TAR Lombardia, (BS), Sez. II, n. 814, del 2 ottobre 2013
Acque.Inedificabilità assoluta della fascia di rispetto dei corsi d'acqua ex art. 96, lett. f), T.U. 523/1904

Il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f), T.U. 25.07.1904 n. 523, ha carattere legale, assoluto e inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici; cioè, esso è teso a garantire le normali operazioni di ripulitura/manutenzione e a impedire le esondazioni delle acque. La norma suddetta risponde all’evidente finalità di interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio determinando l'inedificabilità assoluta della fascia di rispetto. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 00814/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01208/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1208 del 2005, proposto da: 
Sangalli Pietro, rappresentato e difeso dall'avv.to Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, Viale Stazione n. 37;

contro

Comune di Darfo Boario Terme, non costituitosi in giudizio;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Massimino Tonsi, rappresentato e difeso dall'avv.to Silvano Canu, con domicilio ex lege presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Zima n. 3;

per l'annullamento

DELL’ORDINANZA DEL RESPONSABILE DEL SERVIZIO URBANISTICA ED EDILIZIA PRIVATA IN DATA 30/8/2005, RECANTE L’INGIUNZIONE A DEMOLIRE OPERE EDILIZIE ABUSIVE.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2013 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con l’atto impugnato, il Responsabile del Servizio Urbanistica e Edilizia privata ha ordinato al ricorrente di demolire un manufatto in legno di dimensioni di metri 4,80 x 3,40 ed altezza variabile da 1,90 a 2,30 metri, oltre a un piccolo manufatto adiacente in prismi. Nel provvedimento repressivo l’amministrazione evidenzia che le opere sono state eseguite in assenza di titolo abilitativo e, in aggiunta, richiama l’art. 96 lett. f) del R.D. 523 del 25/7/1904, che prevede una distanza minima delle costruzioni dai corsi d’acqua.

Riferisce parte ricorrente che le opere sono state realizzate prima del 1942, come confermato dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal Sig. Giovanni Giacomelli. Puntualizza che dall’estratto del rilievo aerofotogrammetrico del territorio comunale si evince la posizione dello stesso unitamente a un numero considerevole di edifici non regolari.

Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione il ricorrente impugna il provvedimento in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

a) Violazione dell’art. 1 della L. 1150/42 e dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, in quanto il modesto manufatto è stato realizzato prima del 1967, quando non era necessaria la licenza edilizia per gli interventi posti in essere in area esterna al centro abitato e in Comuni privi di strumentazione urbanistica;

b) Eccesso di potere per carenza di motivazione e violazione del principio dell’affidamento, per l’ampio lasso temporale intercorso tra la commissione e l’accertamento dell’abuso, aggravato dalla mancata attivazione dei poteri repressivi nei confronti di altri (più impattanti) immobili di proprietà di terzi che si trovano in zona e versano nelle medesime condizioni;

c) Falsa applicazione degli artt. 3 comma 1 punto e.6 e dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, visto che l’opera – di volume ridotto – costituisce pertinenza dell’abitazione principale alla quale è asservita;

d) Violazione dell’art. 96 del R.D. 523/1904 poiché il manufatto non impedisce il corretto deflusso delle acque né le opere di manutenzione, e tra l’altro in oltre 50 anni non si è mai verificata alcuna situazione di pericolo.

L’amministrazione comunale non si è costituita in giudizio. Si è costituito ad opponendum il confinante Sig. Tonsi Massimino.

Alla pubblica udienza del 17/7/2013 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento con il quale il Responsabile comunale ha ordinato la demolizione di due corpi di fabbrica abusivi.

Il gravame è infondato e deve essere respinto, per le ragioni di seguito precisate.

1. Con la prima censura parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 1 della L. 1150/42 e dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, in quanto il modesto manufatto è stato realizzato prima del 1967, quando non era necessaria la licenza edilizia per gli interventi posti in essere in area esterna al centro abitato e in Comuni privi di strumentazione urbanistica (come nella specie).

Detta prospettazione non merita condivisione.

1.1 Come esplicitato nella recente pronuncia della Sezione 18/5/2012 n. 838, in linea di principio l’onere della prova circa la data di realizzazione di un immobile abusivo spetta a chi ha commesso l'abuso (Consiglio di Stato, sez. IV – 31/1/2012 n. 478): secondo il principio generale previsto dall'art. 2697 del codice civile, infatti, “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, e con riguardo alla realizzazione di opere in tempo utile per poter fruire del condono, ad esempio, si è affermato che è onere del privato fornire la prova sulla data di ultimazione dell'abuso, in quanto la pubblica amministrazione non può di solito materialmente accertare quale fosse la situazione dell'intero suo territorio alla data prevista dalla legge, mentre il privato è normalmente in grado di esibire idonea documentazione comprovante la conclusione dell’opera (Consiglio di Stato, sez. IV – 27/11/2010 n. 8298; si veda anche T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII – 2/7/2010 n. 16569; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I – 8/4/2010 n. 1506).

1.2 E’ stato altresì sottolineato che tale onere può ritenersi a sufficienza soddisfatto solo quando le prove addotte risultano obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, mentre la semplice produzione di una dichiarazione sostitutiva non può in alcun modo assurgere al rango di prova (T.A.R. Liguria, sez. I – 8/3/2012 n. 367). E’ stato inoltre puntualizzato che, nel processo civile, alle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà deve negarsi qualsiasi rilevanza, sia pure indiziaria, qualora costituiscano l’unico elemento esibito in giudizio al fine di provare un elemento costitutivo dell'azione o dell'eccezione

atteso che la parte non può derivare elementi di prova a proprio favore – ai fini del soddisfacimento dell'onere di cui all'art. 2697 c.c. – da proprie dichiarazioni non asseverate da terzi (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 24/2/2012 n. 617).

1.3 Nel caso di specie, il ricorrente ha allegato la dichiarazione sostitutiva di un altro soggetto senza accompagnarla con riscontri probatori di data certa, mentre al contrario l’interveniente ha fornito elementi i quali lasciano presumere che la costruzione risalga ad epoca ben più recente: dall’esame della fotografia allegata si notano materiali di costruzione il cui utilizzo in epoca remota non appare plausibile (cfr. foto doc. 1), e inoltre nell’estratto aerofotogrammetrico del 1985 e nell’estratto del P.R.G. del 1955 detto manufatto non compare. Il quadro fattuale vede dunque la prevalenza di dati incompatibili con la tesi propugnata dal Sig. Sangalli circa l’ultimazione delle opere in data anteriore al 1967.

2. Con ulteriore doglianza il ricorrente lamenta l’eccesso di potere per carenza di motivazione e violazione del principio dell’affidamento, per l’ampio lasso temporale intercorso tra la commissione e l’accertamento dell’abuso, aggravato dalla mancata attivazione dei poteri repressivi nei confronti di altri (più impattanti) immobili di proprietà di terzi che si trovano in zona e versano nelle medesime condizioni.

2.1 In disparte l’asserzione dell’interveniente, il quale afferma che nel corso del 1993 sono stati avviati procedimenti sanzionatori in tutta la zona, con sopraluoghi effettuati in loco dall’autorità e conseguente eliminazione dei fabbricati abusivi ad opera di tutti i privati coinvolti, il Collegio richiama il consolidato orientamento ai sensi del quale gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni: pertanto il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere. In altri termini, l'autorità non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente (cfr. sentenze sez. I – 21/5/2012 n. 848; 16/1/2012 n. 59 e la giurisprudenza ivi richiamata). Peraltro nel caso di specie non necessita diffondersi sull’indirizzo minoritario che valorizza il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza (che potrebbero ingenerare un affidamento del privato) dato che la dedotta ampia soluzione di continuità temporale è sfornita di prova (cfr. supra par. 1).

3. Il ricorrente invoca l’inquadramento del manufatto nell’alveo delle pertinenze, per il suo ridotto volume.

3.1 La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti che non alterano in modo significativo l'assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono. Come sottolineato da questo Tribunale (cfr. sez. I – 30/10/2012 n. 1747) “la giurisprudenza richiede (cfr. Cons. St. Sez. IV, 17 maggio 2010 n. 3127 e precedenti ivi richiamati) che dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono. La Sezione (cfr. TAR Brescia 11.1.2006 n. 32) ha sottolineato che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. “carico urbanistico”. Venendo ora a fare applicazione dei suddetti principi alla fattispecie all’esame occorre rilevare che si è effettivamente in presenza di una struttura avente una superficie non eccessiva (mq. 16,40) utilizzata per il ricovero della legna.

4. E’ decisivo a questo punto l’elemento ostativo ulteriore rimarcato nel provvedimento impugnato, ossia la mancata osservanza della distanza minima dal Fiume Oglio stabilita dall’art. 96 del R.D. 523/1904 per ragioni di sicurezza idraulica. Sul punto non sono condivisibili i rilievi di parte ricorrente sulle circostanze che il manufatto non impedisce il corretto deflusso delle acque né le opere di manutenzione, e che in oltre 50 anni non si sono mai verificati pericoli.

4.1 Come osservato da questa Sezione nella sentenza 1/8/2011 n. 1231, l’indirizzo assolutamente costante della giurisprudenza civile e amministrativa si attesta sul canone per il quale <<in linea generale il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n. 523, ha carattere legale, assoluto e inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cassazione civile, sez. un., 30.07.2009, n. 17784, citata dalla Regione nella propria memoria conclusiva); cioè, esso è teso a garantire le normali operazioni di ripulitura/manutenzione e a impedire le esondazioni delle acque>>.

La norma suddetta risponde all’evidente finalità di interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio determinando l'inedificabilità assoluta della fascia di rispetto (T.A.R. Toscana, sez. III – 8/3/2012 n. 439).

4.2 In assenza di elementi a suffragio dell’applicazione della deroga contenuta nella lett. F del citato art. 96, ne consegue tra l’altro che nessuna opera realizzata in violazione della norma de qua può essere sanata e altresì – come affermato nella già citata sentenza di questo T.A.R. n. 1231/2011, “che è legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica, atteso che, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto, trova applicazione l'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree (da ultimo: TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981)”.

4.3 L’accertata operatività del vincolo di inedificabilità assoluta, nel caso di specie, è idonea di per sé a sorreggere il provvedimento impugnato, e determina, pertanto, l’infondatezza del ricorso, senza necessità di approfondire l’ulteriore profilo – invocato dall’interveniente e non menzionato nell’atto impugnato – afferente alla sussistenza del concorrente vincolo paesaggistico.

5. In conclusione il gravame non merita accoglimento.

L’obiettiva modestia delle dimensioni del manufatto giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Stefano Tenca, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/10/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)