Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1524, del 14 marzo 2013
Urbanistica.La realizzazione di edifici o corpi di fabbrica in aderenza o in connessione col fabbricato originario non è ristrutturazione

E’ legittimo il diniego di sanatoria per interventi edilizi, realizzati in zona agricola e vincolata, a corredo di preesistente fabbricato, consistenti in: un vano interrato, finito al grezzo, con due lati liberi ed il quarto controterra; struttura di cemento armato costituita da una platea di fondazione di 13,60 ml x 4,70, con cinque pilastri di altezza di 2,60 ml. ad interventi come quelli in discussione che, per il loro carattere prevalentemente volumetrico ed estensivo del preesistente, finiscono per esulare ampiamente dal concetto di ristrutturazione, la giurisprudenza ha escluso la possibilità di considerare ristrutturazione gli interventi edilizi consistenti in edifici o corpi di fabbrica realizzati in aderenza o in connessione col fabbricato originario. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 01524/2013REG.PROV.COLL.

N. 05638/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5638 del 2009, proposto da: 
Gabriella Dulbecco, rappresentata e difesa dagli avv. Federico Tedeschini, Daniele Granara, Maria Teresa Semeria, con domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7;

contro

Comune di Civezza, rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Maoli, con domicilio eletto presso Riccardo Maoli in Roma, via Carducci, 4;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 00445/2009, resa tra le parti, concernente diniego istanza di permesso di costruire in sanatoria.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Civezza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 gennaio 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Daniele Granara e Francesco Paoletti (su delega di Riccardo Maoli);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1.- Con ricorso al TAR Liguria la sig.ra Gabriella Dulbecco, proprietaria in Comune di Civezza (prov. di Imperia) di un terreno con retrostante manufatto ad uso agricolo e da tempo diroccato, esponeva di aver presentato all’Amministrazione un progetto di ristrutturazione del predetto immobile, situato in zona agricola soggetta a vincolo paesistico. Con autorizzazione ambientale (n.1405/2005) e permesso di costruire (n.16/2005), il Comune assentiva l’intervento nel rispetto della volumetria, tipologia e destinazioni originarie. Successivamente il Comune accertava la realizzazione di lavori in totale difformità dal permesso rilasciato (realizzazione di un ampliamento e di un secondo corpo di fabbrica) ed ingiungeva il ripristino dello stato dei luoghi (prov.1.8.2006, n.269).

1.2- In data 28.11.2006 la sig.ra Dulbecco presentava al Comune una istanza di sanatoria delle cennate opere, prive di titolo edilizio e contestuale variante al permesso in origine rilasciato. Sulla domanda si registrava il parere positivo della Soprintendenza (nota n.3043/2007), in sede di nulla osta ai sensi del decreto n.42/2004, ma anche il parere negativo (25.9.2007) della CEI del Comune, per profili di contrasto dell’intervento con le disposizioni del PUC in materia di nuovi volumi ammessi e di distanze dai confini. Seguiva un ordine di demolizione (n.291/2008) emesso dal Comune relativamente ai seguenti interventi:

- fabbricato (di ml. 7,15x5.50) ultimato;

- nel retro di quest’ultimo ed unito allo stesso da un lato, vano finito al grezzo, con due lati liberi ed il quarto controterra;

- struttura di cemento armato costituita da una platea di fondazione di 13,60 ml x 4,70, con cinque pilastri di altezza di 2,60 ml..

1.3 - Col predetto ricorso la sig.ra Dulbecco impugnava sia il diniego di sanatoria-variante che l’ordine di rimozione e demolizione dei cennati manufatti. Oggetto del ricorso erano altresì:

- il parere della commissione edilizia integrata reso nella seduta del 25.9.2007, verbale n. 2;

- il parere del responsabile del procedimento in data 25.9.2007;

- la nota del responsabile del servizio tecnico prot. n. 2538 del 27.9.2007, recante comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990 e s.m.i.;

- l'atto del responsabile del servizio tecnico prot. n. 2929 del 9.11.2007, ricevuto il 4.12.2007, avente ad oggetto ordinanza di demolizione e rimessa in pristino n. 269 del 01.08.2006, notificata all'interessata in data 18.08.2006 con riapertura decorrenza termini;

- la comunicazione di secondo avvio procedimento, prot. n. 67 del 10.01.2008.

A supporto del ricorso l’interessata deduceva motivi riassumibili come segue:

1)- Violazione e falsa o mancata applicazione dell’art. 36 del D.P.R. 6\6\2001 n. 380, in relazione alla violazione e falsa o mancata applicazione degli artt. 167 e 181 del D. Lgs. 22\1\2004 n. 42. Eccesso di potere per difetto del presupposto e per contraddittorietà ed illogicità manifeste.

Travisamento. Sviamento.

2)- Violazione e falsa o mancata applicazione dell’art. 36 del D.P.R. 6\6\2001 n. 380, in relazione alla violazione e falsa o mancata applicazione degli artt. 9, 10, 22 e 49 delle NTA del PUC vigente nel Comune di Civezza e dell’art. 33 del livello puntuale del medesimo. Eccesso di potere per difetto del presupposto e per contraddittorietà ed illogicità manifeste. Sviamento.

3)- Violazione e falsa o mancata applicazione dell’art. 36 del D.P.R. 6\6\2001 n. 380. Eccesso di potere per difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione e per contraddittorietà ed illogicità manifeste. Sviamento.

4)- Violazione e falsa o mancata applicazione dell’art. 36 del D.P.R. 6\6\2001 n. 380 in relazione alla violazione dell’art.3 della l.n.241\90. Eccesso di potere per difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione e per contraddittorietà ed illogicità manifeste.

5)- Violazione e falsa o mancata applicazione dell’art. 36 del D.P.R. 6\6\2001 n. 380. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Incompetenza.

6)- Illegittimità derivata della ingiunzione di demolizione conseguente alla illegittimità dell’atto di diniego presupposto.

7)- Violazione e falsa o mancata applicazione degli artt. 27 e 31 del D.P.R. 6\6\2001 n. 380, in relazione alla violazione dell’ art. 3, comma 1, lett. e.6), e degli artt. 10 e 22 del D.P.R. medesimo e alla violazione dell’art. 4, comma 1, lett. c), della l.r. 10\7\2002 n. 29 e dell’art. 9 delle norme di attuazione, conformità e congruenza del P.U.C. del Comune di Civezza. Eccesso di potere per difetto del presupposto e travisamento dei fatti.

8)- Violazione e mancata applicazione dell’art. 33 del D.P.R. 6\6\2001 n. 380. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria.

9)- Violazione degli artt.7, 8, 9 e 10 della l.n.241\90. Violazione dei principi in materia di giusto procedimento. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.

10)- Violazione del principio di legalità, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Violazione del dovere di astensione. Sviamento.

- Veniva inoltre avanzata domanda di risarcimento dei danni subiti, poi specificata nella memoria conclusiva.

1.4.- Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo, ritenendo fondati tutti i motivi di legittimità proposti, accoglieva il ricorso limitatamente alla domanda di annullamento del diniego del permesso di costruire in sanatoria e, in via derivata, del successivo e dipendente provvedimento di demolizione n. 291 del 10/1/2008. Il Tribunale respingeva invece l’istanza risarcitoria.

2.- Avverso tale capo della decisione la sig.ra Dulbecco ha proposto l’odierno appello a questo Consiglio, chiedendo la riforma della sentenza impugnata e svolgendo motivi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente pronunzia.

2.1.- Si è costituita nel giudizio l’amministrazione comunale intimata, resistendo al gravame e proponendo contestualmente (con atto notificato il 26.9.2009 e depositato l’1.10.2009) un appello “incidentale”, sostenuto da motivi parimenti riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente sentenza.

2.2.- Con rispettive memorie le parti hanno riepilogato le proprie tesi e, alla pubblica udienza dell’ 8 gennaio 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1.- Dall’esame dei provvedimenti impugnati in primo grado, emerge che la vicenda sottoposta alla Sezione ha per oggetto la sanabilità giuridica e la realizzabilità di varianti negate dal Comune di Civezza, dei seguenti interventi edilizi, realizzati in zona agricola e vincolata a corredo di preesistente fabbricato :

- nel retro di quest’ultimo ed unito allo stesso da un lato, un vano interrato, finito al grezzo, con due lati liberi ed il quarto controterra;

- struttura di cemento armato costituita da una platea di fondazione di 13,60 ml x 4,70, con cinque pilastri di altezza di 2,60 ml.

Il TAR della Liguria ha ritenuto il diniego di sanatoria-variante illegittimo..

1.1.- Sul piano processuale, il tema del contendere è introdotto dalla proposizione di due ricorsi:

- l’appello principale, proposto dalla sig.ra Dulbecco, che verte unicamente sulla spettanza del risarcimento del danno correlato all’illegittimità del diniego di sanatoria-ampliamento e di successivo provvedimento di demolizione, annullati dal TAR con la sentenza impugnata;

- l’appello “incidentale” proposto dal Comune di Civezza che, oltre a resistere alla domanda risarcitoria (respinta dal TAR ed in questa sede riproposta), censura la decisione di primo grado, sostenendo che i cennati provvedimenti di diniego di sanatoria edilizio e di demolizione sono esenti dai vizi rilevati invece dall’erronea pronunzia resa dal primo giudice.

1.2.- La trattazione del controricorso, nella parte in cui, in realtà, propone un appello autonomo contro la sentenza, deve avvenire con priorità, poiché dalla sua decisione dipende l’esito della domanda di risarcimento, oggetto del ricorso principale.

2.- L’appello del Comune, che avversa la sentenza del TAR in tutte le sue motivazioni , è sostenuto da cinque doglianze.

2.1.- Si rivela fondata anzitutto la prima censura , mossa contro l’accoglimento dei motivi primo e terzo, i quali sostenevano che le opere non comportassero aumento di cubatura e non si ponessero perciò in contrasto con l’art. 167 del decreto n.42 e la rilevata contraddizione tra i due pareri resi dalla CEI (20.2.07 e 25.9.2007). Su questi profili il TAR ha ritenuto che: “ In data 16/3/2007 prot. N.3043 la Soprintendenza della Liguria per i beni architettonici e per il paesaggio ha espresso un parere favorevole, dal punto di vista della compatibilità paesistica, in relazione alle opere eseguite in difformità. Infondato, quindi, si rivela l’assunto su cui si fonda il diniego comunale ripreso dalla commissione edilizia integrata, che sostiene il contrasto delle opere con l’art. 167 del decreto n.42\2004”. Il Comune deduce in contrario che la definizione della questione della conformità dell’intervento contestato rispetto al vincolo paesaggistico non si esaurisce nella valutazione sul punto compiuta dalla Soprintendenza, ma deve avvenire alla stregua delle disposizioni recate al riguardo dal PUC, il quale, all’art. 9 delle norme di congruenza operanti in sede di sanatoria, la consente solo per i lavori che non abbiano creato superfici o volumi ulteriori rispetto a quelli originari. Il motivo testé riassunto è fondato.

La disposizione dell’art. 9 del PUC (peraltro non contestata mediante impugnazione), reca in realtà una disciplina della sanatoria in senso restrittivo e speciale rispetto all’art. 167 del decreto n.42/2004, valutando i nuovi volumi od ampliamenti come un oggettivo elemento di contrasto con l’integrità del paesaggio. In altri termini, per effetto di detta disposizione (peraltro non contestata, si ripete, mediante impugnazione), il vincolo paesaggistico, che, secondo principi generali in materia, riveste natura “relativa” (lasciando perciò margini di discrezionalità valutativa sulla compatibilità dell’intervento), viene in sede di sanatoria ad essere disciplinato, presso il Comune di Civezza, in maniera molto più rigorosa, precludendo in via generale (salvo ridottissime eccezioni) realizzazione di superfici e volumi nuovi o in ampliamento rispetto a quelli preesistenti. In presenza di tale disposizione il parere positivo emesso della Sovrintendenza, peraltro espresso con riferimento a tutte le opere, resta limitato ai profili generali inerenti le altre opere di completamento, ma non può condurre a legittimare nuove realizzazioni di volumi, sulle quali si controverte, e quindi vincolare il Comune a disporre una sanatoria secondo le valutazioni di compatibilità formulabili in applicazione dell’art. 167 del citato decreto.

2.2.- Il secondo motivo d’appello, che entra nello specifico della normativa locale, critica la sentenza per aver affermato che le opere si collocano al di sotto del piano di campagna e che i provvedimenti gravati realizzano la violazione dell’art. 20 del PUC in tema di distanza delle opere dai confini con le proprietà limitrofe. Si tratta di due aspetti distinti.

a) Il primo viene in rilievo ove il TAR osserva che l’art. 22 del PUC permette la sanatoria di manufatti pertinenziali interrati, tra i quali andrebbe collocato il magazzino-cantina. Sulla questione (trattata dal Comune al punto 2.2 dell’appello) il primo giudice si è limitato ad affermare che i manufatti sono sotto il piano di campagna, ma tale notazione non corrisponde necessariamente all’interramento, potendo essere edificate costruzioni sotto il piano di campagna ma non interrate. L’esame della planimetria dei luoghi annessa alla istanza di sanatoria (v. prospetti SUD, OVEST e sezione AA dell’elaborato progettuale), dimostra poi un interramento soltanto parziale, che non può ritenersi sufficiente al fine di assentire l’intervento in base all’art. 22; in effetti dalla documentazione fotografica risulta un interramento delle opere da sanare solo per i due lati che si sviluppano tra il retro della costruzione originaria e la forte pendenza del terreno, mentre per gli altri due la chiusura è costituita da muratura. Secondo il Collegio, osta alla sanatoria di immobili non del tutto interrati il decisivo e già svolto rilievo che l’intervento insiste in zona soggetta al cennato vincolo paesaggistico particolarmente rinforzato dalla ricordata disciplina locale della sanatoria (art. 9 del PUC); in presenza di questa, la prescrizione dell’interramento deve essere interpretata nel senso che solo quello totale avrebbe permesso di assentire l’intervento, poiché in effetti solo in tal modo esso non avrebbe avuto alcun impatto sulla bellezza di insieme oggetto di protezione, in logica applicazione del vincolo come regolato dalla normativa locale.

Del resto tale conclusione collima anche con la natura tendenzialmente restrittiva dell’ambito (definito, dall’art. 20 del PUC, di “conservazione AC/: zona agricola sostanzialmente inedificata) in cui si collocano gli immobili interessati dal progetto di sanatoria-variante.

b) Quanto al problema della distanza dal confine, il TAR ha accolto la tesi dell’inapplicabilità dell’art. 20 del PUC in forza di atti privati, che, anche ad avviso della ricorrente principale, comproverebbero l’esistenza di servitù a carico dei confinanti, o che comunque permetterebbero di costruire in deroga alle distanza di cui si tratta. Sul punto il Comune appellante, dopo aver sostenuto di non aver concesso alcuna deroga, fa correttamente rilevare che gli atti di servitù non risultano redatti in forma pubblica e sono pertanto nulli ex art. 1350 n.4 del codice civile. Anche queste argomentazioni debbono essere condivise. In effetti gli atti che il TAR ha ritenuto decisivi al riguardo sono costituiti da semplici dichiarazioni informali rese dai confinanti, di rinunzia a far valere la distanza prevista dalla norma urbanistica, le quali non possono esplicare perciò alcuna efficacia giuridica in senso derogatorio della norma di piano. Ritiene, infatti il Collegio che, in via generale, un limite di distanza dai confini imposto da norma di uno strumento urbanistico non possa essere derogato da una pattuizione privata, essendo il primo destinato, nel pubblico interesse, a realizzare un ordinato sviluppo dell’attività edilizia e ponendo a tal fine limiti non surrogabili da quelli meno intensi posti dalle fonti civilistiche operanti tra privati (e delle quali la controparte del Comune domanda l’applicazione).

La difesa dell’appellata ribatte che, in base alla normativa, il limite di trenta metri si applicherebbe solamente alle nuove costruzioni e non agli interventi di ristrutturazione con aumento volumetrico del 20% del volume esistente alla data di entrata in vigore del PUC per realizzarne l’adeguamento igienico sanitario. Ma, prescindendo dal fatto che non è questa la ragione addotta dal TAR per accogliere la censura svolta sul punto, va osservato che la citata disposizione (contenuta nell’art. 20 del PUC) opera limitatamente agli ampliamenti finalizzati all’adeguamento igienico e non appare perciò applicabile ad interventi come quelli in discussione che, per il loro carattere prevalentemente volumetrico ed estensivo del preesistente, finiscono per esulare ampiamente dal concetto di ristrutturazione.

A questo riguardo, non va peraltro obliterato che la giurisprudenza ha escluso la possibilità di considerare ristrutturazione gli interventi edilizi consistenti in edifici o corpi di fabbrica realizzati in aderenza o in connessione col fabbricato originario (cfr. Cons. di Stato, sez.V, n.1255/1998).

2.3.- Con il terzo ordine di rilievi, il Comune contrasta l’accoglimento dei motivi quarto e quinto del ricorso al TAR, mediante i quali la controparte aveva dedotto a carico del diniego di sanatoria-variante, i vizi di illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione. In merito, il primo giudice ha ritenuto che l’impugnato diniego sia stato emesso senza motivare ragioni del contrario avviso espresso dalla CEI (25.9.2007), rispetto a precedenti pareri favorevoli (23.5.2006 e 20.2.2007) emessi dallo stesso organo, nonché dalla Sovrintendenza. L’amministrazione evidenzia invece la presenza delle ragioni ostative alla sanatoria, argomentando come il sopraggiungere di detto accertamento legittimava il parere contestato al superamento dei precedenti pareri favorevole della CEI e sostenendo come sia proprio la sentenza a non indicare le ragioni per le quali gli interventi realizzati risulterebbero rispondenti alle norme del PUC.

In disparte quest’ultimo profilo, nonché quello del discostamento dall’avviso della Sovrintendenza (in quanto entrambi già sopra trattati), il Collegio rileva anzitutto che il contestato parere non può formalmente considerarsi immotivato, come ritenuto dal TAR, poiché dalla sua lettura emergono con chiarezza le ragioni giuridiche che sostengono il suo contenuto negativo. Quanto al profilo del contrasto con i precedenti pareri favorevoli, nulla osta a che nel procedimento edilizio i pareri resi dalla CEI possano essere oggetto di motivato riesame in sede successiva, sicché la rappresentazione, in quest’ultima sede, di motivi ostativi prima non rilevati non può oggettivamente configurare un’ipotesi di contraddittorietà, realizzando piuttosto la semplice e legittima possibilità di rivedere il parere precedentemente emesso.

2.4.- Il quarto motivo svolto dal Comune contrasta l’annullamento del provvedimento di demolizione, del quale la ricorrente in primo grado sosteneva l’illegittimità derivata da quella del diniego di sanatoria. Il Collegio fa quindi rinvio a quanto già osservato sul motivo d’appello che riguarda quel capo della decisione gravata.

2.5.- La quinta ed ultima doglianza critica e ritiene erronea ed illogica la pronunzia del TAR ove ha affermato che la non costituzione dell’amministrazione in quel processo, nonché la “copiosa messe di atti depositati” dalla ricorrente, “impongono di ritenere pacifica la realtà processuale emersa in giudizio”. La censura, tuttavia, può ritenersi superata dalla positiva valutazione giuridica sostanziale da parte del Collegio dei motivi dell’appello sin qui esaminati.

2.6.- Il gravame del Comune di Civezza, conclusivamente, è meritevole di accoglimento.

3.- Va quindi trattato l’appello principale avente per oggetto la reiezione della domanda risarcitoria proposta dalla sig.ra Dulbecco, basata sul sostenuto pregiudizievole prolungarsi dei tempi di realizzazione delle opere, in quanto ostacolate dai provvedimenti amministrativi gravati, poi annullati dal Tribunale.

3.1.- La decisione da quest’ultimo adottata è sostenuta dalle seguenti argomentazioni:

- “Quanto ai tempi processuali, il ricorso risulta depositato in data 13 febbraio 2008 e la sospensiva, che accoglieva la domanda cautelare veniva decisa e pubblicata la settimana successiva (il 21\2\2008) ed a distanza minore di un anno viene definito il giudizio di primo grado.

- Quanto alla sostanza della domanda di risarcimento, nonostante sia stata adombrata nella memoria una ricostruzione della vicenda che vorrebbe stigmatizzare il comportamento di un tecnico comunale ostile alla ricorrente, le verifiche richieste dall’amministrazione nel corso del procedimento non appaiono di per sé censurabili.

- La verifica del rispetto del piano originario di campagna, come pure il parere favorevole della CEI del febbraio 2007, subordinato alla eliminazione di sporti che avrebbero creato volumi non ammessi dal PUC nella zona oggetto dell’intervento, testimoniano l’assenza della prova di una colpa dell’amministrazione, elemento che costituisce il fondamento della domanda di risarcimento, che va dunque rigettata.

- Infine, nessuna dimostrazione la ricorrente ha offerto della non abitabilità della casa, posto che le opere realizzate riguardavano essenzialmente locali esterni all’abitazione, e comunque che il mese dopo la proposizione del ricorso la sospensione dell’efficacia del provvedimento di demolizione avrebbe consentito alla parte di chiedere al Comune di rivedere il proprio operato in autotutela, chiedendo un riesame della pratica edilizia”.

3.2.- Contro la sopra riportata ed articolata motivazione, l’appellante principale, che ripropone la domanda di risarcimento per equivalente (in misura non inferiore ad Euro 200.000 oltre interessi e rivalutazione monetaria), evidenzia:

- il danno derivante dal protrarsi dei tempi di attesa del permesso di costruire;

- la colpa dell’amministrazione per negligenza, per non aver proceduto alla verifica del piano di campagna e non aver rilevato che il progetto prevedeva l’eliminazione di alcuni “sporti” e più in generale per negligente applicazione della normativa;

- il riconoscimento da parte del TAR dell’illegittimità del diniego di sanatoria e quindi, in modo indiretto, della sussistenza di gravi danni da lesione di interesse legittimo per l’appellante, che non si sarebbero verificati ove la sua istanza di sanatoria fosse stata come di dovere accolta;

- la mancata astensione, nella trattazione della pratica,da parte del responsabile dell’ufficio comunale, avendo egli prestato separatamente consulenza a pagamento nella trattazione dell’istanza di sanatoria.

3.3.- L’appello è infondato.

Nessuna delle riportate osservazioni mosse dalla ricorrente alla sentenza è in grado di superare un rilievo di natura assorbente, costituito dalla non configurabilità di una colpa dell’amministrazione nel comportamento tenuto sulla domanda di sanatoria-variante e che l’azione in esame tende invece ad affermare. Ciò sia accogliendo la prospettazione del TAR, che ha rigettato l’azione pur annullando il contestato diniego, sia, a maggior ragione, per effetto della decisione resa in questa sede sull’appello del Comune, la quale, verificando come gli atti impugnati fossero esenti dai vizi denunziati, viene ad eliminare in radice ogni elemento minimale per la configurazione effettiva di un “vulnus” di posizione risarcibile.

4. - Conclusivamente:

- l’appello del Comune di Civezza è meritevole di accoglimento, con conseguente riforma del capo della sentenza impugnata e conseguente reiezione del ricorso di primo grado;

- l’appello principale deve essere respinto in quanto infondato.

5.- Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe,

1.- accoglie l’appello “incidentale” del Comune di Civezza e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado proposto dalla sig.ra Dulbecco;

2- respinge l’appello principale, confermando la sentenza impugnata in punto rigetto della domanda risarcitoria;

3.- condanna l’appellante Dulbecco, soccombente sia nell’appello principale che in quello “incidentale”, al pagamento, in favore del Comune di Civezza (non costituito in primo grado) delle spese del presente grado di giudizio, che liquida complessivamente in Euro cinquemila/00 (5.000/00), oltre accessori di legge.

4.- Nulla dispone per le spese del giudizio di primo grado, per mancata costituzione del Comune di Civezza.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 gennaio 2013 , dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con l’intervento dei signori:

Paolo Numerico, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)