Cass. Sez. III n. 13576 del 8 aprile 2025 (CC 13 feb 2025)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Magni
Ambiente in genere.Concessioni demaniali
In tema di concessioni demaniali: ricorre il reato di «occupazione arbitraria» di suolo demaniale nel caso di «variazioni sostanziali» rispetto al contenuto della concessione (ossia che riguardano l’estensione della zona concessa, le opere concesse, o le modalità di esercizio), per le quali è necessaria una concessione «suppletiva» (arg. ex art. 24 reg. esec. cod. nav.), mentre nel caso di variazioni «non sostanziali» (ossia che non apportano «alterazione sostanziale» al complesso della concessione e non comportano modifiche nell’estensione della zona demaniale concessa) ricorrerà il reato di realizzazione di «innovazioni arbitrarie», non vertendosi nel caso di attività svolta “sine titulo”, potendo l’irregolarità essere sanata con una mera variante al titolo già esistente; la valutazione circa la natura «sostanziale» o meno della innovazione è questione di fatto che, ove sorretta da motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria, è insuscettibile di rivalutazione in sede di legittimità e, certamente, sfugge al perimetro di valutazione imposto dall’articolo 325 cod. proc. pen. in materia di misure cautelari reali; la realizzazione di innovazioni non autorizzate può integrare gli estremi dell’occupazione arbitraria nel caso in cui le opere realizzate sottraggano una porzione di area al godimento della collettività; il reato di innovazione arbitraria di cui all’articolo 1161 cod. nav., normalmente istantaneo, assume i caratteri dell’illecito permanente nel caso in cui le innovazioni comportino variazioni essenziali alla concessione ovvero sottraggano una porzione di area al godimento della collettività.
PREMESSO IN FATTO
1. Con ordinanza del 26/07/2024, il Tribunale del riesame di Roma rigettava la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma (così come integrato in data 01/07/2024), con cui era stato disposto il sequestro preventivo dell’intera area occupata dallo stabilimento balneare «Shilling – La Rotonda» sito in Ostia, P.le Cristoforo Colombo 25, ivi inclusi manufatti e pertinenze, per il reato di cui all’articolo 1161 cod. nav..
In particolare, venivano sequestrati i seguenti manufatti ritenuti abusivi:
– pedana lignea poligonale di mq. 1.130;
- struttura lignea di mq. 107 adibita a bar (“che shale”), posizionata sulla pedana di cui al puno che precede;
- tensostruttura in pvc di mq. 196, sorretta da pali e strali d’acciaio;
- strutture ombreggianti in legno, parapetti, arredi, corpi illuminanti, elementi di diffusione sonora;
- ristorante e sue pertinenze.
2. Avverso l’ordinanza, per il tramite del legale di fiducia, ricorre il Magni nella sua qualità di legale rappresentante della «Turistica s.r.l. Unipersonale».
Evidenzia in primo luogo come il Tribunale del riesame abbia censurato il percorso motivo del GIP, laddove:
- aveva ritenuto che, per effetto degli inadempimenti accertati, la concessione balneare di cui godeva la società Turistica s.r.l. doveva ritenersi decaduta ai sensi dell’articolo 24 d.P.R. 328/1952, sottolineando come la revoca della concessione, essendo un atto discrezionale, non può essere surrogato da un mero automatismo dichiarato dal giudice penale;
- quanto al provvedimento di «assegnazione tecnica temporanea» (D.D. Rep. QC/1051/2024), prot. QC/24516/2024 del 30/04/2024, il GIP ha ritenuto di «disapplicare» la stessa in quanto in contrasto con il diritto comunitario.
Tuttavia, il Riesame, stravolgendo l’originario apparato contestatorio, ha ritenuto che la realizzazione di opere in assenza di titolo autorizzativo concretizzasse il differente reato (sempre sussunto sotto l’articolo 1161 cod. nav.) di «realizzazione di innovazioni non autorizzate».
Tale reato, tuttavia, pacificamente commesso tra il 2007 e il 2010 (come emerge anche dalla relazione della c.t. del pubblico ministero Arch. Aledda), ha natura istantanea e non permanente, per cui esso è limpidamente prescritto.
Il Tribunale, erroneamente, sembra sostenere che le innovazioni non autorizzate altro non sarebbero che una delle modalità in cui si concretizza la materialità della condotta permanente.
Si evidenzia poi che il Tribunale è andato oltre i limiti del sindacato ad esso devoluto, laddove a pagina 17 evidenzia che, presumibilmente nel 2019, sono state realizzate ulteriori opere non oggetto di contestazione.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Considerazioni preliminari.
2.1. Il Collegio evidenzia – in via preliminare - come costituisca ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico, seguito dal giudice (così Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. U, n. 25933 del 29/05/2008, Malgioglio, non mass. sul punto).
2.2. Inoltre, secondo un consolidato orientamento interpretativo, «in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato, sicché, se è pur vero che la delibazione deve riguardare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, compreso quello soggettivo, è al proposito sufficiente dare atto dei dati di fatto che non permetto di escludere ictu oculi la sussistenza di tale elemento» (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, dep. 3/05/2016, Iommi e altro, Rv. 266896; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, dep. 12/06/2008, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 1, n. 21736 del 11/05/2007, dep. 4/06/2007, Citarella, Rv. 236474).
Pertanto, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del Tribunale del riesame o della Corte di cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, Rv.215840 - 01).
Non è necessario, quindi, valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018, Rv.273069 - 01; Sez. 1,n. 18491 del 30/01/2018, Rv.273069 - 01), con la precisazione che il Giudice deve, comunque, verificare in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, in quanto la «serietà degli indizi» costituisce presupposto per l’applicazione delle misure cautelari reali (Sez.3, n.37851 del 04/06/2014, Rv.260945 Sez.5, n.3722 del 11/12/2019, dep.29/01/2020, Rv.278152 - 01).
2.3 Giova altresì evidenziare che l’odierno procedimento di impugnazione concerne esclusivamente la gravità indiziaria sotto il profilo dell’elemento oggettivo del reato: sull’elemento soggettivo e sul periculum in mora è calata pertanto la scure della preclusione processuale.
3. Cronistoria del procedimento.
Prima di analizzare in concreto le doglianze difensive, giova riassumere la vicenda procedimentale.
3.1. A tal fine, si rende necessario partire dal decreto di sequestro preventivo adottato in via di urgenza il 20 giugno 2024 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, ai sensi dell’articolo 321, comma 3-bis, cod. proc. pen., il quale, anche se sostituito dal decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP, consente di meglio lumeggiare i contorni della vicenda processuale.
Tale provvedimento evidenzia come il presente procedimento sia scaturito dalla scoperta di un episodio corruttivo (confessato da tutti i protagonisti) avente ad oggetto il tentativo di sanare degli illeciti urbanistici concernenti l’area occupata dallo stabilimento balneare «Shilling – La Rotonda» sito in Ostia, oggetto di concessione demaniale, da cui sono scaturite le indagini sul regime concessorio dello stabilimento stesso.
A pagina 4 del decreto di sequestro preventivo in via di urgenza, si dà quindi atto, quanto all’epoca del commesso reato, dell’esistenza di lavori di rifacimento della pedana e ri-palificazione nella sabbia (accertati con annotazione di p.g. del 20/10/2023) eseguiti in data posteriore e prossima alla mareggiata del 22/11/2022.
A pagina 6, inoltre, si legge (v. relazione di consulenza tecnica redatta dall’Arch. Aledda) che da una verifica effettuata tramite “google earth”, emerge la sussistenza di un pontile, che nel 2022 risultava edificato a circa 7,50 metri dalla battigia e che invece, all’atto del sopralluogo (eseguito nel 2023), si presenta «per almeno un terzo sul mare, limitando di fatto la fruizione dei 5/3 metri di battigia di libero e gratuito utilizzo», mentre a pagina 8 si evidenzia che l’occupazione dell’arenile avrebbe necessitato di un titolo concessorio ad hoc.
Conclusivamente, a pagina 18 conclude nel senso che le opere abusive sono state realizzate «fino all’attualità».
Le anzidette ricostruzioni in punto di fatto, non essendo state oggetto di contraria deduzione in sede di riesame, debbono considerarsi incontestate.
Quanto alla «arbitrarietà» della condotta, a pagina 7 il pubblico ministero evidenzia che, ai sensi della concessione demaniale assunta con delibera n. 197/2007, il concessionario era tenuto (il corsivo è del Collegio) «ad acquisire preventivamente a propria cura, pena la decadenza della presente Determinazione Dirigenziale, le ulteriori autorizzazioni necessarie per l’espletamento dell’attività, per le quali la presente Determinazione Dirigenziale non costituisce licenza o autorizzazione».
La violazione di tale obbligo, mediante la realizzazione di opere volte alla «destagionalizzazione» dello stabilimento, avrebbe determinato, secondo l’assunto accusatorio, la decadenza automatica della concessione demaniale, con conseguente arbitrarietà dell’occupazione.
Da ultimo evidenzia che deve ritenersi illegittimo il provvedimento di proroga (rectius: «assegnazione tecnica temporanea») del titolo concessorio rilasciato dal 2024, provvedimento adottato dal Comune di Roma e valido nei confronti di tutti i concessionari balneari ostiensi (ad eccezione di quelli il cui titolo era già stato dichiarato decaduto), non essendo comunque consentita la proroga in caso di realizzazione di innovazioni abusive.
3.2. In data 26 giugno 2024 (con successiva integrazione del dispositivo del 1° luglio 2024, quanto alla identificazione dei beni sequestrati), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma convalidava il sequestro operato in via di urgenza ed emetteva decreto di sequestro preventivo dei beni ivi indicati, quale corpo del reato di cui agli articoli 54 e 1161 cod. nav..
Il GIP riteneva, in particolare, che (pag. 5) le «modifiche radicali» apportate sull’area concessa avevano determinato la decadenza della concessione di cui alla D.D. n. 192/2007, in ossequio dell’articolo 24 d.P.R. 328/1952.
Ciò avrebbe determinato l’applicabilità dell’articolo 1161, come interpretato da questa Corte, che si ritiene ricorrere quando il titolare di una concessione demaniale marittima, di cui sia stata dichiarata la decadenza, prosegua nell’occupazione del suolo demaniale (Sez. 3, n. 33431 del 03/07/2023, Geraci, Rv. 285044 - 02).
Aggiunge il GIP che l’elaborato progettuale della D.D. 192/2007, autorizzato ai soli fini demaniali, prevedeva in ogni caso l’esecuzione di opere amovibili; tali opere, che dovevano comunque essere rimosse, così come precisato dalla D.D. n. 891/2003, entro il 10/10/2003 (v. atti allegati al ricorso), erano invece state sempre mantenute come permanenti, senza titolo urbanistico e demaniale.
A pagina 7, quasi incidentalmente, sottolinea l’illegittimità di meccanismi automatici di rinnovo delle concessioni (quale l’autorizzazione «tecnica» temporanea del 30 aprile 2024), che in tal caso debbono essere disapplicate in quanto in contrasto con il diritto comunitario (Sez. 3, n. 33170 del 09/04/2013, Giudice, Rv. 257262 - 01; Sez. 3, n. 7267 del 09/01/2014, Granata, Rv. 259294 - 01).
3.3. In data 9 luglio 2024, il Magni proponeva riesame, senza specificazione di motivi, che venivano successivamente articolati in una memoria difensiva depositata all’udienza del 25 luglio 2024.
3.4. Il Tribunale della libertà, con l’ordinanza impugnata, rigettava la richiesta di riesame avanzata dall’odierno ricorrente e dichiarava inammissibile l’analoga richiesta formulata da Fabio Balini per carenza di interesse a impugnare, essendo la società «Turistica unipersonale» la titolare della concessione demaniale.
L’ordinanza, pur confermando il decreto di sequestro preventivo, precisava tuttavia (pag. 12) che la sussistenza del fumus commissi delicti doveva ritenersi sulla base di argomentazioni in parte diverse da quelle sostenute dal pubblico ministero e dal GIP.
Si evidenziava, in particolare, che la società è a tutt’oggi titolare di concessione demaniale, prorogata, da ultimo, con provvedimento del 30 aprile 2024, pur avendo realizzato nel corso degli anni numerosi interventi edilizi senza titolo, tali da consentire di ritenere (pag. 13) che «il progetto assentito con D.D. 192 del 2007 è del tutto difforme dalla situazione di fatto attuale», in quanto le strutture realizzate (pagina 15) «non possono essere qualificate come strutture temporanee di facile rimozione, ma devono ritenersi costruzioni a tutti gli effetti» (valutazione in fatto insuscettibile di rivalutazione in questa sede), compiute «in spregio a quanto prescritto dalla originaria concessione demaniale ed all’articolo 24» cod. nav..
L’ordinanza chiariva come, nel corso degli anni, anche recenti (pag. 17), l’area demaniale fosse stata «interessata nel tempo da massicci interventi edilizi non autorizzati che hanno snaturato la concessione demaniale originaria, integrando un’arbitraria occupazione del suolo demaniale».
Evidenziava poi come il reato oggi contestato si configura in molteplici ipotesi: quando il provvedimento originario sia scaduto o diventato inefficace; quando per effetto della realizzazione di innovazioni non autorizzate si realizzi una nuova ed illecita occupazione dell’area, a prescindere che l’intervento abusivo intervenga o meno in un’area già lecitamente occupata.
Il Tribunale del riesame condivide l’assunto difensivo secondo cui la decadenza della concessione, procedimentalmente disciplinata dall’articolo 47 del codice della navigazione, non può ritenersi operare automaticamente, ma costituisce l’epilogo di un procedimento scandito dal codice stesso e il cui atto conclusivo è un provvedimento frutto di discrezionalità amministrativa.
Disattende, tuttavia, le doglianze difensive, evidenziando che oggetto del presente procedimento non è accertare se si sia o meno verificata la decadenza della concessione, quanto accertare la riconducibilità nella fattispecie concreta a quella incriminatrice astratta.
Riconducibilità che l’ordinanza impugnata ritiene sussistente (pag. 20), «avendo l’indagato, attraverso il comportamento violativo delle disposizioni in materia edilizia e delle clausole stabilite nel provvedimento della concessione demaniale, realizzato una arbitraria occupazione del suolo pubblico, snaturando la concessione e oltraggiando le norme a tutela degli usi pubblici del territorio»: gli abusi pubblici perpetrati anche in epoca recente (nel sopralluogo del settembre 2023 venivano rilevate ulteriori innovazioni non autorizzate) hanno quindi costituito, secondo l’ordinanza impugnata, una arbitraria occupazione del suolo pubblico (pag. 21), e ciò senza che sia necessario procede alla eventuale disapplicazione dell’atto amministrativo da ultimo assentito.
4. La doglianza del ricorrente.
Il breve excursus testé operato consente di focalizzare il punto centrale della doglianza difensiva: il ricorrente, infatti, nel convenire con l’ordinanza impugnata, laddove esclude la possibilità di configurare una decadenza automatica del provvedimento concessorio, contesta tuttavia il provvedimento in quanto non si ravviserebbe, nel caso in esame, una ipotesi di «arbitraria occupazione» di suolo demaniale, bensì di mera realizzazione di «innovazioni», poste in essere attorno al 2007 e tutte all’interno dell’area demaniale concessa.
Il reato, quindi, che in questo caso ha natura istantanea e non permanente, avrebbe dovuto essere dichiarato prescritto, con esclusione, a cascata, del fumus commissi delicti.
La tesi, seppur suggestiva, alla luce di una approfondita analisi della normativa relativa alle concessioni demaniali, non convince.
5. La concessione demaniale marittima.
L’utilizzazione di aree demaniali marittime, come noto, è soggetta a concessione.
5.1. Tale provvedimento, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (v. Grande sezione, 22/09/2020, C-724/2018 e C727/2018, come richiamata da Sez. 3, n. 15676 del 13/04/2022, Galli, n.m.) va tuttavia qualificato come «autorizzazione», ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123 (e in particolare dell’art. 12, par. 1), in quanto costituisce atto formale, qualunque sia la sua qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica.
Le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative autorizzano infatti il privato ad esercitare un’attività economica in un’area demaniale, per cui non rientrano nella categoria della concessione di servizi (la CGUE, nelle c.d. sentenza «Promoimpresa» del 14 luglio 2016, pronunciata nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15 evidenzia altresì che la «concessione di beni» non è inclusa nell’ambito di applicazione della «concessione di servizi», così come si evince dal considerando n. 15 della direttiva n. 2014/23/UE).
Esse rappresentano dunque, al di là della nomenclatura utilizzata dal legislatore nazionale, «autorizzazioni di servizi» ai sensi dell’art. 12 della direttiva c.d. «servizi», come tali sottoposte all’obbligo di assegnazione con procedura competitiva (così anche il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentt. nn. 17/2021 e 18/2021).
Il titolo concessorio (rectius: autorizzatorio) non può essere surrogato da autorizzazioni implicite o rilasciate a soggetti diversi da quelli che occupano i beni demaniali, tant’è che tali principi trovano applicazione anche nel caso di proroga o di rinnovo della concessione, ab origine valida ma scaduta, nel senso che la protrazione dell’occupazione di spazio marittimo, da parte del privato, in attesa dell’emanazione del (nuovo) provvedimento di concessione, è da considerarsi «arbitraria», secondo la previsione dell’art. 1161 cod. nav., così come l’occupazione per la prima volta, senza che vi sia mai stato un atto di concessione (Sez. 3, n. 31379 del 10/06/2021, Rota, n.m.; Sez.3, n. 50145 del 10/05/2018, Rv.274520 - 01).
Deve d’altro canto escludersi, come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. 7, sentenza n. 3754 del 12/05/2022, Società Costaguta s.r.l.) la possibilità di ricorrere all’istituto del «silenzio assenso», conseguenti all’inutile decorso del termine per la definizione del procedimento ad istanza di parte.
La struttura del provvedimento per silentium prevista dall’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, infatti, non è compatibile con la sostanza delle concessioni, in particolare quelle aventi ad oggetto il demanio marittimo, le quali ai sensi degli artt. 36 e 37 del codice della navigazione sono rilasciate «compatibilmente con le esigenze del pubblico uso» e, in chiave comparativa in caso di istanze concorrenti, in vista di una «proficua utilizzazione della concessione», rispondente «ad un più rilevante interesse pubblico».
5.2. Tanto premesso in ordine alla «natura» del provvedimento de quo, l’articolo 24 del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione (approvato con d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328) stabilisce che «la concessione è fatta entro i limiti di spazio e di tempo e per le opere, gli usi e le facoltà risultanti dall’atto o dalla licenza di concessione».
Il secondo comma precisa che «qualsiasi variazione nell’estensione della zona concessa o nelle opere o nelle modalità di esercizio deve essere richiesta preventivamente e può essere consentita mediante atto o licenza suppletivi dopo l’espletamento dell’istruttoria».
Il secondo periodo del comma in esame disciplina, tuttavia, una ipotesi particolare, stabilendo che «qualora, peraltro, non venga apportata alterazione sostanziale al complesso della concessione e non vi sia modifica nell’estensione della zona demaniale, la variazione può essere autorizzata per iscritto dal capo del compartimento, previo nulla osta dell’autorità che ha approvato l’atto di concessione».
5.3. Dalla piana lettura dell’articolo emerge quindi che, ai sensi del primo comma dell’art. 24, la concessione delimita:
a) lo spazio concesso;
b) il tempo concesso;
c) gli usi e le facoltà concesse.
Quanto al requisito di cui alla lettera c), ossia gli usi e le facoltà concesse, il Supremo consesso di giustizia amministrativa (Consiglio di Sato, Sez. 4, sentenza n. 4951 del 24/11/2016) ha avuto modo di affermare che la concessione demaniale è «funzionale alla realizzazione delle opere che risultino dall’atto stesso» e, aggiunge il Collegio, di quelle «sole» opere, con la conseguenza che la realizzazione di opere diverse rende le stesse abusive sotto il profilo demaniale, se non autorizzate.
Da quanto sopra consegue che il riferimento alla eventuale «tenuità» dell’opera non impinge sulla necessità del previo atto abilitativo e, di conseguenza, non può incidere, ai fini dell’esclusione del preventivo atto di assenso demaniale, la rilevanza (o meno) sotto il profilo urbanistico-edilizio del manufatto realizzato.
Il Consiglio di Stato, in buona sostanza, afferma che «l’assenso demaniale è necessario per qualsiasi variazione ai contenuti dell’originario atto di concessione, anche se gli interventi che tale variazione attuino abbiano scarsa ovvero nulla incidenza sul piano abilitativo urbanistico-edilizio (anche se, come si è visto, il contenuto dell’atto autorizzativo è ben diverso nel caso di modifiche non sostanziali)».
Del resto, il medesimo consesso amministrativo, già in una precedente occasione (Sez. 4, n. 5013 del 15/10/2013), aveva avuto modo di chiarire che il richiamato articolo 24 va inteso nel senso che qualsiasi variazione al contenuto della concessione attuata mediante la realizzazione di interventi sul suolo demaniale deve essere oggetto di «espressa autorizzazione» e che il rilascio di tale autorizzazione ha una «valenza autonoma e separata rispetto ai titoli edilizi, evidenziandosi che, in assenza di atto di assenso demaniale, le opere sono comunque abusive, a prescindere dalla rilevanza delle stesse sul piano strettamente edilizio».
L’incompatibilità tra la concessione amministrativa e il «silenzio assenso» è quindi predicabile anche con riguardo all’autorizzazione alla variazione, ancorché non sostanziale, di una concessione demaniale marittima già rilasciata, ai sensi dell’art. 24, comma 2, secondo periodo, del regolamento di esecuzione del codice della navigazione (Consiglio di Stato, sez. 7, sentenza n. 3754 del 12/05/2022, Società Costaguta s.r.l.).
5.4. Posta quindi la necessità di una «espressa» autorizzazione a qualsiasi variazione apportata rispetto a quanto previsto dal titolo concessorio, il secondo comma dell’articolo 24 disciplina, come visto, le «variazioni» alla concessione, prevedendo due distinte ipotesi.
5.4.1. La prima, che si potrebbe definire «variazione sostanziale», riguarda le modifiche concernenti:
a) l’estensione della zona concessa;
b) le opere concesse, o;
c) le modalità di esercizio.
L’iter procedimentale si conclude, in questo caso, con un atto, detto dalla legge «licenza suppletiva», ma che è a tutti gli effetti una «autorizzazione aggiuntiva e autonoma».
5.4.2. Il capoverso del secondo comma, invece, disciplina quelle che si potrebbero definire «variazioni non sostanziali», cui è collegato un regime provvedimentale più spedito, che si conclude con una semplice «variazione» ossia quelle che:
a) non apportano «alterazione sostanziale» al complesso della concessione, e:
b) non comportino modifiche nell’estensione della zona demaniale concessa.
Affinché possa parlarsi di variazione «non sostanziale» è quindi necessario che i due requisiti ricorrano congiuntamente; in tutti gli altri casi (compreso quello in cui ricorra uno solo dei due requisiti), la variazione dovrà dirsi «sostanziale».
A ben vedere, nel caso di modifica «spaziale» della zona occupata, la modifica non potrà mai dirsi «non sostanziale», mentre la distinzione potrà in concreto operare nel caso di modifiche concernenti le «opere concesse» (art. 24, comma 2, prima parte, lett. b) o le «modalità di esercizio» (art. 24, comma 2, prima parte, lett. c), che, a secondo della loro rilevanza, potranno in concreto essere «sostanziali» o «non sostanziali».
5.4.3. Come appare evidente, nei due casi di «variazione», non solo differiscono i presupposti e il procedimento (solo nel caso di variazione «essenziale» è prevista una istruttoria), ma anche l’esito provvedimentale è differente: mentre nel secondo caso si è in presenza di una mera «variazione» del provvedimento originario, ossia di quella che in materia urbanistica potremmo definire «variante», nel primo caso occorre un provvedimento nuovo, ossia una concessione «suppletiva».
La differenza tra le due autorizzazioni, come si vedrà in appresso (par. 7), proietta i suoi effetti anche sulla disciplina degli illeciti penali.
6. La reazione della pubblica amministrazione all’attività abusiva del privato.
6.1. La decadenza.
Ai sensi dell’articolo 47 cod. nav., l’amministrazione «può» dichiarare la decadenza del concessionario (il corsivo è del Collegio):
a) per mancata esecuzione delle opere prescritte nell’atto di concessione, o per mancato inizio della gestione, nei termini assegnati;
b) per non uso continuato durante il periodo fissato a questo effetto nell’atto di concessione, o per cattivo uso;
c) per mutamento sostanziale non autorizzato dello scopo per il quale è stata fatta la concessione;
d) per omesso pagamento del canone per il numero di rate fissato a questo effetto dall’atto di concessione;
e) per abusiva sostituzione di altri nel godimento della concessione;
f) per inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione, o imposti da norme di leggi o di regolamenti.
Ai sensi del comma 2, nel caso di cui alle lettere a) e b), e quindi non nel caso che qui interessa (che potrebbe concernere le lettere c ed f), l’amministrazione può accordare una proroga al concessionario.
In ogni caso, prima di dichiarare la decadenza, l’amministrazione fissa un termine entro il quale l’interessato può presentare le sue deduzioni (comma 3).
Secondo la Suprema giurisprudenza amministrativa, nell’ipotesi di cui alla lettera c) (mutamento sostanziale non autorizzato dello scopo per il quale è stata fatta la concessione) rientra pacificamente la realizzazione di «innovazioni sostanziali» non autorizzate (così Consiglio di Stato, sez. 7, sentenza n. 3754 del 12/05/2022, Società Costaguta s.r.l.), ossia il caso oggetto del presente giudizio.
Come chiarito da questa Corte (Sez. 3, n. 34418 del 05/07/2024, Pileci, n.m.) e dallo stesso Consiglio di Stato (Sez. 7, 23/5/2022 n. 4075, che richiama il precedente della sez. IV - 15/9/2015 n. 4284), al ricorrere delle ipotesi decadenziali disciplinate l’art. 47 cod. nav., l’amministrazione concedente deve esercitare una discrezionalità di tipo «tecnico», dovendosi essa limitare al riscontro dei relativi presupposti fattuali, con la conseguenza che, una volta accertata la sussistenza dei suddetti presupposti, «il provvedimento di decadenza ha natura sostanzialmente vincolata, con conseguente esclusione di ogni possibile bilanciamento tra l’interesse pubblico e le esigenze del privato concessionario» (così C.d.S., ultimo citato).
A valle, quindi, dell’accertamento di una delle ipotesi previste dal predetto articolo, non vi è per l’Amministrazione alcun margine di scelta in ordine alla tipologia del provvedimento più idoneo per il perseguimento dell’interesse pubblico che risulta già normativamente individuato nella decadenza.
Sez. 3, n. 39664 del 26/06/2024, Abruzzo, n.m. ha quindi precisato che «viene utilizzato il verbo “può” con riguardo alla declaratoria di decadenza: il verbo potestativo è tuttavia, come univocamente ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, riferito alla sola discrezionalità di natura tecnica riservata all’amministrazione concedente, venendo con esso richiamata la previa verifica rimessa alla stessa P.A. in ordine alla sussistenza dei presupposti fattuali legittimanti la sanzione, una volta accertati i quali il provvedimento di decadenza assume ciò nondimeno natura vincolata (ex multis cfr. Cons. Stato sentenza n. 5616 del 7.6.2023; Cons. Stato sentenza n.3044 del 17.6.2014)».
La discrezionalità tecnica, in particolare, in questo caso consisterebbe (Sez. 3, n. 35011 del 26/06/2024, Procopio, n.m.) in una «deroga alla disciplina dell’art. 36 del codice della navigazione ed ai principi di carattere generale, quali quello della libera fruizione per la collettività delle aree demaniali, ovvero dell’affidamento in concessione secondo modalità volte alla massimizzazione dell’interesse pubblico e della piena contendibilità delle risorse economiche (cfr. in tale senso Cons. Stato, Sez. 6, 18 gennaio 2012, n. 169 e, da ultimo, Adunanza Plenaria 17/2022)».
La pronuncia di questa Corte ultima citata ha evidenziato al contempo che, «seppure non vi sia dubbio che la c.d. “concessione suppletiva” sia provvedimento discrezionale, tuttavia, pur condividendo tale carattere con la concessione tout court, le modalità di esercizio della discrezionalità sono affatto differenti e più restrittive nell’esercizio della discrezionalità, dovendo essere interpretata restrittivamente proprio perché vi fa eccezione, consentendo l’affidamento diretto e senza gara al precedente concessionario a condizioni da individuarsi preventivamente e rigorosamente, la cui sussistenza va poi vagliata in concreto caso per caso».
Ed infatti, l’affidamento «diretto» di una maggiore superficie «in ampliamento» al titolare di concessione di bene demaniale marittimo può ammettersi «solo in presenza di situazioni eccezionali e nella misura in cui l’estensione della originaria concessione sia obiettivamente funzionale e necessaria per l’effettivo corretto e proficuo utilizzo del bene già concesso ed abbia in ogni caso una minima consistenza quantitativa e non anche quando essa riguardi un (ulteriore) bene demaniale che solo soggettivamente sia collegato al primo, ma che obiettivamente potrebbe essere oggetto di una autonoma e distinta concessione».
L’assenza di una vera e propria discrezionalità amministrativa emerge, del resto, anche dal raffronto con l’istituto della «revoca» della concessione, disciplinata dall’articolo 42 cod. nav., in cui lo spazio di manovra dell’amministrazione è decisamente molto ampio (le concessioni di durata non superiore al quadriennio e che non importino impianti di difficile sgombero sono «revocabili in tutto o in parte a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima», mentre quelle di durata superiore al quadriennio o che comunque importino impianti di difficile sgombero sono revocabili «per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse, a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima»).
Va quindi concluso nel senso che, in tema di concessioni demaniali, se per un verso va evidenziata la natura «vincolata» della discrezionalità della pubblica amministrazione nel pronunciare la decadenza ex art. 47 cod. nav., la quale, in presenza dei rigidi presupposti normativamente individuati, si presenta come «atto dovuto» (la cui omissione può presentare in concreto profili di illiceità penale), deve escludersi, come correttamente operato dall’ordinanza impugnata, la possibilità di ritenersi verificata, con una sorta di pronuncia dichiarativa, la decadenza «implicita» o «automatica» della concessione.
Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: in tema di concessioni demaniali, la decadenza ex art. 47 cod. nav. ha natura di «atto vincolato» la cui emanazione, in presenza dei rigidi presupposti normativamente individuati, costituisce «atto dovuto»; tuttavia, deve escludersi la possibilità per il giudice penale di dichiarare la decadenza «implicita» o «automatica» della concessione.
6.2. La rimessione in pristino.
Sotto altro verso, l’articolo 54 cod. nav. prevede che «qualora siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, il capo del compartimento ingiunge al contravventore di rimettere le cose in pristino entro il termine a tal fine stabilito e, in caso di mancata esecuzione dell’ordine, provvede d’ufficio, a spese dell’interessato».
E’ stato in proposito evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. 4, sentenza n. 4951 del 24/11/2016, cit.) che l’utilizzo nell’articolo 24 reg. esec. cod. nav. e nell’articolo 54 cod. nav. di termini diversi («qualsiasi variazione» nel primo e «innovazioni non autorizzate» nel secondo) non può essere interpretato nel senso che le «innovazioni» costituirebbero un quid pluris rispetto alla semplice «variazione», in quanto il termine «innovazioni» esplicita un qualcosa di diverso e nuovo rispetto ai contenuti dell’assenso demaniale rilasciato al privato e, dunque, comprende in sé ogni variazione apportata rispetto a tale atto, senza differenza di tipo qualitativo: «innovazione», dunque, esprime semplicemente «il dato della realizzazione di un’opera non oggetto di autorizzazione demaniale, la quale rispetto ad essa costituisce elemento nuovo».
La rimessione in pristino deve quindi essere disposta sia in presenza di variazioni sostanziali che non sostanziali.
6.3. Va pertanto concluso nel senso che, in tema di concessioni demaniali, qualsiasi «variazione», sia sostanziale che non sostanziale (ai sensi dell’art. 24 reg. esec. cod. nav.) abusivamente posta in essere dal concessionario, impone alla pubblica amministrazione di attivare i poteri ripristinatori di cui all’articolo 54 cod. nav., mentre solo in presenza di una variazione «sostanziale» si dovrà procedere alla declaratoria decadenza ex art. 47 cod. nav..
7. La disciplina sanzionatoria.
Passando ora ai profili sanzionatori, l’articolo 1161 cod. nav. sanziona le condotte di chiunque, «arbitrariamente»:
a) occupa uno spazio del demanio marittimo o aeronautico o delle zone portuali della navigazione interna;
b) impedisce l’uso pubblico degli spazi anzidetti;
c) fa innovazioni non autorizzate sugli spazi anzidetti;
d) non osserva i vincoli cui è assoggettata la proprietà privata nelle zone prossime al demanio marittimo od agli aeroporti.
Come è evidente, la norma incrimina quattro distinte condotte (l’ultima delle quali è irrilevante ai fini che qui interessano), che tra loro hanno in comune l’«arbitrarietà» della condotta, che va intesa nel senso della condotta non «coperta» dall’atto concessorio.
7.1. Quanto alla prima ipotesi (occupazione arbitraria), tradizionalmente si ritiene che l’occupazione dello spazio demaniale marittimo sia «arbitraria» ove non legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio, rilasciato in precedenza e non surrogabile da altri atti, ovvero allorquando il provvedimento abilitativo sia scaduto o inefficace (Sez. 3, n. 4763 del 24/11/2017 - dep. 01/02/2018, Rv. 272031 - 01).
7.1.1. Il reato in parola, secondo la prevalente giurisprudenza, costituisce fattispecie contravvenzionale a struttura dolosa, in quanto nella descrizione della condotta tipica della contravvenzione è stato inserito l’avverbio «arbitrariamente», con la conseguenza che per l’integrazione del modello legale è necessaria la precisa consapevolezza di agire in violazione degli elementi normativi del reato (Sez. 3, n. 29915 del 13/07/2011, dep. 26/07/2011, Rv. 250666; Sez. 3, n. 5461 del 04/12/2013, dep. 2014, Calderoni, non massimata sul punto), anche se il Collegio - incidentalmente - rileva che, posta la struttura del reato, la nozione sembra impingere più sull’elemento oggettivo del reato (assenza di titolo) che su quello soggettivo (che, altrimenti, la norma avrebbe richiesto l’intenzionalità o il dolo specifico).
7.1.2. Tale violazione, tradizionalmente, ha natura «permanente» (v. Sez. 3, n. 6732 del 09/01/2019, Guazzolini, Rv. 275837; Sez. 3, n. 26249 del 26/04/2018, Fabbri, Rv. 273317; Sez. 3, n. 1358 del 30/10/2014, dep. 2015, Iversa, Rv. 261956; Sez. 3, n. 27071 del 29/5/2014, Diotallevi, Rv. 259306; Sez. 3, n. 16417 del 16/03/2010, Apicella, Rv. 246765; Sez. 3, n. 47436 del 6/11/2003, PG in proc. Armanno, Rv. 227067, nonché, in motivazione, Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002, Cavallaro, Rv. 221398), dal momento che la condotta illecita si compie con il fatto della presa di possesso del bene demaniale e si protrae per tutto il tempo in cui questa persiste, tanto che il relativo termine di prescrizione non decorre dalla data dell’impossessamento o dell’accertamento, ma dalla data di rilascio della (nuova) concessione o da quella dello sgombero, individuandosi in tale momento la cessazione dell’illegittimo uso e godimento di fatto del bene demaniale (Sez. 3, n. 16859 del 16/03/2010, Greco, Rv. 247160; Sez. 3, n. 15657 del 27/02/2008, Cavaliere, Rv. 240154; Sez. 3, n. 26811 del 08/05/2003, Orlando, Rv. 225734).
Si è precisato che il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l’esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell’istanza di rinnovo, atteso che va qualificata quale arbitraria qualsiasi occupazione di detto spazio da parte del privato in difetto di un valido titolo abilitativo (Sez.3, n. 34622 del 22/06/2011, Rv.250976 - 01; Sez. 3, n.16495 del 25/03/2010 Rv. 246773; Sez.3, n. 16570 del 24/01/2007, Rv.236492 - 01; Sez.3, n.3535 del 20/12/2002, dep.24/01/2003, Rv.223371 - 01) e neppure rilevando in proposito la esistenza di trattative in corso per il rinnovo dalla autorizzazione (Sez 3, n. 25813 del 07/06/2005, Rv.231817 - 01).
7.1.3. Sotto il profilo «spaziale», questa Corte ritiene che «sussiste il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale, in particolare di lido e spiaggia, se la condotta ha ad oggetto la striscia di terreno immediatamente a contatto con il mare e, comunque, non coinvolta dallo spostamento delle sue acque, tenuto conto anche delle maree, sia quell’ulteriore porzione fra detta striscia e l’entroterra che venga concretamente interessata dalle esigenze di pubblico uso del mare» (Sez. 3, n. 25165 del 21/05/2009, Olivetti, Rv. 244084 - 01), in quanto l’occupazione ha per oggetto una porzione di terreno insuscettibili di affidamento in concessione poiché destinata all’uso comune.
7.1.4. D’altro canto, sotto il profilo «temporale», si è affermato che l’occupazione, sulla base di una autorizzazione «stagionale», del suolo demaniale marittimo protrattasi oltre il termine della stagione balneare, integra comunque il reato di cui all’art. 1161 cod. nav. (Sez. 3, n. 19962 del 15/03/2007, Rv. 236736 - 01), anche quando si tratti - come nel caso di specie - di chioschi, cabine, passerelle e altro (Sez. 3, n. 17062 del 21/03/2006, Rv. 234319 - 01).
7.2. Le «innovazioni» non autorizzate, invece, consistono in «tutte quelle opere che, indipendentemente dai materiali utilizzati e dal loro stabile ancoraggio al suolo, sono idonee a modificare i beni del demanio marittimo ovvero ad incidere sul loro uso» (Sez. 3, n. 48179 del 15/09/2017, Mantoni, Rv. 271546; Sez. 3, n. 15950 del 25/02/2020, Graziano, n.m.), di talché per la loro realizzazione è necessario il rilascio della concessione da parte della competente autorità demaniale.
Si è in sostanza in presenza di una difformità della situazione di fatto rispetto a quella prevista nella concessione demaniale, che integra una condotta suscettibile di incidere (anche solo modificandolo) sull’uso autorizzato del bene demaniale.
Secondo la sedimentata giurisprudenza di questa Corte, qualora le innovazioni non autorizzate su area demaniale non determinino una occupazione abusiva dell’area o un ampliamento di quella legalmente autorizzata, si configura il solo reato di realizzazione abusiva di innovazioni nell’area demaniale e non anche quello di arbitraria occupazione (Sez. 3, n. 26249 del 26/04/2018, Fabbri, Rv. 273317; Sez. 3, n. 11541 del 16/02/2006, Giuliano ed altro, Rv. 233676; Sez. 3, n. 10642 del 30/01/2003, Rosetti, Rv. 224356).
Si è, ad esempio, ritenuta la sussistenza dell’ipotesi di reato in esame nel caso di opere consistenti:
- nella pavimentazione di una area di vaste dimensioni, nella posa in opera di un gazebo e nell’installazione di docce, in assenza di preventiva autorizzazione da parte della competente autorità demaniale (Sez. 3, n. 48179 del 15/09/2017, Mantoni e altro, Rv. 271546);
- nella realizzazione di un gazebo in legno, di un container frigo utilizzato come deposito e di un palco in legno, posti in opera in previsione di serate musicali (Sez. 3, n. 10184 del 26/06/2014, dep. 2015, Guido, Rv. 263006);
- nella posa di ombrelloni e sdraio in zona adibita a viabilità e parcheggi, in previsione del loro utilizzo per la stagione estiva (Sez. 3, n. 36884 del 30/06/2016, Rizzi, n.m.).
A differenza dell’occupazione arbitraria, nel caso di «innovazioni» non autorizzate su area demaniale (che non determinino una occupazione abusiva dell’area o un ampliamento di quella legalmente autorizzata), la consumazione del reato è istantanea, e cessa al momento di ultimazione delle opere che costituiscono l’innovazione non autorizzata (Sez. 3, n. 26249 del 26/04/2018, Fabbri, Rv. 273317 – 01: fattispecie di chiusura di una tettoia mediante la costruzione di un muretto ed il posizionamento di vetrate scorrevoli da parte del gestore di uno stabilimento balneare, già titolare di licenza demaniale).
Il permanere delle innovazioni, infatti, è un semplice effetto naturale della condotta dell’agente e non già, come l’occupazione, un evento che si protrae nel tempo con la permanente violazione della legge, sicché il termine prescrizionale comincia a decorrere dall’ultimazione dell’innovazione abusiva (Sez. 3, n. 39455 del 22/05/2012, Giorgino, Rv. 254332 - 01).
Tale principio è stato riaffermato da questa Sezione anche in data odierna, nella sentenza n. 7382/2025 (ric. Suriano), in cui si è pervenuti, tuttavia, ad annullamento della sentenza che aveva prosciolto l’imputata per prescrizione, in considerazione della sussistenza di un errore nella valutazione del tempus commissi delicti in riferimento al tempo necessario a prescrivere (nella circostanza, il pubblico ministero ricorrente non aveva evidenziato le circostanze fattuali sintomatiche della qualifica del fatto come «occupazione arbitraria», o della «incidenza negativa dell’innovazione sul godimento della collettività», reati la cui natura permanente è indiscussa).
7.3. Diversa, ancora, è a terza ipotesi prevista dall’articolo 1161 cod. nav., ossia quella di chi, arbitrariamente, «impedisce l’uso pubblico» degli spazi demaniali, tematica che impinge parzialmente su quella delle innovazioni abusive (v. ad esempio, Sez. 3, n. 15268 del 16/02/2001, Ciarallo, Rv. 219015 – 01, in cui si contestava la realizzazione di opere su un fondo privato, le quali impedivano l’esercizio di una servitù di passaggio pubblico per l’accesso al mare e cioè di usufruire del bene demaniale secondo la destinazione che gli è propria).
In questo caso, quanto alle possibili interferenze con la condotta di cui al punto che precede, questa Corte ritiene che «le innovazioni non autorizzate che limitino il godimento del bene da parte della collettività, determinando un’occupazione abusiva dell’area od un ampliamento di quella autorizzata, integrano il reato permanente di abusiva occupazione di cui all’art. 1161, comma primo, prima parte, cod. nav.» (Sez. 3, n. 33105 del 22/06/2022, Tartamella, Rv. 283418 - 01).
Si è, in particolare, affermato, che (v. anche Sez. 3, n. 39455 del 22/05/2012, Giorgino, Rv. 254332 – 01) che il discrimine tra l’ipotesi di occupazione abusiva di suolo demaniale e la realizzazione di innovazioni non autorizzate, «è dato dall’essersi o non essersi determinata, a seguito della innovazione non autorizzata, una nuova occupazione di una area demaniale marittima, a prescindere dalla circostanza — di per sé non decisiva — dell’essere o non essere intervenuta la nuova opera in una area già lecitamente occupata».
Sul punto, Sez. 3, n. 31290 del 11/04/2019, Bellia, Rv. 276290 – 01, analizzando il rapporto tra le due norme incriminatrici, ha anzitutto escluso che l’ipotesi dell’illecita innovazione «potrebbe configurarsi soltanto da parte di chi abbia ottenuto il provvedimento di concessione e, per altro verso, non determinerebbe alcuna limitazione al godimento comune del bene proprio perché necessariamente realizzata su un’area già limitata/concessa.
Secondo la pronuncia citata, si tratterebbe di un’interpretazione riduttiva della disposizione, non legittimata dalla lettera della norma e contrastante con la ratio della medesima, dovendosi ritenere, piuttosto, che l’ipotesi di reato delle innovazioni illecite su beni demaniali - le quali di per sé mettono in pericolo il bene penalmente protetto sottraendo all’autorità amministrativa il potere di valutarne la conformità al miglior utilizzo collettivo del bene ed agli altri interessi pubblici - da un lato può essere effettuata da chiunque (concessionario o meno) e, d’altro lato, proprio perché realizza un’anticipata tutela del bene penalmente protetto secondo lo schema del reato di pericolo, non necessita la verifica che da essa sia derivata una (apprezzabile) limitazione del godimento del bene demaniale da parte della collettività».
Inoltre, la citata sentenza Bellia (n. 31290 del 2019) ha posto in evidenza che, «proprio perché si tratta di condotte che ugualmente ledono il medesimo bene penalmente protetto, la realizzazione di innovazioni non autorizzate può altresì integrare, in concreto, gli estremi della occupazione arbitraria di suolo demaniale laddove l’opera sottragga una porzione di area al godimento della collettività. In questo caso, il reato - altrimenti istantaneo, che si consuma con l’ultimazione dell’opera (cfr. Sez. 3, n. 26249 del 26/04/2018, Fabbri, Rv. 273317; Sez. 3, n. 39455 del 22/05/2012, Giorgino, Rv. 254332) - può assumere i caratteri dell’illecito permanente».
8. La ricostruzione normativa e giurisprudenziale dianzi operata consente di meglio precisare quelli che sono i contorni delle fattispecie di reato che in concreto possono presentarsi.
Ed infatti, coordinando la disciplina normativa della concessione demaniale (par. 5) con i profili di autotutela (par. 6) e quelli sanzionatori (paragrafo 7), il Collegio ritiene che occorra distinguere tra i tipi di «innovazioni» (o «variazioni») poste in essere: ed infatti, nel caso di innovazioni (o variazioni) «sostanziali» (ossia che riguardano l’estensione della zona concessa, le opere concesse o le modalità di esercizio), è necessario l’ottenimento di una concessione (rectius: autorizzazione) «suppletiva», mentre nel caso di variazioni «non sostanziali» (ossia che non apportano «alterazione sostanziale» al complesso della concessione, e non comportano modifiche nell’estensione della zona demaniale concessa) è sufficiente una mera «variante» all’autorizzazione già concessa.
In questo secondo caso l’amministrazione potrà attivare i propri poteri ripristinatori (anche in danno del concessionario), mentre solo nel primo caso potrà procedere a dichiarare la decadenza del titolo concessorio.
Nel caso di variazione «sostanziale», pertanto, essendo necessario un nuovo provvedimento autorizzativo (suppletivo), non potrà mai parlarsi di mere «innovazioni», dovendosi al contrario parlare di «occupazione» arbitraria per quanto non previsto nell’originario titolo amministrativo e necessitante di autorizzazione suppletiva (che, come visto, non riguarda solo la dimensione spaziale, ma anche quella temporale e le modalità di occupazione).
Nel secondo caso, al contrario, ricorrerà l’ipotesi di realizzazione di (mere) «innovazioni» arbitrarie, non vertendosi nel caso di attività svolta sine titulo, potendo l’irregolarità essere sanata con una mera variante al titolo già esistente.
La valutazione circa la natura «sostanziale» o meno della innovazione è questione di fatto che, ove sorretta da motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria, è insuscettibile di rivalutazione in sede di legittimità e, certamente, sfugge al perimetro di valutazione imposto dall’articolo 325 cod. proc. pen. in materia di misure cautelari reali.
Del pari, la realizzazione di innovazioni non autorizzate può integrare gli estremi dell’occupazione arbitraria laddove le opere realizzate sottraggano una porzione di area al godimento della collettività.
In entrambi i casi qui contemplati il reato di innovazione arbitraria, altrimenti istantaneo (che si consuma con l’ultimazione dell’opera), assume i caratteri dell’illecito permanente e la consumazione si protrae fin quando sussiste l’occupazione illegittima dell’area demaniale.
Deve quindi concludersi nel senso che, in tema di concessioni demaniali:
- ricorre il reato di «occupazione arbitraria» di suolo demaniale nel caso di «variazioni sostanziali» rispetto al contenuto della concessione (ossia che riguardano l’estensione della zona concessa, le opere concesse, o le modalità di esercizio), per le quali è necessaria una concessione «suppletiva» (arg. ex art. 24 reg. esec. cod. nav.), mentre nel caso di variazioni «non sostanziali» (ossia che non apportano «alterazione sostanziale» al complesso della concessione e non comportano modifiche nell’estensione della zona demaniale concessa) ricorrerà il reato di realizzazione di «innovazioni arbitrarie», non vertendosi nel caso di attività svolta “sine titulo”, potendo l’irregolarità essere sanata con una mera variante al titolo già esistente;
- la valutazione circa la natura «sostanziale» o meno della innovazione è questione di fatto che, ove sorretta da motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria, è insuscettibile di rivalutazione in sede di legittimità e, certamente, sfugge al perimetro di valutazione imposto dall’articolo 325 cod. proc. pen. in materia di misure cautelari reali;
- la realizzazione di innovazioni non autorizzate può integrare gli estremi dell’occupazione arbitraria nel caso in cui le opere realizzate sottraggano una porzione di area al godimento della collettività;
- il reato di innovazione arbitraria di cui all’articolo 1161 cod. nav., normalmente istantaneo, assume i caratteri dell’illecito permanente nel caso in cui le innovazioni comportino variazioni essenziali alla concessione ovvero sottraggano una porzione di area al godimento della collettività.
9. Applicando i principi dianzi evidenziati al caso in esame, la soluzione alla doglianza proposta dal ricorrente appare agevole ed è nel senso della sua infondatezza.
9.1. Ed infatti, non vi è dubbio che, in ragione della consistenza delle opere poste in essere arbitrariamente all’interno dell’area concessa (per le quali si rimanda alle premesse in fatto), correttamente il Tribunale del riesame capitolino ha ritenuto la sussistenza dell’occupazione arbitraria in quanto ci si trova di fronte a «variazioni sostanziali», la cui illiceità è superabile solo con il rilascio di concessione «suppletiva» (con conseguente decorrenza del tempo necessario a prescrivere il reato a partire dal momento della cessazione della condotta arbitraria o dell’ottenimento del provvedimento suppletivo).
9.2. In ogni caso, dal decreto di sequestro preventivo disposto in via di urgenza, e non contestato dal ricorrente, almeno parte di tali innovazioni sono state realizzate fino al 2022 (la ri-palificazione della piattaforma) e, sulla battigia, al 2023 (il pontile), luogo ove è stato anche impedito o limitato l’uso comune del bene (con conseguente decorrenza della prescrizione, anche in questo caso, a partire dal momento della cessazione della condotta arbitraria o dell’ottenimento della licenza suppletiva).
Deve pertanto escludersi in ogni caso, almeno alla luce degli atti a disposizione di questa Corte, l’intervenuta prescrizione del reato e confermarsi la sussistenza del fumus commissi delicti.
10. Per tutte le anzidette ragioni il ricorso deve essere rigettato, non essendo ravvisabile nel provvedimento impugnato alcuna mancanza di motivazione né violazione di legge censurabili nei limiti di cui all’articolo 325 cod. proc. pen..
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/02/2025.