Cass. Sez. III n. 7286 del 2 marzo 2022 (UP 4 feb 2022)
Pres. Di Nicola Est. Galterio  Ric. El Monstanjid
Ambiente in genere.Natura facoltativa della procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali mediante prescrizioni

Muovendo dalla sostanziale analogia della procedura estintiva di cui all’art. 318-bis d.lgs. 152\\06 con le disposizioni che regolano la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (d.lgs. 19 dicembre 1994, n.758), deve rilevarsi, così come è stato affermato per queste ultime, che la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale nei casi in cui, legittimamente, l'organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l'imputato può comunque richiedere di essere ammesso all'oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata. E ciò tanto più in quanto, a differenza della disciplina antinfortunistica, il sistema normativo in esame prevede, allo specifico fine di limitare l’ambito di operatività della procedura estintiva alle ipotesi di minore gravità, un ulteriore condizione, disponendo l’art. 318 bis d. lgs. 152/2006 che la stessa possa trovare applicazione esclusivamente nelle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal d.lgs. 152\06 che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette: indicazione normativa questa che depone inequivocabilmente, rimettendone l’applicazione alla discrezionalità degli organi di vigilanza ovvero alla polizia giudiziaria, nel senso della facoltatività della procedura estintiva.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 19.7.2021 il Tribunale di Perugia ha condannato El Mostanjid Redouane alla pena di € 4.000,00 di ammenda ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 256, primo comma lett. a) d. lgs. 152/2006 per aver esercitato nel periodo compreso tra il 16 febbraio e il 29 ottobre 2018 attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi, costituiti da metalli misti dal peso complessivo di circa 67.000 Kg., in assenza della prescritta autorizzazione.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando sei motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge processuale riferito agli artt. 159, 157, 179 primo comma e 185 cod. proc. pen., la nullità del decreto di irreperibilità, nonché di tutti gli atti ad esso conseguenti, emesso nei suoi confronti stante l’incompleto svolgimento delle ricerche, il cui vano esito era stato attestato solo da clausole di stile e che invece, ove fossero state estese, così come prescritto dall’art. 159 cod. proc.pen., anche al luogo di temporanea dimora o di abituale attività lavorativa del destinatario, avrebbero consentito di appurare che egli dimora stabilmente insieme alla sua famiglia nel Comune di Gualdo Tadino dal 2005, dove svolge attività lavorativa autonoma, dove tre dei suoi figli frequentano la scuola locale e dove è da sempre conosciuto anche dai Carabinieri della Stazione ivi ubicata
 2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge processuale riferito agli artt. 159, 157, 179 primo comma, 185, 178 e 415 bis cod. proc. pen., che a seguito della notifica nei suoi confronti dell’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis cod. proc. pen. eseguita dai Carabinieri di Gualdo Tadino era stato rimesso in termini per esercitare tutte le facoltà derivanti dalla suddetta comunicazione, ivi compresa quella di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Evidenzia che, avendo egli esercitato tempestivamente il suddetto diritto potestativo con efficacia vincolante per il PM, avendo inoltrato la relativa richiesta in data 18.11.209, ovverosia entro il termine di 20 giorni decorrenti dalla notifica, eseguita in data 31.10.2019, l’omesso accoglimento dell’istanza da parte del Pubblico Ministero, aveva determinato la nullità del decreto di citazione a giudizio, peraltro tempestivamente eccepita prima dell’apertura del dibattimento.
 2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge processuale riferito agli artt.  423, 516 e 522 cod. proc. pen., che malgrado il fatto contestatogli risultasse dall’imputazione riferito all’attività, prevista e punita dall’art. 256 primo comma d. lgs. 152/2006, di raccolta e trasporto di rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli artt. 208-216 del medesimo decreto legislativo, dall’espletata istruttoria era invece emerso che egli fosse in possesso della predetta autorizzazione, risultando la sua ditta iscritta all’Albo dei Gestori Ambientali dell’Umbria nella categoria 2bis del d.m. 3.6.2014 n. 120, onde la violazione ascrittagli consisteva nel superamento del limite quantitativo dei 30 kg giornalieri. Lamenta pertanto che la condanna pronunciata nei suoi confronti attenga ad un fatto diverso da quello contestatogli, con conseguente violazione del proprio diritto di difesa.
2.4. Con il quarto motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 256 e 212 d. lgs. 152/2006 e al vizio motivazionale, di svolgere legalmente come piccolo imprenditore la raccolta itinerante di materiale ferroso che trasporta presso il centro di raccolta Ercolani Recuperi essendo abilitato a trasportare rifiuti non pericolosi fino a 30 kg al giorno. Contesta perciò la configurabilità del reato contestatogli, rilevando come la licenza comunale per ambulante, di cui egli era munito, non richieda l’iscrizione all’Albo dei gestori dei rifiuti e consenta il trasporto dei rifiuti relativi all’autorizzazione al commercio itinerante
2.5. Con il quinto motivo contesta la mancata applicazione della procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale prevista dagli artt. 318-bis/318 octies d. lgs. 152/2006, configurante condizione di procedibilità, a seguito della quale il contravventore, ove adempia alle prescrizioni impartitegli dall’organo di vigilanza, è ammesso a pagare in sede amministrativa una somma pari ad ¼ del massimo dell’ammenda, versata la quale il reato si estingue. Deduce, pertanto, in conseguenza dell’inosservanza della suddetta procedura, l’inesistenza della sentenza impugnata
2.6. Con il sesto motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 131 bis cod. pen. e al vizio motivazionale, la mancanza di adeguata valutazione della particolare tenuità del fatto, non essendosi tenuto conto dello scarso grado di colpa per essere l’imputato in possesso di tutte le prescritte autorizzazioni, dell’esiguità del danno o del pericolo venendo i rifiuti trasportati presso un centro di trasformazione e della complessa normativa che disciplina la materia.
3. Con successiva memoria in replica alla requisitoria del Procuratore Generale che ha ritenuto la corretta instaurazione del contraddittorio con il rito degli irreperibili, la difesa, nel rassegnare le conclusioni come in epigrafe trascritte, ha controdedotto con riferimento al primo motivo che, oltre all’incompleto svolgimento delle ricerche finalizzate all’emissione del decreto di irreperibilità, nel verbale di vane ricerche non risultavano menzionati né i soggetti interpellati per rintracciare l’imputato, né i luoghi in cui le indagini erano state effettuate a fronte della documentazione depositata innanzi al tribunale, costituita dalla licenza per commercio ambulante, dal certificato di residenza, dallo stato di famiglia e dai certificati di iscrizione dei figli minori presso l’istituto scolastico del Comune di Gualdo Tadino.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile.
Incombe sull’imputato la dimostrazione dell’incompletezza delle ricerche eseguite ai fini dell’emissione del decreto di irreperibilità: la loro esaustività deve essere rapportata a quanto risulta dagli atti nel momento in cui vengono svolte le indagini e all'oggettiva praticabilità degli accertamenti, che rappresenta il limite logico di ogni garanzia processuale. La difesa si limita, invece, ad affermare che il proprio assistito fosse stabilmente residente a Gualdo Tadino dal 2005 ed ivi svolgesse attività lavorativa, ma non indica alcun atto dal quale risultasse un domicilio diverso dalla residenza (nella quale non era stato trovato) o un trasferimento di quest’ultima o la sede della sua attività lavorativa, di per sé sconfessata dalla stessa deduzione difensiva secondo cui praticava il commercio in forma itinerante, comprovata peraltro dalla stessa licenza di commercio ambulante. Invero il principio secondo il quale "ai fini dell'emissione del decreto di irreperibilità, le ricerche devono essere eseguite cumulativamente e non alternativamente o parzialmente in tutti i luoghi indicati dall'art. 159 c.p.p., ivi compreso il luogo in cui l'imputato esercita abitualmente la sua attività lavorativa, e ciò anche quando tale luogo non risulti in atti” (Sez. 1, Sentenza n. 5479 del 10/01/2006 - dep. 13/02/2006, Paulli, Rv. 235098) è comunque condizionato all’esistenza di un luogo diverso dall’abitazione in cui il soggetto pratichi abitualmente la propria attività lavorativa, circostanza della quale non è stata fornita alcuna evidenza.
In ogni caso, anche a prescindere dai suddetti rilievi, vale nel caso di specie il principio già affermato da questa Corte secondo il quale l’emissione del decreto di irreperibilità dell'imputato ai fini della notifica dell'estratto della sentenza contumaciale, quand’anche irregolare, si configura come una nullità generale a regime intermedio dell'atto, da ritenersi sanata laddove l'imputato abbia, impugnando la sentenza di merito, censurato il contenuto della stessa (Sez. 5, Sentenza n. 35241 del 12/03/2013 - dep. 21/08/2013, Ferrara, Rv. 256523)
2. Il secondo motivo non può ritenersi fondato.
Una volta esercitata l’azione penale la fase delle indagini preliminari deve ritenersi definitivamente cessata, tanto è vero che il limite di efficacia del decreto di irreperibilità emesso nel corso delle indagini, coincide non già con la notificazione del decreto di citazione a giudizio, ma con la emissione di quest'ultimo da parte del pubblico ministero. Nella specie l’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. risultava essere stato regolarmente notificato all’imputato mediante consegna della copia al difensore ex art. 159 cod. proc. pen. in data 10.5.2019 e allorquando costui il 31.10.2019 si è presentato presso la Stazione del Carabinieri di Gualdo Tadino ai fini della sua identificazione e dell’elezione domicilio – data in cui gli viene personalmente notificato anche l’avviso ex art. 415 bis – non solo era già stato già emesso dal PM procedente il decreto di citazione a giudizio, ma lo stesso gli era stato già notificato. Conseguentemente la richiesta di interrogatorio da costui rivolta al PM deve ritenersi tardiva, non potendo discendere la sua legittimità da una successiva notifica, seppur ultronea, dell’avviso di chiusura delle indagini, laddove il suddetto atto era stato già stato ritualmente notificato al suo difensore stante l’efficacia, ancora in tale fase, del decreto di irreperibilità emesso nel corso delle indagini preliminari dal P.M.
3. La premessa da cui muovono le contestazioni svolte con il terzo motivo dal ricorrente, ovverosia di essere stato condannato per aver superato, in conseguenza della sua iscrizione all’Albo dei gestori ambientali emersa nel corso dell’espletata istruttoria, il limite quantitativo dei 30 kg giornalieri prescritto per la categoria b2), limite peraltro valevole per i soli rifiuti pericolosi neppure contestatigli, non corrisponde affatto a quanto statuito dalla sentenza impugnata. La condanna pronunciata dal Tribunale perugino si fonda, al contrario, sull’inoperatività della suddetta iscrizione rispetto alla condotta di cui all’imputazione, costituita dal trasporto e dalla raccolta di rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione ai sensi dell’art. 256 primo comma d. lgs. 152/2006, essendosi escluso che il materiale conferito alla ditta di recupero provenisse dall’attività svolta dal prevenuto, titolare di una impresa individuale esercente commercio all’ingrosso di beni di valore esiguo e piccoli lavori di completamento e finitura di edifici, in ragione non solo del considerevole dato ponderale del materiale di scarto, ma soprattutto della mancata dimostrazione che si trattasse, nulla emergendo dai formulari, né aliunde, di rifiuti autoprodotti. Conseguentemente nessuna difformità è riscontrabile tra la condotta di cui all’imputazione e quella ritenuta in sentenza.
4. Né maggior fondamento può essere riconosciuto al quarto motivo.
Deve essere al riguardo rilevato che la titolarità della licenza come ambulante non vale a scriminare l’imputato atteso che, come ripetutamente affermato da questa Corte, non basta ai fini dell’operatività della deroga di cui all’art. 266, quinto comma d. lgs. 152/2006 che l'agente sia in possesso del titolo abilitativo previsto per il commercio ambulante dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, occorrendo  anche che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio e che non siano riconducibili, per le loro peculiarità, a categorie autonomamente disciplinate (Sez. 3, Sentenza n. 34917 del 09/07/2015 - dep. 17/08/2015, Pmt in proc. Caccamo, Rv. 264822; Sez. 3, Sentenza n. 19209 del 16/03/2017 - dep. 21/04/2017, Tutone, Rv. 270226). E’ sufficiente sul punto richiamare l’accertamento compiuto dal Tribunale di merito, sopra menzionato, in forza del quale è stato escluso che i rifiuti in contestazione provenissero dalla sua attività. Accertamento questo che del resto non viene specificamente confutato dalla difesa.
5. Neanche il quinto motivo può ritenersi meritevole di accoglimento, dovendosi richiamare il principio già affermato da questa Corte e condiviso da questo Collegio, secondo il quale in tema di reati ambientali, l'omessa indicazione all'indagato, da parte dell'organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l'estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell'azione penale (Sez. 3, Sentenza n. 49718 del 25/09/2019 - dep. 06/12/2019, Fulle, Rv. 277468; Sez. 3, n. 38787 del 8/2/2018, De Tursi, non massimata).
Muovendo dalla sostanziale analogia della suddetta procedura estintiva con le disposizioni che regolano la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (d.lgs. 19 dicembre 1994, n.758), deve rilevarsi, così come è stato affermato per queste ultime, che la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale nei casi in cui, legittimamente, l'organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l'imputato può comunque richiedere di essere ammesso all'oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata (Sez. 3, n. 7678 del 13/1/2017, Bonanno, Rv. 269140). E ciò tanto più in quanto, a differenza della disciplina antinfortunistica, il sistema normativo in esame prevede, allo specifico fine di limitare l’ambito di operatività della procedura estintiva alle ipotesi di minore gravità, un ulteriore condizione, disponendo l’art. 318 bis d. lgs. 152/2006 che la stessa possa trovare applicazione esclusivamente nelle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal d.lgs. 152\06 che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette: indicazione normativa questa che depone inequivocabilmente, rimettendone l’applicazione alla discrezionalità degli organi di vigilanza ovvero alla polizia giudiziaria, nel senso della facoltatività della procedura estintiva.
Conseguentemente l’imputato, che aveva piena facoltà di richiedere l’ammissione all’oblazione in misura ridotta in caso di autonoma e spontanea regolarizzazione, che non risulta invece aver mai avuto luogo, non può dolersi della mancata adozione della procedura attesa la inesistenza di un obbligo specifico in capo agli accertatori di provvedervi, né, tanto meno, di informare i soggetti controllati della possibilità di farvi ricorso.
6. Inammissibili sono, infine le doglianze articolate con il sesto motivo in ordine al diniego dell’art. 131 bis cod. pen., in assenza del necessario confronto argomentativo con i rilievi spesi al riguardo dalla sentenza impugnata.
Va a tale riguardo precisato che la causa di non punibilità  non può essere applicata, ai sensi del terzo comma dell'art.131-bis, in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di "comportamento abituale", ostativa al riconoscimento del beneficio essendo la reiterazione di condotte penalmente rilevanti il segno di una devianza non occasionale, avuto riguardo alla continuazione diacronica tra i singoli reati, posti in essere in momenti distinti, ma frutto di un'unica e circoscritta volizione  delittuosa (Sez. 3, n. 19159 del 29/03/2018 - dep. 04/05/2018, Fusaro, Rv. 273198 in una fattispecie in tema di abuso edilizio, in cui la S.C. ha escluso l'occasionalità dell'azione illecita sulla base della continuazione diacronica tra i singoli reati, posti in essere in momenti distinti, e della pluralità delle disposizioni di legge violate; Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016 - dep. 02/01/2017, Cattaneo, Rv. 268970; Sez. 2, n. 28341 del 05/04/2017 - dep. 07/06/2017, Modou, Rv. 271001).
Ed invero proprio una lettura non superficiale del disposto dell'art. 131 bis, co. 3 c.p. non consente di applicare al caso in esame la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto: la previsione all’interno del comportamento abituale della condotta di chi abbia commesso più reati della stessa indole, anche nell'ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, comprende non solo il caso in cui l'autore del reato sia gravato da precedenti penali specifici, posto che altrimenti il legislatore si sarebbe espresso in termini di recidiva specifica, ma altresì le condotte in rapporto di continuazione diacronica prese in considerazione nell'ambito del medesimo procedimento.
Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 4.2.2022