Abusivismo edilizio e i disparati contributi pubblici al suo radicamento e sviluppo
(Commento e nota critica a Cons. Stato, Sez. IV, n. 5100/2018)
di Massimo GRISANTI
Con sentenza n. 5100 pubblicata il 30.08.2018, la IV^ Sezione del Consiglio di Stato, confermando TAR Veneto, n. 1924/2006, ha deciso un contenzioso giurisdizionale in materia di abusivismo edilizio aperto dal 1992.
Il proprietario non è riuscito a dimostrare la preesistenza di un edificio: così hanno avuto gioco facile prima il Comune di Este – difeso dall’avv. Gianluigi Ceruti, uno dei due padri padre della legge di tutela dei parchi n. 341/1991 c.d. Cederna-Ceruti – e poi i Giudici a ricordare che spetta a colui che è vicino ai luoghi, che ha la disponibilità delle cose, dare la prova delle proprie affermazioni (cfr. ex multis: Cons. Stato, n. 23/2018).
Una preesistenza che, peraltro e salvo più sfavorevoli disposizioni dei regolamenti locali edilizio o di polizia, deve risalire ad almeno alla data di entrata in vigore del RDL 640/1935 che, ai fini dell’accertamento della sicurezza ed igienicità delle costruzioni, ha introdotto l’obbligo di licenza edilizia su tutto il territorio nazionale (invero, la legge 765/1967 non ha fatto altro che ampliare l’obbligo di licenza su tutto il territorio comunale, ovverosia includendo anche i casi in cui la modifica dell’aspetto esteriore dei beni avvenisse fuori dei centri abitati e delle zone di espansione del piano regolatore, i soli che, prima, erano esclusi dagli artt. 31 e 45 L. 1150/1942).
La Corte costituzionale ebbe a dire nella sentenza n. 149/1999: < … situazioni diffuse di abusivismo (sono) addebitabili anche a cronica inerzia o insufficienza dell’azione comunale di programmazione e controllo dell’attività urbanistica ed edilizia … >. Lo ribadì con la sentenza n. 196/2004.
La Consulta dimenticò di citare i Giudici amministrativi, atteso che è “schlechthinunerträglich”, ovverosia semplicemente insopportabile, che coloro i quali consapevolmente violano la legge possano ottenere il medesimo obiettivo confidando nella (moralmente colpevole) inerzia della Giustizia.
Il malfunzionamento del Sistema Giustizia arreca un danno di immagine allo Stato e crea profonda sfiducia nei cittadini, minando alla base il principio di legalità.
Nel caso portato all’esame dei Giudici il Comune di Este era stato oltremodo tempestivo nell’azione di vigilanza, salvo poi esser stato un poco remissivo (così appare leggendo le pronunce di primo e secondo grado), nel dare corso ai successivi adempimenti finalizzati all’acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale.
Dal momento che l’efficacia delle ordinanze di demolizione e rimessa in pristino mai è stata sospesa dai Giudici, il Comune doveva procedere, senza alcun indugio, ad accertare l’inadempimento all’ingiunzione e deliberare l’acquisizione dell’immobile e dell’area di pertinenza al patrimonio comunale.
Non avendo proseguito nel procedimento sanzionatorio edilizio, il Comune ha anch’esso consentito, all’avicoltore, di continuare ad utilizzare il fabbricato abusivo e, quindi, di ricavare vantaggi economici dall’inerzia dell’autorità di vigilanza. La Cassazione penale insegna che siamo in presenza di abuso d’ufficio a condotta omissiva (v. Sez. III, n. 4140/2018), il cui dies a quo di prescrizione del reato non si è ancora avverato. Nel frattempo, il capannone è stato ammortato ed ha già svolto il suo ruolo per gli interessi del reo.
Da segnalare che con recente sentenza n. 5287 del TAR Campania, Napoli, depositata il 28.08.2018, i Giudici hanno stabilito che non si consolida l’acquisizione de iure alla mano pubblica qualora, a distanza di anni dall’abuso, non siano stati ancora adottati l’accertamento dell’inottemperanza e la determinazione di acquisizione.