Consiglio di Stato, Sez. II n.8271 del 3 dicembre 2019
Urbanistica.Valutazione della natura pertinenziale o meno di un manufatto
Per valutare la natura pertinenziale o meno di un manufatto l'accezione civilistica di pertinenza non è utilizzabile, essendo il relativo concetto più ampio di quello applicato nella materia urbanistico-edilizia. Quindi, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce.
Pubblicato il 03/12/2019
N. 08271/2019REG.PROV.COLL.
N. 02441/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2441 del 2009, proposto dalla società Fineuro Invest S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giorgio Allocca e Gianfranco Fontana, con domicilio eletto presso lo studio Giorgio Allocca in Roma, via G. Nicotera, 29;
contro
Comune di Roncadelle, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mauro Ballerini e Giuseppe Ramadori, con domicilio eletto presso lo studio Paola Ramadori in Roma, via Marcello Prestinari, 13;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia n. 00650/2008, resa tra le parti, concernente il diniego di condono relativo ad una massicciata in ghiaia su terreno agricolo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roncadelle;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2019 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti l’avvocato Sandro De Marco, su delega di Mauro Ballerini.
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Brescia, sez. I, con la sentenza 16 giugno 2008, n. 650, ha respinto il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento del provvedimento del responsabile dell'Area Tecnica prot. n. 011477 del 21 giugno 2006 con il quale è stata respinta la domanda di condono relativamente a una massicciata in ghiaia su terreno agricolo (piazzale di sosta per automezzi).
Secondo il TAR, sinteticamente:
- secondo l'opinione ormai consolidata il condono di un fabbricato non si trasmette all'area circostante e il cambio di destinazione può investire anche il terreno, ma è necessario che vi sia un'espressa pronuncia in questo senso da parte degli uffici comunali che valutano la domanda di condono (e, quindi, ci deve essere un’espressa domanda di condono in tal senso);
- per quanto riguarda la possibilità di qualificare il piazzale come pertinenza occorre sottolineare che ai fini urbanistici non vale il concetto civilistico di pertinenza ex art. 817 c.c., ma una nozione più ristretta basata sulla valutazione economica del bene e sul peso per il territorio;
- è evidente la sproporzione economica tra un deposito di modeste dimensioni e un'ampia area utilizzabile come parcheggio per automezzi, poiché quest'ultima non solo ha un considerevole valore di mercato, ma è anche un bene utilizzabile e commerciabile separatamente dal deposito e, al riguardo, l'art. 2, comma 1, L.R. n. 31-2004 esclude espressamente dal condono le opere che abbiano una funzionalità autonoma;
- dall'altro lato, è evidente che l'incidenza del piazzale sulla zona agricola è molto maggiore rispetto a quella del deposito e, inoltre, le dimensioni del piazzale non trovano una spiegazione oggettiva nella presenza o nelle caratteristiche del deposito e, dunque, non sono giustificabili come conseguenza necessaria della costruzione del deposito.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità per i seguenti motivi:
- Eccesso di potere per violazione del principio dell'affidamento indotto nel privato dall'altere amministrativo, nonché per travisamento dei fatti, come pure per difetto di motivazione e d'istruttoria;
- Violazione e falsa applicazione di legge in relazione all'art. 27, comma 1, lett. e), L.R. n. 12-2005 e all'art.2, comma 1, L.R. n. 31-2004 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, nonché per difetto di motivazione e di istruttoria.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si costituiva il Comune appellato chiedendo la reiezione dell’appello.
All’udienza pubblica del 12 novembre 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Ritiene il Collegio che il TAR abbia correttamente motivato la reiezione del ricorso di primo grado dell’attuale appellante.
Infatti, in primo luogo, occorre osservare che i limiti ed il contenuto della domanda di condono non sono determinati dall’Amministrazione, ma sono il frutto della libera scelta del privato, al quale compete decidere se e quali opere edilizie abusive condonare.
L’Amministrazione può chiedere chiarimenti ed integrazioni, ma non può ampliare o limitare il contenuto della domanda di condono, essendo tenuta a dare riscontro alla istanza del privato nei limiti che egli stesso liberamente ha ritenuto di fissare.
In questa prospettiva, la sentenza di primo grado ha esattamente considerato che il condono di un fabbricato non si trasmette all’area circostante.
Per accertare quale fosse l’oggetto della domanda di condono presentata nel dicembre del 1998, oggetto del provvedimento impugnato, occorre verificare il contenuto della domanda della Società appellante e della documentazione allegata.
La Società appellante ha chiesto di condonare soltanto gli edifici ammontanti alla superficie complessiva di mq. 88,01.
Ciò si desume espressamente dal contenuto della domanda medesima e si evidenzia dal calcolo dell’oblazione, operata sulla sola superficie di mq. 88,01, oltre che dall’unica tavola progettuale prodotta, che riguarda solo gli edifici e dalle fotografie prodotte, che riguardano identicamente solo gli edifici).
Peraltro, anche l’accatastamento indicato riguarda solo gli edifici.
Inoltre, la stessa Società appellante, nell’evidente consapevolezza di non aver chiesto il condono anche per il piazzale di 5.470 mq., aveva presentato, nel dicembre del 2004, una nuova e distinta domanda di condono per quest’ultimo.
2. Per quanto riguarda il dedotto difetto di istruttoria, si deve rilevare che nel corso del procedimento di condono, il Comune appellato ha formulato richiesta di chiarimenti ed integrazioni documentali con nota 23.02.1999, n. 10932 prot. evidentemente connessi al contenuto della domanda di condono presentata dal privato, non potendo d’ufficio allargare i limiti ed i termini dell’oggetto del condono, che sono connessi al principio della domanda.
Sotto altra prospettiva, si deve osservare che, una volta che il privato abbia presentato la domanda di condono, egli può integrare la documentazione a sostegno dell’istanza, entro i limiti oggettivi dell’istanza medesima, non potendo modificare, in ampliamento, l’oggetto della domanda stessa, ovvero pretendere che, sempre d’ufficio, l’Amministrazione ampli l’oggetto del condono stesso.
Il privato avrebbe potuto ritirare la prima domanda e presentarne una nuova con contenuto riferito sia all’immobile, sia al piazzale, ovvero mantenere fermo il primo condono e presentarne uno nuovo soltanto per il piazzale.
In entrambi i casi, la domanda doveva essere esattamente calibrata, da parte del privato, a seconda dell’oggetto ivi espressamente considerato, dovendosi modificare i parametri edilizi e il calcolo dell’oblazione, nonché la documentazione che doveva essere allegata.
Non avendo la parte appellante presentato la domanda nei termini sopra indicati, così come sarebbe stato corretto dal punto di vista della legittimità amministrativa, il Comune ha esattamente emanato il provvedimento di diniego in questa sede impugnato.
Infatti, giova preliminarmente evidenziare al riguardo la specialità della normativa sul condono edilizio, attesa la sua natura derogatoria ed eccezionale, che ne impone una lettura di stretta interpretazione (cfr., Consiglio di Stato, Ad. Plen., 22 luglio 1999, n. 20).
Come ha chiarito la giurisprudenza amministrativa, ai sensi dell'art. 35, l. 28 febbraio 1985, n. 47, richiamata dall'art. 39, l. 23 dicembre 1994, n. 724, alla domanda di condono edilizio deve essere allegata una descrizione delle opere per le quali si chiede la concessione o l'autorizzazione in sanatoria, sicché le determinazioni dell'Amministrazione al riguardo non possono che limitarsi ad esse senza che, dovendo la disposizione essere interpretata in maniera restrittiva, il Comune possa ampliare l'oggetto della domanda ad opere non espressamente indicate nell'istanza (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 marzo 2013, n. 1776).
L'Amministrazione è titolare del potere di chiedere documentazione integrativa di quella allegata alla domanda di condono, ma solo allo scopo di meglio individuare le opere oggetto della stessa, e non altre opere non indicate per le quali non è desumibile, neppure per implicito, un’apposita domanda di condono.
3. Per quanto riguarda la controversa questione della pertinenza in senso urbanistico-edilizio, si deve ricordare che, anche di recente, la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. VI, 1° ottobre 2019, n. 6576) ha affermato che la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica.
A differenza della nozione civilistica di pertinenza, infatti, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la creazione di un "nuovo volume".
Nell'ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente), quando si tratti di un "manufatto edilizio": salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opere, come ad es. una tettoia, che ne alteri la sagoma.
In altre parole, per valutare la natura pertinenziale o meno di un manufatto l'accezione civilistica di pertinenza non è utilizzabile, essendo il relativo concetto più ampio di quello applicato nella materia urbanistico-edilizia.
Quindi, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce.
A differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto "carico urbanistico" proprio in quanto esauriscono la loro finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, sez. II, 22 luglio 2019, n. 5130; id., IV, 2 febbraio 2012, n. 615; id., V, 13 giugno 2006, n. 3490).
La detta giurisprudenza continua a mantenere valore anche a seguito dell'adozione del Testo unico dell'edilizia che, all'art. 3, individua la nozione di pertinenza, facendo riferimento al titolo necessario alla loro realizzazione, qualora si tratti di interventi "che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale", permettendo di chiarire la portata del dettato normativo nei casi dubbi.
Nella situazione in esame, ritiene il Collegio che possa ritenersi assodata la natura non pertinenziale dell'opera oggetto di preteso condono.
Nel caso di specie, e nella stessa logica sopra indicata, infatti, deve escludersi che il piazzale di mq. 5.470 mq., del quale si discute, possa qualificarsi pertinenza di depositi di 88,01 mq. complessivi, avendo questi ultimi un valore economico nettamente minore e non avendo il piazzale alcuna funzione o destinazione ancillare, atteso che le dimensioni del piazzale non trovano una spiegazione oggettiva nella presenza o nelle caratteristiche del deposito e, dunque, non sono giustificabili come conseguenza necessaria della costruzione del deposito (per una affermazione identica, si veda:
Consiglio di Stato , sez. IV , 13/01/2010 , n. 41: “un piazzale di circa 6000 mq non può essere considerato pertinenza di un impianto industriale e, in tal senso, essere soggetto ad autorizzazione edilizia, atteso che - in materia urbanistica - costituiscono pertinenza solo manufatti di ridotte dimensioni, non idonei ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio.”).
4. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda),definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore del Comune appellato, spese che liquida in euro 4.000,00, oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2019 con l'intervento dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato, Consigliere
Francesco Frigida, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere