali componenti “carta, cartone, pallets ecc.”e lo stesso Comune, nel redigere la prescrizione, ha fatto riferimento al contenuto di tale relazione
Di tutto ciò, tuttavia, la Provincia - in sede di procedura semplificata - non doveva affatto occuparsi (come più volte ribadito anche da questo Tribunale. Cfr. Tar Veneto, sez. III, n. 505/03).
6.4. - Anche il motivo sub 8), con cui il Comune lamenta l’illegittimità derivata dalla falsità (accertata in sede penale) del D.M. n. 122/2000 intervenuto nella fase di approvazione del progetto di ampliamento dell’impianto, nonchè di un proprio parere, va respinto.
Infatti, quando la Provincia ha provveduto, l’atto approvativo era vigente e produttivo di effetti (non essendo stato rimosso dal competente Ministero, né potendosi ritenere inefficace o automaticamente caducato in conseguenza della sentenza penale, anche in considerazione del fatto che il favorevole parere comunale - di cui era stata dichiarata la falsità – risultava essere meramente confermativo di altro già espresso dal Comune nel medesimo procedimento in data 10.23.2000, cosicché gli asseriti effetti “caducatori” del provvedimento ministeriale a causa della falsità (ideologica) del documento non sono affatto certi, come ha precisato anche la sentenza della Sezione n. 2170/05), e di ciò solo tale Ente doveva tener conto.
6.5. - Il nono motivo (espresso peraltro in forma inammissibilmente dubitativa) è infondato in fatto, come ha dimostrato Agroidea, dimettendo il documento n. 12, relativo al certificato di accreditamento SINAL del laboratorio Consulenze Ambientali s.p.a., che ha eseguito le analisi necessarie nell’ambito della procedura semplificata.
6.6. - Anche il decimo motivo, con cui si lamenta la violazione dl principio comunitario di precauzione, va respinto.
E’ stato infatti osservato (ed il Collegio aderisce a questa prospettazione) come tale principio “integri un criterio orientativo solo generale e di larga massima (e per giunta ancora in via di definizione e consolidamento), capace di ispirare in qualche modo le attività normative ed amministrative dell’Unione europea e degli Stati membri ma, almeno allo stato, non suscettibile di tradursi, per difetto di concretezza, in un preciso comando giuridico”; inoltre occorre considerare che, se non si può escludere che l’introduzione nel nostro ordinamento del principio di precauzione possa determinare qualche riforma delle varie disciplina, tuttavia, “finché ciò non avvenga, sembra chiaro che è alle regole positive vigenti che deve farsi riferimento”. Ciò non comporta quindi che la realizzazione di un’opera (o la gestione di un’attività) debbano essere senz’altro privi di impatto sull’ambiente circostante, ma impone, se mai, la formulazione di un giudizio comparativo che tenga conto della necessità di salvaguardare i valori ambientali, contemperandoli con l’interesse pubblico sotteso (che, nel caso di specie, è espresso nel favor del legislatore verso il recupero del rifiuto, in specie per la produzione di energia), e con il diritto di intrapresa economica, specie quando non risulti provata (ma, come nel caso di specie, solo ipotizzata) un’effettiva lesione del bene ambiente (cfr., sul principio, ex multis: TAR Lazio, Sez. I, n. 5118/04. Cfr., anche: C.S., sez. VI, n. 1462/05 e Corte Costituzionale n. 116/06).
In definitiva, il ricorso va respinto in quanto infondato in tutti i suoi motivi.
7. - Le spese seguono la soccombenza, pertanto il Comune di Cologna Veneta viene condannato a rifondere alla controinteressata costituita, a titolo di spese ed onorari, la totale somma di € 10.000,00 (diecimila/00) al netto di IVA e c.p.a.. Spese compensate nei confronti degli intervenienti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.
Condanna il Comune di Cologna Veneta al pagamento, in favore della controinteressata Agroidea, delle spese e competenze di causa che liquida complessivamente in € 10.000,00 (diecimila/00) oltre ad IVA e c.p.a.. Spese compensate nei confronti degli intervenienti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, l’8 giugno 2006.
Il Presidente f.f.-Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Terza Sezione