Cass. Sez. III n. 1158 del 11 gennaio 2017 (Cc 8 nov. 2016)
Presidente: Fiale Estensore: Scarcella Imputato: Tarallo
Beni ambientali.Ordine di rimessione in pristino

In tema di tutela paesaggistica, l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi a seguito di violazione dell'art. 1 sexies del D. L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985 n. 431, oggi sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ha natura di sanzione amministrativa e deve intendersi come emesso allo stato degli atti; conseguentemente, sussiste l'obbligo di verifica in sede esecutiva del permanere della incompatibilità paesaggistica di quanto realizzato, con possibilità di revoca dell'ordine stesso ove risulti accertata la legittimità e compatibilità paesaggistica delle opere. (In motivazione, la S.C. ha precisato che non sussiste un onere probatorio a carico di chi invochi in sede esecutiva la sospensione o la revoca dell'ordine di rimessione in pristino, ma solo un onere di allegazione, incombendo poi all'autorità giudiziaria di procedere ai relativi accertamenti).

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 21/03/2016, dep., 3/05/2016, la Corte d'appello di Palermo rigettava l'istanza di revoca dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo di cui alla sentenza emessa dalla Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Pretore di Palermo del 9/01/1998, irrevocabile in data 24/11/1999, con cui il giudice di secondo grado aveva confermato la sentenza di condanna per i reati di cui alla L. n. 1086 del 1971, artt. 1, 2, 4, 13 e 14, nonchè per il reato di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies,; il primo giudice, peraltro, risulta aver disposto l'ordine di rimessione in pristino stato dei luoghi.

2. Ha proposto ricorso per cassazione la T., a mezzo del proprio difensore fiduciario cassazionista, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), per violazione della L. n. 47 del 1985, art. 32, D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 42 e 146, D.L. n. 269 del 2003, art. 32, conv. con modd. in L. n. 326 del 2003, L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies, L.R. Sicilia n. 4 del 2003, art. 17, comma 6, Circolare Reg. Sicilia Ass.to Territorio ed Ambiente 31 gennaio 2014, n. 2 e parere del C.G.A. n. 291 del 2010, nonchè ai principi fondamentali del diritto (principio di razionalità, logicità e di coordinamento delle norme giuridiche).

In sintesi, la censura attinge l'impugnata ordinanza in quanto, sostiene la ricorrente, la Corte d'appello avrebbe illegittimamente ritenuto che il rilascio della concessione in sanatoria - che nelle zone paesaggisticamente vincolate può, ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, essere rilasciata solo dopo il conseguimento del n.o. paesaggistico - non incidesse sugli effetti ripristinatori amministrativi conseguenti alle violazioni paesaggistiche; ciò contrasterebbe con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il rilascio di tale sanatoria avrebbe come effetto quello di escludere l'emissione o l'esecuzione dell'ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi; la Corte d'appello avrebbe dovuto considerare conseguito per silenzio il n.o. paesaggistico alla stregua delle argomentazioni contenute nell'ordinanza di revoca o, in subordine, avrebbe dovuto comunque accogliere l'istanza stessa dopo aver acquisito la prova in ordine alla sanabilità dell'abuso; tra l'altro, conclude la ricorrente, non si sarebbe tenuto conto del fatto che nella Regione Sicilia la sanabilità delle opere abusive è ipotesi acquisita, per effetto del parere del C.G.A. n. 219 del 2010, anche nelle zone colpite da vincolo di inedificabilità relativa e, ancora, che gli enti di tutela del territorio sono tenuti ad emettere il parere entro 180 gg. dalla data di ricezione della istanza di n.o., decorso il quale si forma il silenzio assenso L.R. Sicilia n. 4 del 2003, ex art. 17, comma 6.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), sotto il profilo della manifesta illogicità della motivazione e della sua arbitrarietà. In sintesi, la censura attinge l'impugnata ordinanza in quanto, sostiene la ricorrente, la Corte d'appello avrebbe motivato il rigetto dell'istanza di revoca dell'ordine di rimessione in pristino stato sostenendo che ad esso non potesse darsi corso in quanto comprendente l'ordine di demolizione collegato all'abuso edilizio; tale affermazione sarebbe censurabile per illogicità ed arbitrarietà in quanto sembrerebbe che si sostenga che all'istanza di revoca non possa darsi favorevole riscontro in quanto l'ordine ripristinatorio inflitto in sentenza attui, rispetto all'ordine di demolizione, una tutela più pregnante del paesaggio.

3. Con requisitoria scritta depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 25/07/2016, il P.G. presso la S.C. di Cassazione ha chiesto rigettarsi il ricorso, in particolare osservando come, nel caso di specie, non essendo stato rilasciato alcun accertamento di compatibilità paesaggistica dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo, nulla emergerebbe in ordine all'effettiva compatibilità ambientale dell'opera eseguita, soprattutto trattandosi di un manufatto con conseguente creazione di volume, per cui la procedura autorizzatoria suddetta non apparirebbe nemmeno utilmente esperibile per evidente illegittimità; inoltre, si aggiunge, non risulterebbe alcun provvedimento amministrativo concretamente dimostrativo di una volontà dell'Amministrazione confliggente con l'ordine in questione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso dev'essere accolto per i motivi di cui infra.

5. Ed invero, risulta dall'impugnato provvedimento che con la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Pretore di Palermo del 9/01/1998, irrevocabile in data 24/11/1999, era stato dichiarato n.d.p. per i reati di cui alla L. n. 64 del 1974, artt. 17, 18 e 20, e art. 734 c.p. (capi c) ed e) dell'originaria rubrica), confermando la sentenza di condanna per i reati di cui alla L. n. 1086 del 1971, artt. 1, 2, 4, 13 e 14, e L. n. 431 del 1985, art. 1-sexies,; risulta, ancora, che il primo giudice aveva disposto la rimessione in pristino stato dei luoghi e che la Corte d'appello, quale g.e., aveva rigettato l'istanza di revoca dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo edificato ritenendo, da un lato, che la sanatoria richiesta dalla ricorrente (unitamente all'istanza di n.o. paesaggistico) non fosse stata esitata e, dall'altro, che in ogni caso la sanatoria non avrebbe avuto alcun effetto per gli abusi in zona paesaggisticamente vincolata, atteso che l'ordine di rimessione in pristino avrebbe per così dire assorbito quello di demolizione, coprendo quest'ultima sanzione tutte le ipotesi di alterazione del paesaggio, non comportando la reintegrazione totale del bene nell'area protetta.

6. Sul punto, osserva il Collegio, l'ordinanza appare affetta dal vizio di violazione di legge essendo affetta dal vizio di apparenza motivazionale, non avendo i giudici territoriali, quali giudice dell'esecuzione, fornito risposta congrua alle doglianze difensive con cui si chiedeva alla Corte territoriale di pronunciarsi su una ben definita questione.

L'istanza di revoca dell'ordine di rimessione in pristino stato dei luoghi, conseguente alla declaratoria di condanna - confermata anche in appello (e, sul punto, si rileva un ulteriore errore commesso dalla Corte d'appello atteso che, nell'ordinanza, si afferma contrariamente al vero che la sentenza di appello parzialmente confermativa di quella del Pretore di Palermo avrebbe prosciolto l'attuale ricorrente anche per il reato paesaggistico, laddove chiaramente dalla lettura della sentenza n. 768/99 del 17/02/99, irr. 24/11/999, emerge chiaramente che gli unici reati per cui è intervenuta la declaratoria di proscioglimento per prescrizione erano quelli antisismici e la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p.) - era infatti articolata in maniera chiara ed intelligibile. Si sosteneva, infatti, che a seguito dell'intervenuto conseguimento del n.o. paesaggistico per silenzio assenso e, in subordine, sull'acquisibilità dello stesso e conseguente sanabilità dell'opera abusiva: in altri termini, l'attuale ricorrente aveva chiesto ai giudici territoriali, ove avessero ritenuto non maturato il silenzio assenso, di assumere informazioni presso le competenti autorità amministrative sulla predetta acquisibilità e sanabilità e, fosse pertanto medio tempore sospesa l'esecuzione dell'ingiunzione a demolire, procedendosi alla revoca dell'ordine di rimessione in pristino stato dei luoghi in esito all'assunzione delle informazioni.

7. I giudici territoriali, con l'ordinanza impugnata, forniscono all'istanza di revoca una risposta articolata con argomentazioni eccentriche e distoniche rispetto alla questione loro sottoposta.

I giudici, pur dando atto della presentazione da parte dell'attuale ricorrente dell'istanza di sanatoria al Comune di Monreale e della domanda di n.o. alla Soprintendenza dei BBCCAA, ritengono sufficiente al fine di superare l'istanza difensiva la circostanza che nessuna delle due istanze fosse stata esitata dagli enti predetti, motivando poi sulla irrilevanza dell'eventuale rilascio della sanatoria per quanto concerne il reato paesaggistico ed aggiungendo che l'ordine ripristinatorio avrebbe maggiore completezza rispetto all'ordine demolitorio, sicchè anche in caso di estinzione per prescrizione del reato urbanistico ciò non imporrebbe la revoca dell'ordine di demolizione che resterebbe assorbito in quello di rimessione in pristino.

Osserva il Collegio come detta motivazione - al di là della superfluità delle considerazioni "aggiuntive" svolte dalla Corte territoriale a proposito della maggiore "valenza" dell'ordine ripristinatorio rispetto a quello demolitorio ed alla impossibilità di revocare quest'ultimo restando assorbito in quello ripristinatorio (atteso che l'istanza di revoca non aveva ad oggetto l'ordine di demolizione, ma quello di rimessione in pristino ex lege n. 431 del 1985) - si presenti del tutto distonica rispetto all'istanza difensiva, che, come detto, aveva ad oggetto una questione ben definita e circoscritta.

I giudici territoriali avrebbero dovuto valutare se l'intervenuto rilascio del n.o. paesaggistico per silenzio - assenso per effetto del disposto della L.R. Sicilia n. 4 del 2003, art. 17, comma 6, assumesse la richiesta incidenza nei termini prospettati dalla parte istante. Detta ultima disposizione, infatti, così prevede "6. Gli enti di tutela di cui alla L.R. 10 agosto 1985, n. 37, art. 23, commi 8 e 10 devono rilasciare il proprio parere entro il termine perentorio di centottanta giorni dalla data di ricezione della richiesta ed entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge per le richieste già presentate agli enti prima di tale data; decorsi tali termini il parere deve intendersi favorevolmente reso. Il decorso di detti termini può essere sospeso una sola volta dal responsabile del procedimento per richiedere chiarimenti e integrazioni esclusivamente agli interessati che hanno richiesto il parere; la sospensione non può in nessun caso superare i trenta giorni, trascorsi i quali il termine riprende a decorrere". La predetta L.R. Sicilia n. 37 del 1985, art. 23, sotto la rubrica "Condizioni di applicabilità della sanatoria", sostituisce con un unico articolo, limitatamente alla Regione Sicilia, L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 32 e 33. Detta norma è stata interpretata dal C.G.A. della Regione Sicilia nel senso che affinchè si formi il silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria edilizia, occorre verificare se la domanda di sanatoria era ammissibile ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40; se l'opera era sanabile ai sensi della L.R. 10 agosto 1985, n. 37, art. 23; se l'opera ricade in zona vincolata (e, in caso di risposta positiva, verificare se gli enti di tutela abbiano assunto le determinazioni favorevoli di competenza, che dovranno essere depositate in giudizio); se l'interessato abbia pagato tutte le somme eventualmente dovute ed abbia esibito la prova dell'avvenuta presentazione all'Ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento (C.G.A. Reg. Sicilia, Sez. Giurisdizionale, sent. n. 383 del 22/12/1995, Patanè c. Comune di Catania). A ciò va aggiunto che, sempre secondo la giurisprudenza amministrativa, la concessione in sanatoria è possibile anche in zone vincolate per la tutela di interessi paesistici, sempre che il vincolo non comporti inedificabilità e la costruzione non costituisca grave pregiudizio per la tutela medesima a giudizio dell'Amministrazione competente (C.G.A. reg. Sicilia, Sez. Consultiva, par. n. 245 del 16/05/1995, Parere richiesto dall'Assessorato regionale al territorio ed ambiente).

8. A ciò va poi aggiunto quanto da ultimo oggetto di valutazione da parte della Reg. Sicilia con la Circolare dell'Assessorato del Territorio e dell'Ambiente Dipartimento dell'Urbanistica, Servizio 6 - Affari legali, contenzioso, ufficio consultivo e Segreteria del Consiglio Regionale Urbanistica (prot. n. 13820 del 10 giugno 2015), con cui - nel pronunciarsi sulla applicabilità della precedente Circolare n. 2/2014, prot. n. 2301 del 31 gennaio 2014 - il predetto Assessorato aveva formalizzato il proprio indirizzo riguardo alle perplessità suscitate dal parere del CGA n. 291 del 2010, che a Sezioni Riunite si è pronunciato in merito all'applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 32, come modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, comma 43, convertito con L. 24 novembre 2003, n. 326. La predetta Circolare n. 2/2014 era stata poi revocata con la nota prot. n. 2894 del 26 giugno 2014, con motivazione tratta dall'assunto che in ragione del valore esclusivamente consultivo del citato parere del CGA, in quanto reso "su un ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana proposto da un privato contro le determinazioni di una Amministrazione comunale", lo stesso "è estensibile a qualsiasi altra posizione giuridica solo in sede di esplicito altro ricorso".

Si deve preliminarmente ricordare che la problematica posta riguarda le zone sottoposte a vincoli di inedificabilità relativa, non quelle soggette a vincolo di inedificabilità assoluta per le quali non è mai stata messa in discussione la inapplicabilità di qualsivoglia condono edilizio. La norma richiamata, è infatti espressamente riferita alle zone sottoposte a vincolo c.d. "relativo", ove è invece possibile operare il condono edilizio, non certo in automatico, ma soltanto qualora ricorrano le condizioni previste dalla normativa vigente con riguardo alle ragioni di tutela che hanno determinato l'imposizione del vincolo stesso.

La Circolare n. 2/2014, formalizzata proprio in relazione al contenuto del citato parere del CGA n. 291/10, che l'Assessorato aveva ritenuto di poter condividere, era stata emanata affinchè gli Enti locali si attenessero ai principi in essa enunciati, al fine di uniformare l'attività amministrativa relativa all'esame delle istanze di condono edilizio presentate. Nella Circolare n. 4/2015 si ricorda, inoltre, che il citato parere delle Sezioni riunite del Consiglio di Giustizia Amministrativa non costituisce l'unico avviso di quel consesso sulla problematica, atteso che dalla data di stesura della Circolare n. 2/2014 citata, numerosi altri pareri sono stati espressi dallo stesso Organo consultivo pronunciandosi nel merito di ricorsi straordinari promossi da privati, e di fatto confermando e ribadendo i criteri interpretativi riportati nel precedente parere n. 291/10 (vengono citati, ex multis i pareri n. 1375/10, n. 124/11, n. 68/11, n. 395/11, n. 2016/11, n. 122/11, n. 69/11, n. 1480/10, n. 239/11, n. 1264/11, n. 1062/11, n. 1288/11, n. 1323/11, n. 1140/11, n. 1265/10, n. 1322/10, n. 1260/10, n. 205/11, n. 1372/10, n. 1479/10, n. 1459/10, n. 120/11, n. 1261/11, tutti resi nel 2013). Al fine, dunque, di limitare il ricorso al contenzioso che vedrebbe soccombenti le Amministrazioni degli Enti locali, alle quali l'Amministrazione regionale aveva riservato "qualsiasi autonoma determinazione sulle fattispecie trattate" con la più volte citata circolare n. 2/2014, ed affinchè le stesse possano uniformare i loro comportamenti nell'esame e definizione delle istanze di sanatoria edilizia, da parte del predetto Assessorato si è dunque confermato l'indirizzo assunto con la Circolare n. 2/2014 nei confronti della problematica in argomento. Pertanto, conseguentemente, con la circolare n. 4/2015 si è chiarito che deve ritenersi revocata la nota Assessoriale prot. n. 2894 del 26 giugno 2014.

9. Il problema posto dall'attuale ricorrente, dunque, avrebbe richiesto una risposta ben più articolata e puntuale rispetto a quella, viziata da evidente apparenza motivazionale, che è stata fornita all'istanza di revoca dell'ordine ripristinatorio. I giudici di appello, quali giudici dell'esecuzione, in particolare avrebbero dovuto pronunciarsi anzitutto in ordine all'applicabilità della disciplina del silenzio - assenso prevista dal predetto art. 17, comma 6 della L.R. citata, verificando preliminarmente se sull'area sulla quale insiste il manufatto oggetto dell'ordine ripristinatorio gravasse vincolo di inedificabilità assoluta o relativa e, in tal ultimo caso - esclusa l'operatività del condono edilizio "in automatico", ma soltanto qualora ricorrano le condizioni previste dalla normativa vigente con riguardo alle ragioni di tutela che hanno determinato l'imposizione del vincolo stesso, come evidenziato dalla stessa Circolare assessoriale n. 4 del 2015 verificare presso le competenti autorità se l'opera in questione sia o meno ritenuta sanabile, pronunciando solo all'esito il proprio giudizio di revocabilità o meno dell'ordine ripristinatorio, previo, se del caso, esercizio del sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento amministrativo.

Del tutto erroneo, peraltro, è l'aver ritenuto l'irrilevanza ai fini della revoca dell'ordine ripristinatorio della sanatoria conseguibile in base alla predetta normativa, dovendosi sul punto ribadire il principio, già più volte affermato da questa Corte, secondo cui in tema di tutela paesaggistica, l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi a seguito di violazione del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1 sexies, convertito in L. 8 agosto 1985, n. 431, ed ora sostituito dal D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163 (oggi, D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181), ha natura di sanzione amministrativa e deve intendersi come emesso allo stato degli atti; conseguentemente sussiste l'obbligo di verifica in sede esecutiva del permanere della incompatibilità paesaggistica di quanto realizzato, con possibilità di revoca dell'ordine stesso ove risulti accertata la legittimità e compatibilità paesaggistica delle opere (Sez. 3, n. 36192 del 11/07/2001 - dep. 06/10/2001, Cilluffo G, Rv. 220346).

Deve, pertanto, ribadirsi che in materia paesaggistica con riferimento all'ordine ripristinatorio, al pari di quanto più volte affermato in materia urbanistica con riferimento all'omologo ordine demolitorio, non sussiste un onere probatorio a carico del soggetto che invochi in sede esecutiva la sospensione o la revoca dell'ordine di rimessione in pristino stato dei luoghi, ma solo un onere di allegazione, relativo, cioè, alla prospettazione ed alla indicazione al giudice dei fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi all'autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti (v., in materia edilizia, da ultimo: Sez. 3, n. 31031 del 20/05/2016 - dep. 20/07/2016, Giordano, Rv. 267413).

10. L'impugnata ordinanza dev'essere, pertanto, annullata con rinvio alla Corte d'appello di Palermo, quale giudice dell'esecuzione, perchè colmi l'assoluto deficit motivazionale da cui è affetta l'ordinanza di cui di dispone l'annullamento, uniformandosi in particolare a quanto stabilito da questa Corte al precedente p. 8.

P.Q.M.

La Corte annulla con rinvio l'ordinanza impugnata alla Corte d'appello di Palermo, quale giudice dell'esecuzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Suprema Corte di Cassazione, il 8 novembre 2016.