TAR Emilia Romagna (PR) Sez. I n. 161 del 28 aprile 2009
Urbanistica. Verbale di sopralluogo UTC
Il verbale di sopralluogo con cui i tecnici comunali accertano l’avvenuta commissione di abusi edilizi è atto dotato di fede privilegiata e, come tale, fa prova fino a querela di falso dei fatti attestati, con la sola eccezione delle valutazioni soggettive che, per condurre in via unicamente deduttiva a date conclusioni, non presentano le caratteristiche di rilevamenti obiettivi
Urbanistica. Verbale di sopralluogo UTC
Il verbale di sopralluogo con cui i tecnici comunali accertano l’avvenuta commissione di abusi edilizi è atto dotato di fede privilegiata e, come tale, fa prova fino a querela di falso dei fatti attestati, con la sola eccezione delle valutazioni soggettive che, per condurre in via unicamente deduttiva a date conclusioni, non presentano le caratteristiche di rilevamenti obiettivi
N. 00161/2009 REG.SEN.
N. 00237/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 237 del 2007 proposto da Restori Bruno, Restori Enrica e Restori Gabriele, rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Piva e dall’avv. Antonio Andreoli, e presso gli stessi elettivamente domiciliati in Parma, via XXII Luglio n. 3;
contro
il Comune di Fontevivo, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Ollari e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Parma, borgo Zaccagni n. 1;
per l'annullamento
dell’ordinanza prot. n. 5837 del 22 maggio 2007, con cui il Responsabile di Settore del Comune di Fontevivo ha ingiunto ai ricorrenti la demolizione di opere abusive;
dell’atto prot. n. 6187 del 30 maggio 2007, con cui il Responsabile di Settore del Comune di Fontevivo ha ingiunto ai ricorrenti il pagamento di una sanzione pecuniaria nell’importo di € 44.210,00;
del verbale di accertamento prot. n. 14857 del 16 dicembre 2006;
della nota prot. n. 5558 del 16 maggio 2007, recante integrazione del verbale del 16 dicembre 2006;
della relazione tecnica di accertamento prot. n. 6082 del 28 maggio 2007;
dei documenti prot. n. 6137 e n. 6138 del 29 maggio 2007, relativi alla determinazione del valore dell’immobile prima e dopo l’intervento;
della comunicazione prot. n. 10452 del 13 settembre 2007 (a mezzo di atto di “motivi aggiunti” depositato il 2 novembre 2007);
per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Fontevivo;
Visto l’atto di “motivi aggiunti” depositato il 2 novembre 2007;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 7 aprile 2009 i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Riferiscono i ricorrenti che essi sono comproprietari di un immobile ubicato nel Comune di Fontevivo (fg. 18 mapp. 338 e 341 del C.T.); che, a seguito di parziale crollo del fabbricato, venivano eseguiti nell’agosto 2001 lavori di messa in sicurezza delle strutture pericolanti e di realizzazione dell’ossatura della scala di accesso ai piani superiori; che nel gennaio 2002 l’Amministrazione comunale rilasciava concessione edilizia per la ristrutturazione del fabbricato; che, successivamente, nell’assunto che i lavori eseguiti fossero difformi dal titolo abilitativo, l’ente locale ingiungeva, per una parte delle irregolarità, la demolizione delle opere abusive (v. ordinanza prot. n. 5837 del 22 maggio 2007, a firma del Responsabile di Settore) e, per l’altra parte delle irregolarità, il pagamento della sanzione pecuniaria nell’importo di € 44.210,00 (atto prot. n. 6187 del 30 maggio 2007, a firma del Responsabile di Settore).
Avverso tali atti e i verbali e accertamenti ivi richiamati hanno proposto impugnativa gli interessati, deducendo:
1) Violazione di legge. Violazione ed erronea applicazione della legge n. 241/1990, con particolare riferimento agli artt. 7 e 10-bis. Nullità del procedimento. Illogicità. Contraddittorietà manifesta.
E’ stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento, e ciò ha impedito agli interessati di partecipare al relativo “iter”, sacrificandone le garanzie a tale fine previste dalla legge.
2) Violazione di legge. Violazione ed erronea applicazione del d.P.R. n. 380/2001, con particolare riferimento all’art. 33, e dell’art. 14 della legge reg. n. 23/2004. Illogicità manifesta. Contraddittorietà tra provvedimenti dello stesso procedimento. Erroneo presupposto di fatto.
Illegittimamente l’Amministrazione comunale ha provveduto ad irrogare la sanzione pecuniaria nonostante l’assenza di una richiesta in tal senso da parte dei ricorrenti, e ciò in violazione del disposto di cui all’art. 14 della legge reg. n. 23 del 2004. Non è poi vero che gli interventi effettuati abbiano determinato un aumento di valore dell’immobile, in quanto la scala è stata ricostruita con lo stesso ingombro e le stesse dimensioni precedenti, e ne risulta effettuata solo una minima traslazione. Quanto, infine, all’asserita insuscettibilità di ripristino delle opere abusive di cui alla lett. A), si tratta di determinazione in palese contrasto con quanto è stato disposto in sede di ordine di demolizione, quando si è ritenuto di dovere ingiungere la rimozione di quelle stesse opere.
3) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Carenza dei presupposti legittimanti i provvedimenti impugnati. Erroneità manifesta. Contraddittorietà. Difetto di istruttoria. Difetto di contraddittorio. Illogicità della motivazione.
Gli abusi contestati non sono stati in realtà posti in essere, e non si è determinato aumento di superficie utile o di cubatura. In effetti, la scala di accesso ai piani superiori è stata ricostruita con lo stesso ingombro e le stesse dimensioni precedenti al crollo, e ne risulta effettuata solo una minima traslazione (metri 2), mentre nel sottotetto è stato semplicemente realizzato un piccolo vano di mq. 3,5 che avrebbe dovuto diventare un servizio igienico (ma i sanitari sono stati già rimossi e gli impianti sigillati). Quanto, poi, all’ordine di cessazione dell’unità abitativa autonoma ricavata nel sottotetto, va considerato che non vi è mai stata utilizzazione a fini residenziali, e che sono stati già rimossi o disattivati alcuni degli impianti a ciò asseritamente destinati.
4) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Illogicità e contraddittorietà manifeste. Difetto di motivazione. Perplessità.
La misura della sanzione pecuniaria assume a riferimento la complessiva superficie di mq. 64,75, senza tenere conto del fatto che le opere abusive o sono state rimosse o non hanno determinato aumento di valore. Non si comprende dunque con quali criteri l’Amministrazione abbia proceduto all’individuazione del presunto aumento di valore dell’immobile interessato dagli interventi.
Concludono i ricorrenti per l’annullamento degli atti impugnati e per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
Si è costituito in giudizio il Comune di Fontevivo, resistendo al gravame.
L’istanza cautelare dei ricorrenti veniva prima respinta dalla Sezione (ord. n. 184/2007 del 24 luglio 2007) e poi respinta anche dal giudice d’appello (Cons. Stato, Sez. IV, ord. 29 agosto 2007 n. 4471/2007).
Successivamente, avendo l’Amministrazione intimato ai ricorrenti (v. comunicazione prot. n. 10452 del 13 settembre 2007) il pagamento, entro 15 giorni, della somma già oggetto dell’ingiunzione del 30 maggio 2007, nonché della somma relativa alla condanna alle spese di lite della fase cautelare disposta dal giudice d’appello (€ 1.500,00), gli interessati hanno proposto “motivi aggiunti”. Deducono:
1) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Carenza dei presupposti legittimanti i provvedimenti impugnati. Erroneità manifesta. Contraddittorietà. Difetto di istruttoria. Illogicità della motivazione.
Dalla relazione dell’arch. Aldo Cozzi, incaricato dai ricorrenti, emergono la reale consistenza del manufatto e le corrette modalità di quantificazione degli oneri che sarebbero dovuti.
2) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Illogicità manifesta. Contraddittorietà tra atti del procedimento.
Gli interventi effettuati erano stati autorizzati dal titolo edilizio a suo tempo rilasciato dall’Amministrazione comunale, e ciò vale anche per la scala. Pertanto, avrebbe dovuto prima essere annullata la concessione edilizia, se illegittima, e poi eventualmente contestata l’esecuzione delle opere.
3) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Illogicità e contraddittorietà. Carenza di potere.
L’intimazione di pagamento delle spese legali è illegittima, sia perché fissa un termine di 15 giorni per adempiere, sia perché prospetta in caso di inadempimento l’iscrizione del debito a ruolo per il recupero coattivo – al pari della sanzione pecuniaria – nonostante non si tratti di debito riferibile alla procedura urbanistica.
La nuova istanza cautelare dei ricorrenti veniva prima respinta dalla Sezione (ord. n. 238/2007 del 6 novembre 2007) e poi respinta anche dal giudice d’appello (Cons. Stato, Sez. IV, ord. 29 gennaio 2008 n. 493/2008).
All’udienza del 7 aprile 2009, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Ritenuti responsabili dell’effettuazione di opere difformi dalla relativa concessione edilizia e in ragione di ciò destinatari, per una parte degli abusi, dell’ingiunzione di rimozione degli stessi e, per la restante parte delle irregolarità, dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria (€ 44.210,00), i ricorrenti impugnano le determinazioni assunte dall’Amministrazione comunale. Lamentano l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e il conseguente sacrificio delle garanzie partecipative loro riconosciute dalla legge, censurano l’irrogazione della sanzione pecuniaria nonostante l’assenza della necessaria previa richiesta degli interessati (ai sensi dell’art. 14 della legge reg. n. 23/2004), negano la configurabilità stessa dell’aumento di valore dell’immobile a seguito della ricostruzione di una scala di caratteristiche del tutto corrispondenti – e solo in minima parte traslata – rispetto alla situazione di fatto precedente, assumono contraddittorie le valutazioni operate dall’Amministrazione quanto alla possibilità di ripristino o meno degli abusi interessati dalla sanzione pecuniaria, adducono insussistenti le irregolarità addebitate loro o quanto meno già autonomamente eliminate talune delle opere oggetto dell’ordine di demolizione, si dolgono dell’erronea ed incomprensibile parametrazione della sanzione pecuniaria alla complessiva superficie di mq. 64,75. Indi, intimato loro il pagamento di detta sanzione oltre che della somma concernente le sopraggiunte spese di lite del giudizio cautelare d’appello, i ricorrenti hanno proposto “motivi aggiunti”, giacché sarebbe stata indebitamente prevista la futura iscrizione a ruolo (per il recupero coattivo) anche di spese legali estranee alla procedura urbanistica; inoltre, non si sarebbe tenuto conto del fatto che le opere realizzate erano conformi al titolo abilitativo e che questo non era stato annullato in autotutela – ove illegittimo –, risultando in ogni caso dimostrata l’erroneità degli apprezzamenti dell’Amministrazione quanto al presunto incremento di valore dell’immobile. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati e di risarcimento dei danni sofferti.
Muovendo dall’esame delle questioni dedotte con il ricorso introduttivo, e seguendo l’ordine logico delle censure, rileva il Collegio come risulti innanzi tutto infondata la doglianza relativa all’asserita carenza di comunicazione ex art. 7 della legge n. 241 del 1990. In realtà, la difesa del Comune di Fontevivo ha documentato che un avviso in tal senso era stato regolarmente inoltrato ai ricorrenti con nota del 20 febbraio 2007, a mezzo di raccomandata postale (v. doc. n. 9).
Quanto, poi, alla dedotta insussistenza delle irregolarità accertate, gli elementi acquisiti in giudizio depongono per la correttezza delle conclusioni del’Amministrazione. Ed, in effetti, i ricorrenti non contestano che la scala sia stata traslata rispetto alla collocazione originaria, condizione di per sé sufficiente per inficiare la regolarità dei lavori – pur in assenza di un aumento di superficie utile o di cubatura –, tenuto conto della classificazione dell’immobile quale bene di interesse storico-ambientale e per questo assoggettato agli interventi di restauro e risanamento conservativo di tipo “A” ex art. 7 del regolamento edilizio, con conseguente divieto di modifica della posizione di scale e murature portanti. Per la parte relativa al sottotetto, invece, il verbale di sopralluogo del 16 dicembre 2006 riferisce della realizzazione (non prevista dal titolo abilitativo) di un antibagno e di un bagno completo dei relativi sanitari, della concreta adibizione a cucina del locale che avrebbe dovuto invece essere destinato a disimpegno, dell’installazione degli impianti di riscaldamento, idrosanitario e gas, ed elettrico, tutte opere utili a ricavare una nuova unità abitativa, tanto da esservi risultati presenti alcuni extracomunitari che vi alloggiavano; è noto, d’altra parte, che il verbale di sopralluogo con cui i tecnici comunali accertano l’avvenuta commissione di abusi edilizi è atto dotato di fede privilegiata e, come tale, fa prova fino a querela di falso dei fatti attestati, con la sola eccezione delle valutazioni soggettive che, per condurre in via unicamente deduttiva a date conclusioni, non presentano le caratteristiche di rilevamenti obiettivi (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 28 giugno 2005 n. 3434), rilevamenti obiettivi che nella fattispecie invece sussistono e sono anche accompagnati da fotografie, esibite in giudizio, inequivocabilmente comprovanti la circostanza che alcuni dei locali del sottotetto fossero stati attrezzati per non consentite finalità abitative, e quindi per un indebito incremento di cubatura.
Non è fondata neppure la censura imperniata su di una presunta contraddittorietà di più atti del procedimento quanto agli abusi suscettibili o meno di ripristino. Come appare evidente dalla lettura degli atti impugnati, si è prima provveduto ad individuare tre distinti ambiti di irregolarità (scala, sottotetto e trattamento reflui) e poi se ne è dedotta la corrispondente classificazione in: A) lavori di ristrutturazione in totale difformità dalla concessione edilizia rilasciata in quanto la medesima, in considerazione del vincolo di PRG, concerneva esclusivamente un intervento gratuito di restauro e risanamento conservativo, B) incremento delle superfici utili e della cubatura all’interno dell’involucro esistente per trasformazione dei vani accessori del sottotetto in abitazione, nonché aumento delle unità immobiliari a seguito dell’ulteriore alloggio ricavato nel sottotetto in totale difformità dal progetto approvato, C) realizzazione difforme del sistema di trattamento dei reflui derivante dall’immobile in quanto non ispezionabile in tutti i suoi componenti; pertanto, una volta verificata “ … l’oggettiva difficoltà del ripristino delle opere di ristrutturazione costituite dallo spostamento del vano scala in quanto comporterebbe la demolizione di consistenti opere strutturali …”, si è coerentemente ritenuto di procedere all’applicazione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, per l’abuso di cui alla lett. A), ovvero per la parte dei lavori concernente il rifacimento della scala, mentre gli altri interventi sono rimasti assoggettati all’ingiunzione di demolizione.
Altro motivo di censura prospetta l’invalidità della sanzione pecuniaria perché irrogata senza la previa istanza del privato, in violazione del disposto dell’art. 14, comma 2, della legge reg. n. 23 del 2004 (“… lo Sportello unico per l’edilizia, su richiesta motivata dell’interessato presentata a seguito della avvenuta sospensione dei lavori, irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere … qualora accerti, con apposita relazione tecnica, l’impossibilità della rimozione o demolizione delle opere abusive, in relazione al pregiudizio strutturale e funzionale che sarebbe arrecato alle parti residue dell’immobile …”). Ritiene tuttavia il Collegio che, indipendentemente dall’applicabilità o meno (“ratione temporis”) della normativa invocata, allorquando la rimozione autonoma di singole opere abusive risulta oggettivamente preclusa dalla loro non scorporabilità rispetto alle restanti parti del fabbricato o comunque dal concreto pericolo di dare a luogo a cedimenti o gravi deficienze strutturali dell’immobile cui afferiscono, l’Amministrazione sia in ogni caso tenuta a convertire la sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, anche in assenza di una specifica richiesta o segnalazione del privato, dovendosi altrimenti ricorrere alla più gravosa, e in questo caso non contemplata, misura della demolizione estesa a parti regolari del fabbricato o addirittura all’intera costruzione.
Quanto, ancora, all’addotta insussistenza di un reale aumento di valore dell’immobile quale effetto del mero spostamento della scala, e quanto all’asserita incomprensibilità dei criteri seguiti dall’Amministrazione nell’operazione di quantificazione rapportata alla superficie di mq. 64,75, il Collegio osserva come l’analitica descrizione dei conteggi a tale scopo effettuati sia contenuta nelle note comunali prot. n. 6137 e prot. n. 6138 del 29 maggio 2007 (v. docc. n. 16 e n. 17), con la determinazione del costo di produzione al mq. ragguagliata al dicembre 2006 e alle variate condizioni di vetustà e di stato di conservazione risultanti dall’intervento di ristrutturazione, il tutto infine commisurato alla superficie corrispondente alla parte del fabbricato interessata dall’irregolare traslazione del vano scala. Non si tratta dunque di criteri oscuri o illogici, perché tengono conto – in linea con il disposto normativo – del valore finale della componente dell’immobile in cui è stato commesso l’abuso non eliminabile e lo confrontano con il valore precedente, senza che acquisti rilievo la misura in cui l’illecito edilizio abbia in concreto concorso all’incremento di valore, il quale rileva in sé, quale parametro legale di determinazione della sanzione pecuniaria.
Le restanti doglianze sono state proposte a mezzo di “motivi aggiunti”, il cui esame è però impedito dal tardivo deposito del relativo atto presso il giudice adito, sì da doversi dichiara fondata l’eccezione di inammissibilità in tal senso formulata dalla difesa dell’Amministrazione. A fronte della notificazione effettuata in data 24 settembre 2007 al difensore domiciliatario dell’ente locale, il deposito in giudizio avrebbe dovuto intervenire entro i successivi trenta giorni, ai sensi dell’art. 21, comma 2, della legge n. 1034 del 1971, e risulta invece avvenuto solo il 26 ottobre 2007; né la decorrenza del termine può ricondursi alla successiva ulteriore notificazione al domicilio reale dell’Amministrazione, essendo la prima notificazione di per sé sufficiente allo scopo e quindi idonea a completare la fattispecie a tale fine prevista dalla legge (circa la ritualità della notificazione dei “motivi aggiunti” presso il domicilio eletto dalla parte intimata v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 11 ottobre 2007 n. 5354).
In conclusione, il ricorso va in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile.
Le spese di giudizio seguono in parte la soccombenza dei ricorrenti - e vengono liquidate come da dispositivo -, rimanendo per il resto compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile .
Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di € 3.000,00 (tremila/00) – oltre agli accessori di legge –, compensandole per il resto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 7 aprile 2009, con l’intervento dei Magistrati:
Luigi Papiano, Presidente
Italo Caso, Consigliere, Estensore
Emanuela Loria, Primo Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/04/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
N. 00237/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 237 del 2007 proposto da Restori Bruno, Restori Enrica e Restori Gabriele, rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Piva e dall’avv. Antonio Andreoli, e presso gli stessi elettivamente domiciliati in Parma, via XXII Luglio n. 3;
contro
il Comune di Fontevivo, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Ollari e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Parma, borgo Zaccagni n. 1;
per l'annullamento
dell’ordinanza prot. n. 5837 del 22 maggio 2007, con cui il Responsabile di Settore del Comune di Fontevivo ha ingiunto ai ricorrenti la demolizione di opere abusive;
dell’atto prot. n. 6187 del 30 maggio 2007, con cui il Responsabile di Settore del Comune di Fontevivo ha ingiunto ai ricorrenti il pagamento di una sanzione pecuniaria nell’importo di € 44.210,00;
del verbale di accertamento prot. n. 14857 del 16 dicembre 2006;
della nota prot. n. 5558 del 16 maggio 2007, recante integrazione del verbale del 16 dicembre 2006;
della relazione tecnica di accertamento prot. n. 6082 del 28 maggio 2007;
dei documenti prot. n. 6137 e n. 6138 del 29 maggio 2007, relativi alla determinazione del valore dell’immobile prima e dopo l’intervento;
della comunicazione prot. n. 10452 del 13 settembre 2007 (a mezzo di atto di “motivi aggiunti” depositato il 2 novembre 2007);
per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Fontevivo;
Visto l’atto di “motivi aggiunti” depositato il 2 novembre 2007;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 7 aprile 2009 i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Riferiscono i ricorrenti che essi sono comproprietari di un immobile ubicato nel Comune di Fontevivo (fg. 18 mapp. 338 e 341 del C.T.); che, a seguito di parziale crollo del fabbricato, venivano eseguiti nell’agosto 2001 lavori di messa in sicurezza delle strutture pericolanti e di realizzazione dell’ossatura della scala di accesso ai piani superiori; che nel gennaio 2002 l’Amministrazione comunale rilasciava concessione edilizia per la ristrutturazione del fabbricato; che, successivamente, nell’assunto che i lavori eseguiti fossero difformi dal titolo abilitativo, l’ente locale ingiungeva, per una parte delle irregolarità, la demolizione delle opere abusive (v. ordinanza prot. n. 5837 del 22 maggio 2007, a firma del Responsabile di Settore) e, per l’altra parte delle irregolarità, il pagamento della sanzione pecuniaria nell’importo di € 44.210,00 (atto prot. n. 6187 del 30 maggio 2007, a firma del Responsabile di Settore).
Avverso tali atti e i verbali e accertamenti ivi richiamati hanno proposto impugnativa gli interessati, deducendo:
1) Violazione di legge. Violazione ed erronea applicazione della legge n. 241/1990, con particolare riferimento agli artt. 7 e 10-bis. Nullità del procedimento. Illogicità. Contraddittorietà manifesta.
E’ stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento, e ciò ha impedito agli interessati di partecipare al relativo “iter”, sacrificandone le garanzie a tale fine previste dalla legge.
2) Violazione di legge. Violazione ed erronea applicazione del d.P.R. n. 380/2001, con particolare riferimento all’art. 33, e dell’art. 14 della legge reg. n. 23/2004. Illogicità manifesta. Contraddittorietà tra provvedimenti dello stesso procedimento. Erroneo presupposto di fatto.
Illegittimamente l’Amministrazione comunale ha provveduto ad irrogare la sanzione pecuniaria nonostante l’assenza di una richiesta in tal senso da parte dei ricorrenti, e ciò in violazione del disposto di cui all’art. 14 della legge reg. n. 23 del 2004. Non è poi vero che gli interventi effettuati abbiano determinato un aumento di valore dell’immobile, in quanto la scala è stata ricostruita con lo stesso ingombro e le stesse dimensioni precedenti, e ne risulta effettuata solo una minima traslazione. Quanto, infine, all’asserita insuscettibilità di ripristino delle opere abusive di cui alla lett. A), si tratta di determinazione in palese contrasto con quanto è stato disposto in sede di ordine di demolizione, quando si è ritenuto di dovere ingiungere la rimozione di quelle stesse opere.
3) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Carenza dei presupposti legittimanti i provvedimenti impugnati. Erroneità manifesta. Contraddittorietà. Difetto di istruttoria. Difetto di contraddittorio. Illogicità della motivazione.
Gli abusi contestati non sono stati in realtà posti in essere, e non si è determinato aumento di superficie utile o di cubatura. In effetti, la scala di accesso ai piani superiori è stata ricostruita con lo stesso ingombro e le stesse dimensioni precedenti al crollo, e ne risulta effettuata solo una minima traslazione (metri 2), mentre nel sottotetto è stato semplicemente realizzato un piccolo vano di mq. 3,5 che avrebbe dovuto diventare un servizio igienico (ma i sanitari sono stati già rimossi e gli impianti sigillati). Quanto, poi, all’ordine di cessazione dell’unità abitativa autonoma ricavata nel sottotetto, va considerato che non vi è mai stata utilizzazione a fini residenziali, e che sono stati già rimossi o disattivati alcuni degli impianti a ciò asseritamente destinati.
4) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Illogicità e contraddittorietà manifeste. Difetto di motivazione. Perplessità.
La misura della sanzione pecuniaria assume a riferimento la complessiva superficie di mq. 64,75, senza tenere conto del fatto che le opere abusive o sono state rimosse o non hanno determinato aumento di valore. Non si comprende dunque con quali criteri l’Amministrazione abbia proceduto all’individuazione del presunto aumento di valore dell’immobile interessato dagli interventi.
Concludono i ricorrenti per l’annullamento degli atti impugnati e per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
Si è costituito in giudizio il Comune di Fontevivo, resistendo al gravame.
L’istanza cautelare dei ricorrenti veniva prima respinta dalla Sezione (ord. n. 184/2007 del 24 luglio 2007) e poi respinta anche dal giudice d’appello (Cons. Stato, Sez. IV, ord. 29 agosto 2007 n. 4471/2007).
Successivamente, avendo l’Amministrazione intimato ai ricorrenti (v. comunicazione prot. n. 10452 del 13 settembre 2007) il pagamento, entro 15 giorni, della somma già oggetto dell’ingiunzione del 30 maggio 2007, nonché della somma relativa alla condanna alle spese di lite della fase cautelare disposta dal giudice d’appello (€ 1.500,00), gli interessati hanno proposto “motivi aggiunti”. Deducono:
1) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Carenza dei presupposti legittimanti i provvedimenti impugnati. Erroneità manifesta. Contraddittorietà. Difetto di istruttoria. Illogicità della motivazione.
Dalla relazione dell’arch. Aldo Cozzi, incaricato dai ricorrenti, emergono la reale consistenza del manufatto e le corrette modalità di quantificazione degli oneri che sarebbero dovuti.
2) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Illogicità manifesta. Contraddittorietà tra atti del procedimento.
Gli interventi effettuati erano stati autorizzati dal titolo edilizio a suo tempo rilasciato dall’Amministrazione comunale, e ciò vale anche per la scala. Pertanto, avrebbe dovuto prima essere annullata la concessione edilizia, se illegittima, e poi eventualmente contestata l’esecuzione delle opere.
3) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Illogicità e contraddittorietà. Carenza di potere.
L’intimazione di pagamento delle spese legali è illegittima, sia perché fissa un termine di 15 giorni per adempiere, sia perché prospetta in caso di inadempimento l’iscrizione del debito a ruolo per il recupero coattivo – al pari della sanzione pecuniaria – nonostante non si tratti di debito riferibile alla procedura urbanistica.
La nuova istanza cautelare dei ricorrenti veniva prima respinta dalla Sezione (ord. n. 238/2007 del 6 novembre 2007) e poi respinta anche dal giudice d’appello (Cons. Stato, Sez. IV, ord. 29 gennaio 2008 n. 493/2008).
All’udienza del 7 aprile 2009, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Ritenuti responsabili dell’effettuazione di opere difformi dalla relativa concessione edilizia e in ragione di ciò destinatari, per una parte degli abusi, dell’ingiunzione di rimozione degli stessi e, per la restante parte delle irregolarità, dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria (€ 44.210,00), i ricorrenti impugnano le determinazioni assunte dall’Amministrazione comunale. Lamentano l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e il conseguente sacrificio delle garanzie partecipative loro riconosciute dalla legge, censurano l’irrogazione della sanzione pecuniaria nonostante l’assenza della necessaria previa richiesta degli interessati (ai sensi dell’art. 14 della legge reg. n. 23/2004), negano la configurabilità stessa dell’aumento di valore dell’immobile a seguito della ricostruzione di una scala di caratteristiche del tutto corrispondenti – e solo in minima parte traslata – rispetto alla situazione di fatto precedente, assumono contraddittorie le valutazioni operate dall’Amministrazione quanto alla possibilità di ripristino o meno degli abusi interessati dalla sanzione pecuniaria, adducono insussistenti le irregolarità addebitate loro o quanto meno già autonomamente eliminate talune delle opere oggetto dell’ordine di demolizione, si dolgono dell’erronea ed incomprensibile parametrazione della sanzione pecuniaria alla complessiva superficie di mq. 64,75. Indi, intimato loro il pagamento di detta sanzione oltre che della somma concernente le sopraggiunte spese di lite del giudizio cautelare d’appello, i ricorrenti hanno proposto “motivi aggiunti”, giacché sarebbe stata indebitamente prevista la futura iscrizione a ruolo (per il recupero coattivo) anche di spese legali estranee alla procedura urbanistica; inoltre, non si sarebbe tenuto conto del fatto che le opere realizzate erano conformi al titolo abilitativo e che questo non era stato annullato in autotutela – ove illegittimo –, risultando in ogni caso dimostrata l’erroneità degli apprezzamenti dell’Amministrazione quanto al presunto incremento di valore dell’immobile. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati e di risarcimento dei danni sofferti.
Muovendo dall’esame delle questioni dedotte con il ricorso introduttivo, e seguendo l’ordine logico delle censure, rileva il Collegio come risulti innanzi tutto infondata la doglianza relativa all’asserita carenza di comunicazione ex art. 7 della legge n. 241 del 1990. In realtà, la difesa del Comune di Fontevivo ha documentato che un avviso in tal senso era stato regolarmente inoltrato ai ricorrenti con nota del 20 febbraio 2007, a mezzo di raccomandata postale (v. doc. n. 9).
Quanto, poi, alla dedotta insussistenza delle irregolarità accertate, gli elementi acquisiti in giudizio depongono per la correttezza delle conclusioni del’Amministrazione. Ed, in effetti, i ricorrenti non contestano che la scala sia stata traslata rispetto alla collocazione originaria, condizione di per sé sufficiente per inficiare la regolarità dei lavori – pur in assenza di un aumento di superficie utile o di cubatura –, tenuto conto della classificazione dell’immobile quale bene di interesse storico-ambientale e per questo assoggettato agli interventi di restauro e risanamento conservativo di tipo “A” ex art. 7 del regolamento edilizio, con conseguente divieto di modifica della posizione di scale e murature portanti. Per la parte relativa al sottotetto, invece, il verbale di sopralluogo del 16 dicembre 2006 riferisce della realizzazione (non prevista dal titolo abilitativo) di un antibagno e di un bagno completo dei relativi sanitari, della concreta adibizione a cucina del locale che avrebbe dovuto invece essere destinato a disimpegno, dell’installazione degli impianti di riscaldamento, idrosanitario e gas, ed elettrico, tutte opere utili a ricavare una nuova unità abitativa, tanto da esservi risultati presenti alcuni extracomunitari che vi alloggiavano; è noto, d’altra parte, che il verbale di sopralluogo con cui i tecnici comunali accertano l’avvenuta commissione di abusi edilizi è atto dotato di fede privilegiata e, come tale, fa prova fino a querela di falso dei fatti attestati, con la sola eccezione delle valutazioni soggettive che, per condurre in via unicamente deduttiva a date conclusioni, non presentano le caratteristiche di rilevamenti obiettivi (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 28 giugno 2005 n. 3434), rilevamenti obiettivi che nella fattispecie invece sussistono e sono anche accompagnati da fotografie, esibite in giudizio, inequivocabilmente comprovanti la circostanza che alcuni dei locali del sottotetto fossero stati attrezzati per non consentite finalità abitative, e quindi per un indebito incremento di cubatura.
Non è fondata neppure la censura imperniata su di una presunta contraddittorietà di più atti del procedimento quanto agli abusi suscettibili o meno di ripristino. Come appare evidente dalla lettura degli atti impugnati, si è prima provveduto ad individuare tre distinti ambiti di irregolarità (scala, sottotetto e trattamento reflui) e poi se ne è dedotta la corrispondente classificazione in: A) lavori di ristrutturazione in totale difformità dalla concessione edilizia rilasciata in quanto la medesima, in considerazione del vincolo di PRG, concerneva esclusivamente un intervento gratuito di restauro e risanamento conservativo, B) incremento delle superfici utili e della cubatura all’interno dell’involucro esistente per trasformazione dei vani accessori del sottotetto in abitazione, nonché aumento delle unità immobiliari a seguito dell’ulteriore alloggio ricavato nel sottotetto in totale difformità dal progetto approvato, C) realizzazione difforme del sistema di trattamento dei reflui derivante dall’immobile in quanto non ispezionabile in tutti i suoi componenti; pertanto, una volta verificata “ … l’oggettiva difficoltà del ripristino delle opere di ristrutturazione costituite dallo spostamento del vano scala in quanto comporterebbe la demolizione di consistenti opere strutturali …”, si è coerentemente ritenuto di procedere all’applicazione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, per l’abuso di cui alla lett. A), ovvero per la parte dei lavori concernente il rifacimento della scala, mentre gli altri interventi sono rimasti assoggettati all’ingiunzione di demolizione.
Altro motivo di censura prospetta l’invalidità della sanzione pecuniaria perché irrogata senza la previa istanza del privato, in violazione del disposto dell’art. 14, comma 2, della legge reg. n. 23 del 2004 (“… lo Sportello unico per l’edilizia, su richiesta motivata dell’interessato presentata a seguito della avvenuta sospensione dei lavori, irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere … qualora accerti, con apposita relazione tecnica, l’impossibilità della rimozione o demolizione delle opere abusive, in relazione al pregiudizio strutturale e funzionale che sarebbe arrecato alle parti residue dell’immobile …”). Ritiene tuttavia il Collegio che, indipendentemente dall’applicabilità o meno (“ratione temporis”) della normativa invocata, allorquando la rimozione autonoma di singole opere abusive risulta oggettivamente preclusa dalla loro non scorporabilità rispetto alle restanti parti del fabbricato o comunque dal concreto pericolo di dare a luogo a cedimenti o gravi deficienze strutturali dell’immobile cui afferiscono, l’Amministrazione sia in ogni caso tenuta a convertire la sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, anche in assenza di una specifica richiesta o segnalazione del privato, dovendosi altrimenti ricorrere alla più gravosa, e in questo caso non contemplata, misura della demolizione estesa a parti regolari del fabbricato o addirittura all’intera costruzione.
Quanto, ancora, all’addotta insussistenza di un reale aumento di valore dell’immobile quale effetto del mero spostamento della scala, e quanto all’asserita incomprensibilità dei criteri seguiti dall’Amministrazione nell’operazione di quantificazione rapportata alla superficie di mq. 64,75, il Collegio osserva come l’analitica descrizione dei conteggi a tale scopo effettuati sia contenuta nelle note comunali prot. n. 6137 e prot. n. 6138 del 29 maggio 2007 (v. docc. n. 16 e n. 17), con la determinazione del costo di produzione al mq. ragguagliata al dicembre 2006 e alle variate condizioni di vetustà e di stato di conservazione risultanti dall’intervento di ristrutturazione, il tutto infine commisurato alla superficie corrispondente alla parte del fabbricato interessata dall’irregolare traslazione del vano scala. Non si tratta dunque di criteri oscuri o illogici, perché tengono conto – in linea con il disposto normativo – del valore finale della componente dell’immobile in cui è stato commesso l’abuso non eliminabile e lo confrontano con il valore precedente, senza che acquisti rilievo la misura in cui l’illecito edilizio abbia in concreto concorso all’incremento di valore, il quale rileva in sé, quale parametro legale di determinazione della sanzione pecuniaria.
Le restanti doglianze sono state proposte a mezzo di “motivi aggiunti”, il cui esame è però impedito dal tardivo deposito del relativo atto presso il giudice adito, sì da doversi dichiara fondata l’eccezione di inammissibilità in tal senso formulata dalla difesa dell’Amministrazione. A fronte della notificazione effettuata in data 24 settembre 2007 al difensore domiciliatario dell’ente locale, il deposito in giudizio avrebbe dovuto intervenire entro i successivi trenta giorni, ai sensi dell’art. 21, comma 2, della legge n. 1034 del 1971, e risulta invece avvenuto solo il 26 ottobre 2007; né la decorrenza del termine può ricondursi alla successiva ulteriore notificazione al domicilio reale dell’Amministrazione, essendo la prima notificazione di per sé sufficiente allo scopo e quindi idonea a completare la fattispecie a tale fine prevista dalla legge (circa la ritualità della notificazione dei “motivi aggiunti” presso il domicilio eletto dalla parte intimata v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 11 ottobre 2007 n. 5354).
In conclusione, il ricorso va in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile.
Le spese di giudizio seguono in parte la soccombenza dei ricorrenti - e vengono liquidate come da dispositivo -, rimanendo per il resto compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile .
Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di € 3.000,00 (tremila/00) – oltre agli accessori di legge –, compensandole per il resto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 7 aprile 2009, con l’intervento dei Magistrati:
Luigi Papiano, Presidente
Italo Caso, Consigliere, Estensore
Emanuela Loria, Primo Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/04/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO