Consiglio di Stato Sez. II n. 9415 del 2 novembre 2023
Urbanistica.Potere di controllo urbanistico-edilizio

Il controllo del territorio, strumento conferito per dare effettività alle scelte di pianificazione urbanistica rimesse all’ente locale, attiene alla verifica, effettuabile senza limiti di tempo, della conformità degli interventi al regime di edificabilità dei suoli, come cristallizzati nei titoli edilizi.Il controllo sulla legittimità dei titoli implica, per contro, la verifica, ex post, dell’assentibilità dello ius aedificandi, in un’ottica di contemperamento delle esigenze di tutela della legalità con quelle di certezza del diritto nonché di legittimo affidamento.L’esercizio del potere di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, di cui all’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, che non incontra alcun limite di ordine temporale, si riferisce a tutto ciò che è realizzato sine titulo, in difformità dallo stesso ovvero utilizzandone una tipologia del tutto estranea all’intervento effettuato. La mancanza dei presupposti, invece, ove non tempestivamente rilevata, giustifica, sussistendone le condizioni, il solo annullamento d’ufficio al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990

Pubblicato il 02/11/2023

N. 09415/2023REG.PROV.COLL.

N. 09021/2021 REG.RIC.

N. 04769/2023 REG.RIC.

N. 04771/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9021 del 2021, proposto dal Comune di Barletta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Caruso e Isabella Palmiotti, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Benito Panariti in Roma, via Celimontana, n. 38,

contro

la signora -OMISSIS- rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Palieri, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

nei confronti

delle signore -OMISSIS- non costituite in giudizio;


sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS-, proposto dalla signora -OMISSIS-rappresentata e difesa dagli avvocati Pasquale Nasca e Chiara Salzo, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

contro

il Comune di Barletta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Caruso e Isabella Palmiotti, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

nei confronti

della signora -OMISSIS- rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Palieri, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e della signora -OMISSIS-, non costituita in giudizio;


sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS- proposto dalla signora -OMISSIS- rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Palieri, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

contro

il Comune di Barletta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Caruso e Isabella Palmiotti, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

nei confronti

della signora -OMISSIS-rappresentata e difesa dagli avvocati Pasquale Nasca e Chiara Salzo, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e della signora -OMISSIS-, non costituita in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n.-OMISSIS-

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sez. II, -OMISSIS- resa tra le parti, avente ad oggetto il silenzio opposto dal Comune di Barletta sulle richieste di autotutela riguardanti titoli edilizi;

quanto ai ricorsi n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sez. II, -OMISSIS- avente ad oggetto il reclamo avverso il provvedimento del Commissario ad acta di annullamento di titoli edilizi e demolizione di opere.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della signora -OMISSIS- nei procedimenti n.r.g. -OMISSIS-e n.r.g.-OMISSIS- del Comune di Barletta nei procedimenti n.r.g. -OMISSIS-e della signora -OMISSIS- nel procedimento n.r.g.-OMISSIS-

Vista l’ordinanza della sez. VI del 26 novembre -OMISSIS-

Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2023, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Giuseppe Caruso, l’avvocato Marco Palieri e l’avvocato Antonio Corvasce, su delega dell’avvocato Pasquale Nasca.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La signora -OMISSIS- ha adito il T.a.r. per la Puglia ex artt. 31 e 117 c.p.a. nella sua qualità di proprietaria di un immobile a confine con quello nell’attuale titolarità della signora -OMISSIS-ubicato nel territorio del Comune di Barletta alla via Giovanni Esperti, n. 2, angolo con la via Roma, n. 64, avverso il silenzio rifiuto dell’amministrazione a fronte di due diffide, riferite, rispettivamente, alla richiesta di attivazione dei controlli (25 luglio 2019) e all’annullamento in autotutela (17 febbraio 2021) dei titoli edilizi in forza dei quali era stato effettuato il corposo intervento sul manufatto, di cui si rivendicava l’illegittimità.

1.1. In maggior dettaglio, le istanze/diffide facevano seguito all’avvenuto passaggio in giudicato, all’esito della sentenza della Sez. III penale della Cassazione dell’-OMISSIS- della sentenza della Corte d’Appello di Bari del -OMISSIS- sostanzialmente confermativa di quella del Tribunale di Trani del -OMISSIS- con la quale la dante causa della signora -OMISSIS-signora -OMISSIS-, e il suo progettista, sono stati condannati per il reato di cui all’art. 481 c.p., e il tecnico comunale incaricato dell’istruttoria per quello di cui all’art. 479 c.p., sull’assunto, tra l’altro, che la qualificazione delle opere dapprima come manutenzione straordinaria, indi come ristrutturazione “leggera”, sarebbe falsa, trattandosi di “nuova costruzione” realizzata sine titulo e come tale abusiva ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001.

2. Con sentenza n. -OMISSIS- il Tribunale adito ha accolto il ricorso accedendo alla tesi attorea che nel caso di specie si versi in un’ipotesi di c.d. “autotutela doverosa” «che impone all’ente destinatario di adottare un provvedimento espresso (cfr. in termini Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 2019, n. 8920)». Ciò sia facendo leva sui doveri di vigilanza gravanti sul Comune ex art. 27 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, peraltro richiamato espressamente in materia di s.c.i.a. edilizia dall’art. 19, comma 6-bis della l. n. 241 del 1990, sia per il combinato disposto degli artt. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (invocato dalla denunciante nella seconda diffida inoltrata al Comune di Barletta) con le norme disciplinanti gli effetti del giudicato penale sull’attività amministrativa, e segnatamente gli artt. 537 c.p.p., ovvero, a seconda degli esiti, 651 e/o 654 c.p.p. A ciò andrebbe aggiunta la portata “compulsiva” delle possibili ripercussioni risarcitorie in caso di accertata responsabilità, anche erariale, dei propri dipendenti, che farebbero a loro volta sì che «il Comune di Barletta sollecitato dalla parte interessata si determini ad adottare provvedimenti espressi, che riconsiderino la vicenda, onde riportare, nelle forme di legge possibili, lo stato dei luoghi a una situazione di conformità con la normativa urbanistica ed edilizia».

3. Avverso tale sentenza il Comune di Barletta ha proposto l’appello n.r.g. -OMISSIS- ponendo sostanzialmente all’esame del Collegio la questione della legittimità del riconoscimento di tale specifica forma di autotutela doverosa e, per come letta dal primo giudice, anche a contenuto necessitato. Di essa, la difesa civica disconosce in radice la configurabilità, non ritenendola riconducibile né alle paventate azioni risarcitorie, soggette a regime autonomo giusta le indicazioni di cui all’art. 185 c.p., né all’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, che si riferirebbe solo alla decadenza da benefici (quale tipicamente quella prevista in materia di incentivi in materia di energia dall’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011), e non all’annullamento d’ufficio di provvedimenti, né, in generale, al regime dell’autotutela, che ha carattere intrinsecamente discrezionale. Ciò troverebbe conferma sia nella giurisprudenza della Corte costituzionale (v. per tutte la sentenza n. 181 del 2017), da ultimo riferita ai controlli sulla s.c.i.a. (Corte cost., n. 45 del 2019) di cui all’art. 19 della l. n. 241 del 1990, egualmente evocato dal primo giudice in maniera del tutto generica, unitamente al richiamo dell’art. 20, sia nella formulazione letterale dell’art. 21-novies, comma 2-bis, laddove prevede, senza eccezione alcuna, che una volta superati i termini per l’esercizio dell’autotutela le amministrazioni «possono», non “devono” intervenire sull’atto conseguito sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato accertate con sentenze passate in giudicato. Egualmente inconferente si paleserebbe poi il richiamo all’art. 27 del T.u.e., che afferisce al diverso compito di vigilanza sul territorio gravante sul Comune, e all’art. 654 c.p.p., che estende la portata del giudicato al solo responsabile civile (o parte civile) che abbia preso parte al procedimento penale, laddove il Comune di Barletta se ne è mantenuto estraneo. Infine, ha ricordato come il permesso in sanatoria n. 96 del 21 febbraio 2011, sopravvenuto al procedimento penale, sia stato autonomamente impugnato dalla signora -OMISSIS- innanzi al T.a.r. per la Puglia con ricorso n.r.g. -OMISSIS- non coltivato e quindi concluso con decreto presidenziale di perenzione n. 485 del 23 novembre 2017. L’azione dunque sarebbe stata inammissibile ex art. 117 c.p.a. perché volta a porre in contestazione rapporti sorti sulla base di provvedimenti amministrativi che si aveva la possibilità di impugnare -recte, nel caso di specie, si è concretamente impugnato, ma lasciando estinguere il giudizio in ragione dell’inerzia tenuta- piuttosto che pretenderne, in tal caso peraltro necessariamente sub specie di istanza di riesame, l’annullamento in autotutela, con conseguente elusione dei termini decadenziali per ottenere la caducazione dell’atto ritenuto lesivo.

4. Si è costituita in giudizio la signora -OMISSIS- per chiedere il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado. Con memoria versata in atti il 20 novembre 2021 ha in particolare rimarcato l’avvenuta formazione del giudicato interno sulle eccezioni di inammissibilità e irricevibilità sollevate in primo grado dalla difesa civica ed esplicitamente respinte dal T.a.r. con la sentenza appellata. Ha quindi eccepito l’inammissibilità dell’appello nella parte in cui contesta alla pronuncia di essere entrata nel merito del provvedimento da adottare, evidenziando come, al contrario, la stessa a pag. 5 demandi espressamente la scelta da adottare al Comune, onerandolo di valutare «se occorra provvedere alla rimozione del titolo illegittimo (Cons. St., Ad.Plen. 17 ottobre 2017, n. 8) e/o a forme di sanatoria laddove possibili (Cons. St., Ad.plen., 7 settembre 2020, n. 17) e/o al fine - come pur evidenziato dalla parte ricorrente – di poter meglio determinare la misura del risarcimento dei danni, se del caso in forma di equivalente pecuniario». Nel merito, ne ha affermato l’infondatezza, argomentando a supporto della tesi della configurabilità nella specie di “autotutela doverosa” mediante rinvio ai numerosi arresti giurisprudenziali già intervenuti in materia (Cons. Stato, sez. VI, n. 8920 del 2019; sez. V, n. 3576 del 2019; sez. IV, n. 3192 e n. 2645 del 2019; nonché Ad. Plen. n. 8 del 2017, che esclude ogni esigenza di tutela dell’affidamento ove si tratti di istante mendace, essendo l’interesse pubblico all’annullamento in tali casi in re ipsa).

4.1. Quanto agli effetti del giudicato penale sull’attività amministrativa, ha invocato i principi rivenienti dalle decisioni dei giudici di legittimità, laddove la portata attribuita agli artt. 651, 652, 653 e 654 c.p.p., che disciplinano la diversa efficacia dell’accertata responsabilità penale nei giudizi civili o amministrativi, viene chiaramente limitata ai casi in cui il giudice penale non si sia pronunciato anche sugli interessi civili ex art. 578 c.p.p. (Cass. civ., sez. III, n. 5660 del 2018; id., sez. II, n. 11467 del 2020), come invece accaduto nel caso di specie, seppure il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione.

4.2. Il giudicato penale, inoltre, in quanto asseritamente riferito anche alla configurabilità nel caso di specie di tre distinte unità immobiliari, escluderebbe in radice l’ammissibilità della ristrutturazione edilizia, consentita dalle n.t.a. al P.R.G. solo in presenza di strumentazione urbanistica attuativa, quivi mancante, sicché non potrebbe trovare applicazione le previsione di cui all’art. 9, comma 2, del T.u.e. che in tale ipotesi solo su singola unità immobiliare.

5. Con l’ordinanza n.-OMISSIS- segnata in epigrafe, la Sez. VI di questo Consiglio di Stato ha respinto l’istanza cautelare ritenendo che la sentenza si limiti «a prevedere l’obbligo di provvedere da parte del Comune sull’istanza formulata dalla parte ricorrente in primo grado, senza vincolare il contenuto del successivo provvedimento (“il Comune non può persistere nel silenzio. S’impone, in presenza di una consimile fattispecie complessa, che il Comune di Barletta sollecitato dalla parte interessata si determini ad adottare provvedimenti espressi, che riconsiderino la vicenda, onde riportare, nelle forme di legge possibili, lo stato dei luoghi a una situazione di conformità con la normativa urbanistica ed edilizia”)».

6. Alla luce di tale decisione cautelare, la signora -OMISSIS- ha avanzato al T.a.r. per la Puglia, ai sensi dell’art. 117, comma 3, c.p.a., istanza di nomina di un commissario ad acta che si sostituisse all’Amministrazione.

7. Il T.a.r. per la Puglia, preso atto della persistente inadempienza del Comune di Barletta, ha ritenuto di superare le remore alla nomina del Commissario esplicitate nella sentenza n. -OMISSIS- e motivate sulla oggettiva complessità delle valutazioni da effettuare, dando incarico di provvedere al dirigente della Sezione “Urbanistica” del Dipartimento “Ambiente, paesaggio e qualità urbana” della Regione Puglia, con facoltà di delega, con ordinanza n. 185 del 2 febbraio 2022.

8. In data 1° settembre 2022 il Commissario ad acta ha depositato l’atto prot. 64033 con il quale, rettificando il proprio precedente provvedimento del 16 agosto 2022, prot. 60872, ha annullato i titoli edilizi riferiti all’intervento di cui è causa, ovvero la d.i.a. del 20 settembre 2007, il permesso di costruire in sanatoria n. 311 del 20 marzo 2008, e la successiva d.i.a. in variante del 9 giugno 2008, nonché, «in conseguenza», le due sanatorie sopravvenute nel 2011, delle quali la prima, n. 96 del 21 febbraio 2011, individuandone l’oggetto nel cambio d’uso in vano abitabile della lavanderia ubicata al terzo piano e nella realizzazione di un nuovo vano abitabile in adiacenza. Ha quindi intimato la demolizione di tutto quanto eccedente una ipotetica ristrutturazione legittima, ovvero le cubature aggiuntive al terzo piano, la nuova copertura dello stesso, da sostituire con altra, staticamente idonea, limitata al vano tecnico, e il torrino di accesso al nuovo lastrico solare realizzato al quarto pianto.

9. Avverso entrambi i provvedimenti e la relazione del Settore “Edilizia pubblica e privata” del Comune di Barletta che ne costituisce allegato, la signora -OMISSIS- ha presentato reclamo al medesimo T.a.r. per la Puglia, chiedendone l’annullamento, in quanto asseritamente elusivi del contenuto della sentenza n. -OMISSIS- del medesimo Tribunale.

9.1. In senso diametralmente opposto, in data 5 novembre 2022 ha avanzato reclamo anche la signora -OMISSIS-dolendosi dell’eccessiva estensione contenutistica del provvedimento adottato, che travalicando addirittura il perimetro delineato dal giudice penale, avrebbe travolto anche le sanatorie sopravvenute ad anni di distanza, senza peraltro valutare la possibilità di applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, del quale sussisterebbero i presupposti giusta l’avvenuto riconoscimento della facoltà di riedificare la copertura al terzo piano sostituendo quella da demolire con altra staticamente idonea.

10. Il T.a.r. per la Puglia con la sentenza del -OMISSIS- ha respinto entrambi i reclami, ritenendo che il Commissario abbia correttamente interpretato il mandato conferitogli di ripristinare lo stato dei luoghi antecedente i provvedimenti annullati «nei limiti in cui è possibile, non potendosi, mediante opere di demolizione, conseguirsi oltre (factum infectum fieri nequit)». Quanto detto ferma restando la possibilità per la parte che si ritenga pregiudicata di far valere le proprie istanze risarcitorie nelle sedi dovute quali eventuali conseguenze delle scelte del Comune di Barletta in relazione alla vicenda.

11. Avverso tale sentenza hanno proposto appello, distintamente, sia la signora -OMISSIS- (n.r.g. -OMISSIS-), che la signora -OMISSIS- (n.r.g. -OMISSIS-), riproponendo nella sostanza le censure originarie, in quanto asseritamente non valutate correttamente dal T.a.r. per la Puglia.

12. In particolare, la signora -OMISSIS-con quattro distinti motivi di gravame, accomunati da sostanziale omogeneità di contenuto, ha lamentato il vizio di ultrapetizione avuto riguardo al contenuto del giudicato penale, che non si riferirebbe alla d.i.a. in sanatoria del 9 giugno 2008, né, men che meno, al permesso in sanatoria del 21 febbraio 2011 (primo e secondo motivo di ricorso). Sarebbero inoltre stati violati sia l’art. 38 del T.u.e.d., giusta l’intrinseca contraddittorietà di intimare la demolizione di ciò che poi si autorizza a ricostruire, sia l’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990, vuoi con riferimento ai titoli edilizi oggetto della sentenza penale, vuoi, a maggior ragione, con riferimento ai successivi, non essendo stata fornita alcuna indicazione dell’interesse pubblico sotteso all’annullamento. D’altro canto, la sanatoria del 2011, diversamente da quanto sostenuto dalla controparte, sarebbe esente da mende, in quanto l’intervento complessivamente inteso rispondeva al requisito della “doppia conformità” di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.

12.2. In data 19 giugno 2023 si è costituita in resistenza la signora -OMISSIS- eccependo in via preliminare la inammissibilità del reclamo di primo grado della controinteressata ex art. 114 c.p.a. in quanto proposto oltre il termine di sessanta giorni dal deposito del provvedimento del Commissario ad acta (1° settembre 2022), ovvero il 5 novembre 2022. Quanto detto anche assumendo quale dies a quo l’inoltro, a cura della Segreteria, dell’avviso di avvenuto deposito dell’atto, oggetto della PEC del 5 settembre 2022.

12.2.1. Con successiva memoria del 16 settembre 2023, dopo avere riepilogato la cronologia dei propri scritti difensivi, anche in relazione al fascicolo n.r.g. -OMISSIS- ha puntualmente confutato le singole argomentazioni di parte avversa. La sentenza n. -OMISSIS- nello stabilire la necessità che il Comune di Barletta «[…]si determini ad adottare provvedimenti espressi, che riconsiderino la vicenda, onde riportare, nelle forme di legge possibili, lo stato dei luoghi ad una situazione di conformità con la normativa urbanistica ed edilizia […]» (v. pag. 10), imponeva una valutazione complessiva dell’abusività della situazione in relazione ai titoli edilizi da annullare. Mentre, dunque, le istanze presentate dalla ricorrente richiamavano in termini non tassativi ma esemplificativi (non potendo conoscere le varie autorizzazioni edilizie, alcune delle quali in sanatoria) anche le autorizzazioni edilizie di cui controparte predica l’estraneità al giudizio, la sentenza da attuare imponeva di riportare lo stato dei luoghi alla legalità, obiettivo raggiungibile solo attraverso la demolizione dell’intero corpo di fabbrica e l’annullamento dei vari titoli ottenuti anche successivamente al giudicato penale, in quanto egualmente fondati su una situazione non veritiera.

12.2.2. Il Commissario ad acta, consentendo il mantenimento di una parte dell’edificio, avrebbe surrettiziamente effettuato un’applicazione indebita dell’invocato art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, “fiscalizzando” un abuso realizzato attraverso un atto viziato in termini sostanziali, cui per tale ragione la norma non avrebbe potuto applicarsi. D’altro canto, la sussistenza, in radice, di un vizio dei titoli originari, non poteva non riverberarsi su quelli successivi, nel momento in cui è conclamata l’avvenuta realizzazione per il tramite degli stessi dell’intero corpo di fabbrica, previa demolizione del precedente, come accertato nel corso del sopralluogo del 25 gennaio 2008. Infine, l’annullamento (doveroso) di autorizzazioni radicalmente viziate dalle dichiarazioni mendaci e dalla falsa rappresentazione dei fatti volte alla realizzazione di opere edilizie che erano e tuttora sarebbero in contrasto insanabile con il P.R.G. vigente, in quanto afferenti a tre distinte unità immobiliari, e non a una sola, non richiede particolare motivazione, secondo la consolidata giurisprudenza in materia.

12.3. Si è costituito in giudizio anche il Comune di Barletta, chiedendo in via preliminare la riunione del ricorso n.r.g. -OMISSIS- a quello avverso la medesima sentenza (n.r.g. -OMISSIS-) proposto dalla signora -OMISSIS-

12.3.1. Nel merito, ha rilevato come l’ordinanza di demolizione emessa del Commissario ad acta si sia sostanzialmente conformata ai contenuti della relazione, meramente descrittiva dei passaggi procedurali seguiti, resa, su richiesta dello stesso ausiliario, in data 27 maggio 2022 dal responsabile del Settore “Edilizia pubblica e privata” del Comune di Barletta (allegato A all’ordinanza reclamata).

12.3.2. Ha contestato che sia stata operata una qualche fiscalizzazione degli abusi edilizi, giusta il mancato richiamo, anche formale, all’art. 38 del T.u.e. nel provvedimento commissariale avversato, rintuzzando altresì come palesemente errata la ricostruzione della signora -OMISSIS- volta a valorizzare la affermata possibile ricostruzione della copertura del terzo piano, in quanto riferita esclusivamente al (preesistente) locale lavanderia.

12.3.3. Ha quindi riproposto la propria tesi circa la corretta lettura da dare all’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990, per come meglio esplicitata nell’atto di appello n.r.g. -OMISSIS- ammettendo che in tali ipotesi l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione in caso di annullamento è attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate (v. Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8).

12.4. La signora -OMISSIS- ha depositato memoria e memoria di replica per ribadire la propria prospettazione.

12.4.1. Con riferimento all’eccezione di irricevibilità del reclamo in primo grado, ha dapprima ribadito la necessità di individuare il dies a quo nella notifica del deposito del provvedimento commissariale da parte del Comune di Barletta, avvenuta il 6 settembre 2023 (memoria del 15 settembre 2023); indi, in denegata ipotesi, ha chiesto la riqualificazione del proprio reclamo come incidentale ex art. 334 c.p.c. (memoria di replica del 21 settembre 2023), con ciò sottraendolo alle censure di tardività di controparte (sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 febbraio 2016, n. 432).

12.5. La signora -OMISSIS- a sua volta ha insistito sulla correttezza della declinazione dell’istituto dell’autotutela doverosa, invocando a supporto ancor più recenti arresti giurisprudenziali (v. Cons. Stato, sez. VII, 16 agosto 2023, n. 7727).

13. Anche con l’atto di appello n.r.g. -OMISSIS- la medesima signora -OMISSIS- ha in primo luogo eccepito l’inammissibilità del ricorso della signora -OMISSIS- per tardività, negando l’operatività nel codice del processo amministrativo dell’istituto del reclamo incidentale.

13.1. Nel merito, ha insistito sulla radicale abusività dell’intervento, concretizzatosi in una nuova costruzione sine titulo, sicché la sanzione, giusta la sua avvenuta realizzazione previa demolizione, doveva riguardarlo nella sua interezza, non potendosi certo ammettere l’annullamento del titolo e nel contempo il mantenimento di quanto ricostruito in base allo stesso. Ha peraltro insistito sulla incompatibilità degli interventi di ristrutturazione con il regime edificatorio vigente nella zona, non potendo trovare applicazione la norma di salvaguardia di cui all’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001 giusta la suddivisione del fabbricato in tre unità immobiliari, distinte anche per destinazione d’uso (al piano terra, commerciale), laddove il Commissario ad acta avrebbe tratto conseguenze sbagliate, recependo acriticamente l’indicazione (essa pure falsa) del responsabile dell’ufficio.

13.2. Ha pertanto lamentato violazione e errata interpretazione degli artt. 31, 32, 33 e 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, elusione del giudicato penale, difetto di istruttoria e ingiustizia manifesta, stante che la circostanza che il fabbricato risultante dalla demolizione e ricostruzione del precedente, in quanto difforme dal primo per volumetria, superficie e sagoma, consegua a dichiarazioni accertate come false nel giudizio penale, avrebbe imposto il radicale e completo ripristino dello stato dei luoghi, non la rimodulazione d’ufficio delle autorizzazioni edilizie rilasciate. Ciò in quanto il concetto di costruzione abusiva deve essere inteso in senso unitario, e non in relazione a singole parti autonomamente considerate (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2119).

13.2.1. La mancata demolizione dell’intero edificio non potrebbe trovare fondamento, come sostenuto dal T.a.r., negli artt. 26 e 32 della l. 17 agosto 1942, n. 1150, 6 della l. 6 agosto 1967, n. 765 e 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650. Le prime due norma, infatti (artt. 26 e 32 della l. n. 1150 del 1942), si riferiscono al potere sostitutivo in ambito sanzionatorio all’epoca riservato al Ministro in caso di inerzia del Comune. Ad ogni buon conto, il provvedimento sanzionatorio di opere edilizie non ha una funzione unicamente o prevalentemente afflittiva, ma mira a ripristinare il corretto assetto urbanistico ed edilizio del territorio, non potendosi invocare al riguardo il divieto di retroattività dello stesso. A tale riguardo, non sarebbe pertinente neppure il richiamo fatto nella sentenza appellata alla risalente decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 1974, che peraltro ha ritenuto legittima l’applicazione delle sanzioni introdotte dalla legge n. 765 del 1967 (c.d. “legge ponte”) alle costruzioni iniziate o ultimate prima della sua entrata in vigore.

13.2.2. Infine, sarebbero stati violati o mal interpretati gli artt. 3, 9, 9-bis, 10 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, oltre che l’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, l’art. 27 della l. n. 457 del 1978 e gli artt. 2.16 e 2.20 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del P.R.G. del Comune di Barletta, in quanto l’intervento non era compatibile con il regime edificatorio previsto per la zona, classificata come zona di completamento “B2”, ove la ristrutturazione (comunque non configurabile nel caso di specie) presuppone obbligatoriamente il piano attuativo, quivi mancante. Quanto detto stante la ribadita frammentazione dell’edificio in tre distinte unità immobiliari, connotate da diverse destinazioni d’uso, tanto che alcuni locali erano stati dati in locazione a terzi per lo svolgimento di attività commerciale.

14. Si sono costituiti in giudizio sia la signora -OMISSIS- che il Comune di Barletta.

14.1. Con memoria in controdeduzione la prima ha ribadito la tesi esplicitata nel proprio autonomo atto di appello, ovvero, in particolare, la riferibilità del giudicato penale alla sola d.i.a. del 2007 e al permesso in sanatoria del 2008, non ai titoli edilizi successivi. Ha inoltre precisato, con riferimento alla sanabilità dell’intervento, che anche nella sanatoria del 20 marzo 2008, inficiata dalla declaratoria falsa, non è mai stata messa in discussione la qualifica come unica unità immobiliare del fabbricato, presupposto dell’ammissibilità della ristrutturazione, e conseguentemente contestato il requisito della doppia conformità, che controparte ritiene pertanto erroneamente mancante.

14.2. La difesa civica ha esteso la richiesta di trattazione congiunta dei due fascicoli nn.r.g. -OMISSIS- e -OMISSIS-, al n.r.g. -OMISSIS- relativo al proprio appello avverso la sentenza del T.a.r. per la Puglia n. -OMISSIS-. In rito, ha insistito sulla richiesta di stralcio della fotografia dello stato dei luoghi inserita nel corpo dell’atto di appello (pag. 16), così come già contestato nel primo grado di giudizio, tanto più che le immagini dei due palazzi (della -OMISSIS- e della -OMISSIS-) a confine, antecedentemente e successivamente alla sopraelevazione del primo, sono del tutto prive di data certa.

14.2.1. Nel merito, ha controdedotto puntualmente su tutte le argomentazioni dell’appellante, evidenziando come in alcun modo il Commissario ad acta, sulla scorta della mera formazione dei giudicati penali intervenuti nella vicenda, avrebbe potuto disporre l’annullamento integrale di tutte le autorizzazioni edilizie e ordinare la demolizione dell’intero corpo di fabbrica (richiesta inammissibile anche per estraneità al petitum originario del ricorso di primo grado della -OMISSIS-). Il T.a.r. per la Puglia, dunque, con la sentenza impugnata, n. -OMISSIS- ha positivamente valutato l’operato del Commissario ad acta, rilevando, con articolata motivazione, come quest’ultimo abbia correttamente operato tenendo conto delle leggi vigenti all’epoca di costruzione del palazzo e degli atti amministrativi e dei rilievi reperiti, in particolare il CUC del 3 ottobre 1953 e l’aerofotogrammetria del 1979, così imponendo il ripristino dello status quo ante materiale dell’immobile antecedente all’accertato illecito penale. Sul punto, nessun rilievo potrebbe essere attribuito, in senso contrario, al contenuto probatorio del giudicato penale, non estensibile ex art. 654 c.p.p. al responsabile civile non costituito, come già evidenziato nel proprio atto d’appello e comunque circoscritto all’accertamento dei fatti, e non estensibile alla loro qualificazione giuridica. Correttamente, infine, l’atto contestato ha riconosciuto l’ammissibilità nella zona di interventi di ristrutturazione edilizia, in quanto riferiti ad un’unica unità immobiliare.

14.3. Le signore -OMISSIS- e -OMISSIS- si sono scambiate ulteriore memoria e memoria di replica. Quest’ultima ha in particolare inteso riassumere le proprie posizioni in tutti e tre i procedimenti, anche mediante rinvio a specifici precedenti atti difensivi, riferiti a ciascuno di essi.

15. Alla pubblica udienza del 3 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

16. In via preliminare, il Collegio ritiene di accogliere l’istanza di riunione dei tre fascicoli, nn.r.g. -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-, in quanto gli ultimi due aventi ad oggetto la medesima sentenza, e il primo connesso agli altri sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.

17. La complessità della vicenda, che interseca molteplici questioni giuridiche, necessita, per poter essere correttamente perimetrata, di talune ulteriori precisazioni, in fatto e in diritto.

18. Alla base della controversia si pongono una serie di interventi realizzati su un fabbricato, costruito in adiacenza a quello della controinteressata in forza di concessione edilizia n. 590 del 18 marzo 1953, tali da comportarne la sopraelevazione, in assoluto e rispetto all’immobile della vicina, che in precedenza lo sovrastava. Di fatto, cioè, in epoca imprecisata, ma comunque con attualizzazione delle opere a partire dal 2007, alla palazzina, originariamente articolata su tre piani fuori terra e uno seminterrato, veniva aggiunto un piano, riveniente dall’ampliamento di una minima cubatura tecnica preesistente, costruendo in adiacenza un ulteriore locale, coperto integralmente da un lastrico solare, sì da trasformare la residua parte della terrazza in una sorta di portico chiuso su tre lati, reso accessibile mediante la realizzazione di un “torrino” per l’allocazione delle scale, simile a quello in precedenza esistente, ma al piano inferiore. L’intervento, che in quanto comportante aumento di volumetria e superficie, oltre che modifica di sagoma e prospetti, avrebbe dovuto essere ascritto al concetto di “nuova costruzione”, è stato invece inquadrato dal Comune di Barletta, da ultimo anche con la sanatoria del 2011, come ristrutturazione edilizia.

19. La vicenda, come detto, interseca due distinti procedimenti penali, i cui effetti sull’attività amministrativa vengono variamente invocati dalle parti in causa: dalla -OMISSIS-, per inferirne l’obbligatorietà dell’annullamento di tutti i titoli edilizi e la conseguente demolizione dell’intero manufatto; dalla -OMISSIS-, per circoscriverne l’impatto solo ai primi, salvaguardando i successivi, sopravvenuti ai fatti di causa con assorbenza sanante; dal Comune di Barletta, per rivendicare la propria immutata autonomia di giudizio, in quanto le pronunce vincolerebbero solo i soggetti che hanno preso parte al procedimento. In particolare, trattasi della sentenza della Corte d’Appello di Bari, n.-OMISSIS-, di condanna di alcuni degli imputati per falso e per abuso edilizio, e di quella del Tribunale di Trani, n. 1290 del 30 agosto 2017, di assoluzione dal reato di abuso d’ufficio ascritto ai tecnici comunali per il prosieguo della medesima vicenda.

19.1. Con la prima sentenza, dunque, il cui passaggio in giudicato all’esito del giudizio di Cassazione sta alla base della duplice diffida inoltrata dalla signora -OMISSIS- al Comune di Barletta, il tecnico responsabile dell’istruttoria è stato condannato per il reato di cui all’art. 479 c.p.; il progettista e la proprietaria committente degli interventi, signora -OMISSIS-, per quello di cui all’art. 481 c.p. Entrambi i capi di imputazione si riferiscono ad una d.i.a. presentata il 20 settembre 2007 per lavori di manutenzione straordinaria, nonché al permesso di costruire, anche in sanatoria, del 20 marzo 2008 (giusta la sua riferibilità pure ad interventi ancora da realizzare), che ne muta l’inquadramento riconducendoli a una ristrutturazione “leggera” e segnatamente alla relazione tecnica allegata ad entrambi i procedimenti. Peraltro, un’ulteriore variante, sempre in sanatoria, veniva presentata con d.i.a. del 7 novembre 2008, poi trasformata in istanza, essa pure avallata nel 2011, riferita alla compensazione volumetrica in diminuzione effettuata al terzo piano per eliminare una risega, anche in tal caso con conseguente modifica della sagoma dell’edificio.

19.2. Secondo il Tribunale di Trani, in tali atti (del 2007/2008) sarebbe ravvisabile un triplice profilo di falsità: in primo luogo, lo stato di fatto rappresentato non corrisponde a quello assentito nel 1953, in quanto riferito ad una palazzina sviluppata su quattro piani, anziché tre (piano terra, e tre ulteriori, anziché due); dall’altra, pur accettando come dato storico la preesistenza di un terzo piano, realizzato comunque abusivamente tra il 1953 e il 2007, non era veritiero il dichiarato mancato aumento di volumetrie e superfici finanche rispetto alla situazione indicata come esistente, in quanto non coincidente con quella utilizzata come base di partenza nello stato di progetto (ad esempio, l’altezza massima del fabbricato nello stato di fatto è indicata in ml.13,75, mentre in quello di progetto -“situazione da realizzarsi”-, graficizzato alla “Tav. U”, è pari a ml.13,90, omettendo ogni riferimento al torrino da costruire sul lastrico a copertura del terzo piano, che avrebbe elevato in quel punto lo stabile ad un’altezza complessiva ulteriore di ml. 16,70; né si teneva alcun conto della superficie calpestabile realizzata a copertura del terzo piano); infine, qualificando l’intervento dapprima come manutenzione straordinaria, indi come ristrutturazione leggera, se ne sarebbe mistificata la vera natura (di nuova costruzione).

19.2.1. In verità, in relazione a tale ultimo profilo, il Collegio ritiene che, almeno per regola, esso possa configurare piuttosto un errore interpretativo, talvolta peraltro comprensibile alla luce della complessità della normativa, che costringe l’interprete a vere e proprie operazioni di ortopedia giuridica tra disposizioni statali, regionali e locali e comunque agevolmente individuabile dal Comune nell’ambito dei suoi poteri di controllo preventivi, finalizzati ad inquadrare correttamente la rispondenza tra tipologia dell’intervento e tipologia di titolo utilizzato. Nel caso di specie, tuttavia, la qualificazione giuridica dell’intervento, oltre che rilevare ai fini del falso, ne ha comportato lo stralcio dalla tipologia di titolo utilizzato, a prescindere dunque dalla sua caducazione, e la conseguente condanna delle parti per l’illecito edilizio. Il Tribunale di Trani, infatti, confermato in toto sul punto dalla Corte d’Appello di Bari, ha ravvisato la sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, nell’avvenuta realizzazione in assenza di titolo (in quanto inadeguato e comunque “travalicato”) di opere qualificabili come di nuova costruzione in zona ove la stessa non era possibile giusta il regime di edificabilità dei suoli vigente (art. 2.20 delle n.t.a. al P.R.G.). L’intreccio tra gli elementi costitutivi delle due distinte fattispecie penali rende particolarmente difficoltoso dunque disgiungere la valutazione giuridica effettuata dal fatto storico ad essa sotteso. Va al riguardo sinteticamente ricordato che per “fatto” accertato dal giudice penale, cui anche il giudice amministrativo è tenuto ad attenersi, deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall’accadimento oggettivo, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso. Ne consegue che nessuna efficacia vincolante esplica invece l’apprezzamento e la valutazione di tali elementi.

19.3. La richiesta della (prima) sanatoria era conseguita ad un sopralluogo ispettivo da parte del personale incaricato dal Comune di Barletta (25 gennaio 2008) che aveva rilevato plurime difformità rispetto alla d.i.a. del 20 settembre 2007, ma anche accertato l’avvenuta demolizione di talune pareti del manufatto, sicuramente non consentita sub specie di manutenzione straordinaria. Ne era conseguita un’ordinanza di sospensione dei lavori, revocata al momento del rilascio della sanatoria.

20. La sentenza del Tribunale di Trani del 2017, a sua volta, pur nel suo ricordato contenuto assolutorio, si segnala non tanto e non solo per l’analitica ricostruzione del successivo sviluppo del procedimento amministrativo, ma soprattutto per averne colto gli elementi di continuità con le stigmatizzate scelte del passato, seppure dequotandole a mero indice di macroscopica incapacità gestionale da parte degli uffici, che dopo un atteggiamento ondivago protratto nel tempo (si vedano le due ordinanze di sospensione dei lavori, intervenute e poi revocate, nonché l’autonomo avvio del procedimento di annullamento dei titoli edilizi, esso pure superato con la sanatoria n. 96 del 2011), ha finito poi per avallare nuovamente l’intervento come ristrutturazione, ancorché pesante, seppure in sanatoria.

21. Il Collegio ritiene importante richiamare l’attenzione sull’avvenuto rilascio di ridette sanatorie, rispettivamente n. 96 del 21 febbraio 2011, avente ad oggetto i lavori eseguiti al terzo piano consistiti nel cambio di destinazione d’uso della preesistente lavanderia in civile abitazione e nella realizzazione di un adiacente vano abitabile per una superficie complessiva di mq. 26,46 e annessa superficie non residenziale (vano scala e terrazzo a livello), assumendo come dato di partenza lo stato di fatto riveniente dalla concessione del 1953 e come punto di approdo la situazione già oggetto della d.i.a. del 2007; e la successiva dell’11 ottobre 2011, riferita invece alla compensazione volumetrica di mc. 6,12 rispetto alla ricostruzione dei vani, già prevista con la ristrutturazione edilizia di cui al permesso di costruire n. 311/2008 e successiva d.i.a. in variante, più volte modificata. Su tali basi, i lavori sono stati ultimati, giusta regolare comunicazione in tal senso al Comune di Trani. Mentre la seconda sanatoria, in quanto assentita in variante ad un precedente titolo, non può che subirne in maniera inscindibile le sorti, la prima, finalizzata ad azzerare l’originario procedimento sovrapponendone un altro, seppure con medesimo oggetto, una volta decorsi i termini di impugnativa, è destinata a produrre effetti, salvo riesame da parte del Comune, alla luce dei prospettati profili di illegittimità riflessa invocati da controparte, con quanto ne consegue in relazione all’operatività o meno del termine di dodici mesi dall’adozione dell’atto per l’effettuazione. Aspetti tutti che il Comune avrebbe dovuto chiarire nel provvedimento di riscontro all’istanza della signora -OMISSIS-, motivando altresì sulla ritenuta compatibilità urbanistica correlata alla (in verità mai messa in discussione dall’Ente) unicità del fabbricato. Sul punto peraltro, diversamente da quanto opinato dalla signora -OMISSIS- il giudice penale, pur lasciando intuire di non condividerne le conclusioni, non ha potuto esimersi dal richiamare le affermazioni, peraltro non univoca, della giurisprudenza di legittimità e amministrativa che riconosce come «in presenza di un dubbio circa la riconducibilità della nozione di unifamiliarità alla sua accezione strutturale e catastale ovvero alle sue caratteristiche architettoniche in rapporto alle esigenze di un nucleo familiare tipo, non può ritenersi sussistente - in parte qua – la contestata falsità» (pag. 17 della sentenza n. 365 del 2015 del Tribunale di Trani). Affermazioni destinata necessariamente a ripercuotersi sulla mancata configurazione dell’abuso anche in termini di contrasto con la vigente disciplina urbanistica.

22. Punctum dolens della controversia è, dunque, la riconducibilità o meno della fattispecie de qua alla categoria della c.d. “autotutela doverosa”, nonché, in caso di risposta affermativa, l’esatta estensione della stessa, ovvero se la si debba limitare all’an, intesa come obbligo di riscontrare l’istanza del privato, o ne sia condizionato anche il quomodo, dovendo in ogni caso l’amministrazione provvedere all’annullamento dell’atto, con quanto ne consegue in termini di attivazione del procedimento sanzionatorio. L’ulteriore questione attiene proprio all’estensione del potere di vigilanza, che in quanto esercitabile sine die implica l’obbligo di intervenire sia all’esito dell’annullamento del titolo, se del caso attivando, in fase di esecuzione e su sollecito dell’interessato, la fiscalizzazione dell’abuso, sia in ragione della constatazione che l’intervento ha travalicato i confini tipologici del titolo utilizzato, che pertanto in quanto tale, ancorché non preventivamente e tempestivamente annullato, è inidoneo a supportarlo (come nel caso di specie, secondo la ricostruzione del giudice penale, di utilizzo di una s.c.i.a. per manutenzione ordinaria in relazione ad un intervento di nuova costruzione, assoggettato a permesso di costruire, sicché il procedimento dichiarativo, prima che illegittimo, non avrebbe potuto essere considerato efficace). Soltanto circoscrivendo, peraltro, a tale radicale estraneità dal modello generale prescelto la mancanza dei presupposti sostanziali di un’istanza o di una dichiarazione, tale da renderla tamquam non esset , la natura permanente dei poteri sanzionatori può conciliarsi con la temporaneità della riedizione di quelli di controllo sul titolo.

23. Con la sentenza n. -OMISSIS- oggetto di gravame da parte del Comune di Barletta, il T.a.r. per la Puglia ha dunque ribadito più volte la sussistenza, nel caso di specie, di un’ipotesi di c.d. “autotutela doverosa”, ritenendo di ravvisarne il paradigma generale nella previsione dell’art. 21-novies, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, che disciplina l’annullamento d’ufficio dei «provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato[…]». L’istituto troverebbe fondamento nell’art. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, relativo alla decadenza dai benefici conseguiti tramite dichiarazioni menzognere, in quanto richiamato dal medesimo art. 21-novies della l. n. 241/1990, nell’art. 27 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, rubricato «Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia», nel regime della s.c.i.a. e del silenzio assenso, di cui agli artt. 19 e 20 della medesima l. n. 241 del 1990, nonché, in generale, nella prospettazione di profili di responsabilità, che esponendo l’amministrazione ad azioni di rivalsa per danni erariali cagionati dai propri dipendenti, imporrebbe di determinarsi espressamente, al precipuo scopo di scongiurarle. Da ultimo, anche il giudicato penale esplicherebbe i propri effetti nel senso di compulsare l’attività amministrativa (artt. 537, 651 e/o 654 c.p.p.), imponendo di assumere una posizione in forma espressa «nell’attività doverosa che ex officio compete successivamente ai giudicati penali», stante che «è perfino interesse dell’Ente locale valutare funditus le questioni poste dall’istanza, in funzione della successiva attività amministrativa da svolgersi». Da qui la conclusione circa l’obbligo che «il Comune di Barletta sollecitato dalla parte interessata si determini ad adottare provvedimenti espressi, che riconsiderino la vicenda, onde riportare, nelle forme di legge possibili, lo stato dei luoghi a una situazione di conformità con la normativa urbanistica ed edilizia».

Non solo, dunque, il richiamo alla necessità di «riportare […] lo stato dei luoghi a una situazione di conformità con la normativa urbanistica ed edilizia» costituisce una chiara indicazione contenutistica del provvedimento che il Comune di Barletta era chiamato ad adottare, ma anche le numerose ed eterogenee matrici giuridiche cui ridetto obbligo è stato ricondotto, a conferma della sua natura necessitata estesa al quomodo.

24. Vero è che la Sez. VI di questo Consiglio di Stato, nel pronunciarsi sull’istanza cautelare del Comune, non ha inteso ravvisare alcuna portata precettiva di dettaglio nella decisione di prime cure, che si sarebbe limitata ad imporre di provvedere «sull’istanza formulata dalla parte ricorrente in primo grado, senza vincolare il contenuto del successivo provvedimento» (ordinanza n.-OMISSIS-, citata in epigrafe).

25. Il Collegio ritiene tuttavia che, melius re perpensa, la sentenza profili, soprattutto attraverso il confuso richiamo alle disposizioni sopra ricordate, nonché operando un acritico remand a precedenti giurisprudenziali, il contenuto dell’atto da adottare, così privando di ogni sostanziale discrezionalità l’Amministrazione procedente.

25.1. Di ciò è d’altro canto conferma il successivo sviluppo del procedimento giurisdizionale. Dopo aver affermato infatti chiaramente l’inopportunità di individuare un Commissario ad acta, «stante la complessità delle questioni e delle valutazioni affidate all’Ente locale», il Tribunale adito ha dato mandato con ordinanza del 2 febbraio 2022, n. 185, al dirigente della Sezione “Urbanistica” del Dipartimento “Ambiente, paesaggio e qualità urbana” della Regione Puglia, di provvedere ad eseguire la propria sentenza n. -OMISSIS- Da qui, il provvedimento oggetto di reclamo sia da parte della signora -OMISSIS- che da parte della signora -OMISSIS-definiti con sentenza n. -OMISSIS- oggi gravata con i distinti ricorsi nn.r.g. -OMISSIS- L’atto, coerentemente col mandato ricevuto, ha annullato la d.i.a. del 20 settembre 2007 «e conseguentemente» il permesso di costruire in sanatoria n. 311/08 del 20 marzo 2008, la successiva d.i.a. in variante del 9 giugno 2008, nonché il permesso di costruire in sanatoria riferito a ridetta variante dell’11 ottobre 2011, ma anche quello n. 96/2011 del 21 febbraio 2011, senza in verità esplicitare le ragioni di tale ravvisata conseguenzialità. Ha quindi intimato la demolizione di tutto quanto realizzato sulla base di tali titoli nella sola parte eccedente ciò che si sarebbe potuto avallare con una effettiva ristrutturazione, ovvero l’ampliamento volumetrico al terzo piano, la copertura dello stesso (ipotizzandone la sostituzione con altra, limitata al vano tecnico-lavanderia, purché staticamente idonea) e il torrino scala emergente su tale copertura, ivi comprese le rampe di accesso, di fatto rimodulando l’accertamento di conformità. Comprensibili ragioni di economia procedimentale, efficacemente sintetizzate dal T.a.r. per la Puglia mediante richiamo al brocardo latino factum infectum fieri nequit, hanno cioè indotto a non pretendere la presentazione di una nuova istanza, nel frattempo attivando il procedimento demolitorio, ma a circoscrivere la portata di quella preesistente a quanto ritenuto concretamente realizzabile.

26. Chiariti definitivamente i contorni della vicenda, va in primo luogo respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso n.r.g. -OMISSIS-sollevata dalla signora -OMISSIS- che peraltro contraddittoriamente da un lato invoca la portata non precettiva della pronuncia del T.a.r. per la Puglia n.-OMISSIS--facendo leva, peraltro, su un passaggio motivazionale ancora afferente alla parte ricostruttiva della fattispecie- , dall’altro ne rivendica le puntuali affermazioni volte ad “indirizzare” le successive scelte del Comune di Barletta. Appare infatti chiaro che il primo giudice ha inteso ravvisare nel caso in esame il presupposto per un intervento doveroso di annullamento dei propri precedenti atti da parte del Comune, con conseguente attivazione del susseguente procedimento sanzionatorio.

27. Il Collegio ritiene a questo punto necessario un, sia pur sintetico, richiamo a ciò che la dottrina e la giurisprudenza riconducono al concetto di “autotutela doverosa”. Con tale espressione, che in realtà sembra riassumere in sé una contraddizione in termini rispetto alla ontologica discrezionalità che connota per regola l’istituto, si intende far riferimento a quelle situazioni in presenza delle quali il potere di riesame dei propri atti da parte della pubblica amministrazione è, appunto, dovuto, tassativamente individuate dal legislatore, ovvero declinate in maniera altrettanto precisa in via pretoria.

28. Sulla possibilità di introdurre ipotesi siffatte a livello normativo il giudice delle leggi si era già espresso ancor prima dell’introduzione nella l. n. 241 del 1990 del Capo IV-bis, risalente alla riforma del 2005: chiamata a pronunciarsi sull’art. 6, comma 17, l. n. 127 del 1997, recante l’obbligo per gli enti locali di autoannullare i propri provvedimenti di inquadramento del personale illegittimi (in verità non a regime ma “a sanatoria” entro una certa data), la Corte costituzionale ebbe infatti modo di affermare che «in via di principio, il momento discrezionale del potere della pubblica amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di copertura costituzionale. Lo strumento dell’autotutela deve sempre essere valutato nel quadro dei princìpi di imparzialità, di efficienza e, soprattutto, di legalità dell’azione amministrativa, espressi dall’art. 97 Cost.» (Corte cost., 22 marzo 2000, n. 75).

29. L’evoluzione del contesto socio-economico, prima che giuridico, ha mutato radicalmente l’approccio alla tematica del riesame degli atti amministrativi, circoscrivendone i casi di “doverosità”. Ciò nella direzione di valorizzare la tempestività e completezza dell’istruttoria delle domande dei privati all’atto della loro presentazione, in una visione necessariamente responsabilizzante delle Amministrazioni pubbliche.

29.1. I casi di autotutela doverosa normativamente previsti, dunque, sono stati via via eliminati dall’ordinamento, riducendosi ormai a singole e sporadiche ipotesi: si pensi all’abrogazione della previsione, in passato di ampia incidenza casistica, di cui all’art. 1, comma 136, della l. 30 dicembre 2004, n. 311,che faceva obbligo alla P.A. di annullare i provvedimenti illegittimi comportanti oneri finanziari, fatta eccezione per quelli incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali efficaci da più di tre anni ad opera dell’art. 6, comma 2, della l.7 agosto 2015, n. 124; ovvero, al contrario, a quanto ancora oggi previsto dall’art. 94 del codice antimafia, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che impone, ove successivamente alla stipula del contratto siano accertati tentativi di infiltrazione mafiosa, oppure emergano cause correlate di decadenza, di sospensione o di divieto, alle stazioni appaltanti di revocare le autorizzazioni e le concessioni o di recedere dai contratti. Ma un esempio ancor più lampante è rinvenibile proprio nella disciplina dei controlli in materia di s.c.i.a., che ove travalichino la tempistica assegnata in via per così dire “ordinaria” (sessanta o trenta giorni, a seconda che si tratti o meno di materia edilizia), impone (non facoltizza) l’adozione dei provvedimenti conformativi, sospensivi o inibitori «in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-novies», e dunque in primo luogo nel rispetto del limite temporale (oggi) di dodici mesi (sul concetto di “autotutela doverosa” in materia di s.c.i.a., comunque limitata all’an e non estesa al quomodo, v. Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2023, n. 2371; sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208).

30. Accanto ai casi di autotutela doverosa “totale”, la dottrina più accorta teorizza la sussistenza di un’autonoma categoria di “autotutela doverosa parziale”, consistente nella mera dequotazione del termine ragionevole per procedere all’annullamento d’ufficio, come noto pari ormai a dodici mesi per i casi di autorizzazioni o atti che accordano benefici economici. Ciò può avvenire stabilendone in via autonoma uno diverso (quale quello di dieci anni accordato alla Regione dall’art. 39 del T.u.e. per l’annullamento di deliberazioni e provvedimenti autorizzatori comunali) ovvero semplicemente prescindendone. A tale seconda categoria è sicuramente da ricondurre il caso in esame per come declinato dal legislatore.

31. La giurisprudenza ha poi individuato casi nei quali l’autotutela diviene strumento di garanzia di supremi valori ed interessi dell’ordinamento contro la consolidazione degli effetti d’un atto illegittimo ed ingiusto, seppure non tempestivamente revocato o annullato, in verità riconducendo allo stesso anche la fattispecie oggi in esame.

32. Come già detto, il Collegio ritiene che l’art. 21-novies, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990 declini sicuramente un caso di autotutela doverosa parziale, nell’accezione sopra chiarita, ovvero nel senso di consentire all’Amministrazione il suo esercizio anche oltre i termini fissati dal legislatore.

33. L’uso lessicale del verbo servile potere («possono essere annullati»), anziché dell’indicativo presente del verbo essere (“sono annullati”), pare inequivoco nel rendere l’accertamento penale irrevocabile del falso insufficiente ad imporre l’annullamento dell’atto, dovendo essere effettuate comunque anche le ulteriori verifiche previste dalla norma, fermo restando che nel caso di specie non si porranno esigenze di tutela dell’affidamento del dichiarante il falso o del diretto (e consapevole) beneficiario dello stesso. Ciò a maggior ragione ove si consideri che presumibilmente il giudicato di condanna interverrà dopo un lasso di tempo consistente dall’adozione dell’atto ampliativo, sicché l’Amministrazione non potrà esimersi dal valutare l’incidenza del fattore temporale sulla decisione relativa all’annullamento d’ufficio, tornando ad espandersi anche, si ritiene, l’operatività della ragionevolezza del termine. E tuttavia la scelta del legislatore di derogare al limite temporale di esercizio dell’autotutela non può rimanere priva di conseguenze sul piano della doverosità dell’attivazione delle necessarie verifiche. La possibilità, cioè, che si riediti il proprio potere anche a distanza di molto tempo, come tipicamente avviene nel caso del giudicato penale di falso, implica necessariamente che una valutazione delle conseguenze dello stesso sulla (eventuale) conservazione del titolo venga effettuata, seppure a potenziale discapito delle esigenze di certezza delle posizioni giuridiche ormai consolidate nel tempo. Da qui la correttezza, ritiene il Collegio, dell’utilizzo del termine “autotutela doverosa”, essendo essa tale anche a distanza di anni nell’accezione di imporre il riesame e conseguentemente riscontrare la relativa richiesta avanzata dal terzo interessato in tal senso, senza vincolarne gli esiti.

33.1. E’ evidente peraltro come la scelta di caducare l’atto sarà comunque più semplice da un punto di vista motivazionale, stante che, come precisato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, l’erronea prospettazione, da parte del privato, delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare una sua posizione di affidamento, con la conseguenza che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte (Cons. Stato, A.P. 17 ottobre 2017, n. 8).«L’interesse pubblico all’eliminazione, ai sensi dell’ art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 , di un titolo abilitativo illegittimo è in re ipsa, a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento ampliativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente» (così T.A.R. , Salerno , sez. II , 05 gennaio 2021, n. 18, richiamata da Cons. Stato, sez. VI, -OMISSIS-). Principi questi che possono –recte, devono – evidentemente orientare la scelta dell’Amministrazione, ma non imporla, giusta l’incidenza del tempo trascorso, ad esempio, sull’attuale titolarità del bene, come avvenuto anche nel caso di specie, ove la signora -OMISSIS- è subentrata alla madre, signora -OMISSIS-e la condivisione/conoscenza delle precedenti indicazioni menzognere non può certo esserle ascritta sul solo assunto di tale rapporto di parentela, nonché dei “buoni rapporti” intercorrenti tra le parti confermati dalla successiva donazione del bene, come preteso dalla controinteressata.

34. L’equivoco di fondo nel quale incorre il primo giudice, anche mediante il ricordato acritico richiamo a precedenti arresti giurisprudenziale, poggia in primo luogo sulla dilatazione della portata applicativa dell’art. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, ricompreso tra le “sanzioni” di cui al Capo VI del Testo unico, e come tale richiamato espressamente dall’art. 21-novies, comma 2-bis della l. n. 241 del 1990. A tale norma è stata infatti riconosciuta la natura di «regola generalissima per sanzionare l’ottenimento d’un beneficio (di qualunque natura, foss’anche solo ampliativo del jus aedificandi) solo grazie ad una non veritiera rappresentazione dei presupposti di fatto su cui esso si basa ed altrimenti non dovuto» (Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 2019, n. 8920, non a caso più volte invocata dalla signora -OMISSIS-). Ne sono peraltro conseguite letture ancor più rigorose a discapito del privato, che da un lato hanno esteso il concetto di «rappresentazione di fatti», riconducendovi anche le omissioni dichiarative, dall’altro hanno consentito l’annullamento a prescindere dalla previa cristallizzazione del falso in un giudicato penale.

35. Siffatta lettura, che il Collegio non condivide, non tiene conto delle differenze contenutistiche comunque ravvisabili nel coacervo delle norme ‒ oggettivamente mal coordinate tra di loro – nelle quali il legislatore si è occupato dell’impatto delle dichiarazioni menzognere o comunque non veritiere sul procedimento amministrativo. Laddove, infatti, il rinvio all’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 rendesse sempre e comunque applicabile l’annullamento d’ufficio, lo stesso si risolverebbe in una sostanziale interpretatio abrogans del comma 2-bis dell’art. 21-novies, derubricandolo a mero richiamo a un meccanismo sanzionatorio rinvenibile aliunde, del tutto incompatibile con il ricordato utilizzo del verbo “potere” quale ribadita affermazione del permanere di un seppur minimo margine di discrezionalità amministrativa. Al contrario, la clausola di salvaguardia «fatta salva l’applicazione […] delle sanzioni previste dal Capo VI del testo unico […]» evoca caso mai un cumulo di sanzioni/conseguenze della declaratoria falsa, non la radicale sovrapposizione delle due ipotesi, con assorbimento dell’una (quella “meno” rigorosa) nell’altra.

36. D’altro canto, la già ricordata mancanza di chiarezza espositiva e di coordinamento fra disposizioni comunque riferite alle false dichiarazioni ha inevitabilmente generato dubbi e lacune, cui la giurisprudenza si è vista costretta a porre rimedio. Si pensi a quanto rilevato nell’immediatezza della novella del 2015 con riferimento alla formulazione, persistente all’attualità, dell’art. 21 della l. n. 241 del 1990, che vieta la conformazione dell’attività oggetto di s.c.i.a. ovvero sottoposta al regime del silenzio assenso, nonché la sanatoria (termine rimasto nel testo in forza di un sicuro refuso, non essendo prevista alcuna “sanatoria” negli artt. 19 e 20) «in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni», la cui valutazione è rimessa, in questo caso per comprensibili esigenze di celerità del procedimento, all’Amministrazione in via autonoma. Ad esse consegue peraltro un’autonoma fattispecie di reato, punita con rinvio quoad poenam all’art. 483 c.p., la cui astratta configurabilità imporrebbe comunque alla P.A. di sospendere l’attività soggetta a s.c.i.a. Non a caso il mantenimento di tale disposizione era stato segnalato come probabile refuso dal Consiglio di Stato in sede consultiva (con riferimento ai decreti legislativi 30 giugno 2016, 126, cd. “SCIA 1” e 25 novembre 2016, n. 222, cd. decreto “Regimi amministrativi” o “SCIA 2”), ma il legislatore delegato non ha inteso accogliere il suggerimento soppressivo conseguitone, così mantenendo un ulteriore elemento di complicazione del già confuso quadro delle conseguenze delle dichiarazioni mendaci lato sensu intese.

37. L’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 fa riferimento alla decadenza da «benefici», dicitura che può sicuramente essere sovrapposta a quella di «provvedimenti di attribuzione di benefici economici» contenuta nell’art. 21-novies, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, ma che la giurisprudenza ha inteso allargare condivisibilmente anche a quelli di autorizzazione, fra i quali rientrano i titoli edilizi.

37.1. Tale ampliamento trova del resto riscontro nelle affermazioni dell’Adunanza plenaria, che con riferimento alla natura della decadenza di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, non a caso esemplificativamente evocato anche dalla difesa civica (Cons. Stato, A.P., 11 settembre 2020, n. 18), ha fatto riferimento ad una vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc, di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), lato sensu intesa. In tal caso, peraltro, la ravvisata configurazione, ricondotta ad una precisa scelta del legislatore, ha consentito di evidenziarne i tratti comuni col più ampio genus dell’autotutela, dal quale tuttavia essa « deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente: a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall’art. 21- nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti».

37.2. La decadenza di cui all’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, invece, pare rientrare nel novero delle vere e proprie sanzioni, stante che in quanto tale è richiamato dall’art. 21-novies, comma 2-bis della l. n. 241 del 1990. E tuttavia condivide con la vicenda pubblicistica estintiva menzionata dall’Adunanza plenaria il mancato rilievo dato all’elemento psicologico della condotta. Peraltro, solo “stralciandola” dal novero delle sanzioni - e così facendo venire meno l’operatività del rinvio alle stesse- possono trovare piena giustificazione gli approcci che prescindono, ai fini dell’integrazione dei suoi presupposti, dalla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa e si comprende appieno il limite dell’effetto ablatorio prodotto, al massimo coincidente con l’utilità innanzi concessa attraverso il pregresso provvedimento ampliativo sul quale la decadenza viene ad incidere. Lo stesso concetto di “decadenza”, d’altro canto, evoca per regola una caducazione sanzionatoria, ovvero conseguente alla presa d’atto della carenza dei presupposti per fruire di determinati benefici. Ad ogni buon conto, vuoi che si tratti di una sanzione, vuoi che sia più corretto parlare di meccanismo pubblicistico conseguente alle dichiarazioni false, non ne pare plausibile l’identificazione nell’annullamento d’ufficio, col quale piuttosto coesiste, salvo dar luogo ad un unico atto, coincidente contenutisticamente.

38. Il Collegio ritiene utile a confortare la ricostruzione fornita anche il richiamo alle modifiche all’art.75 sopra richiamato da ultimo apportate dall’art. 264, comma 2, lett. a), del d.l. 19 maggio 2020, n. 34. Esse si collocano in un più generalizzato contesto di valorizzazione dell’utilizzo delle dichiarazioni dei privati, al fine di agevolarne l’accesso a benefici economici, in un momento di particolare crisi economica quale quello connesso alla pandemia. A fronte, quindi, dell’incremento delle possibilità di utilizzo delle due forme tipiche di dichiarazioni sostitutive (quella in luogo di certificazione e quella di atto notorio) il legislatore ha inteso rafforzare il sistema dei controlli e inasprire le sanzioni, in una logica di centralità del principio di autoresponsabilità, che implica anche assunzione delle conseguenze della erroneità delle proprie affermazioni. Nell’inserire nell’art. 75 del comma 1-bis, relativo al recupero dei benefici già erogati, nonché al successivo divieto di percepirne per un certo lasso di tempo, ci si riferisce chiaramente a quelli di natura economica, esemplificati nominativamente come «contributi, finanziamenti e agevolazioni». E tuttavia si rafforza l’idea della finalità di “punizione”, lato sensu intesa, della violazione del rapporto fiduciario che l’Amministrazione ha inteso instaurare per velocizzare i procedimenti e semplificarne la definizione, attenuando gli oneri gravanti sul privato. La norma, cioè, si inserisce in un contesto in cui alla dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti è attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del dichiarante di affermare il vero. Ne consegue che la dichiarazione “non veritiera” da un lato gli preclude il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione, dall’altro ne comporta la decadenza, appunto, dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio, restituendo anche quanto indebitamente già percepito, ove si tratti di benefici economici, a prescindere dall’elemento soggettivo che ha connotato la condotta, ovvero il dolo o la colpa del dichiarante.

39. Quanto detto consente infine di evidenziare come l’art. 21-novies e l’art. 75 si sovrappongono solo in parte con riferimento all’oggetto della dichiarazione. Il primo, infatti, distingue chiaramente le «false rappresentazioni», dizione ad ampia valenza contenutistica nella quale sicuramente rientra la descrizione dello stato dei luoghi ove si va ad inserire un intervento edilizio, dalle «dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci», ovvero quella specifica e tipica tipologia di dichiarazioni disciplinate dagli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000, in relazione alle quali l’art. 75 irroga la decadenza quale conseguenza del mendacio. A tutto concedere, quindi, alla lettura rigorista che vuole far prevalere sempre e comunque la decadenza sull’annullamento d’ufficio, ciò deve essere limitato ai casi in cui il mendacio sia contenuto in una dichiarazione sostitutiva di certificazione (i cui oggetti sono analiticamente elencati all’art. 46 del d.P.R. n. 445/2000) ovvero di “atto notorio”, vale a dire quello stato di fatto la cui conoscenza è di comune dominio (“notoria”, appunto) che il privato è autorizzato a formalizzare in un documento a sua firma. Nei casi, invece, di «rappresentazioni di fatto» non veritiere non rientranti in tali tipologie, ovvero rese da soggetti cui l’ordinamento attribuisce una specifica qualifica soggettiva, l’art. 75 non rileva, vuoi che lo si ritenga un rimedio (sanzionatorio o meno) aggiuntivo all’autotutela, vuoi che, per quanto sopra detto, lo si assorba nella stessa, piuttosto che identificarla con essa.

40. Anche per tale strada, tuttavia, la sostanziale ritenuta operatività, ancorché limitata a specifici casi, del solo art. 75 finisce per vanificare la decantata svolta garantista che il legislatore ha inteso imprimere con la novella del 2015, sottraendo alla valutazione della singola amministrazione la valenza inficiante della declaratoria falsa e pretendendone l’accertamento definitivo da parte di un giudice penale.

41. Il Collegio non ritiene di approfondire ulteriormente tale specifica questione in quanto estranea al perimetro dell’odierna controversia, oltre che indice di una evidente distonia nelle scelte del legislatore.

42. Nella sentenza del Tribunale di Trani, infatti, la falsità è stata individuata sia nelle rappresentazioni di fatto contenute nella relazione tecnica, sia nella qualificazione giuridica dell’intervento, quale sostanziale precipitato definitorio della prima. Da qui la scelta del giudice di modificare l’originario capo di imputazione formulato dal Pubblico ministero (che non a caso era riferito all’art. 483 c.p.) nella fattispecie di cui all’art. 481 c.p. La relazione tecnica, infatti, non sostituisce una certificazione, ma è tale in quanto il firmatario ha la qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi dell’art. 29, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001. Le conseguenze, anche disciplinari, della relativa condotta, giustificano il diverso regime giuridico che in un caso richiede l’accertamento giudiziale della responsabilità, nell’altro reputa sufficiente la non veridicità di quanto affermato, evidentemente in ambiti che non richiedono particolari competenze e conoscenze tecniche.

43. Vero è tuttavia che la scelta del legislatore di derogare al limite temporale di esercizio dell’autotutela non può essere priva di effetto: con essa, si ritiene, si è voluto comunque imporre una valutazione che nelle ipotesi “ordinarie” è preclusa. Da qui, si ritiene, la corretta accezione da attribuire alla doverosità dell’autotutela anche sotto questo profilo: a fronte dell’istanza di un privato che evochi gli effetti di un giudicato penale di falso, l’Amministrazione è obbligata a valutarla. All’esito di ridetta valutazione, la scelta sarà assai più semplice nel senso della caducazione dell’atto piuttosto che del suo mantenimento, stante che, come precisato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, l’erronea prospettazione, da parte del privato, delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare una sua posizione di affidamento, con la conseguenza che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte (Cons. Stato, A.P. 17 ottobre 2017, n. 8).«L’interesse pubblico all’eliminazione, ai sensi dell’ art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 , di un titolo abilitativo illegittimo è in re ipsa, a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento ampliativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente» (così T.A.R. , Salerno , sez. II , 05 gennaio 2021, n. 18, richiamata da Cons. Stato, sez. VI, -OMISSIS-). Solo all’esito tuttavia di tale valutazione, che non poteva non tenere conto del lungo lasso di tempo trascorso e del subentro nella proprietà della signora -OMISSIS-in apparenza estranea ai fatti di causa, non potendosene presumere la connivenza per il solo fatto del rapporto di filiazione con la precedente proprietaria, avrebbe dovuto scegliere se annullare gli atti “poggianti” su tale relazione tecnica.

44. Sulla ristrettezza dell’operatività della scelta non pesa, peraltro, il richiamo, pure contenuto nella sentenza di primo grado, alle potenziali responsabilità, anche erariali, cui l’Amministrazione si vedrebbe esposta in ragione del danno cagionato dai propri dipendenti. L’argomento, infatti, sembrerebbe trovare conferma nell’inciso finale del primo comma dell’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990 («Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo»): la collocazione sistematica, tale da renderlo riferibile a tutti i casi di autotutela (tanto da essere stato in passato utilizzato quale argomento per sostenere la doverosità dell’autotutela in genere), nonché il fatto che la responsabilità scaturisca in egual misura dall’adozione dell’atto illegittimo e dal suo mancato annullamento, relegano la norma più correttamente tra i molteplici richiami che il legislatore ha inteso via via effettuare alla responsabilità dei funzionari pubblici (si pensi a quanto statuito dall’art. 2, comma 9, laddove prevede che «La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente»; ovvero alla previsione dell’art. 21, comma 2-ter, in forza del quale «La decorrenza del termine previsto dall’articolo 19, comma 3, e la formazione del silenzio assenso ai sensi dell’articolo 20 non escludono la responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente nel caso in cui la segnalazione certificata o l’istanza del privato non fosse conforme alle norme vigenti»).

44.1. In definitiva, il Collegio ritiene che l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990, aggiunto dalla legge n. 164 del 2014, rappresenti una sorta di “clausola di salvaguardia”, che finisce effettivamente per limitare l’ampia discrezionalità attribuita, in via generale, all’amministrazione, ma non fino al punto di renderla doverosa. Essa, cioè, pone tra gli elementi di valutazione di cui la P.A. deve tenere conto nel decidere se e come pronunciarsi sulla legittimità dei propri provvedimenti, la necessità di evitare effetti pregiudizievoli per la stessa amministrazione, fermo restando che gli stessi già possono conseguire all’avvenuta adozione dell’atto illegittimo. Più precisamente, il precetto in questione più che prevenire le conseguenze negative per l’apparato pubblico che si verificherebbero qualora l’autorità agente fosse chiamata a rispondere dei danni provocati dalle violazioni da essa commesse nell’attuazione della legge, eliminate o meno, in via di autotutela, mira a prevenire in generale comportamenti negligenti nell’esercizio della funzione pubblica.

45. Né il vincolo contenutistico dell’autotutela può trovare fondamento nell’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001. La richiesta di attivazione dei controlli, infatti, si colloca o a valle dell’avvenuto esercizio dell’autotutela, avendo l’eventuale annullamento del titolo reso illegittimo un intervento che originariamente non lo era, ovvero del tutto al di fuori della stessa, per verificare, cioè, altri profili di illiceità che si collocano comunque al di fuori della copertura del titolo di legittimazione.

46.Va detto che la distinzione tra controllo del territorio e controllo sulla legittimità dei titoli che ne consentono le modifiche, chiara a livello teorico, finisce per debordare in molteplici ambiti chiaroscurali di non agevole collocazione dogmatica. In astratto, dunque, il primo, quale strumento conferito per dare effettività alle scelte di pianificazione urbanistica rimesse all’Ente locale, attiene alla verifica, effettuabile senza limiti di tempo, della conformità degli interventi al regime di edificabilità dei suoli per come cristallizzati nei titoli edilizi, ove rilasciati, ovvero all’illecita realizzazione in assenza degli stessi di modifiche che in qualche modo impattino sul territorio; il secondo, invece, implica, a monte e preventivamente, la verifica della sussistenza dei presupposti per assentire una determinata richiesta di esercizio dello ius aedificandi, ex post, esclusivamente la possibilità del loro annullamento, sussistendone i presupposti di legge, volti a contemperare le esigenze di tutela della legalità con quelle di certezza delle situazioni giuridiche e di legittimo affidamento che il privato ripone nella correttezza dell’operato della pubblica amministrazione.

46.1. Nella pratica, accade spesso che il richiamo all’imprescrittibilità dei poteri di vigilanza divenga il grimaldello attraverso il quale legittimare controlli postumi, ovvero spostare in avanti il dies a quo di decorrenza del termine di silenzio assenso dilatando a dismisura il concetto di requisiti formali e sostanziali che la domanda deve possedere per potere essere valutata. L’esigenza di salvaguardare comunque l’interesse pubblico al corretto sviluppo del territorio, che ne interseca sovente di altri connotati da ancor maggiore sensibilità (si pensi all’ambiente, al paesaggio o al patrimonio culturale) ha indotto il legislatore a richiamare espressamente il potere di vigilanza quale rimedio finale per cauterizzare situazioni illecite. In tal senso dispongono dunque sia l’art. 19, comma 6-bis, ultimo periodo, con riferimento alla s.c.i.a. in ambito edilizio, sia l’art. 21, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, che richiamano, rispettivamente, le «disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali» e le «attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20». Il rischio, di intuibile percezione, è che in nome dell’essenziale interesse pubblico alla salvaguardia del territorio e al corretto uso del suolo si legittimi l’inerzia della pubblica amministrazione, consentendole di attivarsi solo su impulso di una controparte ovvero all’esito di una denuncia penale, contraddicendo la configurazione del silenzio assenso quale rimedio eccezionale e non modello comportamentale ordinario da tempo predicata dalla giurisprudenza del consiglio di Stato.

47. L’art. 27 del T.u.e. costituisce in realtà un importante contenitore capace di abbracciare, ma senza invaderne il perimetro, il controllo di legittimità sugli atti amministrativi, per “recuperare”, a prescindere dallo stesso, al procedimento sanzionatorio, tutto ciò che esula dal modello tipologico prescelto, non solo quanto se ne distacchi in fase esecutiva. Si pensi al caso di inoltro di una s.c.i.a. o di una c.i.l.a. per opere che chiaramente richiedono il permesso di costruire: l’inefficacia del procedimento dichiarativo prescinde dalla necessità di caducarne gli effetti, ben potendosi motivare la ritenuta sussistenza dell’illecito nel provvedimento sanzionatorio.

L’esempio fatto, che riecheggia solo in parte quanto accaduto nel caso di specie, evidenzia tutta la difficoltà di tracciare sempre un discrimine netto tra valutazione del titolo e valutazione dell’intervento: trattasi tuttavia di uno sforzo ermeneutico che il Comune è chiamato a fare, così da distinguere i profili di illegittimità, rilevabili ex post nei limiti dell’autotutela, da quelli di illiceità, stigmatizzabili in qualunque momento.

48. Peraltro, diversamente da quanto affermato con riferimento all’esercizio dell’autotutela in generale, secondo costante orientamento giurisprudenziale, l’amministrazione comunale ha l’obbligo di provvedere sull’istanza di repressione di abusi edilizi realizzati su area confinante formulata dal relativo proprietario. In particolare, il proprietario confinante, in ragione dello stabile collegamento con il territorio che si esprime nel concetto di vicinitas, gode di una posizione differenziata e qualificata rispetto alla collettività, che lo legittima ad avanzare tale istanza, essendo direttamente inciso dagli effetti dannosi del mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’organo preposto. L’amministrazione pertanto è tenuta ad attivarsi con l’adozione delle misure rese necessarie dall’illegittima edificazione, ovvero adottando un provvedimento che spieghi esplicitamente le ragioni della scelta negativa inversa, che dia conto delle valutazioni effettuate in merito alla sussistenza o meno dell’abuso denunciato, con il risultato che il silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere in modo espresso. In tali situazioni, come affermato dal T.a.r. nella sentenza n. -OMISSIS- si ritiene che trovi applicazione l’art. 2 della l. n. 241/1990, che impone alla pubblica amministrazione di concludere il procedimento conseguente in modo obbligatorio ad un’istanza di parte mediante l’adozione di un provvedimento espresso, anche se ritiene che la domanda sia irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata, non potendo rimanere inerte, salvo il limite negativo, logico, prima che giuridico, della totale pretestuosità o infondatezza della richiesta/denuncia. Più in generale ciò risponde ai principi di correttezza, buon andamento e trasparenza, e nel contempo all’esigenza di garantire alle parti, attraverso l’emanazione di un provvedimento espresso, di tutelare in giudizio i propri interessi a fronte di provvedimenti ritenuti illegittimi.

49. Il primo giudice ha sostanzialmente posto sullo stesso piano le due richieste, di autotutela e di controllo, operando un’indebita commistione tra le stesse, ovvero giustificando la doverosità della prima in ragione della sussistenza dei compiti di controllo. Al contrario, trattavasi di due distinti profili di obbligo di provvedere, uno riferito al richiesto riesame degli atti, l’altro alla verifica di conformità agli stessi, per come “conservati” o caducati, dello stato di fatto esistente.

50. Entro tali, più limitati confini, andava pertanto circoscritta l’“autotutela doverosa” che il T.a.r. per la Puglia ha ravvisato nella previsione di cui all’art. 21-novies, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990.

51. A ciò consegue l’accoglimento del ricorso n.r.g. -OMISSIS-del Comune di Barletta, seppure nei sensi e limiti precisati in motivazione. Nel giudizio avverso il silenzio, infatti, disciplinato dall’art. 31 cod. proc. amm. – non è consentito al giudice amministrativo, in presenza di attività discrezionale, quale resta comunque in tali ipotesi quella di annullamento d’ufficio, valutare la fondatezza della pretesa azionata, perché ciò implicherebbe una non consentita ingerenza in spazi valutativi riservati all’amministrazione, con violazione del divieto di sindacare poteri non ancora esercitati. Tale giudizio sulla fondatezza della pretesa è possibile soltanto in presenza di attività vincolata anche nel quomodo, insussistente nel caso di specie. L’obbligo del Comune di Barletta, pertanto, era limitato al -questo sì, doveroso - riscontro alle diffide nella loro distinta e autonoma configurazione, nonché al riesame degli atti, ivi compresi quelli sopravvenuti, limitatamente alla necessità di valutare l’eventuale impatto anche sugli stessi delle dichiarazioni mendaci. Nell’esercizio del conseguente potere sanzionatorio, resta altresì salva l’applicabilità, ove ne sussistano i presupposti, per l’applicazione dell’art. 38 del T.u.e.

52. Quanto sopra consente altresì di non scrutinare le molteplici eccezioni avanzate dall’appellata signora -OMISSIS- in quanto comunque attinenti al contenuto delle valutazioni che il Comune è chiamato a fare, indirizzandolo nel senso della insanabilità dello stato di fatto attuale giusta la ribadita contrarietà sia alla disciplina edilizia, che a quella urbanistica vigente.

53. Per la medesima ragione, l’avvenuta riperimetrazione del dictum della sentenza del T.a.r per la Puglia n. -OMISSIS- non può non riverberarsi sul provvedimento del Commissario ad acta che allo stesso ha dato puntuale attuazione, preoccupandosi anche degli atti sopravvenuti, nella richiamata ottica di ripristinare comunque lo stato dei luoghi conformandoli alla sottesa cornice legale.

54. A ciò consegue l’improcedibilità di entrambi i reclami proposti avverso il contenuto dello stesso e, per l’effetto, dell’appello avverso la sentenza che ha deciso su di essi.

55. In sintesi, il Comune di Barletta, alla luce della presente sentenza, è tenuto a riscontrare l’istanza di autotutela della signora -OMISSIS- in quanto “doverosa” nell’accezione chiarita, alla luce del giudicato penale sopravvenuto, o procedendo all’annullamento d’ufficio dei titoli edilizi cui fa riferimento il sopravvenuto giudicato di falso, ovvero motivandone la mancata effettuazione, anche in relazione alla sopravvenuta e ormai consolidata sanatoria. Nell’esercizio del proprio potere di vigilanza, egualmente doveroso, è tenuto altresì ad attivare il previsto procedimento sanzionatorio, sia in caso di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi, specificamente indicati, sia con riferimento a quanto realizzato al di fuori degli stessi, ivi compresa la richiamata sanatoria, ove non fatta oggetto di riesame in via autonoma, o per il ritenuto riverbero (anche) sulla sua legittimità della sentenza della Corte d’Appello di Bari. In entrambi i casi, è tenuto a dare riscontro motivato alla richiedente o adottando i previsti provvedimenti demolitori, o esplicitandone la mancata adozione. Resta ferma la valutazione, in sede di esecuzione delle (eventualmente) intimate demolizioni della sussistenza dei presupposti per consentire la c.d. fiscalizzazione dell’abuso, sia ove si determini nel senso dell’annullamento dei titoli edilizi (art. 38 del d.P.R. n. 380/2001), sia in relazione agli interventi difformi o non “coperti” dagli stessi, ivi compresa la sanatoria successivamente rilasciata (a seconda del caso, art. 33, comma 2 ovvero 34, comma 2, del medesimo Testo unico). Resta fermo altresì l’obbligo, a cura dei competenti organi comunali, di attivare i procedimenti finalizzati ad accertare le previste responsabilità connesse sia all’adozione del provvedimento illegittimo che al suo mancato annullamento.

56. Ragioni di economia procedimentale, considerato la risalenza nel tempo della vicenda e la sua innegabile complessità, impongono tuttavia di individuare sin da ora un nuovo Commissario ad acta, per l’ipotesi di perpetrata inerzia ulteriore del Comune di Barletta, nei limiti delle valutazioni allo stesso rimesse. A tale scopo, il Collegio ritiene di confermare la nomina del Commissario ad acta nella persona del funzionario già delegato dal dirigente della Sezione “Urbanistica” del Dipartimento “Ambiente, paesaggio e qualità urbana” della Regione Puglia, in quanto già a conoscenza della complessa vicenda di cui è causa.

56.1. Il nominato Commissario ad acta è onerato a insediarsi nelle funzioni presso il Comune di Barletta entro il termine di novanta giorni decorrente dalla comunicazione, a cura della Segreteria del Tribunale, della presente sentenza o dalla notifica, a cura di parte, se anteriore, previ verifica se l’amministrazione comunale abbia nelle more provveduto. In tale denegata ipotesi, provvederà entro il successivo termine perentorio di novanta giorni.

57. La complessità della vicenda giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, in relazione ai tre ricorsi riuniti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione Seconda, definitivamente pronunciando sui tre appelli nn.r.g. -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-, previamente riuniti, accoglie il primo (n.r.g. 9021/2021) nei sensi e limiti di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.a.r. per la Puglia n. -OMISSIS- accoglie il ricorso di primo grado con diversa motivazione; in caso di permanente inadempienza del Comune di Barletta, conferma la nomina del Commissario ad acta nel funzionario già delegato dal Dirigente della Sezione “Urbanistica del Dipartimento ambiente, paesaggio e qualità urbana” della Regione Puglia, incaricato a provvedere nei termini di cui in motivazione. Dichiara improcedibili i ricorsi n.r.g. 4469/2023 e n.r.g. 4471/2023.

Compensa fra le parti le spese dei tre giudizi riuniti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Dà mandato alla Segreteria di comunicare la presente decisione al funzionario della Regione Puglia già individuato quale Commissario ad acta.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellata non costituita.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Dario Simeoli, Presidente FF

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere

Francesco Cocomile, Consigliere