Acque di falda: rifiuti? Falso allarme.
Nota a Consiglio di Stato 6 dicembre 2013, n. 5857.

di Stefania GIAMPIETRO

Il Consiglio di Stato, nella recente sentenza del 6 dicembre 2013, ritiene che sia da disattendere <<… l'aprioristica omologazione, dedotta dalla società appellante, dei reflui derivanti da operazioni di bonifica alle acque reflue industriali, come definite chiaramente dall'articolo 74, comma 1 lett. h) del Dlgs citato (con ciò dovendosi discostare dalle conclusioni alle quali era pervenuto questo Consiglio di Stato nella sentenza di questa stessa sezione 8 settembre 2009, n. 5256)>> .

Esso sottolinea, infatti, che <<… Come già aveva chiarito la giurisprudenza, recepita poi con il Dlgs 4 del 2008, essenziale, a tal fine, è la continuità dell'immissione, mediante un sistema stabile di collettamento, dal luogo della produzione fino all'esito finale, condizioni che non si verificavano, all'epoca dei fatti, nella fattispecie in esame, in cui le acque di falda emunte dal sito contaminato non passavano direttamente dalla falda al corpo recettore, ma erano convogliate provvisoriamente in appositi contenitori per essere poi trasportate all'impianto di depurazione consortile >>.

A differenza di quanto riportato dai suoi primi commentatori, la pronuncia in esame – a mio avviso - conferma che le acque emunte dalle falde, negli interventi di bonifica (e messa in sicurezza) sono da assimilare alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico, nella ricorrenza delle condizioni stabilite dall’art. 243, novellato dalla legge 98/2013 (di conversione del c.d. “decreto del fare”) e, come tali, soggette al regime di cui alla parte terza del d.lgs. n. 152/06.

Il richiamo alla “essenziale condizione” della “.. continuità dell’immissione, mediante un sistema stabile di collettamento dal luogo della produzione fino all’esito finale”, sottolineato nella pronuncia in commento, si pone, infatti, in termini di assoluta continuità con quell’orientamento giurisprudenziale maggioritario e più rispondente al dettato dell’art. 243, tanto nella sua prima versione (2006) che in quelle successive del 2008 e del 2013, oggi vigente.

In questo senso, si ricorda la nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 12310/1995, Forina, fino giungere ai più recenti arresti della giurisprudenza penale e amministrativa, concordi nel considerare dette acque come rifiuto liquido solo in caso di interruzione del collegamento tra la fonte ed il corpo recettore e nell’individuare il discrimine tra rifiuto liquido e scarico di acque, nella presenza o meno di uno stabile collegamento con un corpo recettore (cfr. Cass. pen. n. 11419/2012; n. 12476/2012; n. 49454/2012; Tar Napoli, n. 1398/2012, Tar Catania, n. 2117/2012).

Appare, pertanto, del tutto condivisibile l’affermazione del Consiglio di Stato secondo cui “.. risulta smentita l’aprioristica omologazione … dei rifiuti derivanti dalle operazioni di bonifica alle acque reflue industriali.. ”, proprio perché, nel caso esaminato dal Collegio, esisteva una soluzione di continuità, ossia “… uno iato temporale e materiale tra la fase di emungimento e quella di trattamento, consistente nello stoccaggio delle acque, in attesa della destinazione finale..”.

Al contrario, non risulta convincente quella parte della motivazione secondo cui le acque emunte, in oggetto, dovrebbero essere considerate rifiuti liquidi per il solo fatto di essere contemplate nell’Allegato D, del D. lgs. n. 152/2006, con i codici CER 19.13.07* e 19.13.08, come "rifiuti liquidi acquosi e concentrati acquosi prodotti dalle operazioni di risanamento delle acque di falda".

E’ pacifico, ormai, per espressa indicazione del legislatore comunitario, che l’inclusione di un determinato materiale nell’Elenco dei Rifiuti non lo qualifica automaticamente come rifiuto, avendo detto Catalogo un “.. valore indicativo .. posto che la qualifica di rifiuto discende anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine disfarsi …” (v. CGCE, sez. II, 11.11.2004; C 457-02; 18.12.2007, C -194/05, C -195/05 e C-263/05).

In definitiva, sebbene la disciplina delle acque emunte negli interventi di bonifica e messa in sicurezza delle falde, fissata all’art. 243:

  • sia inserita all’interno della parte quarta del d.lgs. n. 152/06, dedicata ai rifiuti e

  • le acque derivanti dalle operazioni di bonifica vengono, altresì, contemplate nell’Elenco CER, allegato al decreto legislativo cit.,

tutto questo non è ancora sufficiente per qualificare “aprioristicamente” dette acque (come rifiuti liquidi o, alternativamente, come scarichi) senza prima verificare che ricorra o meno la condizione necessaria per la loro assimilabilità alle acque reflue industriali .

La tesi sostenuta dal Consiglio di Stato - di una generale riconducibilità delle acque emunte, di cui all’art. 243, alla disciplina dei rifiuti - sconta sicuramente il fatto di essersi pronunciata prima dell’entrata in vigore della modifica operata dal “decreto del fare” e, pertanto, non è sostenibile oggi, in vigenza della novella dell’art. 243, che ha chiarito, in modo univoco, la disciplina ad esse applicabile.

In tal senso, la recente riformulazione della norma non fa che confermare quanto sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria anche in relazione alla precedente versione (del d.lgs. n. 4/08) in merito alla ratio legis che è quella di fissare una disciplina speciale per la gestione della acque di falda emunte (v. TAR Napoli 1398/2012).

In conclusione: perché le acque emunte siano soggette al regime di cui alla parte terza occorre che vengano convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega, senza soluzione di continuità, il punto di prelievo di tali acque con il punto di immissione delle stesse, ai sensi dell’art. 243, comma 4.

Collegamento diretto che, nel caso esaminato in decisione, non esisteva.

Stefania Giampietro