Cass. Sez. III n. 6260 del 8 febbraio 2019 (Cc 5 ott 2018)
Pres. Ramacci Est. Zunica Ric. Galletti
Acque.Acque meteoriche di dilavamento

Le acque meteoriche di dilavamento sono costituite dalle sole acque che, cadendo al suolo per effetto di precipitazioni atmosferiche, si depositano su un suolo impermeabilizzato, dilavando le superfici e attingendo indirettamente i corpi recettori, senza subire contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti, come avvenuto nel caso di specie. Di qui la coerente esclusione dell’incidenza in materia della competenza regionale fissata dall’art. 113 del d. lgs. n. 152 del 2006, avendo tale competenza ad oggetto, per espresso dettato normativo, soltanto le acque meteoriche di dilavamento, le acque di prima pioggia e le acque di lavaggio di aree esterne.


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 27 febbraio 2018, il Tribunale di Bologna, in funzione di Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza con cui Stefano Galletti aveva chiesto la revoca per abolitio criminis della sentenza del 27 novembre 2012, irrevocabile il 24 maggio 2017, con la quale il Tribunale di Bologna lo aveva condannato alla pena di 1.000 euro di ammenda, in ordine al reato di cui agli art. 124 comma 1 e 137 comma 1 del d. lgs. n. 152 del 2006, per avere, quale socio accomandatario e direttore tecnico della società “Sa.si.si”, effettuato scarichi di acque reflue industriali in assenza della prescritta autorizzazione.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale emiliano, Galletti, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui censura la violazione degli art. 74 comma 1, lett. h) e 137 comma 1 del d. lgs. 152/2006, osservando che, a seguito della modifica normativa operata dall’art. 2 comma 1 del d. lgs. 4/2008, la mancata dotazione di uno scarico in relazione alle acque meteoriche di dilavamento, anche se venute a contatto con altri materiali, non può ritenersi oggi punita penalmente, essendo sanzionata solo in via amministrativa, per cui l’ordinanza impugnata doveva ritenersi illegittima.
Per effetto della nuova formulazione dell’art. 74 comma 1, lett. h) del d. lgs. 152/2006, infatti, per acque reflue industriali devono intendersi solo le acque scaricate da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque meteoriche di dilavamento.
Nel rilevare l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, la difesa sollecitava quindi la rimessione della questione di diritto alla Sezioni Unite, al fine di dichiarare l’abolitio criminis della fattispecie incriminata, posto che, allo stato attuale, la diversità tra le acque meteoriche di dilavamento e le acque reflue industriali non risiede più nella purezza delle prime e nella contaminazione delle seconde, ma solo nel fatto che le acque reflue industriali sono diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento, perché solo le prime vengono scaricate da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, mentre le seconde precipitano dal cielo e non da edifici o impianti, non sono generate da attività predeterminate e hanno una diversità di caduta, non tramite scarico, ma da precipitazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
1. Occorre innanzitutto premettere che il tema della qualificazione giuridica della condotta ascritta all’imputato è stato già affrontato da questa Corte con la sentenza della Settima Sezione n. 24337 del 5 aprile 2017, con cui è stato dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato, il ricorso proposto da Galletti avverso la sentenza del Tribunale di Bologna del 27 novembre 2012.
In quella sede è stato infatti osservato che, nel caso di specie, non si verteva nell’ipotesi di acque meteoriche o di prima pioggia, ma di reflui industriali, tali dovendo essere considerate le acque meteoriche a seguito della contaminazione con i materiali stoccati sul piazzale dello stabilimento dell’impresa di cui l’imputato era amministratore e direttore tecnico, per cui, qualificate le acque provenienti dal dilavamento del piazzale dell’impresa come reflui industriali ex art. 74 lett. h) del d. lgs. n. 152 del 2006, è stato ritenuto ravvisabile il reato di cui agli art. 124 comma 1 e 137 comma 1 del predetto decreto, stante l’esistenza di uno scarico in fognatura in mancanza di autorizzazione.
Orbene, essendo divenuto irrevocabile il giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ambientale a lui contestato, non può ritenersi fondata la richiesta difensiva di una diversa considerazione della rilevanza penale della condotta, tanto più ove si consideri che la citata sentenza della Settima Sezione del 5 aprile 2017 ha richiamato la costante affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 2832 del 02/10/2014, dep. 2015, Rv. 263173), secondo cui, in tema di tutela penale dall’inquinamento, le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ai sensi dell’art. 74, lett. h), del d. lgs. n. 152 del 2006.  
È stato infatti precisato con la predetta pronuncia, alla quale si ritiene di dover dare continuità, che il predetto art. 74 del d. lgs. n. 152 del 2006, prima della modifica apportata dall’art. 2 comma 1 n. 4 del d.lgs. 16 gennaio 2008, definiva alla lettera h) le acque reflue industriali come “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”; la norma escludeva dunque dalla nozione di acque reflue industriali quelle meteoriche di dilavamento, che tuttavia non definiva espressamente, precisando solo che dovevano intendersi come tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali “non connessi” con quelli impiegati nello stabilimento. Pertanto si riteneva (Sez. 3, n. 33839 del 05/07/2007), prima della modifica, che, qualora le acque meteoriche fossero contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento, non dovessero più essere considerate come acque meteoriche di dilavamento, dovendo essere qualificate come reflui industriali.
La formulazione attuale dell’art. 74, lett. h) del d. lgs. n. 152 del 2006 ha invece escluso ogni riferimento qualitativo alla tipologia delle acque e ha eliminato il precedente inciso “intendendosi per tali” (cioè per acque meteoriche di dilavamento) “anche quelle venute in contatto con sostanze...non connesse con le attività esercitate nello stabilimento”: l’eliminazione dell’inciso è stato invero ritenuto frutto di una precisa scelta del legislatore, indicando proprio l’intenzione di escludere qualunque assimilazione di acque contaminate con quelle meteoriche di dilavamento: l’eliminazione dell’inciso, in definitiva, non ha affatto ampliato il concetto di “acque meteoriche di dilavamento”, ma, al contrario, lo ha ristretto in un’ottica di maggior rigore, nel senso di operare una secca distinzione tra la predetta categoria di acque e quelle reflue industriali o quelle reflue domestiche. Oggi, pertanto, le acque meteoriche, comunque venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non possono essere più incluse nella categoria di acque meteoriche di dilavamento, per espressa volontà di legge.
Deve essere dunque ribadito che le acque meteoriche di dilavamento sono costituite dalle sole acque che, cadendo al suolo per effetto di precipitazioni atmosferiche, si depositano su un suolo impermeabilizzato, dilavando le superfici e attingendo indirettamente i corpi recettori, senza subire contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti, come avvenuto nel caso di specie.
Di qui la coerente esclusione dell’incidenza in materia della competenza regionale fissata dall’art. 113 del d. lgs. n. 152 del 2006, avendo tale competenza ad oggetto, per espresso dettato normativo, soltanto le acque meteoriche di dilavamento, le acque di prima pioggia e le acque di lavaggio di aree esterne.
Come correttamente rilevato dal Procuratore generale, l’ordinanza impugnata, nell’escludere la tesi difensiva della depenalizzazione della condotta contestata, si pone nel solco della più recente elaborazione giurisprudenziale sul punto, per cui le doglianze difensive non possono ritenersi meritevoli di accoglimento, tanto più ove si consideri che il diverso principio di diritto affermato dalla pronuncia richiamata nel ricorso (Sez. 3, n. 2867 del 30/10/2013), dopo essere stato consapevolmente superato dalla successiva sentenza n. 2832 del 02/10/2014, sopra citata, non risulta essere stato più riproposto in sede di legittimità.
3. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 05/10/2018