Consiglio di Stato Sez. V n. 128 del 8 gennaio 2025
Ambiente in genere.Condizioni sufficienti per il legittimo esercizio del potere extra ordinem da parte del Sindaco

Rientrano tra le condizioni ritenute sufficienti per il legittimo esercizio del potere extra ordinem riconosciuto al Sindaco dall’art. 54, comma 4, TUEL: la sussistenza di un pericolo concreto e attuale per la pubblica incolumità, che imponga di provvedere per porre rimedio a situazioni contingibili (cioè eccezionali o straordinarie che mettano in pericolo appunto l’incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento) e urgenti, cioè da fronteggiare nell’immediatezza; il requisito dell’imprevedibilità, da intendersi come non impedito dalla protrazione nel tempo dello stato di incuria ovvero dalla conoscibilità od anche dall’imputabilità alla stessa amministrazione della situazione di pericolo che si intende rimuovere, potendosi configurare anche quando sia imprevedibile l’evoluzione pregiudizievole, che appaia imminente, di una situazione pericolosa già nota o addirittura provocata. La circostanza che la vicenda sia già nota all'amministrazione non ha ex se rilevanza sull'esistenza o meno del pericolo di danno, sia in relazione al suo aspetto ontologico, sia in rapporto alle vicende della situazione stessa, siano esse di aggravamento o comunque di modifica. Infatti, l'assoluta imprevedibilità della situazione da affrontare non può considerarsi un presupposto indefettibile per l'adozione delle ordinanze extra ordinem ex art. 54 comma 4, T.U. enti locali


Pubblicato il 08/01/2025

N. 00128/2025REG.PROV.COLL.

N. 05663/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5663 del 2023, proposto da
Teresa Proietti, Irene Chiovelli, Roberto Chiovelli, Chiara Chiovelli, Raffaele Chiovelli, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Busiri Vici, Matteo Frenguelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Viterbo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gesualdo Antonio Pala, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Sindaco Comune di Viterbo, quale Ufficiale di Governo e Ministero dell'Interno, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Autorità di Bacino Distrettuale Appennino Centrale, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 16291/2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Viterbo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e preso atto del deposito della richiesta di passaggio in decisione senza la preventiva discussione, ai sensi del Protocollo d’intesa del 10 gennaio 2023, da parte degli avvocati Frenguelli e Pala;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dal signor Alberto Chiovelli contro il Comune di Viterbo, l’Autorità di Bacino, il Ministero dell’Interno, nonché nei confronti del signor Egildo Vittori, per l’annullamento delle ordinanze contingibili e urgenti del Sindaco della Città di Viterbo, Settore Lavori Pubblici, n. 88 del 19 luglio 2011 e n. 120 del 23 settembre 2011, oltre che degli atti presupposti ivi specificamente indicati (quanto al ricorso principale) e della nota n. 4881 del 13 febbraio 2012 del Dirigente del Settore VI del Comune di Viterbo (quanto ai motivi aggiunti), relative all’adozione di misure di messa in sicurezza e consolidamento di una rupe.

1.1. Il tribunale ha premesso quanto segue in merito alle deduzioni in fatto di parte ricorrente:

- quest’ultima è proprietaria, in Viterbo, località Sant’Angelo Roccalvecce, Strada Pinzicone, tra gli altri, dei terreni meglio distinti in catasto al fg. 275, partt. 36 – 429 e 430, i quali, sul fronte di circa 110 metri lineari, sono posti a dislivello rispetto ad altri terreni, meglio individuati catastalmente come in atti, di proprietà dei controinteressati e sui quali insistono edifici di civile abitazione e manufatti vari;

- il confine della sua proprietà non coincide con il piede della scarpata, così che quest’ultima è in condominio con le proprietà terze che si trovano ai piedi della scarpata stessa, estendendosi per circa metri lineari 10, e che (anche per il noto principio secondo cui la proprietà si estende “usque ad infera et usque ad sidera”) includono grotte che si sviluppano sia in altezza che in profondità; le suddette proprietà confinano con la strada comunale Pinzicone;

- intorno alla metà degli anni novanta, in corrispondenza delle particelle nn. 90-91, dove la scarpata si configurava sino ad allora con una graduale pendenza dell’attuale ciglio superiore fino alla prossimità del confine con la strada (tanto da contenere al suo interno due “grottini” utilizzati come stalle o rimessaggi), venivano eseguiti da terzi sbancamenti di una grande quantità di masso tufaceo sino ad indurre l’attuale pressoché verticalità del dislivello, con conseguente integrale recupero delle particelle al livello della strada per farne oggetto di interventi edificatori;

- il fronte di dislivello è sito in zona complessivamente di instabilità geo -morfologica posto che sia verso sud-ovest che verso nord-est ci sono fronti attivi di frana, segnalati anche dalla cartografia tematica, nonché oggetto di segnalazione nel PAI da parte dell’Autorità di Bacino del Fiume Tevere (la rupe in questione ha un’altezza variabile dagli 8 ai 10 metri);

- tenuto conto di tale contesto, il ricorrente esponeva di avere sempre adottato appositi accorgimenti per la conservazione della stabilità della sua proprietà sui quali si soffermava;

- in data 7 febbraio 2011, gli veniva notificata l’ordinanza nr. 11 del 28 gennaio 2011, prot. 3079 del Sindaco del Comune di Viterbo (con la quale gli venivano ordinati “lavori di bonifica e consolidamento atti a garantire la stabilità della rupe in questione”). Pur non ritenendosi obbligato a svolgere tali lavori, tuttavia, senza prestare acquiescenza, poneva in essere un transennamento dell’area che impediva l’utilizzo degli ambiti a ridosso del ciglio della scarpata–rupe, al contempo sia sollecitando l’Amministrazione a rivolgere analogo ordine alle altre proprietà interessate, sia incaricando un proprio tecnico di fiducia della redazione di una relazione sugli ambiti de quibus;

- il Comune, con ordinanza nr. 88/2011 (oggetto di impugnazione), estendeva, in effetti, anche alle ulteriori proprietà sulla rupe o della rupe i propri provvedimenti, invitando le stesse ad interdire e mantenere interdetto l’utilizzo delle aree scoperte interessate al possibile dissesto fino alle opere di consolidamento; invitava i destinatari a redigere entro 30 giorni dalla notifica un’approfondita valutazione tecnica del fenomeno franoso che si assumeva in essere, comunicando i relativi esiti all’Ufficio LLPP di Viterbo. I destinatari dell’ordinanza venivano anche invitati, se necessario, sotto la guida di un tecnico abilitato alla professione e nel rispetto delle normative vigenti, a porre in essere le opere necessarie alla definitiva messa in sicurezza ed ove richiesto al consolidamento della rupe;

- il ricorrente, che assumeva di avere predisposto quanto in suo potere, sia in ordine alle relazioni tecniche che al transennamento della proprietà, riferiva che interventi di consolidamento avrebbero richiesto il coinvolgimento di proprietà ed ambiti ulteriori ed evidenziava come la primitiva ordinanza nr.3079/2011 aveva imposto di non alterare la sagoma e gli ingombri preesistenti della rupe; che tale situazione veniva riferita al Comune; che lo stesso ricorrente si attivava, comunque, per convocare tutti i destinatari dell’ordinanza (della quale tramite legale aveva contestato l’illegittimità) in più riunioni (che non si svolgevano per mancanza della maggioranza dei convocati, come da verbali in atti);

- intanto, il 15.10.2011, veniva notificata all’odierno ricorrente una nuova ordinanza del Sindaco di Viterbo, emessa ai sensi dell’art. 54 del D.lgs. n.267/2000 (la nr. 120 del 23.09.2011, pure oggetto di impugnazione), con la quale, ad integrazione dell’ordinanza n.88/2011 e nelle more dell’attuazione di non meglio identificate “opere di consolidamento della rupe di cui in oggetto”, si disponevano ulteriori “interdizioni all’uso”, rivolte agli ulteriori destinatari dell’ordinanza in questione (meglio identificati in atti) mentre il sig. Chiovelli veniva sollecitato solo a mantenere l’interdizione all’uso della fascia di terreno sovrastante la rupe per una profondità di 5 metri.

1.2. Sulla base di tali premesse, le ordinanze sopra indicate sono state impugnate con due motivi di ricorso: il primo, per violazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 ed eccesso di potere sotto vari profili; il secondo, per violazione degli artt. 3 e 7 e seg. della legge n. 241 del 1990, difetto e contraddittorietà della motivazione e violazione del procedimento sotto diversi profili.

Hanno resistito il Comune di Viterbo e il Ministero dell’Interno.

1.3. Dopo il rigetto dell’istanza cautelare con ordinanza n. 4963 del 22 dicembre 2011 (con la quale si riteneva che “allo stato degli atti ed all’esito di una valutazione sommaria della documentazione prodotta, non emergono elementi utili al fine di accogliere l’istanza cautelare siccome proposta, tenuto conto che non si manifesta alcuna attualità rispetto al pregiudizio paventato dalla parte ricorrente, in ragione del fatto che spetta al Comune individuare, specificamente ed in contraddittorio con tutti i proprietari coinvolti, gli interventi da realizzarsi per mettere in sicurezza l’area in questione”), è stata emessa la nota comunale n. 4881 del 13 febbraio 2012, con la quale il Dirigente del Settore VI, Lavori Pubblici ha ordinato di eseguire opere per la messa in sicurezza della scarpata in loc. Sant’Angelo, dichiarando di agire in ragione della suddetta ordinanza cautelare, ed “invitando” a provvedere “con urgenza alla esecuzione dei lavori di messa in sicurezza dell’area in questione”, precisando che “sulla base dei contenuti e delle relazioni specialistiche prodotte in esecuzione dell’ordinanza sindacale n. 120”, i suddetti lavori sarebbero dovuti consistere nel “consolidamento del piede della scarpata e la protezione del pendio dall’erosione con idonei sistemi di rivestimento”; interventi da eseguirsi “tempestivamente”.

1.3.1. Il ricorrente ha impugnato tale ordinanza con motivi aggiunti.

1.4. Il tribunale – dato atto delle eccezioni di rito e delle difese di merito del Comune di Viterbo e della produzione (in data 30 settembre 2022) da parte ricorrente di una consulenza tecnica d’ufficio resa in un giudizio civile nell’anno 2012 – ha deciso come segue:

- ha osservato che ricorso e motivi aggiunti erano stati notificati ad uno solo degli altri proprietari interessati dalle misure contingibili e urgenti, con la conseguenza che – poiché il ricorrente aveva prospettato, variamente, che gli interventi disposti non sarebbero stati di sua competenza, ma di quella degli altri comproprietari – “il gravame andrebbe dichiarato inammissibile in questa parte (quanto meno avrebbe dovuto essere notificato a quelli tra gli altri proprietari che nell’esposizione considera responsabili dell’escavazione della base della rupe)”;

- ha osservato, altresì, che il giudizio era da rendere “allo stato degli atti”, non avendo nessuna delle due parti riferito sullo stato di fatto attuale dei luoghi, restando perciò “salva ed impregiudicata ogni eventuale attività svolta medio tempore” (vale a dire tra il 2011/2012 data dei provvedimenti impugnati e l’11 novembre 2022, data del passaggio in decisione del ricorso e dei motivi aggiunti);

- sempre in via preliminare, ha ritenuto che si presentava fondata l’eccezione principale del Comune, secondo la quale il ricorso introduttivo sarebbe stato inammissibile per non avere il ricorrente impugnato l’atto lesivo, consistito nell’ordinanza n. 11 del 28 gennaio 2011, “che ha originato la sequenza procedimentale che si è articolata nelle ordinanze successive (da considerare unitaria, in quanto attinente a fasi scandite da diversi adempimenti tra le parti tutti finalizzati all’esame della situazione dei luoghi)”;

- ha comunque deciso nel merito, ritenendo il gravame “nel suo complesso” infondato per le ragioni esposte ai punti 4) e 5) della sentenza, delle quali si dirà nel prosieguo.

1.5. Le spese processuali sono state compensate nei confronti del Ministero dell’Interno e regolate secondo il criterio della soccombenza in favore del Comune di Viterbo.

2. I signori Teresa Proietti, Irene Chiovelli, Roberto Chiovelli, Chiara Chiovelli e Raffele Chiovelli, tutti nella qualità di eredi del signor Roberto Chiovelli, deceduto il 6 novembre 2020, hanno proposto appello con quattro motivi.

Il Comune di Viterbo si è costituito per resistere all’appello.

2.1. All’udienza del 5 dicembre 2024 la causa è stata assegnata a sentenza, senza discussione, su richiesta delle parti, previo deposito di memorie e repliche di entrambe.

Dal momento che tali memorie risultano depositate nei termini assegnati dall’art. 73 c.p.a. e che eventuali ulteriori repliche sarebbero state possibili in sede di discussione all’udienza pubblica fissata come sopra (essendo rimessa alla facoltà delle parti la richiesta di passaggio in decisione senza discussione, come accaduto nel caso di specie), non si riscontra alcuna violazione del contraddittorio in appello che giustifichi i contrari rilievi di cui alla memoria di replica del Comune di Viterbo.

3. Portata dirimente ai fini della decisione hanno il terzo e il quarto motivo di appello.

3.1. Col terzo motivo si censura la decisione di rigetto nel merito.

3.1.1. Il tribunale ha richiamato la giurisprudenza in tema di ordinanze contingibili e urgenti, ritenendo sussistenti nel caso di specie i presupposti della necessità e dell’urgenza per la “semplice esposizione in fatto che si trae dagli atti di causa”, visti il rapporto dei Vigili del Fuoco del 24 dicembre 2010, l’ordinanza n. 11/2011 (con la quale era ordinata l’adozione di misure di salvaguardia, bonifica e consolidamento della rupe, a cui il signor Chiovelli aveva prestato adesione), il successivo verbale dei Vigili del Fuoco del 14 giugno 2011, la prima delle ordinanze oggetto del ricorso principale emessa il 19 luglio 2011, i due ulteriori sopralluoghi dei Vigili del Fuoco del 22 agosto 2011 e del 14 settembre 2011, quindi l’ordinanza impugnata del 23 settembre 2011.

Ha ritenuto “prive di rilievo” le doglianze procedimentali (non riproposte in appello, se non per quanto riguarda la nota del dirigente comunale, impugnata con motivi aggiunti).

Ha ritenuto irrilevante il contenuto della CTU prodotta dal ricorrente perché non attinente al quadro giuridico e fattuale come risultante al momento degli atti di causa, ma semmai “attinente alla fase esecutiva delle ordinanze”, e parimenti ha ritenuto riguardanti la fase esecutiva le doglianze relative alle relazioni indicate nella determinazione dirigenziale impugnata, quanto alla ripartizione degli interventi tra i diversi proprietari.

Su tale ultima questione il tribunale ha, in particolare, affermato che “Quando il Sindaco ordina ex art. 54 del d.lgs. 267/2000 determinati interventi contingibili ed urgenti a carico di più destinatari ed in relazione ad un bene o una fonte di pericolo che è comune a tutti, salvo che la natura dei luoghi o dell’intervento non lo esiga o non lo renda opportuno, non è tenuto ad indicare o prescrivere la suddivisione della misura in quote per ciascun destinatario, perché l’ordinanza costituisce in capo ai proprietari una obbligazione solidale che, quindi, dovrà regolarsi secondo il titolo”, con la conseguenza che “ogni questione inerente le modalità applicative o esecutive, l’effettuazione di scavi o sondaggi, la redazione di perizie o studi, l’approntamento di misure di messa in sicurezza o lavori di consolidamento (e l’individuazione dei soggetti a carico dei quali essi vanno realizzati, come ad esempio nella perizia del 2012 depositata dal ricorrente), nonché, infine, la specifica ripartizione tra i destinatari tenuti alla prestazione (per interventi o quote e quali tra esse), seguirà le regole proprie della solidarietà, potendosi esigere da parte dell’Ente l’adempimento a carico di ciascuno di essi, salva rivalsa secondo i titoli di proprietà (o di responsabilità nell’aver cagionato il pericolo, a seconda dei casi); e fermo restando che, laddove in caso di inottemperanza, sarà l’Ente ad intervenire (intervento che può rivelarsi doveroso quando il pericolo non consenta l’indugio), i relativi costi saranno recuperati, ancora una volta, a carico di tutti i condebitori a seconda della natura della prestazione (se unitaria, come risulta nel caso di specie, o frazionabile) e le regole generali.”.

3.1.2. Gli appellanti sostengono che le statuizioni sopra dette sarebbero erronee perché non terrebbero in considerazione il punto centrale del primo motivo di ricorso, secondo il quale, con i provvedimenti gravati, sarebbe stato imposto al signor Chiovelli un facere impossibile “stravolgendo anche le ragioni (le possibili cause efficienti) del temuto dissesto”.

L’assunto di fondo degli eredi dell’originario destinatario delle ordinanze contingibili e urgenti è che, essendo questi proprietario dei terreni posti sulla sommità della rupe in questione, non potrebbe eseguire gli interventi necessari a porre la stessa in sicurezza, perché riguarderebbero i terreni posti alla base e perché il dissesto sarebbe stato generato da interventi realizzati appunto sui terreni a valle.

3.1.3. In tale situazione, nemmeno sarebbe legittimo, secondo gli appellanti, l’ordine rivolto ex artt. 50 e 54 d.lgs. n. 267/2000 nei confronti di più soggetti, chiamati in solido a darvi esecuzione, perché le posizioni di ciascuno sarebbero talmente distinte e diverse tra loro da rendere del tutto ingiustificato il vincolo di solidarietà.

3.1.4. Gli appellanti deducono ancora che, decidendo come sopra, il tribunale si sarebbe posto in contrasto con la propria precedente ordinanza n. 4963/2011, di rigetto dell’istanza cautelare del ricorrente.

3.1.5. Viene quindi riproposto testualmente il primo motivo di ricorso, per un nuovo esame in appello.

3.2. Col secondo motivo di appello si denuncia la “violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato” perché il tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sui motivi aggiunti riguardanti la nota prot. 4881 del 13 febbraio 2012.

I motivi che si assumono non considerati vengono riproposti come appresso.

3.2.1. Illegittimità derivata sotto tutti i profili già evidenziati con l’atto introduttivo del gravame, i cui vizi avrebbero effetto caducante e comporterebbero, di per sé stessi, l’automatica caducazione del provvedimento successivo. Si precisa perciò che questo è impugnato per la sola “denegata ipotesi” che le ordinanze impugnate col ricorso principale siano ritenute affette da invalidità ad effetto viziante.

3.2.2. Incompetenza/violazione dell’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000, perché l’ordinanza impugnata con i motivi aggiunti è stata adottata dal dirigente comunale, laddove la competenza esclusiva e straordinaria per le ordinanze contingibili e urgenti spetta al Sindaco, in qualità di Ufficiale di Governo.

3.2.3. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di contraddittorio, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, sviamento, illogicità macroscopica, ingiustizia manifesta, indeterminatezza, contraddittorietà, perché l’ordinanza in questione ordina al ricorrente di eseguire interventi consistenti nel consolidamento del piede della scarpata e nella protezione del pendio dall’erosione con idonei sistemi di rivestimento; il tutto “sulla base dei contenuti delle relazioni specialistiche prodotte in esecuzione dell’ordinanza sindacale n. 120”. Il rinvio alle relazioni vizierebbe il provvedimento perché esse non consentirebbero di comprendere quali interventi dovrebbe porre in essere il ricorrente e comunque si tratterebbe di interventi necessariamente riguardanti terreni di proprietà di diversi soggetti, senza distinguere tra gli interventi che ciascuno dei proprietari degli immobili interessati dai fenomeni di erosione sarebbe tenuto ad eseguire.

Inoltre, l’indicazione del dirigente sarebbe in contrasto col contenuto delle stesse relazioni tecniche richiamate, laddove queste indicano come necessari interventi di ri-profilatura e/o rimodellamento del versante, mentre il provvedimento de quo invita a provvedere mediante “consolidamento del piede della scarpata e … protezione del pendio dall’erosione con idonei sistemi di rivestimento”.

Infine, il provvedimento è sopravvenuto, senza che sia stato instaurato un “nuovo ed ulteriore contraddittorio delle parti” per definire gli interventi da realizzare, non essendo utile a tale scopo il rinvio, di cui all’ordinanza dirigenziale, ai verbali delle riunioni del 14/7 e del 15/9 del 2011.

4. Il gravame non merita di essere accolto.

Le censure di cui alla prima parte del terzo motivo di appello vanno considerate unitamente a quelle del primo motivo di ricorso e dei motivi aggiunti, che sono stati contestualmente riproposti dagli appellanti, nell’assunto che T.a.r. avrebbe erroneamente respinto il primo e non avrebbe tenuto conto degli altri tre.

Tale assunto risulta infondato per tutti i mezzi.

4.1. La sentenza, trattandone unitariamente, ha in primo luogo respinto la deduzione, comune al ricorso ed ai motivi aggiunti, del vizio di violazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, sotto il profilo della carenza dei presupposti per l’emissione di ordinanze contingibili e urgenti, e del vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, oltre che per sviamento e altri profili.

In proposito, è sufficiente constatare, come già fatto dal T.a.r., che:

- nel corso di diversi sopralluoghi, tra il 2010 e il 2011, i Vigili del Fuoco constatarono fenomeni di smottamento della parete tufacea (o rupe) di proprietà privata;

- i provvedimenti immediati ordinati, ai quali lo stesso ricorrente in primo grado ha dichiarato di essersi attenuto, per quanto di pertinenza della sua proprietà, hanno riguardato l’interdizione all’accesso alle aree scoperte della rupe, alle cavità e agli immobili a ridosso della scarpata;

- la prima delle due ordinanze oggetto di impugnazione ha, inoltre, ragionevolmente prescritto l’esecuzione nel termine di 30 giorni di un’indagine geologica del fenomeno franoso, sulla natura e sulle cause del dissesto e sulla stabilità dei manufatti in loco;

- con la stessa ordinanza è stato poi rivolto l’ordine, invece contestato dal ricorrente, di provvedere, successivamente a detta indagine, (se necessario) ad eseguire le opere di messa in sicurezza e il consolidamento della rupe;

- con la seconda ordinanza contingibile e urgente (avente l’unica ulteriore finalità - sottolineata dalla difesa civica, ma resa evidente dal tenore del provvedimento - di estendere a tutti i proprietari coinvolti le prescrizioni già ordinate con la precedente) è stata ribadita l’interdizione a tutti i destinatari, a seconda delle rispettive proprietà, dell’utilizzazione delle aree scoperte, delle cavità e degli immobili a ridosso della scarpata fino all’esecuzione delle opere di consolidamento della rupe; rivolta ad un folto gruppo di destinatari, quanto al ricorrente, tale ordinanza ha soltanto interdetto l’uso della fascia di terreno sovrastante la rupe per una profondità di 5 metri.

Considerati le risultanze degli interventi dei Vigili del Fuoco, ma anche i contenuti delle ordinanze, immediatamente precettive di misure cautelative, quali quelle impeditive dell’accesso e dell’utilizzazione - e tenuto conto delle doglianze del ricorrente - appare corretta l’affermazione della sentenza gravata secondo cui era evidente come “il rischio dell’imminente ulteriore distacco di materiali o di porzioni della rupe, con altrettanti evidenti rischi per le proprietà e le persone, non sia seriamente messo in discussione dalla parte ricorrente, né sia dubitabile – con riguardo al tempo di adozione dei provvedimenti impugnati – che dovesse ritenersi sussistente, in forza di una prognosi ragionevole ex ante ed in concreto.”.

4.2. Peraltro, le censure mosse dalla parte ricorrente non riguardano tanto il contenuto delle due ordinanze volto ad interdire l’accesso ai luoghi pericolosi, quanto quello volto a prescrivere interventi di consolidamento.

Esse vengono prospettate sotto il seguente duplice profilo:

- dell’assoluta genericità delle relative prescrizioni, quanto a tempi e modalità attuative degli interventi di messa in sicurezza, nel presupposto che comunque si sarebbe trattato di interventi necessariamente strutturali, tanto da risultare inattuabili da parte del singolo proprietario;

- della mancata specificazione degli interventi da porre in essere, appunto, da parte di ciascuno dei proprietari interessati.

4.3. Il primo profilo di critica non consente di invalidare i provvedimenti impugnati.

La mancata precisa individuazione degli interventi di consolidamento, già al momento dell’emissione delle ordinanze contingibili e urgenti, è logica ed inevitabile conseguenza del fatto che le ordinanze prospettavano, come detto, quali prescrizioni urgenti quelle di interdizione, ma anche di studio geologico dei luoghi (mediante “approfondita valutazione del fenomeno franoso della rupe in questione con l'analisi dello stato dei luoghi e la relativa caratterizzazione geostrutturale e geologica, accertando la natura e le cause del dissesto nonché la stabilità dei manufatti esistenti all'interno della rupe tufacea”), all’esito del quale ultimo soltanto (che avrebbe dovuto essere comunicato al “Settore LL.PP. – Ufficio pubblica incolumità”) si sarebbero potuti definire gli interventi necessari alla messa in sicurezza della scarpata.

Da questo punto di vista, l’operato del primo giudice presenta uno sviluppo coerente, infondatamente criticato dagli appellanti.

Il tribunale – dopo avere precisato con l’ordinanza cautelare che sarebbe poi spettato al “Comune individuare, specificamente ed in contraddittorio con tutti i proprietari coinvolti, gli interventi da realizzarsi per mettere in sicurezza l’area in questione” – ha giustamente respinto nel merito il ricorso contro le due ordinanze contingibili e urgenti: a fronte di fenomeni di smottamento in atto, trattandosi di proprietà privata sulla quale il Comune non sarebbe potuto intervenire direttamente nell’immediato, la misura dell’interdizione all’accesso e l’ordine di conferire mandato a tecnici di fiducia per individuare gli interventi necessari al consolidamento rispondono pienamente alla ratio dell’istituto straordinario dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000.

Essendo questi gli ordini da eseguirsi immediatamente, va sottolineato che, invece, la previsione dei lavori di messa in sicurezza e di consolidamento della scarpata, di cui alle ordinanze, è condizionata all’esito delle indagini geologiche e, comunque, rimessa ad una fase esecutiva successiva.

Di qui la coerente affermazione del tribunale circa l’utilità soltanto in tale “fase esecutiva delle ordinanze” delle soluzioni e dei rilievi tecnici di cui alla consulenza tecnica d’ufficio espletata in sede civile, in un giudizio che – non a caso – riguarda, in posizioni contrapposte, i proprietari dei diversi terreni coinvolti nel fenomeno franoso che interessa i luoghi.

Nemmeno la nota del dirigente comunale impugnata con i motivi aggiunti risulta avere, di per sé, contenuto immediatamente precettivo, sicché è da escluderne la natura di provvedimento amministrativo, espressione dell’esercizio di poteri autoritativi da parte dell’amministrazione.

Piuttosto, facendo dichiaratamente seguito alla detta ordinanza cautelare n. 4963/2011, è da intendersi come mero atto di avvio del sub-procedimento di specificazione delle modalità attuative degli interventi di messa in sicurezza della scarpata, finalizzato a coinvolgere tutti i proprietari interessati alla fase esecutiva delle ordinanze.

Di qui anche - in disparte le eccezioni di rito del Comune di Viterbo, che si possono ritenere assorbite - l’infondatezza del motivo, riproposto in appello, col quale si deduce il vizio di incompetenza per essere stata la nota adottata dal Dirigente del Settore VI, Lavori Pubblici, anziché dal Sindaco in qualità di Ufficiale di Governo, nonché l’infondatezza delle censure, pure riproposte in appello, di violazione delle garanzie procedimentali.

4.4. Nel merito della specificazione tra i diversi proprietari degli interventi di consolidamento alla cui adozione i destinatari sono stati invitati a provvedere, è sufficiente osservare che - contrariamente a quanto assunto dal signor Chiovelli, ed oggi dagli eredi, sia col ricorso introduttivo che col terzo dei motivi aggiunti, e con l’intero atto di appello – sia le ordinanze contingibili e urgenti che la nota dirigenziale si rivolgono ai predetti, sia collettivamente sia facendo riferimento ai rispettivi titoli di proprietà.

Ne consegue che, fermo restando quanto già affermato, in linea di principio, dal tribunale in ordine al vincolo di solidarietà, nella fase esecutiva a carico dei destinatari tenuti alla prestazione nemmeno l’amministrazione comunale potrebbe imporre l’ingerenza di ciascuno dei privati proprietari nelle proprietà degli altri, fatto salvo l’eventuale intervento coattivo diretto dell’ente comunale (intervento che, come precisato dal tribunale, “può rivelarsi doveroso quando il pericolo non consenta l’indugio”). In tale ultima eventualità, peraltro, ogni questione di riparto dei costi o (nella peggiore delle ipotesi, anche) delle responsabilità esula del tutto dall’ottemperanza alle ordinanze contingibili e urgenti, ed a maggior ragione dall’oggetto del presente giudizio limitato alla legittimità di queste ultime.

4.5. Nel caso di specie, sussistevano tutte le condizioni ritenute sufficienti dalla giurisprudenza per il legittimo esercizio del potere extra ordinem riconosciuto al Sindaco dall’art. 54, comma 4, TUEL; e precisamente, per quanto rileva ai fini della decisione:

- la sussistenza di un pericolo concreto e attuale per la pubblica incolumità, che imponga di provvedere per porre rimedio a situazioni contingibili (cioè eccezionali o straordinarie che mettano in pericolo appunto l’incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento) e urgenti, cioè da fronteggiare nell’immediatezza (cfr., già Cons. Stato, 12 giugno 2014, n. 3001 e 4 febbraio 2015, n.533, nonché più di recente, tra le altre, Cons. Stato, II, 15 febbraio 2021, n. 1375; IV, 11 gennaio 2021, n. 344; II, 11 luglio 2020, n. 4474);

- il requisito dell’imprevedibilità, da intendersi come non impedito dalla protrazione nel tempo dello stato di incuria ovvero, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, dalla conoscibilità od anche dall’imputabilità alla stessa amministrazione della situazione di pericolo che si intende rimuovere, potendosi configurare anche quando sia imprevedibile l’evoluzione pregiudizievole, che appaia imminente, di una situazione pericolosa già nota o addirittura provocata (cfr. Cons. Stato, V, 9 settembre 2022, n. 7884, dove è, tra l’altro, ribadito che “La circostanza che la vicenda fosse già nota all'amministrazione non ha ex se rilevanza sull'esistenza o meno del pericolo di danno, sia in relazione al suo aspetto ontologico, sia in rapporto alle vicende della situazione stessa, siano esse di aggravamento o comunque di modifica. Infatti, l'assoluta imprevedibilità della situazione da affrontare non può considerarsi un presupposto indefettibile per l'adozione delle ordinanze extra ordinem ex art. 54 comma 4, T.U. enti locali.”);

- la proporzionalità e l’adeguatezza della misura imposta, da riferire alla situazione di pericolo in concreto, al momento dell’adozione dell’ordinanza contingibile e urgente, così come la rispondenza dell’individuazione dei destinatari a criteri di ragionevolezza ed alla possibilità di intervenire per porre effettivo rimedio alla situazione di pericolo o prevenirne l’aggravamento.

4.5.1. Il Sindaco del Comune di Viterbo risulta aver agito in presenza di dette condizioni – dovute all’alterazione dell’equilibrio geologico della “rupe”, anche per interventi antropici (la cui responsabilità esula non solo dal presente giudizio, ma anche dalla giurisdizione amministrativa, in specie se configurata in capo ai proprietari dei terreni a valle nei confronti dei proprietari dei terreni a monte) – che hanno determinato un’accelerazione dell’instabilità della scarpata, comprovata, all’epoca, dalla caduta di massi nelle proprietà sottostanti e nella strada comunale, con evidente insorgenza di pericolo per l’incolumità pubblica.

Le ordinanze impugnate appaiono inoltre adeguate e proporzionate, dal momento che con le stesse sono stati rivolti, a tutti i proprietari interessati, collettivamente e ad “ognuno per i propri diritti”, gli ordini di misure cautelative immediate (compresa l’interdizione all’accesso alle zone con pericolo di frana) e di futuri interventi di consolidamento (questi ultimi, da interpretarsi come sopra).

4.6. In conclusione i motivi terzo e quarto di appello, nonché i motivi riproposti con tali mezzi, vanno respinti.

5. Va infine ritenuta l’inammissibilità per carenza di interesse del primo motivo di appello (volto a censurare i rilievi concernenti un ritenuto difetto di integrità del contraddittorio) ed anche del secondo (volto a censurare il rilievo di fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del Comune per la mancata impugnazione della prima ordinanza del 2011).

Invero, entrambe le parti della sentenza censurate con i detti motivi devono ritenersi obiter dicta, poiché i rilievi che ne sono oggetto non hanno indotto il primo giudice a concludere il giudizio con una sentenza di rito, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a.

Per come reso evidente dal tenore complessivo della motivazione e dal dispositivo di rigetto nel merito, l’unica statuizione idonea a passare in giudicato è appunto quest’ultima, non sussistendo perciò l’interesse della parte ricorrente ad impugnare gli obiter dicta (così in termini, di recente, Cass. VI-II, ord. 11 marzo 2022, n. 7995, secondo cui “E' inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione con il quale si contesti esclusivamente l'avvenuto rilievo in motivazione, da parte del giudice di appello, dell'inammissibilità dell'impugnazione per tardività, ove tale rilievo sia avvenuto "ad abundantiam" e costituisca un mero "obiter dictum", che non ha influito sul dispositivo della decisione, la cui "ratio decidendi" è, in realtà, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure”).

5.1. Peraltro, il rigetto delle censure, di cui al terzo e quarto motivo di appello (sopra esaminati), riguardanti il merito del gravame comporterebbe comunque l’improcedibilità dei primi due motivi per la carenza di interesse sopravvenuta.

6. L’appello va quindi complessivamente respinto.

6.1. Le spese processuali d’appello si compensano per giusti motivi, considerata la peculiarità della situazione dei luoghi oggetto dei provvedimenti gravati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente

Alessandro Maggio, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere, Estensore

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere