Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1884, del 14 aprile 2015
Urbanistica.L’inottemperanza all’ordine di demolizione priva del titolo dominicale
L’inottemperanza all’ordine di demolizione comporta di diritto l’acquisizione gratuita dell’area a favore del Comune, il che priva il responsabile dell’abuso del titolo dominicale necessario a legittimare qualsiasi ulteriore istanza inerente al rapporto pubblicistico, ormai definito, correlato alla domanda di condono. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01884/2015REG.PROV.COLL.
N. 04720/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4720 del 2007, proposto da:
Raggi Cesarina, rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido Francesco Romanelli e Umberto Grella, con domicilio eletto presso Guido Francesco Romanelli in Roma, Via Cosseria, 5;
contro
Comune di Lentate sul Seveso, rappresentato e difeso dall'avv.to Angelo Ravizzoli, con domicilio eletto presso Roberto Villani in Roma, Via Lucullo, 3;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 00267/2007, resa tra le parti, concernente acquisizione opere abusive al patrimonio comunale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2015 il Cons. Antonio Bianchi e udito per la ricorrente l’avvocato Guido Francesco Romanelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La signora Raggi Cesarina nel 1986 presentava al Comune di Lentate sul Seveso istanza di condono edilizio, per talune opere abusivamente realizzate sul terreno di sua proprietà.
L'istanza veniva però respinta dall'Amministrazione, con provvedimento n. 142 del 1990.
Per quanto sopra, con ordinanza n. 74 del 18 agosto 1992, veniva ingiunto alla Raggi di demolire le opere oggetto del diniego di condono.
Con ulteriore ordinanza n. 968 del giorno 8 febbraio 1999, poi, l'Amministrazione comunale ingiungeva nuovamente la demolizione delle opere abusive anzidette .
Avverso detto provvedimento la Raggi proponeva quindi un primo ricorso al Tar Lombardia (RG.1398/99), chiedendone l'annullamento.
Nelle more del giudizio, peraltro, l'Amministrazione comunicava all'interessata, con provvedimento n. 1094 del 3 aprile 2000, l'avvio del procedimento volto all'acquisizione delle opere abusivamente eseguite, in quanto non tempestivamente demolite come ingiunto con le richiamate ordinanze.
Avverso tale determinazione la Raggi proponeva un secondo ricorso al Tar Lombardia(RG. 1991/2000), chiedendone l'annullamento.
Attesa, poi, la sopravvenienza di una variante urbanistica con cui veniva eliminato il vincolo di inedificabilità presente sull'area di sua proprietà, la Raggi nel 2002 presentava all'Amministrazione istanza di riesame dell'originaria domanda di condono edilizio.
L'istanza veniva però respinta dal Comune con provvedimento n. 240.898 del 2002, che veniva parimenti impugnato dalla Raggi con un terzo ricorso (RG n. 3819/2002) dinnanzi al Tar Lombardia.
Il tribunale adito, pronunciandosi sui tre ricorsi anzidetti:
- con decreto n. 8665 del 2001, dichiarava perento il primo (RG.1398/99) per inattività ultrabiennale;
- con sentenza n. 267 del 2007, riuniti gli altri due (RG n.1991/2000 e n. 3819/2002), li dichiarava inammissibili.
Avverso detta sentenza la Raggi ha quindi interposto l'odierno appello, chiedendone l'integrale riforma.
Si è costituito in giudizio il Comune di Comune di Lentate sul Seveso intimato, chiedendo la reiezione del gravame siccome infondato.
Con successive memorie le parti hanno insistito nelle rispettive tesi.
Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Con un unico articolato, ancorché non rubricato, mezzo di gravame l'appellante deduce l'erroneità della gravata sentenza, in quanto a suo dire :
a. “In primo luogo”, il Tar “ha dedotto l'inammissibilità del primo ricorso sull'assunto che l'atto dirigenziale del 2000 sia atto meramente dichiarativo e non impugnabile autonomamente”, mentre “l'atto d'accertamento dell’ inottemperanza….. ha natura effettivamente provvedimentale (e, come tale, è immediatamente impugnabile davanti al giudice amministrativo), spiegando il duplice effetto costitutivo di legittimare il Comune all'immissione in possesso del manufatto illecito ed alla trascrizione del titolo d'acquisto dei registri immobiliari”.
b. “In secondo luogo”, il Tar avrebbe “dichiarate ingiustamente infondate” le censure dedotte in primo grado con il ricorso RG n. 1991 del 2000 che, pertanto, “devono essere riproposte” ;
c. “In terzo luogo” sarebbe “evidente il vizio di omessa pronuncia”, non avendo il Tar “nemmeno esaminate” le censure dedotte con il ricorso RG n. 3819 del 2002 avverso la determinazione del 4 novembre 2002, che “devono quindi essere riproposte” .
2. La doglianza è destituita di fondamento.
3. Ed invero, rileva in via preliminare il collegio come sia incontroverso in punto di fatto che:
- i provvedimenti di diniego di condono (n. 142 del 1990) e di ingiunzione a demolire le opere abusive per cui è causa ( n. 74 del 1992) non sono stati fatti oggetto di gravame alcuno e, pertanto, sono divenuti inoppugnabili;
- il ricorso RG n. 1398 del 1999 è stato dichiarato perento dal Tar Lombardia con decreto n. 8665 del 2001 non opposto e, pertanto, l'ingiunzione di demolizione n. 968 del 1999 delle opere abusive per cui è causa è a tutti gli effetti pienamente efficace e non più contestabile;
- le richiamate ingiunzioni a demolire non sono state in alcun modo eseguite dalla ricorrente;
- con la determinazione n. 1094 del 3 aprile 2000, l'Amministrazione ha semplicemente accertato l’inottemperanza alla richiamata ingiunzione a demolire n. 968 del 1999, comunicando l'avvio delle procedure per l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive e dell'area di pertinenza.
4. Tanto premesso, in relazione al primo ed al secondo profilo di censura il collegio non può che ribadire, in concordanza con quanto già precisato dal primo giudice, come l'accertamento di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione sia normativamente configurato alla stregua di un “atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita ad esternare e formalizzare l'effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi” per legge - in oggi ex articolo 21 del Testo Unico dell'Edilizia -, alla scadenza del termine assegnato con l'ingiunzione stessa.
Un atto di tale natura giuridica, pertanto, può in linea di principio essere autonomamente contestato in sede giurisdizionale amministrativa, solo con specifico ed esclusivo riguardo alla correttezza formale e sostanziale del contenuto accertativo suo tipico, e non di certo con riferimento alla ritenuta illegittimità dell'ingiunzione a demolire che ne costituisce il necessario presupposto giuridico, quando quest’ultima sia divenuta medio tempore intangibile per qualsivoglia ragione giuridica.
Così, del tutto correttamente il Tar ha osservato che le censure dedotte con il primo ricorso (RG n. 1991 del 2000) avverso la determinazione n. 1094 del 3 aprile 2000 sono “inammissibili in quanto correlate all’ingiunzione di demolizione non più contestabile” in sede giurisdizionale.
Come già precisato, infatti, la gravata determinazione n. 1094 del 2000 si sostanzia giuridicamente in un mero accertamento della inottemperanza alla ingiunzione a demolire n.968 del 1999.
Tale determinazione, pertanto, può essere autonomamente gravata in sede giurisdizionale solo per vizi suoi propri, e non di certo con riferimento alla presupposta ingiunzione a demolire n.968 del 1999, la cui legittimità ed efficacia non possono più essere messe in discussione.
5. A ciò aggiungasi, che le censure dedotte in primo grado con il ricorso RG n. 1991 del 2000 ed odiernamente riproposte, sono comunque destituite di qualsiasi fondamento.
Infatti, come del tutto correttamente osservato dal primo giudice:
“- l’ingiunzione di demolizione non fa seguito ad un ordine di sospensione lavori, ma ad un diniego di sanatoria (3 ottobre 1990), la cui efficacia non è condizionata all’adozione di provvedimenti sanzionatori entro termini prestabiliti;
- l’ingiunzione di demolizione ha a proprio presupposto il diniego di condono e la realizzazione di un’opera in assenza di concessione (circostanze pacifiche nella specie); non trova ostacolo nell’avvenuto versamento di acconti per un condono poi denegato; tanto meno nel rilascio di autorizzazioni commerciali che nulla hanno a che vedere con la regolarità delle strutture edilizie, le quali richiedono un titolo autonomo;
- nessun rilievo assumono le circostanze dedotte col terzo motivo (sub a, b, c), del tutto estranee all’ordine di valutazioni che il Comune è tenuto ad effettuare in sede di vigilanza sull’attività edilizia”.
6. In relazione alla terzo profilo di censura, osserva il collegio come del tutto correttamente il primo giudice non abbia esaminato nel merito le censure dedotte con il secondo ricorso (RG n. 3819 del 2002) avverso la determinazione n. 240898 del 2002, attesa la palese inammissibilità del gravame per carenza di interesse.
Infatti, sempre come correttamente precisato dal Tar, “l’inottemperanza all’ordine di demolizione comporta di diritto l’acquisizione gratuita dell’area a favore del Comune; il che priva il respon-sabile dell’abuso del titolo dominicale necessario a legittimare qualsiasi ulteriore istanza inerente al rapporto pubblicistico, ormai definito, correlato alla domanda di condono”.
Ne consegue, all'evidenza, come non sussista alcun qualificato ed apprezzabile interesse, in testa alla ricorrente, a sindacare nel merito le ragioni del diniego opposto dall'Amministrazione alla richiesta di riesame dell'istanza di condono relativa ai manufatti abusivi per cui è causa, ormai non più di sua proprietà.
7. Per quanto sopra esposto il ricorso si appalesa fondato e, come tale, da respingere.
8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge .
Condanna l’appellante al pagamento in favore del Comune resistente delle spese di giudizio che si liquidano in euro 2.000,00 (duemila/00),oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere, Estensore
Oberdan Forlenza, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
|
|
|
|
|
|
L'ESTENSORE |
|
IL PRESIDENTE |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)