TAR Toscana (FI), Sez. I, sent. n. 1044 del 02.07.2007.
Acque. Acque meteoriche di dilavamento ed obbligo di autorizzazione.

La particolare tipologia delle lavorazioni che si effettuano sui piazzali di cava e la conseguente formazione di fanghi, che sono da considerati rifiuti e come tali sono trattati, comporta che le acque meteoriche perdano la loro natura e si trasformino in acque reflue industriali, in quanto venute a contatto con residui dell’attività di cava e con fanghi depositati nelle vasche di decantazione, ancorchè sia esclusa un’addizione di acque meteoriche ad acque derivanti dal ciclo produttivo. Rimangono sottratte a vincoli o prescrizioni di cui all’art. 113 del D.Lgs 152/2006 – identicamente all’art. 39 del precedente d.Lgs 152/1999 – solo le acque meteoriche di dilavamento che tali rimangono prima della loro immissione nell’ambiente, e cioè quelle che non vengono in contatto con sostanze o materiali connessi con le lavorazioni industriali. Conseguentemente, le acque che dilavano piazzali di cava, arrichitisi di solidi sospesi ed idrocarburi) perdono la loro natura di “acque meteoriche” ed assumono quella di acque reflue industriali o, quanto meno, quella di “acque dilavanti contaminate”. La necessità di sottoporre ad autorizzazione lo scarico delle acque meteoriche di dilavamento non deriva dalla loro potenzialità inquinante, bensì dalla natura di acque contaminate per l’accertata mescolanza con materiali e le sostanze derivanti dal ciclo industriale. (a cura di Alan VALENTINO, Udine).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER LA TOSCANA
- I^ SEZIONE -
nelle persone dei sigg.ri:

Dott. Gaetano CICCIO’                                              - Presidente

Dott. Saverio ROMANO                                            - Consigliere, rel.

Dott. Bernardo MASSARI                                         - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A

sul ricorso n. 2265/2005 proposto da  BERTI SISTO & C. LAVORI STRADALI s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’ avv. Fausto Falorni ed elettivamente domiciliato in Firenze, via dell’Oriuolo n. 20;

c o n t r o

COMUNE DI BARBERINO DI MUGELLO, in persona del sindaco pro-tempore. costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Giulio Padoa ed elettivamente domiciliato in Firenze, via de’ Rondinelli n. 2;

e nei confronti di

ARPAT – AZIENDA REGIONALE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE DELLA TOSCANA, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Michela Simongini ed elettivamente domiciliato presso l’ufficio legale Arpat, in Firenze, via Porpora n. 22;

PROVINCIA DI FIRENZE, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesca De Sanctis, Lina Cardona ed Elena Possenti ed elettivamente domiciliata presso i propri uffici in Firenze, via de’ Ginori n. 10;

nonché nei confronti di

AZIENDA SANITARIA DI FIRENZE, non costituitasi in giudizio;

REGIONE TOSCANA, non costituitasi in giudizio;

AUTORITA’ DI BACINO DEL FIUME ARNO, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa ex lege dall’avvocatura distrettuale dello Stato con domicilio in Firenze, via degli Arazzieri n. 4;

COMUNITA’ MONTANA MUGELLO, non costituitasi in giudizio;
per l’annullamento

dell’autorizzazione cave n. 6 del 17.10.2005, rilasciata dal comune di Barberino di Mugello per l’esercizio di attività estrattiva in loc. Le Colombaie – Pallereto, limitatamente alla condizione n. 3, cui è subordinata l’autorizzazione;

nonché del parere dell’Arpat n. 4580 del 30.8.2005, richiamato dall’autorizzazione;

nonché della nota della provincia di Firenze del 16.5.2003 n. 43321, richiamata dal parere dell’Arpat;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del comune di Barberino di Mugello, dell’Arpat, della provincia di Firenze, nonché dell’Autorità di Bacino del fiume Arno;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti i motivi aggiunti depositati il 9 novembre 2006, per l’annullamento, ad integrazione degli atti già impugnati, della determinazione del comune n. 472/06 del 9.10.2006;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore, alla pubblica udienza del 23 maggio 2007  , il Consigliere dott. Saverio Romano  ;

Udit  i, altresì, per le parti l’avv. C.Narese delegato da F.Falorni, l’avv. G.Padoa, l’avv. F.De Santis e l’avv. M.Simongini; 

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

F A T T O

Dopo aver presentato richiesta di autorizzazione per la coltivazione di una cava, posta in località Pallereto del comune di Barberino di Mugello, la società Berti Sisto & C. ha impugnato il provvedimento rilasciato dal comune (autorizzazione del 17.10.2005), nella parte in cui (cfr. prescrizione n. 3) subordina l’autorizzazione al rispetto di tutte le condizioni riportate nel parere dell’Arpat (azienda regionale per la protezione ambientale della Toscana) del 30.8.2005.

Ha impugnato altresì il predetto parere, nonché la nota della provincia di Firenze del 16.5.2003, ivi richiamata. 

In sintesi, la contestazione della società ricorrente ha ad oggetto l’obbligo, imposto con la prescrizione citata, di chiedere l’autorizzazione per lo scarico di acque meteoriche provenienti dai piazzali di cava.

Con motivi aggiunti notificati il 26 – 27 ottobre 2006, la società ha infine impugnato la nota del 9.10.2006, emessa dal comune, che invitava a provvedere all’adempimento dell’obbligo previsto.

Avverso gli atti impugnati, sono stati dedotti i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 2 del d. lgs. n. 152/99, sul presupposto che la nozione di “scarico” (immissione di acque tramite una condotta) non comprenda le acque meteoriche (che non sono coinvolte né sono mescolate con acque reflue), ove nell’attività produttiva non si faccia uso di inquinanti;

2) violazione dell’art. 39 del d. lgs. n. 152/99, posto che, in mancanza di interventi da parte della regione Toscana, le acque meteoriche devono ritenersi escluse dai vincoli e dalle prescrizioni previsti dal decreto;

3) eccesso di potere per travisamento, trattandosi di un caso diverso da quello esaminato dalla sentenza del tribunale di Terni, relativo ad attività di lavaggio di automezzi di una ditta di trasporto, svolta sul piazzale dell’impianto, con conseguente mescolanza di acque piovane ed industriali; in ogni caso, nella fattispecie, non sarebbe stato effettuato alcun accertamento al riguardo;

4) eccesso di potere per carenza di istruttoria da parte dell’Arpat, non essendo stato valutato il carico inquinante, con acritica accettazione del parere espresso dalla provincia;

5) violazione dell’art. 14 quater della legge n. 241/90, non avendo la provincia partecipato alla conferenza di servizi, ove avrebbe potuto manifestare il proprio dissenso.

Con i motivi aggiunti, proposti avverso la nota emessa dal comune, la società ha dedotto il vizio di illegittimità derivata da quella degli atti impugnati con il ricorso introduttivo.

Costituitesi in giudizio, sia la provincia di Firenze che l’Arpat hanno eccepito la propria carenza di legittimazione passiva, chiedendo di essere estromesse dal giudizio, sul presupposto di avere emesso solo un atto interno al procedimento; nel merito, hanno sostenuto l’infondatezza del ricorso, chiedendone la reiezione.

Costituito in giudizio, il comune di Barberino di Mugello, con distinta memoria, ha chiesto la reiezione del ricorso siccome infondato.

Costituita in giudizio, l’Autorità di Bacino del fiume Arno ha chiesto la reiezione del ricorso.

Non si sono costitute in giudizio le altre amministrazioni intimate.

All’udienza sopra indicata, la causa è passata in decisione.

D I R I T T O

1 – Va, preliminarmente, esaminata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, sollevata dalla provincia di Firenze e dall’Arpat, sul presupposto che gli atti di rispettiva emanazione non hanno natura provvedimentale.

In particolare, la nota emessa dalla provincia il 16.5.2003 contiene un parere reso al Corpo forestale dello Stato, fuori dall’ambito del procedimento oggetto del caso in esame, quale scambio di opinioni fra enti sull’interpretazione dell’art. 39 del d. lgs. n. 152/99.

Il parere espresso dall’Arpat del 30.8.2005, anche se reso all’interno del procedimento, che richiama facendolo proprio il parere della provincia, resta un atto endoprocedimentale reso da un organo di consulenza tecnica, privo di contenuto provvedimentale autonomo.

Pertanto, né la provincia di Firenze né l’Arpat appaiono fornite di legittimazione passiva rispetto all’impugnativa dell’autorizzazione, limitatamente alla condizione ivi prevista, rilasciata dal comune.

Va, conseguentemente, dichiarata l’estromissione delle due amministrazioni dal presente giudizio.

2 – Avverso il provvedimento di autorizzazione ad esercitare attività estrattiva, impugnato nella parte in cui esso prescrive di richiedere l’autorizzazione per lo scarico delle acque meteoriche provenienti dai piazzali di cava, la ricorrente deduce, con il primo motivo, la violazione dell’art. 2 del d. lgs. n. 152/99; infatti, secondo la tesi prospettata, la nozione di “scarico” (definito come immissione di acque tramite una condotta) non comprende le acque meteoriche, sia perché esse (in quanto tali) non provengono da attività produttiva sia perché non vengono coinvolte in nessuna attività dell’uomo né sono mescolate con le acque reflue dei processi produttivi. Nella parte in cui pretende di disporre che esse vengano assoggettate a controllo amministrativo, come acque di scarico, il provvedimento viola la norma richiamata, anche alla luce del fatto che nell’attività produttiva di frantumazione degli inerti, svolta dalla ricorrente, non vi è immissione di sostanze inquinanti.

Con il secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 39 del d. lgs. n. 152/99, posto che, in mancanza di interventi da parte della regione Toscana, le acque meteoriche devono ritenersi escluse dai vincoli e dalle prescrizioni previsti dal decreto.

I motivi in esame possono essere trattati congiuntamente.

L’art. 2 del d. lgs. 11 maggio 1999 n. 152 (successivamente abrogato dall’art. 175 del d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152) non reca una definizione in positivo delle acque meteoriche, ma distingue le “acque meteoriche di dilavamento” dalle acque reflue industriali (lett. h) e dalle acque reflue urbane (lett. i); inoltre, definisce “acque di scarico” tutte le acque reflue provenienti da uno scarico (lett. cc).

L’art. 39 del decreto prevede: che le regioni disciplinano i casi in cui può essere chiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate mediante condotte separate,  siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione (comma 1 lett. b); che le medesime acque, fuori del caso indicato, non sono soggette a vincoli o prescrizioni (comma 2); che le regioni disciplinano i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate per particolari ipotesi nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici (comma 3).

Nella fattispecie, l’attività produttiva (coltivazione di una cava) esercitata dalla ricorrente comprende quella di frantumazione degli inerti effettuata sui piazzali di cava, con conseguente deposito di frammenti di rocce frantumate (c.d. polveri), anche a causa del passaggio dei pesanti mezzi utilizzati.

Come emerge dalla nota del chimico responsabile del servizio (cfr. doc. 6 depositato dall’Arpat), le acque meteoriche, nel loro percorso, si arricchiscono di solidi sospesi totali e potrebbero contenere anche idrocarburi.

Tali acque, secondo il progetto di coltivazione presentato dalla ricorrente, vanno a confluire in una serie di vasche di sedimentazione: la parte solida sedimentata (fanghi) è gestita come rifiuto, mentre le acque che ne fuoriescono confluiscono nei fiumi Stura e Casaglia, interferendo con le caratteristiche dei corpi recettori.

Nella fattispecie, il corpo recettore finale è costituito dal lago di Bilancino “che per la sua natura di invaso deve essere salvaguardato dall’immissione di solidi sospesi totali al fine di ritardare l’accumulo di fanghi”.

Nel contesto sopra descritto, si pone la questione, oggetto delle censure in esame, se le acque meteoriche di dilavamento dei piazzali di cava mantengano la loro caratteristica, che le escluderebbe dal regime di controllo amministrativo previsto dalla legge, ovvero assumano la diversa connotazione di acque reflue industriali, connesse al processo produttivo di cui trattasi.

Secondo la tesi prospettata dall’Arpat (che ha fatto proprio il parere espresso dalla Provincia) le acque dilavanti i piazzali di cava cessano la loro natura di acque meteoriche ed assumono quella di acque reflue contaminate.

La trasformazione delle acque, nel caso di specie, sarebbe confermata dalla circostanza (evidenziata dall’organo tecnico e confermata dalla stessa società ricorrente) che esse fuoriescono dalle vasche di decantazione, nelle quali sono depositati i fanghi che sono considerati rifiuti e come tali trattati dalla ricorrente; esse, pertanto, dovrebbero essere definite come acque reflue industriali.

Posto che tutti gli scarichi devono essere previamente autorizzati, a partire dagli scarichi di acque reflue industriali (artt. 45 e 46 d. lgs. n. 152/99), lo scarico delle acque di cui trattasi è soggetto ad autorizzazione, al fine di verificare il rispetto dei parametri  della relativa tabella e, in caso di superamento, al fine di adottare i conseguenti provvedimenti sanzionatori (cfr. oggi l’art. 101, comma 1, del d. lgs. n. 152/06).

La tabella n. 3, che interessa nel caso in esame (cfr. allegato V del d. lgs. n. 152/99), prevede determinati limiti che non devono essere superati, sia per i solidi sospesi totali, sia per gli idrocarburi.

Obietta la ricorrente che la tabella citata riguarda solo i reflui industriali e che le acque meteoriche, in quanto tali, non sono soggette al rispetto dei parametri ivi indicati.

Osserva il Collegio che la particolare tipologia delle lavorazioni che si effettuano sui piazzali di cava e la conseguente formazioni di fanghi, che sono considerati rifiuti e come tali sono trattati, comportano che le acque meteoriche perdano la loro natura e si trasformino in acque reflue industriali.

Secondo la giurisprudenza (citata dalla difesa della provincia) rientrano nel concetto di scarico di acque reflue industriali i liquidi provenienti dall'insediamento produttivo nella sua totalità e cioè dall'inscindibile composizione dei suoi elementi confluenti nel corpo recettore, a nulla rilevando che parte di essi sia composto da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come ad esempio quelli delle acque meteoriche (Tribunale Milano, 14.4.2003).

Secondo tale giurisprudenza, le acque meteoriche e di dilavamento non sono in sé stesse considerate "scarico" nel concetto previsto e delineato formalmente dall'art. 1 lett. bb) d.l. n. 152 del 1999. Pur tuttavia se un'acqua meteorica va a "lavare", anche se in modo non preordinato e sistematico (quindi discontinuo), un'area soggetta ad attività produttive anche passive, e trasporta con sé elementi residuali di tale attività, cessa la natura pura e semplice di acqua meteorica e l'acqua divenuta in qualche modo uno scarico vero e proprio e quindi va assoggettato naturalmente alla disciplina degli "scarichi" e quindi soggetta ad autorizzazione (Tribunale Terni, 23.11.1999).

Altra giurisprudenza (richiamata dalla ricorrente) ha stabilito che, se non vi sono dubbi nel ritenere integrato il reato qualora i reflui piovani rappresentino solo una componente dello scarico, opposte conclusioni devono adottarsi nell’ipotesi in cui lo scarico sia costituito esclusivamente da acque meteoriche, poiché in questo caso viene a mancare qualsiasi collegamento, sotto forma di diretta derivazione, dal ciclo produttivo di un insediamento commerciale o industriale (Tribunale Grosseto, 27.4.2000).

Nella fattispecie, acquisito che non si fa menzione di acque derivanti dalla coltivazione della cava o dalle connesse attività di trattamento e lavorazione dei materiali estratti, non si pone un problema di mescolanza tra acque meteoriche ed acque derivanti dal ciclo produttivo.
Peraltro, è ragionevole ritenere che le acque di dilavamento venute in contatto con sostanze o materiali connessi con lavorazioni industriali, ivi compresi non solo gli olii e quanto proveniente dai mezzi meccanici utilizzati, ma anche le terre ed i fanghi prodotti dalle lavorazioni, perdano la loro natura di “acque scese dal cielo”.

La questione sottesa al caso in esame, pertanto, riguarda se vi sia l’obbligo di preventiva autorizzazione dello scarico di acque meteoriche contaminate, in quanto venute a contatto con i residui dell’attività di cava e con i fanghi depositati nelle apposite vasche di decantazione, ancorché sia esclusa un’addizione di acque meteoriche ad acque derivanti dal ciclo produttivo.

Anche oggi, dopo il nuovo testo unico ambientale (decreto legislativo n. 152/2006), l’art. 113 dispone (identicamente all’art. 39 del precedente d. lgs. n. 152/99) che, in via generale, le acque meteoriche di dilavamento non sono soggette a vincoli o prescrizioni. 

Peraltro, le regioni disciplinano i casi in cui può essere richiesto che: a) le immissioni delle acque di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione (co. 1, lett. b); b) le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate ed opportunamente trattate in impianti di depurazione, per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici (co. 3).

Resta, dunque, acquisito che rimangono sottratte a vincoli o prescrizioni solo le acque meteoriche di dilavamento che tali rimangono prima della loro immissione nell’ambiente, e cioè quelle non venute a contatto con sostanze o materiali connessi con le lavorazioni industriali.

Vero è che le eventuali deroghe al principio – nelle quali potrebbero rientrare i casi di acque meteoriche contaminate per la presenza di materiali derivanti dal ciclo industriale – sono disciplinate dalle regioni.

Con la seconda censura dedotta, si deduce infatti la violazione dell’art. 39 del d. lgs. n. 152/99, posto che, in mancanza di interventi da parte della regione Toscana, le acque meteoriche dovrebbero ritenersi escluse dai vincoli e dalle prescrizioni previsti dal decreto.

Osserva il Collegio che, con la deliberazione della G.R.  n. 138 dell’11.2.2002 (cfr. doc. 3 prodotto dall’Arpat), la regione Toscana ha stabilito che sono soggette a regime autorizzatorio “le eventuali immissioni nell’ambiente di acque derivanti da coltivazioni di cave e/o da connesse attività di trattamento e lavorazione dei materiali estratti che rientrino nella definizione di scarico individuata dal d. lgs. n. 152/99”. Lo scarico è costituito da “qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue…..” (ai sensi del citato decreto legislativo).

Prevede ancora, la stessa deliberazione, che l’eventuale utilizzo di acque nelle fasi di coltivazione con tecniche di taglio non costituisce “scarico”.

Sostiene la difesa della ricorrente che la deliberazione regionale non avrebbe inteso disciplinare le ipotesi di deroga al principio generale di non soggezione ad autorizzazione delle acque meteoriche di dilavamento.

Essa avrebbe invece sancito,  in conformità al principio generale, che le immissioni di acque derivanti dall’attività di coltivazione di cava o da quella connessa di lavorazione dei materiali estratti, anche se svolta  sui piazzali di cava, se rientranti nella definizione di scarico, sono soggette ad autorizzazione, come tutte le acque reflue industriali.

La tesi non può essere condivisa.

Il processo estrattivo è composto da una cava, in cui vengono estratti i materiali, da un impianto per la lavorazione, in cui si opera la frantumazione dei materiali estratti, e da un’area destinata allo stoccaggio provvisorio dei limi di lavorazione.

Il processo produttivo, pertanto, non utilizza acqua e non produce scarichi.

D’altra parte, le acque meteoriche, che ricadono all’interno dell’area interessata, a contatto con i prodotti di lavorazione e con il terreno denudato e movimentato, si arricchiscono di “solidi sospesi” (prodotti dalla pioggia che erode e trasporta i materiali inerti più fini) e di “idrocarburi” (dovuti alla presenza di macchine operatrici).

Pertanto, i piazzali di cava, sui quali si svolge l’attività industriale descritta, non possono essere considerati aree esterne agli stabilimenti o agli impianti di lavorazione, dovendo invece essere compresi nella nozione di “stabilimento industriale”, ai sensi dell’art. 2, comma1, lett. gg) d. lgs. n. 152/99, in base al quale tale va qualificato “qualsiasi stabilimento nel quale si svolgono attività commerciali o industriali….ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico”.

Conseguentemente, le acque che dilavano i piazzali di cava (arricchitesi di solidi sospesi e di idrocarburi) perdono la loro natura di “acque meteoriche” ed assumono quella di “acque reflue industriali” o, quanto meno, quella di “acque dilavanti contaminate”.

La delibera regionale, conclusivamente sul punto in esame, non può non ritenersi riferita (anche) alle acque meteoriche dilavanti i piazzali di cava.

La legge regionale 31 maggio 2006 n. 20, contenente disposizioni relative alle acque meteoriche e di lavaggio delle aree esterne di cui all’art. 113 del decreto legislativo n. 152/2006 (art. 1), conferma la tesi che le acque meteoriche contaminate, diversamente dalle acque meteoriche non contaminate, possono essere assoggettate a regime autorizzatorio in relazione al tipo di attività che si svolge sulle aree interessate.

In particolare, la legge regionale, dopo aver distinto le acque di lavaggio, non meteoriche, da assimilarsi alle acque reflue industriali (art. 2, comma 1, lett. b), definisce le acque meteoriche dilavanti (lett. d) e, tra queste, individua quelle contaminate (lett. e), e cioè “derivanti da attività che comportino oggettivo rischio di trascinamento, nelle acque meteoriche, di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali individuate dal regolamento di cui all’art. 13”.

Specularmente, le acque meteoriche dilavanti non contaminate sono individuate come quelle “derivanti da superfici impermeabili non adibite allo  svolgimento di attività produttive”, comprese i piazzali di sosta e di movimentazione di automezzi, anche di aree industriali “dove non vengono svolte attività che possono oggettivamente comportare il rischio di trascinamento di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali” (art. 2, comma 1, lett. f).

Anche per quanto riguarda le acque meteoriche di prima pioggia, definite come quelle corrispondenti, per ogni evento meteorico, ad una precipitazione di cinque millimetri che si verifichi in quindici minuti (art. 2, comma 1, lett. g), vale la distinzione già vista per le acque meteoriche dilavanti (contaminate o meno): esse non necessitano di

autorizzazione allo scarico in pubblica fognatura se rispettano determinate condizioni (art. 8, comma 1); occorre invece autorizzazione del comune (sentito il parere dell’Arpat) per lo scarico di acque di prima pioggia derivanti da insediamenti o da stabilimenti che svolgano le attività di cui all’art. 2, comma 1, lettera e), trattate secondo le indicazioni del regolamento di cui all’art. 13.

Perciò, la Giunta regionale, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della legge n. 20/2006, era chiamata a disciplinare con regolamento le acque meteoriche dilavanti e, a tale scopo, a predisporre “l’elenco delle attività di cui all’art. 2, comma 1, lettera e), che comportino oggettivo rischio di trascinamento, nelle acque meteoriche dilavanti, di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali” (art. 13).

Tornando all’esame della fattispecie, vero è che le acque meteoriche dilavanti, sul piano generale, restano cosa diversa dalla acque reflue industriali, soggette in via generale ad autorizzazione allo scarico con riferimento alla specifica tabella prevista, anche nei casi in cui le prime risultino contaminate.

Tale conclusione – nonché la stessa distinzione tra acque meteoriche contaminate e non contaminate introdotta dalla normativa regionale – trova conferma nella definizione di “acque reflue industriali”, contenuta nel d. lgs. n. 152/2006, che ha apportato una modifica all’analoga definizione di cui al precedente decreto (n. 152/99), laddove ha precisato che esse sono diverse dalle acque meteoriche di dilavamento, “intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento” (art. 74, lett. h, d. lgs. n. 152/06).

Ne consegue che le acque meteoriche venute a contatto con materiale inquinante connesso con il processo di lavorazione vanno qualificate acque reflue industriali.

Sulla base delle ragioni esposte, deve essere affermata l’assimilazione delle acque meteoriche provenienti dai piazzali di cava alle acque reflue industriali, sostenuta con il parere impugnato e presupposta dalla prescrizione contenuta nell’autorizzazione rilasciata; pertanto, la previa individuazione delle “attività che comportino oggettivo rischio di trascinamento, nelle acque meteoriche dilavanti, di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali”, non costituisce presupposto per qualificare come contaminate le acque meteoriche dilavanti i piazzali di cava, oggetto del presente giudizio.

Si palesano, dunque, infondate le censure proposte con i primi due motivi di ricorso.

3 – Con la seconda parte del terzo e con il quarto motivo, la ricorrente deduce che, nella fattispecie, non sarebbe stato effettuato alcun accertamento al riguardo e che, pertanto, il provvedimento sarebbe viziato per eccesso di potere, per carenza di istruttoria da parte dell’Arpat, non essendo stato valutato il carico inquinante, con acritica accettazione del parere espresso dalla provincia.

Le censure sono palesemente infondate.

Come emerge da quanto già esposto, la necessità di sottoporre ad autorizzazione lo scarico delle acque di cui trattasi non deriva dalla loro potenzialità inquinante, bensì dalla natura di acque contaminate per l’accertata mescolanza con i materiali e le sostanze derivanti dal ciclo industriale.

In quanto tali, esse sono soggette ad autorizzazione, e cioè a regime amministrativo di controllo, indipendentemente dal loro effettivo carico inquinante.

Come accertato dall’Arpat, a seguito di sopralluogo nell’area di cava effettuato il 25.10.2006, discrete concentrazioni di fango si trovano nell’area di Pallereto in prossimità dell’ingresso sulla viabilità di cantiere della cava; ivi non esiste un impianto di lavaggio delle ruote dei mezzi in uscita che non riescono a percorrere il tratto in salita antistante l’ingresso alla cava, nonostante il lavaggio effettuato con autocisterna. Inoltre, l’assenza di trattamento delle acque e quelle che originano dal lavaggio della strada hanno ripercussioni negative sulle acque dei torrenti Casaglia e Stura con l’immissione in essi di grosse quantità di solidi.

Peraltro, va anche precisato che l’area interessata non è costituita da superfici impermeabilizzanti, che verrebbero ripulite dal dilavamento, ma da un piazzale sterrato, ragione per la quale è già prevista una rete di drenaggio delle acque meteoriche e di dilavamento con controlli periodici che interessano anche le vasche di decantazione (cfr. nota Arpat del 14.7.2005).

In tale situazione, secondo la difesa della Provincia, il rilascio dell’autorizzazione avrebbe determinato solo un’attività di monitoraggio delle acque, ed eventualmente l’applicazione di filtri, ovvero l’allargamento delle vasche esistenti, attività che avrebbe comportato costi modestissimi in rapporto ai notevoli investimenti compiuti dalla società ricorrente.

In ogni caso, l’autorizzazione allo scarico imporrebbe solo di controllare le emissioni nei corpi recettori dei solidi sospesi totali e, comunque, l’adozione di cautele per salvaguardare l’integrità dei corpi idrici.

4 – Con l’ultimo motivo, si deduce la violazione dell’art. 14 quater della legge n. 241/90, non avendo la provincia partecipato alla conferenza di servizi, ove avrebbe potuto manifestare il proprio dissenso.

Il motivo è palesemente infondato.

In punto di fatto, la provincia ha eccepito di non essere stata convocata o di essere stata convocata tardivamente e comunque di non essere stata messa in grado di esaminare il progetto al fine di esprimere il proprio parere.

In ogni caso, l’Arpat, nella conferenza del 30.8.2005, ha fatto proprio il parere espresso dalla provincia al di fuori del procedimento in questione.

5 – Conclusivamente, previa estromissione dal giudizio della provincia di Firenze e dell’Arpat, il ricorso va respinto in quanto infondato.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari di giudizio, a favore di Arpat, provincia e comune, nella misura determinata in dispositivo; possono essere compensate le spese tra la medesima ricorrente e l’Autorità di Bacino.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione I^, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, così dispone: dichiara l’estromissione dal giudizio della provincia di Firenze e dell’Arpat; respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida, complessivamente, in Euro 5.000,00 (cinquemila/00), di cui Euro 2.000,00 ciascuno, a favore di Arpat e Provincia di Firenze, ed Euro 1.000,00 a favore del comune di Barberino di Mugello; compensa le spese tra la ricorrente e l’Autorità di Bacino del fiume Arno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso nella Camera di Consiglio del 23 maggio 2007

F.to Gaetano Cicciò - Presidente

F.to Saverio Romano - Consigliere, rel.est.

F.to Mario Uffreduzzi - Direttore della Segreteria

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL  3 LUGLIO 2007

Firenze, lì  3 LUGLIO 2007

                                              IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA

                                                                   F.to Mario Uffreduzzi