Consiglio di Stato, Sez. IV, n.644, del 4 febbraio 2013
Urbanistica. Monetizzazione degli standard urbanistici

La monetizzazione degli standard urbanistici non può essere considerata alla stregua di una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà l’opera, e ciò perché, da un lato, così facendo si legittima la paradossale situazione di separare i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della qualità di vita degli appellanti) e dall’altro, si nega tutela giuridica agli interessi concretamente lesi degli abitanti dell’area. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00644/2013REG.PROV.COLL.

N. 09848/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 9848 del 2011, proposto da 
Daniele Bertolo, Fausto Amodei, Maria Vittoria Buffo, Daniela Fioravanti Onesti, Luca Bernardo Eugenio Fissore, Giovanni Peroglio Longhin, Giorgio Piodi, Rossana Rampone, Daniela Guidetti, Graziella Gandin, Elsa Roggero, Gianluigi Destefanis, Leonardo Caroni, Agostino Ramella e Alfredo Lino Mario Giuseppe Barra, rappresentati e difesi dagli avv.ti Gianluca Contaldi e Bruno Sarzotti, ed elettivamente domiciliati presso il primo dei difensori in Roma, via Pierluigi da Palestrina n. 63, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Comune di Torino, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Lacognata e Massimo Colarizi, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via Panama n. 12, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

nei confronti di

Torino Zerocinque trading s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Ludogoroff, Vilma Aliberti e Giovanni Sciacca, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via della Vite n. 7, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sezione seconda, n. 792 del 15 luglio 2011;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Torino e di Torino Zerocinque Trading s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 novembre 2012 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Bruno Sarzotti, Massimo Colarizi, Riccardo Ludogoroff e Giovanni Sciacca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso iscritto al n. 9848 del 2011, Daniele Bertolo, Fausto Amodei, Maria Vittoria Buffo, Daniela Fioravanti Onesti, Luca Bernardo Eugenio Fissore, Giovanni Peroglio Longhin, Giorgio Piodi, Rossana Rampone, Daniela Guidetti, Graziella Gandin, Elsa Roggero, Gianluigi Destefanis, Leonardo Caroni, Agostino Ramella e Alfredo Lino Mario Giuseppe Barra propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sezione seconda, n. 792 del 15 luglio 2011 con la quale è stato in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro il Comune di Torino e Torino Zerocinque trading s.p.a. per l'annullamento, con il ricorso depositato in data 10 dicembre 2010:

a) della deliberazione di Consiglio comunale 23.7.2010, n. ord. 97 (pubblicata il 13.8.2010), con cui l'Amministrazione ha approvato il permesso di costruire convenzionato per la "realizzazione di un intervento in 'area TE' di P.R.G. compresa per corso Massimo d'Azeglio, corso Dante, via Marenco e via Monti (ex ISVOR)";

b) per quanto possa occorrere, di tutti gli allegati della predetta deliberazione, ovvero lo schema di convenzione, la relazione illustrativa, il progetto planivolumetrico e la perizia asseverata sull'importo delle opere di urbanizzazione;

c) sempre per quanto possa occorrere, del parere favorevole reso dalla Commissione igienico-edilizia comunale il 21.1.2010;

d) nonché di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso e/o consequenziale;

e, con il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 29 marzo 2011, della convenzione relativa al permesso di costruire convenzionato nell’area ex ISVOR, stipulata in data 2/11/2010 con il Comune di Torino.

Dinanzi al giudice di prime cure, i ricorrenti, proprietari di immobili siti nelle immediate vicinanze dell’isolato che si estende fra corso Massimo d’Azeglio, corso Dante, via Marenco e via Monti, contestavano, sotto diversi profili, la legittimità dell’intervento edilizio da realizzare nell’ambito dell’area ricompresa in tale isolato (area ex Isvor), assentito dal Comune di Torino a favore della società Torino Zerocinque Trading s.p.a., ritenendolo – tra l’altro - gravemente lesivo dei loro interessi legittimi a causa dell’impatto assai negativo dell’intervento medesimo sia dal punto di vista del traffico, sia dal punto di vista del carico urbanistico del quartiere, sia – più in generale – sulla qualità dell’aria, dell’ambiente circostante e della vita (con conseguente ricaduta negativa sul valore di mercato dei loro immobili).

Per tale motivo, con ricorso depositato in data 10 dicembre 2010, impugnavano innanzi al T.A.R. gli atti e i provvedimenti a tal fine adottati dall’ente civico, indicati nell’epigrafe del ricorso, invocandone l’annullamento, previa sospensione cautelare.

Il Comune di Torino si costituiva in giudizio per resistere al ricorso, contestandone la fondatezza, e chiederne la reiezione.

La società Torino Zerocinque Trading s.p.a., del pari costituitasi in giudizio, ne ha dedotto, invece, l’inammissibilità a causa dell’omessa impugnazione da parte dei ricorrenti delle presupposte norme di PRGC che hanno confermato la programmazione di riqualificazione del lotto in questione, con la previsione di trasformazione della destinazione d’uso urbanistica del compendio immobiliare. Nel merito, ne ha comunque dedotto l’infondatezza e concluso per il rigetto.

Dopo aver rinunciato all’istanza cautelare originariamente proposta, i ricorrenti, con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 29 marzo 2011, sono insorti anche avverso la convenzione relativa al permesso di costruire convenzionato nell’area ex Isvor, stipulata in data 2 novembre 2011, invocandone l’annullamento, in quanto affetta, in via derivata, dai medesimi vizi inficianti la legittimità degli atti cui è conseguita.

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, ritenendo corretta la quantificazione volumetrica e dimensionale dell’intervento assentito e valutando come inammissibili le censure in merito alla monetizzazione degli standard non rinvenuti in loco.

Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo i motivi già illustrati dinanzi al T.A.R..

Nel giudizio di appello, si sono costituiti il Comune di Torino e Torino Zerocinque trading s.p.a., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del 17 gennaio 2012, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 144/2012.

All’udienza del 13 novembre 2012, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello non è fondato e va respinto, come di seguito precisato.

2. - In via preliminare, rimarcato che la Sezione deve pronunciarsi sulla legittimità del permesso di costruire convenzionato deliberato dal Consiglio comunale di Torino a favore della società Torino Zerocinque Trading s.p.a., attuale proprietaria dell’area di 16.980 mq, compresa tra i corsi Massimo d’Azeglio e Dante Alighieri e le vie Marengo e Monti, per la realizzazione sull’area medesima di un intervento interessante 31.000 mq di SLP – superficie lorda di pavimento - (a fronte di una SLP max consentita di 33.960 mq), di cui 22.620 mq per nuova costruzione e 8.380 mq per restauro e risanamento conservativo, con destinazione residenziale, terziaria e commerciale, deve notarsi come l’appello proposto rinunci espressamente a due dei tre motivi originariamente proposti, per concentrarsi unicamente sull’iniziale secondo punto del giudizio svoltosi davanti al T.A.R., peraltro a sua volta articolato in distinti autonomi motivi.

3. - Con il primo dei motivi di appello (punto II/a, pag. 28), viene lamentata la erroneità della sentenza per aver ritenuto carente l’interesse dei ricorrenti ad impugnare la violazione delle norme di PRG in materia di standard urbanistici, sia in relazione alla scelta di monetizzarli che alla concreta quantificazione del dovuto. Al contrario, gli appellanti evidenziano la sussistenza di una lesione concreta riguardo ai livelli di qualità della vivibilità urbana, determinati dalle modificazioni in termini di carico urbanistico nell’area, elemento questo che consentirebbe agli stessi di dolersi di tali scelte pianificatorie dell’amministrazione.

Ritenuta quindi fondata la loro legittimazione, gli appellanti chiedono a questa Sezione di procedere allo scrutinio dei motivi di doglianza consequenziali, che il T.A.R. non aveva esaminato in ragione della ritenuta carenza di legittimazione, e riproposti come originariamente inseriti nel ricorso di primo grado, ai numeri A2) e A3).

3.1. - Le censure proposte sono ammissibili ma infondate.

La Sezione si è già espressa in sede cautelare sull’ammissibilità delle doglianze in tema di procedura di monetizzazione degli standard, con una linea argomentativa cui non ritiene di fare torto. Nell’ordinanza cautelare n. 144 del 17 gennaio 2012, la Sezione:

“considerato che può ritenersi sussistente la legittimazione delle parti appellanti a sindacare i meccanismi di determinazione degli standard urbanistici relativi all’intervento da realizzare, atteso che la loro monetizzazione, a fronte di un immediato vantaggio economico in favore del Comune, comporta la sottrazione di utilità ai residenti ed influisce quindi sulla fruibilità dell’area in questione;

considerato che non appaiono evidenti le ragioni per cui il Comune, nella ponderazione tra gli opposti interessi tesi, da un lato, al mantenimento nell’area degli standard e, dall’altro, alla loro monetizzazione per poi successiva dislocazione in zona diversa, ha optato per la soluzione più lesiva delle parti appellanti;”

ha accolto l’istanza cautelare degli attuali appellanti.

Le linee portanti della citata argomentazione vanno ribadite, anche in questa sede, in tema di scrutinio pregiudiziale sull’ammissibilità di tali doglianze. Infatti, non ci si può esimere dall’osservare come i criteri per la determinazione dei soggetti parti del processo amministrativo si fondino su elementi di carattere sostanziale in funzione di una subita lesione di un interesse giuridico qualificato ad opera dell’azione amministrativa. In quest’ ambito, le classificazioni degli interessi lesi, e le parallele categorie descrittive in uso nella giurisprudenza (quali quella della vicinitas, sicuramente preponderante in ambito edilizio e molto evocata dalla parti appellate), lungi dal rappresentare un elemento di chiusura dei fatti di legittimazione, ne rappresentano una utile esemplificazione che non esclude, ma anzi fonda, la possibile espansione della tutela processuale in favore di altri soggetti i quali, in concreto, riescano a giustificare l’esistenza di una loro posizione differenziata e lesa (ed in giurisprudenza, si trovano esempi di una considerazione complessa del concetto di vicinitas, inteso come giudizio in cui si tiene conto della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera, Consiglio di Stato, sez. IV, 29 novembre 2012 n. 6081; id., 31 maggio 2007, n. 2849).

Proprio sulla scorta di tale valutazione in concreto, la Sezione non ha condiviso l’assunto del T.A.R. (che aveva visto il tema della monetizzazione come una vicenda patrimoniale tra Comune e titolare del permesso di costruire) e ha al contrario ritenuto che la modificazione peggiorativa della qualità urbana ben possa fondare un interesse diretto al sindacato sulle scelte urbanistiche del Comune, applicando i criteri, e non gli schemi preconcetti, valevoli in generale per ogni provvedimento amministrativo nel campo specifico in esame. A un esame più attento, la monetizzazione degli standard urbanistici non può essere considerata alla stregua di una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà l’opera, e ciò perché, da un lato, così facendo si legittima la paradossale situazione di separare i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della qualità di vita degli appellanti) e dall’altro, si nega tutela giuridica agli interessi concretamente lesi degli abitanti dell’area.

4. - Superato il profilo dell’inammissibilità, la Sezione deve scrutinare le censure non valutate dal T.A.R. che lamentano la mancata considerazione dei profili attinenti all’avvenuta monetizzazione degli standard urbanistici non reperiti in loco, censurati in relazione all’an ed al quantum.

In via preliminare e anche al fine di disegnare l’ambito cognitivo di questa decisione siccome non tesa ad accertare la legittimità delle norme di piano regolatore generale del Comune di Torino, la Sezione ritiene di evidenziare il particolare meccanismo normativo che disciplina le decisioni sugli standard urbanistici (e sulla loro monetizzazione) all’interno della Regione Piemonte e il ruolo centrale attribuito in questo ambito alla pianificazione a livello comunale.

Muovendo dal dato di diritto positivo, il punto normativo di partenza nel tema degli standard urbanistici è l'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 “Legge urbanistica”, come introdotto dall'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, che prevede:

“In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonchè rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi.

I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima”

In applicazione di tale precetto, è stato quindi emanato il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 nel quale sono confluite disposizioni diverse, anche in tema di regolazione edilizia, oltre quelle qui interessanti in tema di standard urbanistici.

Il legislatore ha poi trasferito la materia dell’urbanistica, e quindi anche il potere di fissazione degli standard, alle Regioni, con l’art. 1 del D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8 “Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici”, poi confermato con gli artt. 79 e 80 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 “Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382” e ribadito, senza prendere posizione sui limiti del riparto di attribuzioni, dall’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, che dà per presupposta la disciplina.

Per quanto qui interessa, nella regione Piemonte il tema degli standard urbanistici è stato oggetto di previsione nella legge regionale n. 56 del 5 dicembre 1977 “Tutela e uso del suolo”, come modificata dalla legge regionale n, 61 del 6 giugno 1984. L’art.12 “Contenuti del Piano Regolatore Generale” stabilisce che questo strumento pianificatorio:

“4) individua e regolamenta sulla base dei piani agricoli zonali, ove operanti, le aree destinate ad attività agricole e quelle destinate ad usi insediativi, residenziali, produttivi, commerciali e turistici, ai servizi e al tempo libero, definendo le aree destinate agli standards, di cui agli articoli 21 e 22, oppure individuando gli strumenti esecutivi che devono provvedere a tale specificazione [Comma modificato dall'articolo 15, della L.R. n. 61 del 6-12-1984”.

A sua volta, l’art. 21 “Standards urbanistici e servizi sociali ed attrezzature a livello comunale”, dopo averne quantificato la dotazione, prevede nei suoi ultimi due comma (come risultanti dall'articolo 4 della legge regionale n. 70 del 27 dicembre 1991 e interpretati autenticamente dall'articolo 1 della legge regionale n. 43 del 23 marzo 1995):

“In tutti i casi di cui ai n. 1), 2), e 3), del presente articolo, negli interventi all'interno dei centri storici, di ristrutturazione Urbanistica e di completamento, la superficie da destinare a parcheggio potrà essere utilmente reperita in apposite attrezzature multipiano nonché nella struttura degli edifici e loro copertura ed anche nel sottosuolo, purché non pregiudichi le aree sovrastanti, se piantumate o destinate a piantumazione.

Ai fini degli standards, di cui al presente articolo, sono computabili, oltre alle superfici delle quali é prevista l'acquisizione da parte della pubblica amministrazione, anche quelle private per le quali é previsto l'assoggettamento ad uso pubblico disciplinato con convenzione, nelle proporzioni definite dai Piani Regolatori Generali o dai loro strumenti di attuazione”.

Appare quindi evidente che i meccanismi d’individuazione concreta degli standard, la loro quantificazione e la possibilità che gli stessi vengano individuati con modalità diverse da quelle previste dal D.M. del 1968 sono integralmente rimessi al piano regolatore generale.

Nel caso in esame, lo strumento pianificatorio valevole per il Comune di Torino prevede, all’art. 6 comma 9 delle NUEA - Norme Urbanistiche Edilizie di Attuazione:

“In alternativa alla cessione gratuita di aree per servizi, in caso di dimostrata impossibilità del loro idoneo reperimento nella località dell’intervento, è ammessa la monetizzazione delle stesse, da effettuare con applicazione dei criteri previsti dalle vigenti disposizioni per la determinazione dell’indennità di esproprio, con riferimento all’area dell’intervento e alle sue capacità edificatorie, limitatamente ai seguenti casi:

1) Per gli interventi di ristrutturazione urbanistica o di nuovo impianto in zone urbane storico ambientali (v. art.11), consolidate residenziali miste (v. art.12) e per le cessioni previste relativamente alle zone consolidate per attività produttive (v. art.14);

2) Per gli interventi nelle aree da trasformare all’interno della zona urbana centrale storica, ove previsto dall’art.10 comma 37;

3) Per gli interventi di sostituzione edilizia.

4) Per gli interventi previsti nelle zone urbane di trasformazione (Ambiti di Riordino) di cui all’art. 7 punto E (fino ad un massimo del 50%)”.

Nel caso in esame, va rimarcato come il piano regolatore generale comunale di Torino non sia stato oggetto d’impugnazione e, conseguentemente, non è possibile nemmeno sindacare la compatibilità del sistema normativo sopra evidenziato con il nuovo quadro costituzionale (con particolare riferimento ai temi dell’art. 117 ed ai concetti di ordinamento civile, governo del territorio e livelli essenziali di prestazione). Ciò a proposito della circostanza che questi meccanismi di attribuzione, di fatto, trasferiscono sul livello minimo dell’organizzazione territoriale della Repubblica i poteri di determinazione in concreto della qualità della vita urbana, con possibilità di una non uniforme disciplina sul piano nazionale. È, infatti, valido nella questione in esame in principio per cui, anche nei casi d’intervenuta declaratoria d’incostituzionalità, il giudice amministrativo, nel giudizio impugnatorio, può procedere all'annullamento dell'atto fondato su norma dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con propria sentenza di annullamento, solo se, attraverso un motivo di ricorso, il rapporto tra l'atto impugnato e la norma predetta sia portato a sua conoscenza e, quindi, l'esame della norma stessa sia necessario ai fini del decidere (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, 25 agosto 2009 n. 5058), cosa che nel caso non sussiste.

La questione va quindi scrutinata nell’ambito del principio devolutivo dell’appello e quindi in rapporto alle doglianze di cui ai punti A2) e A3) del ricorso di primo grado, non valutate dal T.A.R., nelle quali sostanzialmente si lamenta la mancata motivazione della scelta di monetizzare e il valore macroscopicamente incongruo del quantum previsto.

La Sezione ritiene che le dette censure non siano fondate in merito.

Occorre anticipatamente evidenziare come il modus decisionale valevole nel caso in specie appaia sufficientemente delimitato, in senso procedimentale e sostanziale, dalla normativa urbanistica sopra richiamata. Peraltro, il Comune di Torino, a seguito dell’ordinanza cautelare di questa Sezione, ha provveduto a chiarire i termini della sua decisione con la delibera del 3 aprile 2012, la quale, senza predisporre di fatto una motivazione postuma (e quindi rendendo irrilevante la circostanza della sua mancata impugnativa) ha delineato i passaggi argomentativi utilizzati, ed in particolare: ha quantificato gli standards da recuperare in area, suddividendoli tra aree da cedere e aree in parte da cedere e in parte da assoggettare a uso pubblico; ha individuato i modi di reperimento della quota residua di standards non localizzata in area d’intervento, sia attraverso un’area esterna destinata a servizi che attraverso il residuale strumento della monetizzazione.

Pertanto, evidenziando come la quantificazione in concreto del valore dell’area per metro quadro, come ritenuto congruo dalla divisione patrimonio della città, non appare attaccato dalle valutazioni ipotetiche degli appellanti, i due motivi di censura vanno respinti perché infondati nel merito.

5. - Con il secondo dei motivi di appello (punto II/b, pag. 31), viene lamentata la erroneità della sentenza per aver usato un metodo erroneo per il calcolo della SLP, escludendovi l’edificio sottoposto a vincolo dalla Soprintendenza. In particolare, evidenziando come l’intervento de qua faccia anche uso dell’edificio, il permesso di costruire, anche in relazione della sua natura unitaria, avrebbe dovuto tenere presente anche l’ambito dimensionale di quest’immobile, sia in termini di onerosità che di computo degli standards.

5.1. - La doglianza non ha pregio.

Come bene evidenziato dal primo giudice, appare arduo condividere la doglianza in merito alla mancata imputazione alla soddisfazione degli standard urbanistici della superficie di 8.380 mq riguardante l’intervento di restauro e risanamento. Si evince dalla relazione illustrativa allegata al progetto (punto 7), parte integrante e sostanziale della deliberazione consiliare principalmente gravata, come gli interventi edilizi interessanti la superficie di 8.380 mq, oggetto di vincolo da parte della S.B.A.P. del Piemonte, non sono compresi nel concetto di nuova costruzione, ma sono tesi a conservare l'organismo edilizio esistente e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. E in tale senso si è mosso anche il parere della Soprintendenza, che ha ritenuto gli interventi proposti conformi a quelli consentiti dalle norme di riferimento (ovvero restauro e risanamento conservativo).

In tal modo, premessa l’irrilevanza della circostanza che il fabbricato in questione sia rimasto inutilizzato per alcuni anni, in quanto nella sua utilizzazione era stato già considerato il carico urbanistico indotto, è da ribadirsi la pacifica affermazione per cui gli interventi di risanamento e restauro conservativo, intervenendo sull’esistente, non comportano l’onere di cessione di aree a servizi, in quanto gli standard sono già soddisfatti.

La natura unitaria del progetto non scalfisce la detta ricostruzione in quanto, se letta nei sensi voluti dall’appellante, porterebbe all’assurdo risultato già evidenziato dal T.A.R., ossia quello “di conteggiare più volte un medesimo edificio, già esistente e con destinazione in atto analoga a quella prevista anche nel nuovo intervento, ai fini del calcolo degli standard, solo perché contemplato, in un momento successivo, in un progetto di più vaste dimensioni”.

6. - Con il terzo dei motivi di appello (punto II/c, pag. 35), viene lamentata la erroneità della sentenza per non aver considerato il tema della dismissione di un tratto di strada, a tutti gli effetti comunali. In particolare, viene lamentata la mancata considerazione del vero assetto proprietario della strada, che sarebbe in mano pubblica e non acquistata dalla società appellata.

6.1. - La doglianza non può essere condivisa.

Dagli atti emerge come l’area del tratto di via Chiabrera ricompreso tra corso Dante e via Monti di cui si verte risulta espressamente indicato nell’atto di acquisto dei proponenti del permesso di costruire convenzionato, ossia la Torino Zerocinque Trading.

Sebbene tale circostanza, come correttamente osservano le parti appellanti e al contrario di quanto deduce il T.A.R., non sia ex se valida e sufficiente a dimostrare la disponibilità del bene e a trasferire la relativa proprietà (come pure non è valutabile l’eventuale mancata inerzia del Comune in fase di tutela dei suoi assetti proprietari), va però detto che il dato di fatto sotteso ben può essere acquisito dagli altri elementi emersi nel corso della fase istruttoria.

In particolare, emerge come il Comune, nella redazione del PRGC, risalente al 1995, abbia espressamente escluso dalle aree con destinazione alla viabilità esistente o in progetto (art. 23, comma 1, NUAE) il sedime di via Chiabrera e che, inoltre, il permesso di costruire qui opposto sia stato rilasciato. Pare quindi considerabile positivamente la volontà del Comune come comportamento concludente per esprimere la volontà di non mettere giuridicamente in discussione la bontà dell’acquisto effettuato dalla società controinteressata, permettendo a questa, come ultima eventuale possibilità, di giovarsi, in quanto acquirente in buona fede, dell’usucapione abbreviata e divenire comunque proprietaria del bene in questione.

7. - L’appello va quindi respinto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla parziale novità della questione decisa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 9848 del 2011;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2012, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)