Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1746, del 7 aprile 2015
Urbanistica.La misurazione dell’altezza è riferita al piano stradale, con marciapiede se esistente, ma anche dalla “sistemazione esterna.”
Secondo l’art.9 , punto 17, comma 3, delle NTA del PRG la definizione dell’altezza è riferita alla sua misurazione non esclusivamente dal piano stradale, comprensivo del marciapiede se esistente, ma anche dalla “sistemazione esterna.” Ad avviso della Sezione dalla norma in esame si ricava che il criterio della misurazione dell’altezza dal piano stradale è il criterio tendenzialmente preminente, mentre il criterio della misurazione dalla sistemazione esterna appare utilizzabile in alternativa, quando cioè il primo non è utilizzabile per ragioni varie, riconducibili, esemplificando, o alla probabilità di dar luogo a contestazioni ovvero per essere penalizzante a causa di un profilo altimetrico della strada significativamente irregolare. Quel che appare comunque certo è che essendo i criteri predetti tra loro alternativi, se ne deve ricavare anche che dalla loro distinta applicazione debbono necessariamente discenderne conseguenze analoghe ai fini dell’individuazione della quota dalla quale deve essere misurata l’altezza dell’edificio, altrimenti verrebbe seriamente messa a rischio l’oggettiva finalità della disposizione in commento, perseguita attraverso l’introduzione di un criterio uniforme nel calcolo dell’altezza di tutti gli edifici, ed identificabile con l’ordinato svolgimento dell’attività edilizia. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01746/2015REG.PROV.COLL.
N. 04461/2008 REG.RIC.
N. 07091/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4461 del 2008, proposto da:
Bruno Rocco, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Di Lieto, con domicilio eletto presso Santina Murano in Roma, via del Pelagio I, n.10;
nei confronti di
Pico Rosamaria, nonché Vassallo Elio, quest’ultimo nella qualità di legale rappresentante della Mova Costruzioni di Vassallo Elio & C S.a.s; entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Vetrano, con domicilio eletto presso Raffaele Titomanlio in Roma, via Terenzio, n.7;
sul ricorso numero di registro generale 7091 del 2014, proposto da:
Rocco Bruno, rappresentato e difeso dagli avv. Bruno Rocco, Andrea Di Lieto, con domicilio eletto presso Santina Murano in Roma, Via Pelagio I, n.10;
contro
Comune di Montella, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Di Lorenzo, con domicilio eletto presso Giancarlo Viglione in Roma, Lungotevere dei Mellini, 17;
nei confronti di
Rosamaria Pico nonché di Vassallo Elio, quest’ultimo nella qualità di legale rappresentante della Mo.Va.Costruzioni & C S.a.s, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avv. Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
per la riforma
quanto al ricorso n. 4461 del 2008:
della sentenza del T.a.r. Campania - Sez. Staccata di Salerno: Sezione II n. 00860/2007, resa tra le parti, concernente concessione edilizia
quanto al ricorso n. 7091 del 2014:
della sentenza del T.a.r. Campania - Sez. Staccata di Salerno: Sezione II n. 01017/2014, resa tra le parti, concernente permesso di costruire in sanatoria.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Societa' Mova Costruzioni di Vassallo Elio e C. Sas e di Comune di Montella e di Rosamaria Pico e di Mo.Va.Costruzioni Snc;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2015 il Cons. Sandro Aureli e uditi per le parti gli avvocati Di Lieto e Sara Di Cunzolo (su delega di Vetrano) Di Lieto, Ludovico Visone (su delega di Di Lorenzo) e Lentini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Le controversie che la Sezione viene chiamata a decidere hanno inizio con il ricorso n. 3315/2003, con il quale il sig. Bruno Rocco, proprietario in Comune di Montella di un terreno sul quale ha costruito la propria casa unifamiliare, ha impugnato la concessione edilizia n.766 del 27 giugno 203 con la quale lo stesso Comune ha consentito ai controinteressati Pico Rosamaria e Vassallo Elio (quale legale rappresentante pro tempore della MO.VA Costruzioni s.n.c.) di costruire due fabbricati per civili abitazioni su terreno adiacente.
Con tale primo ricorso prospettava il sig. Bruno la violazione della legislazione urbanistica statale e di quella locale, con particolare riferimento alle norme in materia di distanza dalle strade e dai fabbricati e di rapporto altezza/distanza, in quest’ultimo caso segnatamente alla previsione di cui all’art.9 punto 17 comma 3°, delle nn.tt.aa. del P.R.G.
Deduceva inoltre eccesso di potere e sviamento sotto plurimi e concorrenti profili.
Con la sentenza n. 360/07 dell’11.5.06-19.7.07, respinta l’eccezione di tardività del ricorso e ritenuta l’inammissibilità della prima censura dedotta, il primo giudice ha annullato l’impugnata concessione edilizia rilasciata ai controinteressati per la dedotta violazione dell’art. 73 del regolamento edilizio, riguardante la pendenza della falda di copertura dei sottotetti.
Il sig. Bruno con il primo dei due ricorsi in epigrafe (r.g. n. 4461/2008) ha proposto appello avverso tale pronuncia ed al tempo stesso gli intimati, dopo aver presentato una prima istanza, disattesa dall’Amministrazione comunale per difformità esecutive, disponendo di conseguenza la demolizione del manufatto da essi realizzato con la menzionata concessione edilizia, hanno ottenuto il permesso di costruire in sanatoria n. 17717 del 25.10.2010 riguardante le opere già realizzate e l’assenso per gli ulteriori lavori di costruzione previsti in progetto.
Per effetto dell’ordinanza n.7 del 2011 hanno ottenuto anche l’annullamento del predetto ordine di demolizione.
Per l’annullamento di detto titolo in sanatoria, nonché degli atti ad esso connessi e collegati , il sig. Bruno ha prodotto il ricorso di primo grado n.606 del 2011, deducendo le seguenti censure;
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 bis della L. 241/90. Eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza istruttoria, in quanto negli atti impugnati non si tiene affatto conto dei rilievi rivolti avverso di essi;
2) violazione dell’art. 36 del d.P.R. 380/01. Eccesso di potere per difetto di motivazione e dei presupposti, in quanto la domanda di sanatoria sarebbe tardiva rispetto al termine perentorio di 90 giorni.e non sarebbe accoglibile per difetto della necessaria conformità con la disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 71 del Regolamento edilizio e dell’art. 35 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G.. Eccesso di potere per carenza istruttoria. Erroneità e difetto di motivazione e travisamento dei fatti, in quanto l’intervento assentito sarebbe in contrasto con le citate previsioni del regolamento edilizio, essendo il piano interrato non rialzato di almeno 50 cm. dal livello delle aree circostanti; inoltre la costruzione sanata non sarebbe rispettosa dell’indice di fabbricabilità fondiaria (IFF);
4) violazione dell’art. 35 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. e dell’art. 97 del regolamento edilizio. Eccesso di potere per carenza istruttoria, erroneità e difetto di motivazione e travisamento dei fatti, atteso che il progetto assentito sarebbe in contrasto con il criterio di allineamento dei fabbricati esistenti lungo via Colombo;
5) violazione degli artt. 8, 9 e 35 delle N.T.A. del P.R.G. e dell’art. 14 del regolamento edilizio. Eccesso di potere per carenza istruttoria, erroneità e difetto di motivazione e travisamento dei fatti, atteso che il progetto assentito sarebbe in contrasto con le citate previsioni per quanto attiene all’altezza dei fabbricati;
6) violazione dell’art. 83 del regolamento edilizio, nella parte in cui prevede che la pendenza non deve superare il limite del 7%;
7) violazione della normativa sulla distanza dagli edifici. Eccesso di potere per carenza istruttoria, erroneità e difetto di motivazione e travisamento dei fatti, in quanto le distanze non sarebbero rispettate sia tra l’autorimessa-scala con il confine esistente al lato destro nonché tra il tratto fuori terra della scala dal confine siccome inferiore a metri 4;
8) eccesso di potere per illogicità, erroneità di motivazione e dei presupposti. Illegittimità derivata.
Nel giudizio promosso con il ricorso di primo grado n.606/2011, si sono costituiti per resistere sia il Comune di Montella che la società controinteressata MO.VA Costruzioni.
La difesa comunale ha eccepito in particolare, la tardività dell’impugnazione ed invocato il rigetto del ricorso per essere le censure con esso sollevate destituite di fondamento.
A sua volta, la società controinteressata ha eccepito l’ inammissibilità del gravame per difetto di interesse alla decisione, deducendo anch’essa inoltre l’assenza di fondamento rispetto a tutte le violazioni denunciate.
Tutte le parti costituite hanno allegato relazioni e perizie tecniche sui fatti di causa.
Con ordinanza n.253 del 15.11.2012, il primo giudice , ai sensi dell'art. 67 cod. proc. amm., ha disposto c.t.u per stabilire se il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Montella con provvedimento n. 17717 – pratica n. 113/09, del 25.10.2010 a favore di Pico Rosamaria e Vassallo Elio, sia o meno in contrasto con la disciplina urbanistica e/o edilizia localmente vigente, secondo quanto stabilito dall’art. 36 d.p.r. n. 380/2001, in ordine ai punti rassegnati in ricorso sub 2) – 7).
Il primo giudice, ritenendo infondato il ricorso alla luce degli esiti della disposta C.T.U., ha dichiarato l’assorbimento delle eccezioni di tardività e d’inammissibilità sollevate dalle controparti, ed ha respinto il gravame con la sentenza in epigrafe n.1017/2014.
Di quest’ultima sentenza il sig. Bruno chiede l’annullamento riproponendo seppure in chiave di critica alla sentenza impugnata, tutti i motivi del ricorso di primo grado, chiedendone l’accoglimento anche alla luce di tutti gli scritti difensivi e degli atti già depositati nel giudizio di primo grado.
Le parti intimate si sono costituite per resistere chiedendo il rigetto dell’appello, riproponendo il Comune l’ eccezione di tardività del ricorso di primo grado dichiarata assorbita dalla sentenza impugnata (insieme a quella d’inammissibilità per carenza d’interesse sollevata dalla società appellata).
Insistono quindi le parti intimate per il rigetto del gravame alla luce della motivazione e dell’esito del giudizio di primo grado di cui chiedono la conferma.
I due ricorsi (n.4461/2008; n.7091/2014) sono stati chiamati alla stessa udienza di discussione del 24 febbraio 2014, e su richiesta delle parti sono stati introitati dal Collegio che si è riservato di decidere.
I due ricorsi in epigrafe vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza essendo connessi sia soggettivamente che oggettivamente.
Ritiene anzitutto la Sezione che il ricorso n.4461 del 2008 debba essere dichiarato improcedibile per carenza sopravvenuta d’interesse, contenendo, tramite richiesta di riforma della sentenza di accoglimento soltanto parziale del ricorso di primo grado, contestazione alla concessione edilizia n.766 del 27 giugno 2003, rilasciata dal Comune di Montella alla società intimata.
Ed invero tale titolo edilizio è stato sostituito dal permesso di costruire in sanatoria n.17717ST del 25 ottobre 2010, rilasciato alla medesima società qui intimata, con la conseguenza che dall’eventuale annullamento del titolo sostituito alcun vantaggio potrebbe ricavare parte appellante, avendo oltretutto essa impugnato anche tale secondo titolo rilasciato in sanatoria.
Va ora premesso che tra le eccezioni proposte in primo grado dalle parti ivi intimate e dichiarate assorbite dal primo giudice, solo quella di tardività del ricorso è stata qui riproposta dal Comune, mentre quella relativa alla carenza d’interesse sollevata dalla società controinteressata MO.VA Costruzioni non è stata da quest’ultima reintrodotta in questa sede.
Deve quindi procedere il Collegio all’esame della prima eccezione e non anche della seconda.
La dedotta tardività del ricorso principale di primo grado ad avviso del Comune appellato sussiste e va dichiarata.
Assume in particolare parte deducente la palese tardività della notifica del ricorso di primo grado, essendo avvenuta, con violazione del termine decadenziale di rito, soltanto in data 16/3/2011 laddove il permesso di costruire è stato rilasciato in data 25/10/2010.
Tanto per la ragione che il ricorrente, odierno appellante, in ragione delle richieste di accesso agli atti da esso inoltrate, avrebbe sicuramente avuto piena conoscenza del permesso di costruire e degli altri atti impugnati, in epoca anteriore alla da esso indicata data del 20 gennaio 2011.
A tale stregua sarebbe corretto nella fattispecie invocare l’orientamento di questo Consesso per il quale la decorrenza del termine per impugnare nella specie decorreva “……, dalla data in cui sia palese ed oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita protetto, la qual cosa si verifica quando sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica" (Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3456).
Sarebbe allora evidente che l'esercizio del diritto di accesso agli atti è stato utilizzato “al solo fine strumentale di essere, a dir così, rimessi in termini, il ricorso introduttivo restando improcedibile”.
Senonché l’esame dell’articolata eccezione porta a ritenere che gli argomenti utilizzati sono inficiati da evidente genericità, essendo stato omesso di indicare, in adempimento di un rigoroso onere della prova che ricade sulla parte che eccepisce la tardività, in relazione a quale documento ottenuto in via d’accesso agli atti da parte ricorrente e sotto quale data in esso recata, deve essere computato il termine per impugnare diverso e anteriore rispetto a quello sotteso dal gravame di cui si contesta la tardiva notifica.
L’eccezione deve dunque essere respinta.
Venendo al merito del gravame la Sezione ritiene sia meritevole d’accoglimento il terzo motivo con esso dedotto, concernente l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria per violazione dell’art.9 , punto 17, comma 3 , delle nn.tt.aa. del PRG.
Secondo tale disposizione per altezza dei fabbricati, che non può superare i limiti fissati per le singole zone dallo strumento urbanistico s’intende ; "l’altezza di una parete esterna” la quale “ è la distanza verticale misurata dalla linea di terra, definita dal piano stradale o di sistemazione esterna dell'edificio (quota media del marciapiede e ove il marciapiede non esista, quota media della strada; intendendosi per “marciapiede” e per “strade” l'area di circolazione di uso pubblico, pedonale o automobilistica, da cui si accede all'edificio, considerata limitatamente al tratto prospiciente l'edificio stesso) alla linea di copertura definita dal coronamento del parapetto pieno del terrazzo o di copertura, o in mancanza, dal piano del medesimo terrazzo; per gli edifici coperti a tetto, dalla linea di gronda del tetto ... o se questo ha una pendenza superiore al 35% dai due terzi della proiezione verticale del tetto".
A tal riguardo parte appellante, nel replicare alla sentenza impugnata che ha definito la censura in esame con rinvio alla menzionata sentenza di primo grado intervenuta tra le stesse parti (n.860/2007), nella quale la corrispondente censura è stata ritenuta inammissibile sul presupposto che la medesima parte appellante aveva anch’essa violato la riportata norma tecnica, dimostra anzitutto che ciò non corrisponde al vero avendo egli osservato la prevista altezza di metri di 7,50, nonostante che anche il suo lotto fosse in pendenza.
A quest’ultimo argomento, né il comune né la società appellante hanno in questa sede replicato alcunché, avendo il primo piuttosto sostenuto che della norma in esame è stata effettuata corretta applicazione con riferimento al permesso di costruire in sanatoria impugnato e la seconda dedotto un profilo d’inammissibilità della censura concernente la violazione dell’altezza del fabbricato, del quale si deve affermare la palese inconsistenza, essendo fondato su di un inesistente giudicato formatosi al riguardo per effetto della detta sentenza n. 860/2007, essendo stata questa, come già riferito, sottoposta ad impugnazione in questa sede
La deduzione di parte appellante sul rispetto dell’altezza nell’edificio della società appellata, respinta dal primo giudice con la sentenza n.1017/2014, può quindi essere esaminata nel merito.
Le parti resistenti pongono a fondamento dei loro argomenti la considerazione che nella norma in esame la definizione dell’altezza è riferita alla sua misurazione non esclusivamente dal piano stradale, comprensivo del marciapiede se esistente, ma anche dalla “sistemazione esterna.”
A fronte di siffatta impostazione ritiene anzitutto la Sezione di osservare che dalla disposizione in esame non si ricava affatto, per quanto possa essere sostenuto che sussistono criticità sul piano della sua applicazione, la possibilità di procedere all’interramento artificiale del volume realizzato, con il risultato di sottrarlo al calcolo dell’altezza dell’edificio.
E che sarebbe quindi consentito trasformare l’interramento in sistemazione esterna dalla quale poi misurare la parete esterna dell’edificio che prospetta sulla strada.
Il fabbricato contestato da parte appellante, senza l’interramento avrebbe certamente una altezza non consentita e poiché il lotto sul quale è stato edificato è in pendenza, si sostiene dalle parti resistenti che tale operazione sarebbe inevitabile, derivandone altrimenti la sua inedificabilità di fatto.
Si aggiunge poi, che il Comune per evitare tutto ciò avrebbe favorito la formazione di “una prassi consolidata” a beneficio di tutti i lotti che si trovano nella stessa situazione.
Le esposte ragioni poste a fondamento dell’applicazione estensiva della locuzione “sistemazione esterna” non convincono la Sezione.
A tal riguardo non può anzitutto, essere omesso di rilevare che l’invocata prassi appare prima facie fonte di disparità tra i proprietari, potendo derivare dalla sua applicazione sia il consenso ad un volume da interrare di volta in volta diverso, in relazione alla diversa pendenza dei lotti interessati, non essendo stata quest’ultima definita esattamente ai fini di detto interramento, sia uno svantaggio oggettivo per tutti i lotti che non presentano pendenza, ai quali, come tali, non verrebbe consentita la possibilità di eseguire l’interramento artificiale e quindi di beneficiare della realizzazione di un volume sottratto al calcolo dell’altezza.
Ad avviso della Sezione dalla norma in esame si ricava che il criterio della misurazione dell’altezza dal piano stradale è il criterio tendenzialmente preminente, mentre il criterio della misurazione dalla sistemazione esterna appare utilizzabile in alternativa, quando cioè il primo non è utilizzabile per ragioni varie, riconducibili, esemplificando, o alla probabilità di dar luogo a contestazioni ovvero per essere penalizzante a causa di un profilo altimetrico della strada significativamente irregolare.
Quel che appare comunque certo è che essendo i criteri predetti tra loro alternativi, se ne deve ricavare anche che dalla loro distinta applicazione debbono necessariamente discenderne conseguenze analoghe ai fini dell’individuazione della quota dalla quale deve essere misurata l’altezza dell’edificio, altrimenti verrebbe seriamente messa a rischio l’oggettiva finalità della disposizione in commento, perseguita attraverso l’introduzione di un criterio uniforme nel calcolo dell’altezza di tutti gli edifici, ed identificabile con l’ordinato svolgimento dell’attività edilizia.
Il terzo motivo del gravame deve dunque ritenersi fondato e per l’effetto non occorrendo la disamina degli altri motivi dedotti il gravame introdotto con il ricorso n.7091/2014, deve essere accolto.
Le spese della lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe li riunisce, dichiara improcedibile il primo (n.4461/2008) ed accoglie il secondo ( n.7091/2014).
Condanna le parti resistenti al pagamento delle spese della lite ponendole a carico di ciascuna di esse nella misura di euro 3.000,00 oltre spese generali ed accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere, Estensore
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)