Consiglio di Stato Sez. VI n. 2515 del 20 aprile 2020
Urbanistica.Rapporti tra giudicato civile e poteri della PA
In tema di esecuzione forzata in forma specifica, il titolo esecutivo indica il risultato perseguito e l'ordinanza ex art. 612 c.p.c. ne stabilisce le modalità di ottenimento, sicché, ove la realizzazione di tal risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A —strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo—, il Giudice dell'esecuzione ha il potere di richiederli. Dal canto loro, le questioni sulla compatibilità di tal condanna coi poteri del Comune in materia urbanistica restano precluse dalla formazione di detto giudicato e non interferiscono sulla giurisdizione dell’AGO circa la determinazione delle modalità della esecuzione a norma del citato art. 612. Sicché al giudicato civile la P.A. deve conformarsi e prestarne esecuzione, trattandosi di comando giudiziale conformativo per legge anche se essa non fu parte del giudizio di cognizione (segnalazione Ing. M. Federici)
Pubblicato il 20/04/2020
N. 02515/2020REG.PROV.COLL.
N. 03822/2019 REG.RIC.
N. 03823/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 c.p.a. sui ricorsi riuniti
A) – NRG 3822/2019, proposto da Nicola Carollo ed Ermelinda Cattelan, rappresentati e difesi dagli avv.ti Andrea Bernardi ed Orlando Sivieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via Cosseria n. 5,
contro
il Comune di Lugo di Vicenza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Roberto Favero, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via G. Avezzana n. 3, presso l’avv. Salvatore Di Mattia e
nei confronti
– dei sigg. Antonio, Orsola e Giovanna Carollo, Gloria Rigon ed Eugenio Baio, nonché della Soprintendenza BAAP per le province di Verona Rovigo e Vicenza, non costituiti in giudizio e
– del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo - MIBACT, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
B) – NRG 3823/2019, proposto da Nicola Carollo ed Ermelinda Cattelan, come sopra rappresentati, difesi ed elettivamente domiciliati,
contro
– l’Unione Montana Astico e la Soprintendenza BAAP per le province di Verona Rovigo e Vicenza, non costituite in giudizio ed
– il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo - MIBACT, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato per legge e
nei confronti
dei sigg. Antonio, Orsola e Giovanna Carollo, Gloria Rigon ed Eugenio Baio, nonché del Comune di Lugo di Vicenza, non costituiti in giudizio,
per la riforma
quanto al ricorso NRG 3822/2019, della sentenza del TAR Veneto, sez. II, n. 136/2019, resa tra le parti e concernente il diniego definitivo, reso dal Comune appellante, del PDC per la demolizione di opere abusive realizzate dai controinteressati e,
– quanto al ricorso NRG 3823 del 2019, della sentenza del TAR Veneto, sez. II, n. 130/2019, resa tra le parti e concernente il parere negativo reso dalla Soprintendenza BAAP per le province di Verona Rovigo e Vicenza con la nota prot. n. 28656 del 29 novembre 2016 (e relati atti presupposti) e delle note prot. nn. 2483 e 2484 del successivo 5 dicembre, con cui l'Unione Montana Astico ha comunicato il diniego dell'istanza per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica per la demolizione di dette opere abusive, parere ed autorizzazione richieste dal CTU geom. Baio il 4 luglio 2016;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio solo del Comune di Lugo di Vicenza e del MIBACT;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del 6 giugno 2019 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Sivieri e Paolo Caruso (su delega di Favero) e l'Avvocato dello Stato Chiarina Aiello;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 c.p.a.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – I coniugi Nicola Carollo ed Ermelinda Cattelan, comproprietari in Lugo di Vicenza (VI) degli immobili colà siti e censiti in catasto al fg. 11, partt. 797,798 e 799, ubicate a confine con quelli del sig. Antonio Carollo e consorti e coi quali intercorso un lungo contenzioso civile per costruzioni e servitù di passaggio.
In particolare, su specifica domanda del sig. Nicola Carollo e consorte e con sentenza n. 343 dell’8 marzo 2001 (passata in giudicato nei termini di cui appresso), il Tribunale di Vicenza condannò del sig. Antonio Carollo e consorti, in qualità di comproprietari dell’edificio residenziale colà ubicato alla via Mortisa 68/B e censito in catasto al fg. 11, part. 688, a demolire: a) la porzione del muro di recinzione posto sulla part. 799 di proprietà degli odierni appellanti; b) l’edificio costruito sulla part. 688 fino alla distanza di m 20 dal confine con la part. 799.
Non avendo il sig. Antonio Carollo e consorti spontaneamente eseguito tal giudicato, il sig. Carollo e consorte proposero innanzi al medesimo Tribunale il ricorso NRG 1487/11 Es. imm. ex art. 612 c.p.c. per ottenere l’esecuzione dell’obbligo.
A seguito d’incarico del Giudice dell’esecuzione (ordinanza del 5 ottobre 2011), il CTU geom. Eugenio Baio redasse due perizie recanti, l’una, la descrizione delle parti dell’edificio da demolire e, l’altra, l’iter da seguire per il rilascio dei titoli abilitanti occorrenti (permesso di costruire - PDC e l’autorizzazione paesaggistica, ricadendo tal manufatto in area soggetta a vincolo paesaggistico ambientale). In particolare, il CTU precisò: a) la collocazione dell’edificio a due piani f.t., realizzato nel 1986 e soggetto a demolizione parziale, in un contesto urbano del centro storico della Contrada Mortisa; b) che tal demolizione ne avrebbe interessato circa mc 163,68, restando a disposizione una volumetria complessiva di mc 341,78 f.t. e di mc 119,45 interrati; c) il ridotto impatto visivo dell’edificio per effetto delle opere di demolizione, interessanti solo la porzione rivolta a valle, dove non v’erano insediamenti o strade e, quindi, con un minimo impatto visivo.
Sicché il 4 luglio 2016 il geom. Baio propose istanza di PDC al Comune di Lugo di Vicenza per l’esecuzione del predetto giudicato, in una con quella per la corrispondente autorizzazione paesaggistica semplificata ex art. 146, co. 9 del D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42. Il successivo 8 agosto, il geom. Baio, conformandosi ad una nota del Comune per cui l’intervento sarebbe dovuto soggiacere all’autorizzazione ordinaria ex art. 159 del D.lgs. 42/2004, presentò la conseguente istanza integrativa.
2. – Quest’ultima richiesta passò anzitutto all’esame della Commissione locale per il paesaggio dell’Unione montana Astico.
L’Unione montana, con la comunicazione prot. n. 1796 del 12 settembre 2016, rese noto il parere negativo di detta Commissione. Tanto perché l’«… intervento proposto determina una mozzatura del fabbricato esistente, creando spiccate pareti cieche e, alla base di questa, una copertura a terrazza piana… (onde)… il fabbricato nel suo complesso, anche considerato l’unità affiancata non oggetto di demolizione,… assume un aspetto di incompletezza, di pesantezza, di atipicità ed una sagoma contrastante con la tipologia dei fabbricati limitrofi…». Nei «… confronti del paesaggio di riferimento, l’intervento non determina un deterioramento paesistico, ma sicuramente si presenta come elemento di disturbo che interrompe l’armonia data dalla regolarità del paesaggio…».
Nel frattempo, il Comune di Lugo di Vicenza, con provvedimento prot. n. 8471 del 6 ottobre 2016, respinse l’istanza di PDC proposta dal CTU, in quanto: I) - l’intervento demolitorio ricadde in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e, come tale, non era assimilabile ad uno di ristrutturazione ex art. 3, co. 1, lett. d) del DPR 6 giugno 2001 n. 380, implicando una modifica della sagoma rispetto alla situazione preesistente; II) – esso sarebbe stato allora in contrasto con il Piano degli interventi - PI, che per l’edificio in argomento consentiva soltanto la ctg. di intervento 3, ossia le sole opere di ristrutturazione edilizia; III) – la soluzione progettuale proposta comunque sarebbe in contrasto col prontuario all. 2) alle NTO del PI, avendo previsto una terrazza a copertura del garage, posto al di sotto della parte dell’edificio da demolire, mentre le NTO non ammisero modifiche di pendenza e di andamento delle falde; IV) - la necessità che gli edifici a tetto piano siano ricondotti alla tipologia tipica, rispettando, cioè, l’inclinazione tipica locale.
Iniziato per suo conto il procedimento autorizzativo, la competente Soprintendenza BAAP, con nota n. 26914 del 9 novembre 2016, avvisò il CTU, il sig. Antonio Carollo e altri, il Comune e l’Unione montana, ai sensi dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990 n. 241, del rigetto della relativa istanza per il contrasto tra l’intervento e la conservazione degli elementi antropici del paesaggio. Invero, «… la parziale demolizione lascerebbe un edificio asimmetrico, atipico forzatamente, con connotazioni compositive derivanti da calcoli urbanistici e non da valutazioni e scelte progettuali…». Poiché «… la trasformazione dei contesti sottoposti a tutela devono essere governate al fine di preservare o accrescere i caratteri presenti, l’intervento non è compatibile con i valori espressi nell’ambito paesaggistico…». Nonostante le osservazioni del legale degli appellanti, la Soprintendenza, con nota prot. n. 28656 del 29 novembre 2016, diede parere negativo sull’istanza del CTU, replicando tal quali le ragioni testé evidenziate.
Seguirono quindi le note dell’Unione montana prot. nn. 2383 e 2384 del 5 dicembre 2016, con cui, in base ai predetti pareri, fu definitivamente respinta la richiesta del CTU,
3. – Ebbene, il sig. Carollo e consorte adirono il TAR Veneto, col ricorso NRG 1442/2016, contro il diniego comunale n. 8471/2016, deducendo vari profili di censura.
L’adito TAR, con sentenza n. 1431 del 30 dicembre 2016, dichiarò inammissibile siffatto gravame, declinando la giurisdizione a favore dell’AGO, in particolare del Giudice dell’esecuzione. Contro la detta sentenza si appellarono il sig. Carollo e consorte, col ricorso NRG 1102/2017, cui, però, essi rinunciarono con atto depositato il 31 marzo 2017. Col successivo ricorso NRG 1583/2017, il sig. Carollo e consorte impugnarono nuovamente la sentenza del TAR n. 1431/2016, ribadendo l’error in judicando sulla declinatoria della giurisdizione, stante, tra l’altro, il diniego comunale di un atto dovuto (il rilascio del PDC), in aperto contrasto col giudicato civile, poiché le censure riguardarono
l’an del provvedimento di rigetto e non il quomodo dello stesso, donde l’assenza della giurisdizione dell’AGO sul punto.
La Sezione, con sentenza n. 3664 del 24 luglio 2017, riunì detti due appelli, diede atto della rinuncia al ricorso NRG 1102/2017 ed accolse il ricorso NRG 1583/2017, annullando con rinvio la sentenza del TAR n. 1431/2016 ed affermando i principi di diritto per il caso di specie. Tanto perché: 1) – vi era la giurisdizione di questo Giudice, al di là della circostanza che fosse pendente un giudizio di esecuzione ex art. 612 c.p.c., poiché l’acquisizione delle autorizzazioni necessarie all’adempimento del giudicato fu disposto dallo stesso Giudice dell’esecuzione all’uopo investendone il CTU, poiché ritenne necessario l’atto abilitativo comunale; 2) – l’atto gravato in primo grado fu un vero e proprio provvedimento amministrativo, dotato dei requisiti propri di tipicità, nominatività ed imperatività, impugnabile come tale innanzi a questo Giudice nella sua giurisdizione esclusiva ex art. 133 c.p.a.
Con atto depositato avanti al TAR il 27 settembre 2017, il sig. Carollo e consorte riassunse il citato ricorso NRG 1442/2016, riproponendo l’istanza di sospensione degli atti impugnati. Con ordinanza n. 519 del 26 ottobre 2017, l’adito TAR rigettò la domanda cautelare attorea, perché, per un verso, priva di motivazione e, per altro verso, inutile (essendo già stata respinta l'istanza cautelare attorea proposta nel distinto ricorso NRG 198/2017 contro il presupposto diniego dell’autorizzazione a fini paesaggistici. Con ordinanza n. 267 del 22 gennaio 2018, la Sezione ha accolto l’appello cautelare, ribadendo i principi posti dalla sentenza n. 3664/2017 e precisando che, per assicurare l’effettività della tutela ex art. 55, co. 1, c.p.a., l’ordinanza stessa avrebbe tenuto luogo dei provvedimenti autorizzativi denegati.
Con sentenza n. 136 del 1° febbraio 2019, l’adito TAR ha respinto nel merito il ricorso de quo, in quanto: a) il giudicato civile non vincola la P.A. allo stesso modo delle parti del relativo giudizio —sì da imporle il rilascio, senza alcun ulteriore spazio di valutazione, il titolo edilizio necessario alla demolizione, sia perché la P.A. che emanò il titolo normalmente non è parte nelle controversie civili instaurate tra privati in materia di violazione delle distanze legali, sia perché l’accertamento recato nella sentenza civile non è idoneo a coprire gli aspetti di diritto pubblico sull’intervento edilizio necessario a fornire tutela al privato vittorioso; b) l’AGO, nel giudicare la lite tra privati sul rispetto delle distanze, incidentalmente conosce anche della legittimità del titolo edilizio che ha autorizzato l’intervento lesivo e, se lo riconosce illegittimo, lo può disapplicare, dando così tutela al privato; c) il giudicato civile contiene un accertamento che riguarda solo l’intervento edilizio lesivo del diritto di proprietà, ma non anche i profili di compatibilità urbanistico-edilizia di un intervento edilizio diverso da quello dedotto in giudizio, ossia la parziale demolizione dell’edificio a tutela alle ragioni della parte vittoriosa; d) l’obbligo di conformazione della P.A. al giudicato civile ha una portata ben diversa dal vincolo di giudicato tra le parti, onde non può esaurirne ogni residuo potere sui modi per garantire la parte vittoriosa (nella specie, il Comune deve valutare la parziale abusività dell’edificio e provvedere di conseguenza, liberi i ricorrenti di presentare una soluzione progettuale congruente con la normativa urbanistica e paesaggistica vigente nell’area d’intervento).
Appellano quindi il sig. Carollo e consorte, col ricorso NRG 3822/2019 in epigrafe, deducendo in diritto l’erroneità dell'impugnata sentenza per: I) – aver riconosciuto alla P.A. di non conformarsi al giudicato civile su aspetti differenti da questo o sulla potestà amministrativa, mentre, per un verso e in base alla sentenza n. 3664/2017 inter partes, il titolo edilizio non era necessario e comunque il Comune era obbligato a rilasciarlo senza far carico al richiedente di alcun onere derivante da fatti a lui non imputabili e, per altro verso, nessuna nuova costruzione o terrazza verrebbe realizzata sulla proprietà dei controinteressati, permettendo il titolo richiesto dal CTU piuttosto di demolire la sola porzione illecita dell’edificio e mantenendone il piano terra ed il sovrastante solaio (non certo una terrazza) per mere ragioni strutturali; II) – l’evidente violazione, recata da detto diniego, dell’art. 4, II co. della l. 20 marzo 1865 n. 2248 - all. E) e dell’art. 97 Cost., il Comune non potendo opporre al suo obbligo di conformarsi al giudicato civile il contrasto col Prontuario comunale degli interventi ammissibili o con l’elenco di quelli ammessi dal DPR 380/2001, né sostenere l’obbligo del CTU di dichiarare la conformità della demolizione agli strumenti urbanistici (pena la commissione di falso ideologico), né tampoco riferirsi all’esistenza di un vincolo paesaggistico-ambientale per la parte da demolire dell’edificio priva ex se dell’autorizzazione paesaggistica e quindi non sanabile (per stessa ammissione del Comune).
Resistono in giudizio il Comune di Lugo di Vicenza ed il MIBACT, concludendo in varia guisa per il rigetto dell’appello. Nelle more del giudizio, con atto privo di data e numero ma rilasciato agli appellanti in copia conforme del 1° ottobre 2018, detto Comune ha avviato un procedimento al fine di accertare la regolarità urbanistico-edilizia dell’edificio in questione.
4. – Il sig. Carollo e consorte impugnarono altresì, avanti al TAR Veneto ma col separato ricorso NRG 198/2017, gli atti inerenti al diniego di autorizzazione paesaggistica sulla demolizione de qua, ossia i citati parere contrario n. 455/2016 della CLP dell’Unione Montana Astico, comunicazione della Soprintendenza BAAP n. 26914/2016, parere negativo definitivo della stessa Soprintendenza n. 28656/2016 e diniego definitivo dell’Unione Montana Astico (note nn. 2383 e 2484 del 2016).
Al tal specifico riguardo, premettendo la giurisdizione esclusiva di questo Giudice in materia, i ricorrenti dedussero: 1) – l’evidente violazione, da parte dei provvedimenti impugnati, dell’obbligo di conformazione al giudicato civile ex art. 4, II co. della l. 2248/1865 all. E), degli artt. 24, 97, 103 e 113 Cost. e dell’autonomia del potere giudiziario, in base ai quali i titoli autorizzativi non erano necessari e, se (come nella specie) richiesti, dovevano esser emanati senza indugio; 2) – il difetto di motivazione e d’istruttoria degli atti impugnati (pur a fronte della relazione paesaggistica del CTU), il travisamento dei fatti (il vincolo paesaggistico interessò soltanto in minima parte la porzione da demolire dell’edificio dei controinteressati), nonché l’omessa valutazione delle osservazioni svolte dal legale di parte ricorrente; 3) – in ogni caso, l’illogicità e l’incongruenza dell’impugnato diniego per la porzione illecita dell’edificio de quo, allorquando gran parte di esso sarebbe dovuta essere demolita in quanto priva a sua volta dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del decreto n. 42.
Con ordinanza n. 520 del 26 ottobre 2017, l’adito TAR respinse la domanda cautelare attorea, posto che l’impugnato diniego fu supportato da un’ampia motivazione, in sé priva di elementi di erroneità o vizi logici, oltreché non sindacabile nel merito. La Sezione, con l’ordinanza n. 266 del 22 gennaio 2018, ha accolto l’appello cautelare, ribadendo anche in questo caso i principi posti dalla sentenza n. 3664/2017 (dianzi citata) e precisando che, per assicurare l’effettività della tutela ex art. 55, co. 1, c.p.a., l’ordinanza stessa avrebbe tenuto luogo dei provvedimenti autorizzativi denegati.
Con sentenza n. 130 del 1° febbraio 2019, l’adito TAR, disatteso l’eccepito difetto di giurisdizione, ha respinto la pretesa attorea, in quanto: A) l’obbligo della P.A. di conformarsi al giudicato civile è diverso dal vincolo di giudicato tra le parti, onde il relativo comando giudiziale non le si estende esaurendone ogni residuo potere ed essa esercita le funzioni su quegli aspetti che la sentenza civile non affronta poiché estranei al thema decidendum, nella specie la conformità della demolizione alle regole di tutela paesaggistica; B) il diniego di autorizzazione è congruamente motivato rispetto agli effetti della demolizione ed al residuo pezzo dell’edificio nel contesto del paesaggio; C) è corretta la risposta resa dalla Soprintendenza ai ricorrenti circa la mancanza di autorizzazione paesaggistica sul fabbricato dei controinteressati, nel precisare che l’impugnato parere fu reso sul progetto sottoposto al suo esame e non su altro, da accertare nell’opportuna sede.
Appellano il sig. Carollo e consorte, col ricorso NRG 3823/2019 in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza, in parte ribadendo la violazione dell’art. 4, II co. della legge n. 2248 per le ragioni espresse nel parallelo ricorso NRG 3822/2019 e, per la restante parte, replicando i motivi di primo grado non o malamente esaminati dal TAR. Resiste nel presente giudizio il solo MIBACT, il quale conclude per il rigetto dell’appello.
All’udienza camerale del 6 giugno 2019, sussistendone i presupposti ex art. 60 c.p.a., i due ricorsi in epigrafe sono congiuntamente assunti dal Collegio per esser decisi con le forme di cui al successivo art. 74.
5. – I due appelli in questione vanno riuniti e contestualmente decisi, stante sia la loro connessione soggettiva, sia il rapporto di presupposizione logico-giuridica che li lega e che impone al Collegio la prioritaria disamina del ricorso NRG 3823/2019, relativo al diniego di autorizzazione paesaggistica per l’intervento demolitorio scaturente dal giudicato civile tra gli appellanti ed i controinteressati.
È appena da osservare la manifesta infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso di primo grado (che è, come s’è detto in premessa, il ricorso NRG 198/2017 avanti al TAR Veneto), sollevata dal MIBACT poiché il sig. Carollo e consorte, dopo la (ed in attuazione della) sentenza n. 3664 del 2017, non avrebbe notificato il ricorso in riassunzione ex art. 105, co. 3, c.p.a., tanto da incappare, a detta di tal P.A., nell’estinzione del giudizio di cui al precedente art. 35, co. 3. In tale prospettazione, gli odierni appellanti avrebbero notificato solo una nuova domanda cautelare, poi depositata agli atti di quel giudizio il 10 ottobre 2017.
Sennonché, nel giudizio di cui al ricorso NRG 198/2017, il MIBACT e la Soprintendenza BAAP si erano già costituiti col controricorso depositato il 14 marzo 2017, cui seguì la memoria difensiva per la fase cautelare depositata il successivo 6 ottobre. Per contro, l’eccezione in parola fu sollevata, sempre in quel giudizio, con una nuova costituzione di tali Amministrazioni statali il 21 settembre 2018. Con ogni evidenza, il Ministero confuse il ricorso n. 198/2017, recante l’impugnazione dei provvedimenti di esso e dell’Unione montana (autorizzazione paesaggistica), con le vicende del connesso ma non ricorso NRG 1442/2016 (diniego comunale dell’invocato PDC), concluso con la sentenza del TAR n. 1431/2016. Questa sì fu annullata con rinvio dalla Sezione con la sentenza n. 3664/2017, onde l’onere di riassunzione ed il conseguente giudizio rescissorio riguardarono solo tal causa e non anche l’altra. Peraltro, la riassunzione fu poi ritualmente effettuata il 27 settembre 2017, con regolarmente notificato alle predette Amministrazioni statali, come da ricevute in atti.
Si può discettare dell’ulteriore istanza cautelare nel ricorso NRG 198/2017, ma in quel caso il sig. Carollo e consorte vollero far constare il quid novi sotteso ai principi di diritto enunciati dalla citata sentenza n. 3664/2017, tant’è che né in primo grado, né in appello i Collegi investiti da tal domanda cautelare ebbero alcunché da ridire in rito.
5.1. – Nel merito e per quanto qui d’interesse, detto giudicato civile accertò lo sconfinamento d’una porzione non certo piccola del fabbricato del sig. Antonio Carollo e altri sull’area di proprietà degli odierni appellanti, una piccola parte della quale ricade in zona soggetta a vincolo paesaggistico.
Restò quindi fermo l’obbligo del sig. Antonio Carollo ed altri d’eliminare il suo edificio costruito in parte qua sulla proprietà attorea, pur se a suo tempo munito di titolo edilizio, ma con salvezza dei diritti dei terzi (cfr. da ultimo Cass., II, 28 settembre 2018 n. 23543; id., 19 febbraio 2019 n. 4833; id., 26 febbraio 2019 n. 5605, sull’irrilevanza della regolarità urbanistica del fabbricato rispetto all’obbligo di ripristino in caso di mancato rispetto delle distanze). Il Giudice dell’esecuzione civile, riguardo a ciò, incaricò il CTU geom. Baio di procurarsi a sua volta i titoli (edilizio e autorizzativo) necessari per la parziale demolizione, il diniego di questi ultimi determinando il presente ed annoso contenzioso. Ma alle Amministrazioni coinvolte sfuggì e sfugge tuttora un concetto giuridico che in realtà è, o dovrebbe esser, chiaro ed acquisito, appalesandosi uno pseudoproblema la differenza tra «vincolo di giudicato» ed obbligo della P.A. di conformarsi ai giudicati civili ai sensi dell’art. 4, II co. della l. 2248/1865, quando la tutela di diritti soggettivi intersechi o abbisogni dell’esercizio delle pubbliche potestà per trovare piena soddisfazione. Al più, si può forse dire che alla P.A. è preclusa l’integrazione del giudicato civile con questioni ad esso non attinenti, non già che si possa esimere dal conformarsi ad un giudicato ben preciso in sé ed ulteriormente specificato dal Giudice naturale dell’esecuzione di esso.
Prova ne sia quel che è accaduto nella specie: nelle liti tra privati proprietari di immobili confinanti, relative alla lesione del diritto di proprietà per violazione delle norme sulle distanze legali, queste sono inderogabili per tutti i soggetti di diritto e sono poste a tutela sia della posizione soggettiva del privato, sia di vari e sensibili interessi pubblici e generali (cfr. Cass., II, 16 marzo 2017 n. 6855), il cui equo buon governo è attribuito, a ciascun secondo le rispettive competenze, proprio al Comune e alle Autorità preposte al vincolo paesaggistico de quo.
Va ricordato quanto statuito da questo Consiglio (Cons. St., IV, 9 novembre 1987 n. 646), secondo cui il ricorso per il riconoscimento dell'obbligo della P.A. di conformarsi al giudicato civile è esperibile, da parte dell'interessato, ogni volta che dalla pronuncia dell'AGO sia desumibile, anche indirettamente, una norma di comportamento, ancorché non tradotta in puntuale precetto. Sicché, in esecuzione del giudicato sarebbe anche esperibile l’azione di ottemperanza (al di là dell’azione ordinaria che censuri le modalità di esercizio della discrezionalità residua) e l’obbligo della P.A. di conformarsi al giudicato, stabilito dall’art. 4 della l. 2248/1865 mira proprio ad evitare, in chiave di economia processuale, le lungaggini del contenzioso. Occorre quindi definire ed enucleare la discrezionalità residua dell’Amministrazione titolare di poteri di controllo urbanistico edilizio e paesaggistico a fronte di un giudicato civile in materia di rispetto delle distanze fra costruzioni private, rammentando la giurisprudenza amministrativa che da tempo afferma l'illegittimità di un assoluto diniego del PDC richiesto al fine di procedere, nell'inerzia delle controparti che commisero l’illecito, a ripristinare le distanze violate, in esecuzione di un giudicato civile di riconoscimento di tale diritto.
Applicando siffatto principio, si può ritrarre l'ulteriore corollario per cui la portata oggettiva e soggettiva del giudicato, nell'imporre un'esecuzione materiale sino alla rimozione di quanto illecitamente realizzato, in realtà esclude la necessità giuridica del titolo edilizio o, almeno, rende quest’ultimo, la cui emanazione già in sé non è sorretta da funzioni discrezionali, vieppiù necessitato, eccezionale e soggetto ai soli limiti ex artt. 7, 8 e 9 del DM 2 aprile 1968 n. 1444 o comunque soggetto a discrezionalità limitata a precisarne le modalità esecutive, non essendo discutibile l’an dell’esecuzione, anche in ossequio al principio di leale collaborazione fra i poteri giudiziario ed esecutivo.
Per vero, proprio la puntualità e la cogenza del giudicato a tutela del diritto dominicale attoreo esclude che la P.A. si sottragga al proprio obbligo ex lege di conformarsi al decisum dell’AGO e che, addirittura, ponga a carico della parte vittoriosa i profili tecnici, materiali e giuridici connessi al doveroso ripristino sul fabbricato illecito. Non deve sfuggire che il Comune, qual titolare dei poteri di vigilanza edilizia ed Autorità emanante il PDC, non è certo corresponsabile dell’illecito dei controinteressati, ma ne ha finora tollerato, una volta acclarata la lesione dei diritti dei terzi determinatasi anche grazie al titolo rilasciato a questi ultimi, la persistenza a fronte della richiesta attorea del titolo occorrente agli appellanti di provvedere a tal ripristino personalmente (arg. ex Cons. St., IV, 12 maggio 2013 n. 1482; id., VI, n. 3664/2017, cit.).
5.2. – È solo da soggiungere che non risulta perspicua la contestazione attorea al riferimento del TAR ad altra pronuncia di questo Consiglio, che il Giudice di prime cure indica nella sentenza 3 febbraio 2018 n. 455 e gli appellanti nella sentenza n. 445/2017.
Ebbene, quanto alla sentenza n. 455/2018, essa è stata resa in forma semplificata dalla Sezione (cfr. Cons. St., VI, 23 gennaio 2018 n. 455) sulla giurisdizione di questo Giudice in una questione sul personale docente, educativo e ATA, mentre con lo stesso n. 455/2018 v’è un’ordinanza cautelare della IV Sezione di questo Consiglio in materia di concorsi nella PS. Circa la sentenza n. 445/2017, essa fu resa dalla stessa IV Sezione (cfr. Cons. St., IV, 2 febbraio 2017 n. 445) sì in materia edilizia, ma per un edificio costruito in area soggetta a vincolo d’inedificabilità assoluta, in cui non fu implicato alcun giudicato civile. Neppure corrispondono le sentenze 445/2018 (VI sez., in tema di differenze retributive) e n. 445/2019 (IV sez., su concorsi nell’Agenzia delle dogane e Monopoli). Probabilmente si tratta della sentenza n. 455/2017 (cfr. Cons. St., VI, 2 febbraio 2017 n. 455), che propugnò la tesi fatta poi propria dalla sentenza qui appellata e che il Collegio, per le ragioni dianzi espresse non può condividere, specie a fronte del successivo specifico pronunciamento della stessa Sezione con la sentenza n. 3664/2017.
Ciò posto, in ogni caso è chiaro donde gli appellanti abbiano ritratto le considerazioni svolte con riguardo alla “sentenza n. 445 del 2017”, ossia dalla sentenza del TAR Veneto, II, 10 agosto 2015 n. 916, confermata dalla Sezione con la citata sentenza n. 455/2017 e che pare descrivere un caso ben diverso da quello in esame. Infatti, in quella vicenda non si poté predicare la vincolatezza o, meglio, la necessità dell’autorizzazione paesaggistica, perché il parere negativo non indicò l’impossibilità «… assoluta di eseguire l’obbligo di fare ordinato dal giudice civile, e configura piuttosto una difficoltà di tipo tecnico, materiale o pratico, che agisce all’esterno del giudizio di esecuzione…», tale da esser devoluta al Giudice dell’esecuzione affinché modificasse le modalità esecutive del giudicato. Sicché, in quel caso e diversamente da ora, il TAR non escluse in linea di principio che il giudicato civile non potesse imporre la (e andasse eseguito con l’) emanazione d’un provvedimento amministrativo a contenuto compiutamente predeterminato. Ma si limitò a precisare che il giudicato fosse eseguibile con diverse modalità tutte parimenti satisfattive della pretesa azionata, escludendo quella che, ad avviso della Soprintendenza —nell’esercizio delle proprie funzioni di tutela dei valori sottesi al vincolo paesaggistico—, si mostrò esser la più impattante.
Come si vede, in quel caso la Soprintendenza non s’oppose affatto alla demolizione della parte di edificio illecita ed oggetto del giudicato, ma congruamente motivò come la scelta progettuale del CTU di demolizione solo di quella parte di sopraelevazione illecita, ritenendo più congruente con le esigenze di tutela demolire l’intera sopraelevazione abusiva.
5.3. – Così facendo la Soprintendenza si pose in linea col notorio orientamento della Sezione, in virtù del quale il parere ex art. 146 del D.lgs. 42/2004 è espressivo non d’una scelta discrezionale pura, ma di una valutazione tecnico-discrezionale, destinata a produrre effetti vincolanti rispetto sul successivo provvedimento (p.es., sul PDC) per interventi in aree vincolate.
Il parere non sfugge mai al sindacato di legittimità di questo Giudice, anche per l’eccesso di potere, ove si riscontrino profili di difetti di motivazione, illogicità manifesta ed errori di fatto (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 7 ottobre 2008 n. 4823; id., 15 ottobre 2018 n. 5909). Ebbene il parere, appunto per tal sua natura e per evitare che il giudizio di compatibilità paesaggistica si traduca nell'esercizio di una valutazione insindacabile o arbitraria (cfr. sul punto, Cons. St., VI, 24 marzo 2014 n. 1418; id., 15 dicembre 2014 n. 6149; id., 5 dicembre 2016 n. 5108; id., n. 5909/2018, cit.), occorre che sia sempre sorretto da un'ampia e circostanziata motivazione, dalla quale sia possibile ricostruire sia le premesse che l'iter logico seguito nel percorso valutativo che si conclude con il giudizio finale. E, nel caso in cui esso sia negativo, deve esplicitare le effettive ragioni di contrasto tra l'intervento progettato ed i valori paesaggistici dei luoghi compendiati nel decreto di vincolo, tener conto delle ragioni indicate dal privato e, perciò, indicare qual tipo d’accorgimento tecnico o, se del caso, di modifica progettuale possa far conseguire all'interessato l'autorizzazione paesaggistica.
Non così accadde nella specie, ove tutte e ciascuna delle Amministrazioni intimate negarono tout court la demolizione proprio della parte oggetto del giudicato, nonostante il Giudice dell’esecuzione avesse reputato necessario il conseguimento dei titoli occorrente ed impedendo di conseguenza una satisfattiva esecuzione alla sentenza civile.
Non le predette Amministrazioni, ma il TAR, alla fine, ammise la possibilità d’un diverso approccio progettuale qual evenienza per conseguire il risultato. Dal che, nella specie, l’insussistenza di quella preclusione assoluta, tale da imporre, secondo il principio enunciato dalla sentenza n. 455/2017, la conversione dell’obbligo di fare stabilito dal giudicato civile in un risarcimento per equivalente.
Il TAR non s’è avveduto d’aver così imposto l’inversione dell’onere della prova circa la fattibilità alternativa dell’intervento, trasferendolo dalle predette Amministrazioni al CTU agli appellanti. E ciò in un caso, come quello di specie, ove, per la conformazione del sedime, vi fu e, in assenza di altre e più appaganti soluzioni da parte di dette Amministrazioni, c’è sul tappeto la sola modalità esecutiva possibile del giudicato civile. Si tratta proprio di quella indicata e suggerita dalla relazione progettuale del CTU, con la demolizione della porzione illecita dell’edificio de quo, dato, questo, su cui tutte e ciascuna Amministrazione intimata ha sorvolato, senza neppur tentare di suggerire un dissenso costruttivo.
In disparte la circostanza che l’edificio stesso fu costruito nel 1986 ed affaccia su una vallata verde, esso si presenta come un comune fabbricato moderno ictu oculi non connotato da peculiarità precise ed evidenti nel contesto paesaggistico. Per vero, la soluzione progettuale prescelta dal CTU, perché congruente col giudicato, concluse per il modesto impatto visivo dell’edificio per effetto delle opere di demolizione, che avrebbero interessato solo la porzione rivolta a valle, dove non v’erano strade o insediamenti e, quindi, con un minimo impatto visivo. Il progetto di demolizione previde allora un muro di tamponamento, necessario per chiudere l’edificio nel suo prospetto a valle, rendendone così abitabile il relitto altrimenti inutilizzabile, mentre nessuna terrazza scoperta sarebbe stata costruita ex novo perché trattasi del riattamento del solaio rimanente dalla demolizione dei piani sovrastanti, opere, queste, entrambe occorrenti per evitare problemi di staticità dell’edificio residuo.
Ora, ad avviso della Commissione dell’Unione montana Astico, nei «… confronti del paesaggio di riferimento, l’intervento non determina un deterioramento paesistico, ma sicuramente si presenta come elemento di disturbo che interrompe l’armonia data dalla regolarità del paesaggio…». Per la Soprintendenza, invero, «… la parziale demolizione lascerebbe un edificio asimmetrico, atipico forzatamente, con connotazioni compositive derivanti da calcoli urbanistici e non da valutazioni e scelte progettuali…». Poiché «… la trasformazione dei contesti sottoposti a tutela devono essere governate al fine di preservare o accrescere i caratteri presenti, l’intervento non è compatibile con i valori espressi nell’ambito paesaggistico…».
Sfugge alla comprensione del Collegio perché mai tal intervento demolitorio, pur non determinando il deterioramento del paesaggio, crei un elemento di disturbo alla regolarità del paesaggio e perché l’asimmetria dell’edificio sia incompatibile con i valori espressi nell’ambito paesaggistico. A parte che l’asimmetria fu una scelta progettuale voluta seppur necessitata, il ripudio di essa, da parte degli enti gestori del vincolo, non è comprensibile né motivata con riguardo ai valori sottesi al vincolo stesso (evidentemente perseguibili, p. es., con suggerimenti tecnici opportuni circa gli accorgimenti costruttivi e di rivestimento dei materiali). Anzi esso s’appalesa una mera, se non arbitraria, petizione di principio e, soprattutto, non mostra una soluzione alternativa, sì da render poco perspicua la ragione secondo cui un edificio illecito (come consta in atti ed è noto al Comune ed alla Soprintendenza, non dirimente essendo la risalenza nel tempo del fabbricato stesso) sia coerente col vincolo ed uno restituito a legittimità, no.
A ben vedere, tanto nel giudizio dell’Unione montana, quanto nel parere negativo della competente Soprintendenza non si focalizzarono sulla circostanza che la valutazione non avrebbe riguardato la parte della costruzione non coinvolta dall’intervento demolitorio, ma solo quest’ultimo. Non sfugge certo al Collegio la stretta compenetrazione materiale e statica tra la porzione demolenda e la parte residua di tal edificio e, quindi, l’impatto visivo dell’eventuale asimmetria determinata da siffatta demolizione. È tuttavia da condividere la doglianza attorea sull’irragionevolezza in sé del diniego basato, quale unico motivo, proprio su tal impatto della porzione residua, ossia su come s’ipotizza che potrà reagire tal parte del fabbricato nel contesto paesaggistico.
Mancò in effetti una seria ed approfondita disamina circa la peculiarità della situazione di contesto territoriale, sull’edificio e su qual parte di esso si sarebbe trovata veramente ad interagire coi vincoli ed i valori ad essi sottesi.
5.4. – Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo al diniego di PDC.
Infatti, senza dover ripetere anche qui l’obbligo prioritario per il Comune intimato di dar precisa ed adeguata esecuzione al giudicato civile ai sensi dell’art. 4, II co. della l. 2248/1865 all. E, già da tempo la Corte regolatrice (cfr. Cass., sez. un., 25 novembre 1987 n. 8729) e poi le Sezioni semplici (cfr. Cass., III, 6 maggio 2010 n.10959) hanno fissato criteri coerenti con detta norma e coi principi affermati dalla Sezione.
Invero, in tema di esecuzione forzata in forma specifica, il titolo esecutivo indica il risultato perseguito e l'ordinanza ex art. 612 c.p.c. ne stabilisce le modalità di ottenimento, sicché, ove la realizzazione di tal risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A —strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo—, il Giudice dell'esecuzione ha il potere di richiederli. Dal canto loro, le questioni sulla compatibilità di tal condanna coi poteri del Comune in materia urbanistica restano precluse dalla formazione di detto giudicato e non interferiscono sulla giurisdizione dell’AGO circa la determinazione delle modalità della esecuzione a norma del citato art. 612. Sicché al giudicato civile la P.A. deve conformarsi e prestarne esecuzione, trattandosi di comando giudiziale conformativo per legge anche se essa non fu parte del giudizio di cognizione. Ha ragione la sentenza n. 3664/2017 a rammentare che il Comune non sia sarebbe potuto esimere dal rilasciare del titolo edilizio occorrente, posto che l’efficacia di tal giudicato, nonché la puntualità e la cogenza di esso impongono al Comune di rilasciare il PDC.
Né basta: il Comune non tien conto che, quantunque sia vera l’impossibilità di nuove edificazioni in situ, in realtà il progetto sottopostogli dal CTU geom. Baio riguardò solo la demolizione parziale d’un edificio esistente, con diminuzione di superfici e cubature, con minor carico urbanistico e senza traslazione o nuove opere (se non la mera tamponatura dei locali residui ed il mantenimento d’un solaio per ragioni di statica).
6. – In definitiva, i due appelli, qui riuniti, vanno accolti nei sensi fin qui visti, con salvezza della ulteriore fase di riemanazione. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e che gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare conclusioni di segno diverso.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sugli appelli (ricorsi NRG 3822/2019 e NRG 3823/2019 in epigrafe), previa loro riunione, li accoglie e per l’effetto, in integrale riforma delle sentenze impugnate, accoglie i ricorsi di primo grado per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, con salvezza dell’ulteriore fase di riesame.
Condanna le Amministrazioni intimate, in solido e in misura uguale tra loro, al pagamento a favore degli appellanti, delle spese del doppio grado di giudizio, che sono nel complesso liquidate in € 9.000,00 (Euro novemila/00), oltre IVA, CPA ed accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 6 giugno 2019 con l'intervento dei Magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Francesco Mele, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere