Cass. Sez. III n. 21125 del 29 maggio 2007
Pres. Lupo Est. Marini Ric. Licciardello
EDILIZIA - LOTTIZZAZIONE ABUSIVA - CONFISCA - GIUDICATO - SOPRAVVENUTO PIANO DI RECUPERO DELL'AREA - REVOCABILITA' - ESCLUSIONE
Con la decisione in questione la Corte ha affermato la impossibilità di revocare il provvedimento di confisca disposto dal giudice con la sentenza che accerta una lottizzazione abusiva, una volta avvenuto il passaggio in giudicato dalla pronuncia, anche in presenza di un piano di recupero dell’area interessata.
A seguito del passaggio in giudicato della sentenza che, accertando una lottizzazione abusiva, abbia disposto la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite (ex art. 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), si realizza, infatti, l’immediata acquisizione delle aree e degli immobili al patrimonio disponibile comunale, con titolo per la trascrizione nei registri immobiliari. Conseguentemente, il trasferimento della proprietà dei beni al Comune mette quest’ultimo in condizione di dare ad essi la destinazione che riterrà opportuna, in quanto con il provvedimento di confisca l’intervento del giudice si esaurisce e il diritto dell’ente locale sul bene diviene pieno e incondizionato. Ove successivamente il Comune decida di rendere edificabili quelle aree, ciò non determina il ritrasferimento della proprietà in capo agli originari proprietari, ma soltanto la possibilità che l’ente locale decida di dare corso, in proprio, alle opere di lottizzazione, di cedere i terreni a terzi, di locare i terreni o gli immobili, così esercitando in pieno il proprio diritto di proprietà. P.U. del
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
III SEZIONE PENALE


composta dagli Signori:


Omissis


ha pronunciato la seguente:


RILEVA


Con sentenza in data del 21 marzo 1994 la Corte di Appello di Catania, in riforma di quella del Pretore di Mascalucia in data del 9 marzo 1993, ha condannato il Sig.Licciardello e altri per il reato di lottizzazione abusiva, ed ha quindi disposto, ai sensi dell'art.19 della legge 28 febbraio 1985, n.47, la confisca dei terreni situati in Via delle Sciare n.190/A del Comune di San Giovanni La Punta. A seguito della decisione della Corte di Cassazione, che in data dell'8 novembre 1995 ha respinto l'impugnazione avverso la sentenza della Corte territoriale, al provvedimento di confisca ha fatto seguito in data 18 settembre 1997 la trascrizione presso la competente Conservatoria.


Con ricorso per incidente di esecuzione presentato il 12 luglio 2005, è stata richiesta alla Corte di Appello la revoca della confisca per essere sopravvenuto un piano di recupero delle aree interessate approvato dal Comune con delibera del 19 aprile 2005.


Nel ricorso si sostiene che la natura "sostanzialmente amministrativa" della confisca disposta dall'autorità giudiziaria imporrebbe di tenere conto delle "sopravvenienze amministrative successive alla applicazione della sanzione", con la conseguenza che la volontà espressa dal Comune di consentire l'edificabilità dell'area attraverso lo strumento del piano di recupero modificherebbe in radice la situazione giuridica e imporrebbe la revoca della confisca, revoca alla quale il Comune stessa avrebbe "subordinato" l'attuazione del piano ad opera dei ricorrenti.


Con l'ordinanza impugnata la Corte di Appello di Catania in data del 24 ottobre 2005 ha respinto il ricorso, osservando che già in occasione di precedente ordinanza reiettiva di analoga istanza, in allora motivata con le modifiche apportate dal nuovo piano regolatore alla destinazione dell'area, la Corte aveva affermato il principio che l'autorità giudiziaria non può, dopo che si è formato il giudicato, intervenire sul provvedimento di confisca: in tal modo, infatti, finirebbe per cancellare il contenuto di parte della decisione, cosa che può fare solo in presenza di espressa disposizione di legge (si vedano gli artt. 673 o 676 c.p.p. in tema di abolizione del reato o di estinzione del reato o della pena), come nel caso di specie non avviene. Ed infatti, mentre per il reato di edificazione abusiva è possibile una estinzione quando sopravvenga una concessione in sanatoria, ed è possibile non perdere la proprietà dell'area nell'ipotesi che si provveda a dare corso alla demolizione nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione (art.7 della citata legge n.47 del 1985), un analogo risultato non è previsto per l'ipotesi di lottizzazione abusiva.


Osserva ancora la Corte di Appello che la natura amministrativa della confisca può assumere rilievo quando atti amministrativi sopravvengono in corso di giudizio (come nel caso giudicato con la sentenza Besana e altri della Terza Sezione Penale della Corte), ma non quando la sentenza è passata in giudicato ed i beni sono entrati a far parte del patrimonio dell'ente pubblico (art.19, comma 2 della legge citata).


In conclusione, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca, spetta all'ente pubblico adottare i provvedimenti più opportuni concernenti l'area che è stata trasferita nella sua proprietà.

Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i ricorrenti ai sensi dell'art.606, comma 1 lett.b) c.p.p.


Il ricorso premette che con il nuovo PRG, adottato successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna e dell'ordine di confisca, l'area in questione è stata riqualificata come "area residenziale di espansione", e che il Comune ha deciso di sanare l'irregolarità esistente mediante la stipula con i ricorrenti di una "convenzione di lottizzazione" nonché con la loro partecipazione pro-quota ai costi di lottizzazione primaria e secondaria. La stipula di tale convenzione, tuttavia, è stata subordinata dal Comune alla revoca del provvedimento di confisca.


Ritengono i ricorrenti che sia errata la posizione che vede il giudice spogliato del potere di assumere provvedimenti relativi alla confisca dopo che la sentenza è divenuta definitiva. Posto che la confisca costituisce atto di natura amministrativa, resta nella facoltà dell'ente comunale quello di adottare determinazioni compatibili con l'evoluzione degli strumenti urbanistici, così che, assumono i ricorrenti, l'ente pubblico "può riconoscere ex post la conformità degli interventi realizzati con gli strumenti urbanistici vigenti. Pertanto, quando la pubblica amministrazione, nel legittimo esercizio delle proprie attribuzioni, adotti deliberazioni incompatibili con il provvedimento di confisca, autorizzando ex post la lottizzazione abusiva, il giudice penale non può rifiutarsi di revocare il provvedimento", secondo quanto avrebbe espressamente affermato dalla Sezione Terza Penale con decisioni del 15 Ottobre 1997 e del 20 marzo-7 maggio 1998. E che il passaggio in giudicato della sentenza non impedisca la revoca della confisca in sede esecutiva risulterebbe conclusione in linea con plurime decisioni della Corte di Cassazione, citate nel ricorso, tra cui, Sezione Terza Penale 16 novembre 1995, 2254, Besana e altri; 5 dicembre 2001, n.1966, Venuti e altro.


OSSERVA


1. Il ricorso deve essere respinto sulla base delle considerazioni che seguono.


Ritiene la Corte che gli odierni ricorrenti non siano legittimati a richiedere la revoca della confisca disposta con la sentenza della Corte di Appello di Catania nel lontano 1993. La proprietà dell'area e dei beni confiscati, infatti, è oggi del Comune di San Giovanni La Punta, al cui patrimonio disponibile essi furono trasferiti a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna nei confronti degli allora proprietari. Si tratta di conclusione che la Corte ritiene di assoluta evidenza e che si colloca in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato quale emerge dalla decisione in sede giurisdizionale della Sezione Quarta, depositata il 10 marzo 2004 nei ricorsi del Comune di Bari nei confronti di Ma.Bar Srl, Sudfondi Srl e Iema Srl (ricorsi in appello n.10330/03 e 10479/03) relativi alla lottizzazione denominata "Punta Perotti".


Tuttavia, la presenza di altre decisioni di questa stessa Corte che hanno adottato una diversa soluzione rende necessario affrontare in modo organico i non semplici aspetti della normativa che impongono al giudice penale di applicare la sanzione della confisca nei casi di riconosciuta attività lottizzatoria abusiva.


2. Si sostiene da parte dei ricorrenti che plurime decisioni di legittimità avrebbero fissato il principio secondo cui la natura di sanzione amministrativa della confisca che il giudice penale applica in caso di accertata lottizzazione abusiva impone, anche in sede esecutiva, la revoca della confisca nei casi in cui l'ente pubblico territoriale approvi un nuovo assetto urbanistico compatibile con l'attività di edificazione che era stata posta in essere illecitamente.


Ed in effetti, una prima lettura di alcune decisioni, e soprattutto degli estratti della loro motivazione, potrebbe assecondare simile prospettiva.


Ad esempio, la motivazione della sentenza della Terza Sezione Penale del 16 novembre-20 dicembre 1995, n.12471, PG in proc. Besana, dopo avere affermato che il giudice che accerti l'avvenuta lottizzazione abusiva deve disporre la confisca dei terreni e dei manufatti, prosegue: «...Sarebbe del tutto irrazionale, però, l'applicazione della misura anche qualora l'autorità amministrativa, cui compete istituzionalmente il governo del territorio, nell'autonomo esercizio del potere ad essa devoluto dalla legge, abbia ritenuto di dovere successivamente autorizzare l'intervento lottizzatorio. Un provvedimento "sanante" di tal genere non vale a estinguere il reato ma non può essere impedito né vanificato da una sanzione amministrativa con esso incompatibile irrogata dal giudice penale, poiché questi non può sottrarre alla P.A. poteri legislativamente attribuitegli. Con la conseguenza che la confisca eventualmente disposta ai sensi dell'art.19 della legge n.47/1985 deve essere revocata dallo stesso giudice che l'ha ordinata quando (o nei limiti in cui) risulti incompatibile con un provvedimento adottato dall'autorità amministrativa».


Alle medesime conclusioni, potrebbe giungersi - con argomento a contrariis - dalla lettura della sentenza Licciardello e altri (Terza Sezione Penale, sentenza n.1958 del 25 maggio-20 settembre 1999, Rv.214628), che conclude per l'assenza di interesse a impugnare nell'ipotesi in cui, non essendo ancora definitivo l'iter amministrativo del piano territoriale, non possa dirsi esistente un atto della pubblica amministrazione "incompatibile" con il mantenimento della confisca.


3. Lo stesso può dirsi anche per la sentenza di questa Sezione del 9 novembre-14 dicembre 2000, n. 12999, Lanza (rv.218003), e a conclusione simile sembra doversi giungere secondo altra successiva decisione, sempre di questa Sezione, e cioè la sentenza n.3388 del 5 dicembre 2000-21 gennaio 2001,Venuti e altri (rv 220851). Quest'ultima, infatti, premessa l'esistenza in capo alla sola autorità amministrativa comunale del potere di governo del territorio, afferma: «Sicché, quando questa autorità, nell'esercizio legittimo del suo potere, deliberi di autorizzare ex post la lottizzazione o comunque di variare il piano territoriale con recupero urbanistico dell'area abusivamente lottizzata, la confisca giudiziaria non può essere disposta, o se disposta deve essere revocata, giacché il potere giurisdizionale non può sottrarre alla P.A. l'esercizio del potere legislativamente attribuitole, attraverso provvedimenti incompatibili con il legittimo esercizio di quel potere. Tuttavia, nel caso concreto, nessuna incompatibilità sussiste, posto che la confisca riguardava l'area lottizzata di...., mentre il piano di recupero urbanistico era stato pacificamente deliberato solo per contigua zona denominata...».


4. In realtà, questa Corte non ritiene che la prospettazione dei ricorrenti possa essere desunta in modo certo e coerente dalle sentenze fin qui esaminate. E, infatti, la sentenza n.12471 del 1995 nel procedimento Besana ha come presupposto il fatto che nelle more del giudizio il comune modificò la programmazione del territorio, così intervenendo con un provvedimento che rendeva edificabili i terreni lottizzati prima che giungesse la sentenza definitiva. Solo in parte simile la situazione di fatto su cui è intervenuta la sentenza n.3388 del 2001, Venuti, essendosi in presenza di un piano di recupero urbanistico adottato dal comune in corso di processo e anteriormente al giudizio di cassazione; tuttavia, come si è visto, quel piano di recupero non concerneva il terreno oggetto di lottizzazione. In entrambi i casi, dunque, l'intervento del comune asseritamente "sanante" non si collega - e non si può contrapporre - ad un giudicato formatosi nel processo penale.


Nello stesso senso si esprimono altre recenti decisioni, come quelle assunte da questa stessa Sezione il 1° luglio-13 ottobre 2004, n.39916, La medica e altri (rv 230085) e il 18 maggio-5 luglio 2006, n.23154, Scalici (rv 234476), sempre riferite ad ipotesi di provvedimenti dell'ente comunale che intervengono nelle more del giudizio.


Infine, va evidenziato che sia la sentenza n.1958 del 1999, Licciardello, sia la sentenza n.12999 del 2000, Lanza, intervengono su una situazione di fatto diversa da quella oggetto del presente ricorso, risolvendosi in un non liquet perché la domanda di revoca della confisca è giunta e dev'essere decisa prima che l'atto amministrativo potenzialmente incompatibile sia definitivo e operativo.


5. Esistono, peraltro, due precedenti decisioni della Terza Sezione Penale che affrontano in modo specifico il tema della revocabilità della confisca successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.


La più recente è la n. 47272 del 30 novembre-29 dicembre 2005, Iacopino e altri (rv 232998). Secondo tale decisione, la revoca della confisca, come già affermato dalle sentenze n.1966 del 2002 e 12999 del 2000, può essere disposta dal giudice anche in sede esecutiva, con la conseguenza che avrebbe errato la Corte di Appello ad omettere di statuire sul punto e di motivare in ordine alla specifica richiesta dei ricorrenti, aventi causa degli imputati condannati, che era fondata sulle nuove deliberazioni adottate dall'ente comunale.


Premesso che non appare convincente il richiamo effettuato alle sentenze Lanza del 2000 e Venuti e altri del 2002 che, come si è vistò, non affrontano il tema della revocabilità successiva al giudicato, deve ai nostri fini osservarsi che la sintetica motivazione della sentenza Iacopino non offre ulteriori argomenti a sostegno della affermazione per la quale il giudicato ed i suoi effetti non costituirebbero un ostacolo alla revoca della confisca.


Ad opposta conclusione giunge la più risalente sentenza in data 8 febbraio-18 marzo 2002, n.11141, Montalto e altri (non massimata). Secondo tale decisione, il passaggio in giudicato della sentenza che contiene l'ordine di confisca comporta il trasferimento della proprietà dei beni confiscati al comune, così che i precedenti proprietari perdono con quei beni ogni legame giuridico e non possono vantare su di essi alcun diritto in caso di modifiche successivamente apportate dal comune all'assetto territoriale.


6. La presenza di una divergenza di valutazioni in sede giurisprudenziale impone di procedere ad un esame approfondito del tema posto dai ricorrenti.


Punto di partenza è la considerazione che la c.d. "sanatoria" degli illeciti urbanistici contenuta in un provvedimento dell'ente territoriale non estingue e non può estinguere il reato di lottizzazione abusiva.


Siamo in presenza di un elemento che differenzia profondamente la disciplina della lottizzazione, quale reato urbanistico, dalla violazione edilizia prevista e sanzionata da altra parte del medesimo art.20 della legge 28 febbraio 1985, n.47, nonché, oggi, dalla prima parte dell'art.44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380.


E' pacifico, infatti, in dottrina e giurisprudenza che il reato di lottizzazione abusiva non può beneficiare delle mutate disposizioni amministrative che dopo la commissione del reato rendano possibile edificare sulla medesima area. In tal senso, oltre alla citata sentenza Venuti, si vedano: Terza Sezione Penale sentenza del 19 settembre 1996, Urtis, non massimata; sentenza n.2408 del 12 gennaio-6 marzo 1996, Antonioli e altro (rv.204712); sentenza n.11436 del 15 ottobre-12 dicembre 1997, Giammanco (rv.209395).


Più recentemente negli stessi termini si è pronunciata la Terza Sezione Penale con la sentenza n.39916 del 2004, La medica e altri (rv 230085), citata, nonché con la sentenza 18 giugno-28 settembre 2004, n.38064, Semeraro, la cui massima recita (rv 230039):

"La sanatoria delle violazioni edilizie che, ai sensi dell'art. 36 del Testo unico n. 380 del 2001 (che ha sostituito l'art. 13 della legge n. 47 del 1985), determina l'estinzione del reato, non è applicabile alla lottizzazione abusiva per la negatività dell'accertamento della cosiddetta doppia conformità delle opere eseguite, le quali non possono mai considerarsi conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione. Pertanto la confisca dei terreni abusivamente lottizzati, e delle opere abusivamente realizzate, è legittima - in quanto obbligatoria ai sensi dell'art. 19 della legge n. 47 del 1985 - anche quando risulti concessa una sanatoria delle opere edilizie ex art. 13 della stessa legge; quanto alla confisca dei manufatti abusivi, il giudice deve invece valutarne in concreto i presupposti, quando sia stato effettuato il condono edilizio ai sensi dell'art.37 comma settimo della citata legge n.47 per la presenza dei requisiti legittimanti, secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt.29 e 35,comma tredicesimo della predetta legge.".


7. Questa differenza di trattamento trova radicamento e motivazione nella maggiore gravità che il legislatore ha inteso riconoscere alla lottizzazione. E che l'intervento abusivo e coordinato su un'area non modesta assuma, rispetto al governo del territorio, connotazioni oggettivamente, e spesso drammaticamente gravi è dato di esperienza, così che pare del tutto motivato e ragionevole che alle ipotesi di lottizzazione non si estenda lo strumento del condono e della sanatoria previsto invece, a certe condizioni, per l'edificazione senza concessione o in difformità da essa. Sul punto si rinvia anche alle decisioni di manifesta infondatezza della Corte costituzionale concernenti la disciplina della lottizzazione (in particolare, si vedano le sentenze n.107 del 1989 e n.148 del 1994 relative alla forma meno grave di lottizzazione, la lottizzazione c.d. "negoziale").


La previsione normativa - contenuta nel sistema degli artt.18 e 19 della legge n.47 del 1985 ed ora negli artt.30 e 44, comma secondo del d.P.R. n.380 del 2001 - della obbligatorietà e della immediatezza della confisca giudiziale rispetto all'accertamento della lottizzazione dev'essere considerata conseguenza coerente di quel giudizio di estrema gravità.


Giova ricordare che la giurisprudenza maggioritaria (fra le altre, Sezione Terza Penale, sentenza n.16483 del 12 novembre-18 dicembre 1990, Licastro, rv 186011; sentenza n.3900 del 18 novembre-23 dicembre 1997, Farano, rv 209201; sentenza n.12989 dell'8 novembre-14 dicembre 2000, Petracchi F, rv 218013) e la stessa dottrina convengono che la confisca non presuppone necessariamente la condanna dei proprietari dell'area lottizzata, ammettendosi che la sanzione venga disposta anche in caso di estinzione del reato per prescrizione e nella ipotesi di applicazione della pena ex art.444 cod. proc. pen. E non solo, perché il ricorso allo strumento radicale della confisca è stato dalla giurisprudenza ritenuta non evitabile neppure a tutela dei terzi acquirenti in buona fede, come dimostrano plurime decisioni della Sezione Terza Penale, tra cui la sentenza 7 luglio-4 ottobre 2004, n.38727, Bennici (rv 229607) e la sentenza 27 gennaio-15 marzo 2005, n.10037, Vitone e altri, la cui massima recita (rv 320979);


"E' manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' dell'art. 44, comma secondo, d.P.R. 6 giugno 2001 n.380, che prevede la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere costruite anche nei confronti dei terzi acquirenti in buona fede, sia per violazione dell'art. 27 Cost., atteso che trattasi di principio che si riferisce alla responsabilita' penale, mentre la confisca prevista dal citato d.P.R. prescinde da una sentenza di condanna ed ha natura amministrativa, sia per violazione dell'art.42 Cost. in quanto stante la funzione sociale della proprieta' nel contrasto tra l'interesse collettivo alla corretta pianificazione territoriale e quello del privato e' ragionevole la prevalenza del primo.".


Né va dimenticato che la giurisprudenza ha tratto dalle caratteristiche della lottizzazione un'ulteriore importante conseguenza. Come stabilito con la sentenza n.17424 della Terza Sezione Penale del 22 marzo-9 maggio 2005, Agenzia Demanio in proc. Matarrese e altri (rv 231515), la confisca deve essere estesa "a tutta l'area interessata dall'intervento lottizzatorio, compresi i lotti non ancora edificati o anche non ancora alienati al momento dell'accertamento del reato, atteso che anche tali parti hanno perso la loro originaria vocazione e destinazione rientrando nel generale progetto lottizzatorio."


8. La confisca giudiziale, quindi, va considerata uno strumento che risponde in modo diretto alla gravità dell'offesa all'interesse collettivo rappresentato dalla ordinata programmazione e gestione degli interventi sul territorio. In tale prospettiva essa costituisce un rafforzamento dell'analoga sanzione disposta dall'ente locale e non deve mai costituire un potenziale momento di conflitto fra le due procedure.


A questo si aggiunga una peculiarità della confisca ex art.19 legge 28 febbraio 1985, n.47 ed ex art.44, comma secondo del d.P.R. 6 giugno 2001, rispetto al provvedimento ablativo concernente gli abusi edilizi: la confisca non solo è comunque conseguenza obbligatoria dell'accertamento della lottizzazione, ma essa consegue automaticamente e immediatamente alla definitività dell'ordine dato dal giudice, senza che sussistano ulteriori condizioni e che siano necessari successivi adempimenti. Si legge, infatti, nelle disposizioni citate che il sindaco, verificata l'esistenza di attività lottizzatoria senza autorizzazione deve notificare un'ordinanza di sospensione, che viene trascritta nei registri immobiliari cosi da inibire anche atti di cessione a terzi; trascorsi novanta giorni senza che si provveda, per carenza dei presupposti originari, alla revoca della confisca, "le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio indisponibile del comune" e il sindaco deve procedere alla demolizione delle opere abusive.

Parallelamente a tale procedura, il giudice con la sentenza definitiva deve disporre la confisca delle aree, e anche l'ordine giudiziale comporta l'immediata acquisizione delle aree al patrimonio comunale e costituisce titolo per la trascrizione nei registri immobiliari.


A questo proposito appare opportuno ricordare i principi affermati dalla sentenza della Terza Sezione Penale del 2 aprile-22 maggio 2003, n.22557, Matarrese e altro, la cui massima recita (rv 225308):
"Con il passaggio in giudicato della sentenza che, all'esito del procedimento per lottizzazione abusiva, ha disposto, ex art. 19 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, la confisca dei terreni, questi transitano "ipso iure" nel patrimonio del Comune senza la necessità, a differenza di quanto avviene con il provvedimento ex art. 7 stessa legge, di una fase esecutiva, atteso che l'efficacia traslativa coattiva e' prodotta, per espresso dettato normativo, dalla sentenza che la contiene."


9. In sostanza, la sentenza definitiva è titolo per il trasferimento della proprietà, immediato e senza oneri, in favore del patrimonio disponibile del comune (circostanza, questa, indicativa della volontà di attribuire all'ente ampia possibilità di gestione ed utilizzo dei beni). Spetta alle cancellerie giudiziarie e agli organi amministrativi dare esecuzione all'ordine di confisca, ma questa è comunque immediatamente operante fra le parti interessate (espropriati e comune).


10. In tal senso si è espresso con chiarezza il Consiglio di Stato in decisioni che, seppure riferite alla confisca che segue l'inosservanza dell'ordine di demolizione, contengono principi generali applicabili anche alla confisca ex art.19 legge n.47/1985. Ad esempio, con la sentenza n.333 del 20 aprile 1994, la Sez.5 (RD. 941979) ha stabilito che gli effetti della trascrizione sono collegati direttamente dalla legge all'inosservanza del termine per la demolizione (nel nostro caso alla definitività della sentenza contenente l'ordine di confisca).


Interesse ancora maggiore riveste la ricordata decisione depositata il 10 marzo 2004 sui ricorsi riguardanti la lottizzazione di "Punta Pedrotti", nella quale il Consiglio di Stato era chiamato a decidere sul ricorso presentato in sede giurisdizionale dal Comune di Bari avverso la decisione del Tribunale amministrativo che aveva riconosciuto il diritto delle società ex proprietarie dei beni a conoscere della conformità della vecchia lottizzazione alla normativa edificativa vigente. Rilevato che alla sentenza penale definitiva è conseguita la confisca dei beni e il passaggio degli stessi alla proprietà del Comune di Bari, il Consiglio di Stato ha affermato che "le società appellate non possono vantare alcun interesse diretto, concreta e attuale a conoscere della conformità edilizia di un manufatto sul quale non hanno nessuna pretesa, neppure futura, non potendo neppure sperare in un ritrasferimento ovvero in una revoca, stante la intangibilità e irrevocabilità del giudicato", ragione per cui "non si vede per quale motivo gli stessi pretendano di conoscere l'effettiva situazione giuridica di un complesso immobiliare sul quale non possono vantare alcun diritto. Da ciò il difetto di legittimazione alla presentazione dell'istanza e l'inconfigurabilità consequenziale di alcuna formazione di silenzio significativo da parte della pubblica amministrazione".


11. Principi analoghi sono affermati dalla giurisprudenza civile della Corte di cassazione. Con sentenza n.7769 del 12 luglio 1991 (rv 473103), la Terza Sezione ha affermato che la confisca amministrativa (nella specie quella prevista dall'art.15 della legge 28 ottobre 1977, n.10) ha origine diretta dall'ordinanza del sindaco e trasferisce la proprietà indipendentemente dalla trascrizione, che ha solo efficacia dichiarativa, e legittima il comune al possesso del bene con immediati effetti modificativi e estintivi del rapporto di locazione che sia in corso. La Corte si è occupata anche delle conseguenze della confisca prevista dall'art.240 c.p., affermando il principio di ordine generale, che rileva anche ai fini della presente decisione, secondo cui alla confisca giudiziale sono applicabili le regole sulla evizione totale (art.1483 c.c.) giacché tale misura comporta l'acquisto della proprietà da parte dello Stato e lo spossessamento anche del compratore, che ha diritto a rivalersi sul venditore degli oneri e (eventualmente) dei danni subiti (Seconda Sezione Civile, sent.792 del 27 gennaio 1998, rv 511971).

12. Sulla base di queste premesse la Corte ritiene che la confisca in esame costituisca un provvedimento ablativo radicale, nelle forme e nelle conseguenze. Tale caratteristica, lo si ripete, è perfettamente in linea con il giudizio del legislatore circa l'estrema gravità delle condotte di lottizzazione in relazione al bene protetto, e si spiega anche con le correlate finalità che la confisca viene così ad acquisire.


Il fatto che, senza discrezionalità alcuna, la proprietà dei terreni e dei beni lottizzati venga trasferita dai privati al patrimonio del comune assomma in sé, a ben vedere, numerose conseguenze di grande interesse.


La prima è quella di prospettare ai privati un rischio elevatissimo: la perdita della proprietà sui beni oggetto di lottizzazione, e quindi dovrebbe costituire un forte elemento di deterrenza.


La seconda è quella di evitare che la sanzione possa essere in concreto non applicata e/o non eseguita a causa di incuria o boicottaggio da parte degli amministratori locali.


La terza è quella di evitare che questi ultimi siano sottoposti alle pressioni dei destinatari della confisca affinché vengano assunti, ancorché ex post, provvedimenti di sanatoria, con il pericolo di forzature e distorsioni delle politiche di gestione del territorio e, se si vuole, evitandosi in tal modo anche rischi di attentati alla lealtà e correttezza dell'azione amministrativa.


La quarta conseguenza, non meno importante, è l'attribuzione al comune della libertà di utilizzare l'area e gli eventuali manufatti senza subire i condizionamenti di coloro che su quei beni altrimenti conserverebbero aspettative e interessi diretti.


13. Se, dunque, l'ordine di confisca contenuto nella sentenza passata in giudicato è fonte di acquisizione dei beni al patrimonio disponibile del comune, ciò significa che il comune di quel bene può pienamente disporre uti dominus al pari di qualsiasi soggetto privato; può dunque locarlo, cederlo, utilizzarlo senza che il dante causa abbia sul bene alcuna ulteriore legittimazione. Sono queste, infatti, le conseguenze tipiche del provvedimento ablativo.


Questa situazione non si pone in contrasto né con il carattere non definitivo delle sanzioni amministrative, né con il potere del comune di autonomamente determinarsi in ordine alle politiche del territorio.


Appare opportuno muovere da questo secondo aspetto.


14. Si è sostenuto che la confisca dei terreni lottizzati può porsi in conflitto con la potestà dell'ente locale di liberamente determinarsi per la gestione del territorio. Non vi sono dubbi che - in via di principio - una limitazione della potestà del comune può derivare da un ordine giudiziale che imponga dei limiti rispetto ad alcune delle possibilità di azione dell'ente o che, addirittura, le impedisca del tutto. Esempi in tal senso possono essere un (meramente teorico) divieto di edificare oppure l'ordine di demolizione. In entrambi i casi il comune si troverebbe nella impossibilità di prevedere la conservazione o l'ampliamento del numero o dell'estensione dei manufatti, dovendo addirittura, nel caso dell'ordine di demolizione, distruggere un manufatto che esiste. E' evidente, cioè, che l'obbligo di ottemperare a tali imperativi giudiziali (postivi o negativi non fa differenza) costituisce per il comune un limite tanto legittimo quanto significativo, così che eventuali piani di espansione su quelle aree verrebbero a porsi in contrasto con il provvedimento del giudice. Del tutto diverso il caso che ci occupa. L'accertamento dell'avvenuta lottizzazione non comporta altro che una presa d'atto da parte del giudice che vi è stato un frazionamento non autorizzato, seguito o meno da attività edificatorie, e operato in contrasto con la vigente programmazione del territorio (sul punto si rinvia alla decisione delle Sezioni Unite Penali, n.5115 del 28 novembre 2001-8 febbraio 2002, Salvini, rv 220708).


La densità e la vastità dell'intervento lottizzatorio costituiscono un forte elemento di offesa al bene protetto - costituito proprio dalla gestione consapevole e libera del territorio da parte dell'ente esponenziale - e tale offesa, se non rimossa, produrrebbe inevitabili ulteriori effetti dannosi atteso il carattere permanente della violazione. In altri termini, è la lottizzazione abusiva che si pone insanabilmente in contrasto con la libertà del comune di governare il territorio, così come sono le caratteristiche radicali di questo contrasto che giustificano sia l'esclusione di sanatorie per il reato sia automaticità della confisca.


15. Una volta chiarito questo essenziale aspetto delle vicende legate alla lottizzazione abusiva, è agevole trarre due conclusioni. La prima: la confisca disposta dal giudice è provvedimento che non può porsi in contrasto con la libertà del comune di determinare le proprie politiche perché, al contrario, essa costituisce lo strumento fondamentale con cui l'ordinamento rimuove un ostacolo e restituisce al comune quella libertà che è stata violata e condizionata dalla condotta illecita dei privati. Sono gli autori della lottizzazione abusiva che hanno posto il comune di fronte al fatto compiuto e che potrebbero - e in genere, come è facilmente comprensibile, possono - ancora condizionare le scelte successive degli amministratori. La seconda: il trasferimento della proprietà dei beni al comune mette quest'ultimo in condizione di dare ad essi la destinazione che ritiene opportuna, senza che tale destinazione subisca alcuna influenza dall'ordine del giudice. In altri termini, il comune è libero di dare alle aree confiscate la destinazione che ritiene più opportuna, senza che il processo penale, che si è ormai concluso, possa comportare ulteriori condizionamenti. Con l'ordine di trasferimento della proprietà al patrimonio comunale l'intervento del giudice si esaurisce e il diritto dell'ente comunale sul bene è pieno e non condizionato.


Ciò consente di concludere che la confisca giudiziale non è (non può essere) incompatibile con i successivi provvedimenti dell'ente territoriale. Se incompatibilità sussiste, questa si indirizza, piuttosto, nei confronti del permanere del diritto di proprietà e delle relative aspettative in capo ai privati che hanno subito l'ablazione. Ma proprio tale incompatibilità si pone a fondamento dell'istituto della confisca e ne è la ragione di essere: separare giuridicamente l'autore della lottizzazione dal diritto sulla cosa, che viene trasferito all'ente pubblico.


16. Solo avendo presenti questi principi è possibile passare all'esame del primo aspetto poco sopra accennato: la compatibilità della confisca con il carattere non definitivo delle sanzioni amministrative.


Si potrebbe obiettare, infatti, che la confisca così intesa e così applicata assume carattere di definitività, per cui i privati spogliati del bene non potrebbero mai chiederne la revoca. Non è necessariamente così, ma occorre premettere una notazione.


La confisca, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, comporta l'inevitabile trasferimento della proprietà sulla cosa dal privato al nuovo destinatario del bene, sia esso lo Stato (art.240 c.p.) o, nel nostro caso, il comune. Ora sappiamo che la proprietà è diritto pieno, che non consente limitazioni incompatibili con il proprio fondamento, quanto meno nel senso che va escluso che il comune possa divenire proprietario avendo a tempo indeterminato un obbligo, seppure condizionato, di retrocedere il bene.


Se questo è vero, dalla circostanza che il comune dopo il passaggio in giudicato della sentenza decida di rendere edificabili proprio i terreni oggetto di lottizzazione non può in alcun modo farsi derivare un obbligo, non previsto da alcuna disposizione, di ritrasferire la proprietà ai privati che subirono l'ablazione. Essendo divenuto pieno proprietario (con trasferimento a titolo originario, caratteristica che rafforza la cesura irreversibile nella titolarità dei beni rispetto ai precedenti proprietari), il comune può scegliere quale utilizzo dare agli immobili pervenutigli per ordine del giudice. Può decidere di dare corso in proprio alle opere di lottizzazione, in tutto o in parte; può decidere di cedere i terreni a persone interessate a dare corso all'edificazione; può decidere di locare i terreni, di darli in comodato, e così via. Se così non fosse, porremmo a carico della proprietà un limite che non risulta presente nell'ordinamento e che non trova fondamento in alcuna disposizione di legge.


17. I principi fin qui affermati consentono, si è visto, di giungere alla conclusione che il comune conserva la piena e incondizionata potestà di programmazione e gestione del territorio, e che va escluso che dall'adozione di nuovi strumenti urbanistici derivi una fonte di retro-trasferimento della proprietà in favore dei privati destinatari dell'ordine di confisca.


Ciò non significa, tuttavia, che proprio nell'ambito di quella potestà di gestione del territorio il comune non possa adottare strumenti che tengono conto della realtà preesistente rispetto alla sentenza che ha ordinata la confisca. Qualora ragioni di opportunità e di convenienza consiglino di destinare l'area lottizzata alla edificazione da parte di privati, il comune può decidere di non esercitare in proprio le iniziative di edificazione e di non conservare la proprietà sui terreni e sui manufatti che eventualmente vi insistono.


Nel caso che a tali scelte seguano da parte del comune atti dispositivi volontari ed a titolo oneroso che trasferiscono la proprietà a tutti o parte dei precedenti proprietari, si sarà in presenza di atti aventi natura contrattuale al pari di qualsiasi altro trasferimento di proprietà dal titolare del diritto all'acquirente.


18. La Corte ritiene che le conclusioni cui è giunta non possano essere messe in discussione muovendo dalla contrarietà della soluzione delineata con il carattere (asseritamente) non definitivo della sanzione amministrativa.


Va osservato a tale proposito che assai ampio e variegato si presenta ancora oggi il dibattito sulle caratteristiche della sanzione amministrativa e sugli stessi presupposti di tale categoria giuridica. Se può dirsi che dopo l'introduzione della legge 24 novembre 1981, 689 appare superata la nozione "ampia" della categoria sanzione amministrativa (comprensiva, cioè, di tutte le forme di risposta dell'ordinamento alle violazioni di un precetto, così distinguendosi in dottrina fra sanzioni "punitive", "ripristinatorie", "risarcitorie") in favore di una concezione ristretta del concetto di sanzione, non sembra, tuttavia, che di tale concetto in dottrina e in giurisprudenza siano univocamente individuati gli elementi essenziali. La molteplicità delle fonti e delle fattispecie non risulta, infatti, superata e ricondotta ad unità concettuale dai principi che informano la legge del 1981, anche perché rimane forte la tendenza degli interpreti ad identificare i caratteri della sanzione amministrativa guardando - come termine essenziale di paragone - ai caratteri tipici della sanzione penale.


Ad esempio, nella costruzione teorica del concetto di sanzione amministrativa vi è chi muove dalla distinzione con le "misure amministrative di esecuzione", miranti a "ripristinare una situazione di legalità materiale, restaurando direttamente un bene o interesse leso e eliminando le conseguenze materiali della lesione"; in tale prospettiva, ad esempio, la demolizione a seguito di violazioni edilizie apparterrebbe alla seconda categoria e non a quella delle sanzioni amministrative, così come, si potrebbe aggiungere, l'ordine di confisca e distruzione delle cose pericolose o non 'sanabili' appartiene alla categoria delle misure di sicurezza e non a quella della sanzione penale.


Si afferma, dunque, che la natura non sanzionatoria della demolizione può ricavarsi dal fatto che in tal caso l'azione amministrativa "non ha come obiettivo l'accertamento della responsabilità o l'identificazione e la punizione degli autori dell'abuso, ma ha come obiettivo la restaurazione di una situazione materiale di legalità; di conseguenza, la demolizione è disposta anche nei confronti del titolare del diritto sull'opera abusiva, anche se questi non ha avuto alcun ruolo nella commissione della violazione (si pensi, per esempio, al caso del terzo che abbia acquistato l'opera abusiva)". In questa prospettiva meriterebbero censura le soluzioni della giurisprudenza, amministrativa e ordinaria, che ancora assimilano le misure "ripristinatorie" (nonché le misure pecuniarie cd "alternative", che seguono la logica delle misure di esecuzione) alle sanzioni in senso stretto.


19. Quanto alla confisca, si osserva che Part.20 della citata legge n.689 del 1981 ha introdotto in via generale (sotto la rubrica "sanzioni amministrative accessorie") l'istituto della confisca amministrativa, che sembra ricalcare quello previsto dall'art.240 c.p.; in favore di tale assimilazione depone, ad esempio, la circostanza che il regime introdotto dalla legge del 1981 si caratterizza per la prima volta in senso personalistico, collegato cioè alla responsabilità del titolare, con esclusione della confiscabilità dei beni di terzi.

Tuttavia, accanto a quella disciplinata dalla legge del 1981 permangono altre ipotesi di confisca amministrativa: da quella prevista in campo edilizio dall'art.7 della legge n.47 del 1985, alla confisca introdotta per i beni delle associazioni fasciste o segrete (leggi n.645 del 1952 e n.17 del 1982) per giungere alle ipotesi previste in materia alimentare, valutaria, di caccia e pesca, di armi, di circolazione stradale, e così via.


Siamo, dunque, in presenza di provvedimenti eterogenei che rendono difficile la riconduzione ad istituto unitario, tanto che in dottrina si è proposto di tornare alla individuazione di due modelli distinti: la confisca come misura di sicurezza amministrativa (costituita da ipotesi fra loro diverse, e in qualche modo speciali) e la confisca come sanzione in senso tecnico (quest'ultima riconducibile al sistema introdotto dalla legge n.689 del 1981, che prevede la confisca come misura facoltativa all'interno di un procedimento sanzionatorio; si vedano gli artt.11 e 20 della legge).


20. La Corte ha ritenuto necessario dare conto della complessità del tema concernente la natura sanzionatoria della confisca per evidenziare come quella prevista specificamente per le condotte di lottizzazione abusiva, attese le peculiarità della sua disciplina, sia riconducibile alla categoria amministrativa della sanzione in senso lato e non a quella della sanzione disciplinata dalla legge n.689 del 1981. Quest'ultima legge, invero, si applica alle "violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro" (art.12), così che la stessa legge, fatti salvi i casi di confisca necessaria, configura la "confisca amministrativa" (art.20) come sanzione accessoria a quella pecuniaria. Appare perciò non pertinente il richiamo ai principi dettati dalla legge n.689 del 1981 rispetto ad una fattispecie di illecito punito con sanzione penale, anche se comportante, in via accessoria, l'applicazione di una sanzione amministrativa.


21. Merita, infine, ricordare che alcune delle sanzioni amministrative - come la distruzione, la demolizione e la confisca - presentano un inevitabile carattere di definitività, quanto meno potenziale, come riconosciuto dalla giurisprudenza (si veda Cons. Stato, sent. n.1080 del 25 ottobre 1993, PD 932903, con riferimento all'ordine di demolizione).


Ciò esclude che il criterio della revocabilità delle sanzioni amministrative possa costituire elemento utile in ordine all'interpretazione delle disposizioni in tema di lottizzazione e confisca e alla ricostruzione della disciplina applicabile successivamente alla sentenza penale definitiva che irroga (anche in assenza di un giudicato sulla responsabilità penale) la misura della confisca.


22. Sulla base delle considerazioni che precedono la Corte ritiene che solo l'ente comunale interessato sia titolare dei beni acquisiti a seguito della confisca disposta con la sentenza che in data del 9 marzo 1993 accertò la sussistenza di una lottizzazione abusiva; ne consegue che gli odierni ricorrenti non hanno titolo per richiedere la revoca della confisca e che il ricorso deve essere rigettato.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma il 12 Aprile 2007.

DEPOSITATA CANCELLERIA il 29/05/2007