Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1007, del 19 febbraio 2013
Urbanistica. Jus aedificandi

Va sottolineato che lo jus aedificandi, quale facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli rappresenta un interesse sottoposto a conformazione da parte della legge e della Pubblica amministrazione, in funzione dei molteplici interessi, pubblici e privati, diversi da quelli del proprietario del suolo, che sono coinvolti dall'edificazione privata, e che tale conformazione discende non solo dalla normativa di carattere urbanistico-edilizio, ma anche da altre normative settoriali. Di conseguenza, come già chiarito dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 1986, l’Amministrazione, nel nuovo esercizio del proprio potere, dovrà tenere conto degli eventuali vincoli e limiti diversi e ulteriori rispetto alla disciplina urbanistica in senso stretto che, in quanto siano applicabili anche se sopravvenuti (quali, in linea di massima, le prescrizioni sanitarie, anti-sismiche, i vincoli a tutela delle bellezze naturali e di beni di interesse storico e artistico), debbano essere valutati al momento in cui la domanda viene esaminata. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01007/2013REG.PROV.COLL.

N. 02304/2008 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2304 del 2008, proposto da: 
Comune di Quarto, rappresentato e difeso dall'avv. Clara Improta, con domicilio eletto presso Enrico Soprano in Roma, via degli Avignonesi, 5;

contro

Societa' Danka Immobiliare S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Mario Salvi, Nicola Salvi, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE II n. 15838/2007, resa tra le parti, concernente diniego rilascio del permesso di costruire

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2013 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Felice Laudadio (su delega di Clara Improta) e Fabrizio Vittoria (su delega di Mario Salvi);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con sentenza 7 dicembre 2007, n. 15838, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sez. II, ha accolto il ricorso presentato dalla Società Danka Immobiliare s.r.l. per l’annullamento del diniego di rilascio del permesso di costruire, opposto dal Comune di Quarto con atto n. 3199 dell’8 febbraio 2005.

Il Comune ha respinto la domanda - presentata la prima volta in data 30 maggio 1990 e in seguito variamente reiterata - sul presupposto che il terreno, oggetto di edificazione, ricadrebbe in parte in zona “Fg”, destinata a parcheggio pubblico senza possibilità di interventi edificatori a scopi abitativi, e parte in zona “Fb”, destinata ad aree e attrezzature per spazi pubblici, con obbligo di redazione di piano particolareggiato esecutivo e, del pari, divieto di costruzione di edifici civili.

Il Tribunale regionale ricostruisce la complessa vertenza intercorsa fra le parti, nel corso della quale sono intervenute altre decisioni del giudice amministrativo, di primo e di secondo grado; in particolare, con la sentenza 21 gennaio 1992, n, 3, passata in giudicato per mancata impugnazione nei termini di legge, lo stesso Tribunale aveva annullato un precedente diniego.

In sede di nuovo esercizio del potere, il Comune - senza neanche motivare circa la comparazione tra interessi pubblici e interessi privati coinvolti nella vicenda - avrebbe respinto la domanda dalla Società sulla base del nuovo P.R.G. (approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale 18 novembre 1994, n. 291, e pubblicato sul B.U.R. del 23 gennaio 1995, n. 4), dunque con riguardo non alla strumentazione urbanistica vigente all’epoca della sentenza, ma a quella sopravvenuta. Anche alla luce della motivazione della sentenza n. 3 del 1992, che aveva censurato il diniego del permesso, opposto in relazione a un P.R.G. non ancora efficace, il comportamento dell’Amministrazione avrebbe sostanzialmente disatteso il principio di effettività della tutela giurisdizionale di fronte agli organi della giustizia amministrativa.

Nell’appello interposto contro la sentenza, il Comune - rifacendosi alla giurisprudenza citata dalla sentenza di primo grado (e in particolare a Cons. Stato, ad. plen., 8 gennaio 1986, n. 1) - sostiene che sarebbe stato onere della Società appellata (ritenuta titolare, nella fattispecie, di un semplice interesse pretensivo) richiedere una variante ad hoc del nuovo P.R.G. Peraltro, visto il tipo di intervento che la Società intendeva realizzare (10 fabbricati, per un totale di 197 appartamenti), nella specie sarebbe stata possibile, tutt’al più, solo una variante che recuperasse in parte la previsione di P.R.G. abrogata.

Il Comune ripropone poi delle eccezioni di inammissibilità del ricorso, già formulate in primo grado. A questo proposito, osserva, da un lato, che l’emanazione del provvedimento impugnato costituirebbe comunque ottemperanza al precedente giudicato; dall’altro, che solo tale provvedimento avrebbe concluso il procedimento, sicché nulla avrebbe impedito l’applicazione della nuova normativa urbanistica.

La Società Danka Immobiliare si è costituita in giudizio per resistere all’appello.

La Società sostiene che il nuovo P.R.G. sarebbe a essa totalmente inopponibile, per essere intervenuto dopo la notificazione della sentenza n. 3 del 1992. L’onere di presentare un’istanza varrebbe solo nei casi in cui la normativa sopravvenuta, perfezionatasi prima della notifica della sentenza, sia di per sé applicabile; e questo non sarebbe nel caso di specie, per effetto del giudicato formatosi sulle sentenze del T.A.R. Campania n. 3 del 1992 e n. 78 del 1993.

Quanto infine all’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, osserva che il ricorso stesso sarebbe stato comunque notificato con termini e modalità propri dei ricorsi ordinari. A tutto concedere, esso varrebbe quindi come autonomo gravame e come tale sarebbe stato trattato dal Tribunale territoriale.

La domanda cautelare, con cui il Comune ha chiesto la sospensione dell’esecutività della sentenza, è stata accolta dal Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza 9 aprile 2008, n. 1893.

Il Comune ha successivamente presentato una memoria, nella quale, nel ribadire le proprie tesi, fa leva sulla circostanza che la sentenza del T.A.R. Campania n. 3 del 1992 non avrebbe annullato un diniego di concessione, ma solo un parere negativo dell’U.T.C. Pertanto, il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo edilizio - di nuovo avviato dal Comune in esecuzione della sentenza ricordata - sarebbe stato ancora in corso al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina pianificatoria.

Nelle proprie note di replica, la Danka Immobiliare considera tale ultimo rilievo inammissibile, in quanto nuovo, e comunque infondato in fatto.

All’udienza pubblica del 29 gennaio 2013, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

La sentenza impugnata, l’appello e la contrapposta difesa ruotano tutti attorno al tema della concreta applicazione dei principi enunciati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 8 gennaio 1986, n. 1, con riguardo alla questione della disciplina urbanistica da far valere in occasione del riesame di un progetto edilizio, conseguente all’annullamento del diniego di concessione o alla declaratoria del silenzio-rifiuto serbato dall’Amministrazione.

Nella ricerca di un punto di giusto equilibrio tra due principi di eguale valore (da un lato, effettività della tutela giurisdizionale, dalla quale discende la regola che gli effetti della sentenza risalgono al momento della proposizione della domanda; dall’altro, preminenza dell’interesse pubblico sugli interessi privati, seppur meritevoli di tutela), l’Adunanza plenaria ha ritenuto che:

restano inopponibili all’interessato le modificazioni della normativa di piano intervenute successivamente alla notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso;

quando la nuova normativa sia opponibile, deve riconoscersi al privato, che abbia ottenuto un giudicato favorevole, un interesse pretensivo a che l’Amministrazione valuti la possibilità di introdurre una variante che recuperi, in tutto o in parte, l’originaria previsione del piano abrogato, posta a suo tempo a base della domanda di concessione.

L’insegnamento dell’Adunanza generale ha trovato, da allora in poi, puntuale applicazione (si vedano ad es. Cons. Stato, 30 giugno 2004, n. 4804; Id., sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6535).

Nel caso di specie, la sentenza n. 3 del 1992 ha annullato il diniego per essere questo fondato su una disciplina urbanistica non ancora in vigore.

Il successivo provvedimento di diniego, impugnato in questa sede, rinvia al P.R.G. del 1994-1995, dunque a uno strumento di programmazione urbanistica entrato in vigore successivamente alla sentenza prima ricordata (il dato di fatto non è in discussione).

Su queste premesse, la circostanza su cui si fonda la difesa del Comune (cioè la mancata presentazione di un’istanza di variante) non è conclusiva, posto che, nel quadro concettuale elaborato dall’Adunanza plenaria, il nuovo Piano non era comunque opponibile al privato.

Nella memoria conclusiva, peraltro, il Comune sembra modificare l’asse del proprio appello. La nuova normativa di piano sarebbe opponibile alla Società perché il procedimento concessorio si sarebbe concluso solo con l’atto impugnato, posto che la sentenza n. 3 del 1992 non avrebbe annullato un provvedimento conclusivo del procedimento, ma solo un parere negativo dell’U.T.C.

In disparte la questione - sollevata dalla parte appellata - della novità, e dunque dell’ammissibilità di tale argomento, va detto che l’argomento medesimo è infondato. Se è vero che la sentenza n. 3 del 1992 ha deciso su un ricorso proposto contro la nota sindacale che ha comunicato il parere negativo espresso dall’ufficio comunale, il T.A.R. ha ritenuto che la nota stessa, in quanto faceva proprio il parere in oggetto, costituisse atto sostanziale di reiezione della domanda di concessione edilizia.

Non c’è dubbio quindi che, allo stato, la nota poi annullata definisse il procedimento, ovviamente poi riapertosi, ma solo per effetto sella sentenza di annullamento.

D’altronde – verrebbe fatto di aggiungere – se la nota annullata nel 1993 non fosse stata ricostruita nei termini di atto provvedimentale, in concreto lesivo dell’interesse del privato, il ricorso relativo avrebbe avuto per oggetto un parere in senso stretto, dunque un mero atto endoprocedimentale. Pertanto avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

Infondato il principale motivo dell’appello del Comune, non ha miglior fortuna il secondo, che sostiene l’inammissibilità del ricorso di primo grado per avere l’Amministrazione dato comunque esecuzione al giudicato, adottando un nuovo provvedimento. A prescindere da ogni altra considerazione, infatti, il ricorso della Danka Immobiliare si autoqualificava “autonomo e per l’ottemperanza” e valeva dunque anche come autonomo gravame nei confronti dell’atto di diniego n. 3199 del 2005.

Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza di primo grado impugnata. Il Comune dovrà dunque rivalutare la domanda di concessione edilizia, presentata dalla Danka Immobiliare, avendo riguardo alla strumentazione urbanistica vigente al momento della notifica della precedente sentenza del T.A.R. della Campania n. 3 del 1992.

Per completezza, va ricordato che lo jus aedificandi, quale facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli rappresenta un interesse sottoposto a conformazione da parte della legge e della Pubblica amministrazione, in funzione dei molteplici interessi - pubblici e privati - diversi da quelli del proprietario del suolo, che sono coinvolti dall'edificazione privata, e che tale conformazione discende non solo dalla normativa di carattere urbanistico-edilizio, ma anche da altre normative settoriali.

Di conseguenza – come già chiariva la più volte citata decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 1986 – l’Amministrazione, nel nuovo esercizio del proprio potere, dovrà tenere conto degli eventuali vincoli e limiti diversi e ulteriori rispetto alla disciplina urbanistica in senso stretto che, in quanto siano applicabili anche se sopravvenuti (quali, in linea di massima, le prescrizioni sanitarie, anti-sismiche, i vincoli a tutela delle bellezze naturali e di beni di interesse storico e artistico), debbano essere valutati al momento in cui la domanda viene esaminata.

Apprezzate le circostanze, sussistono giustificate ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado impugnata.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)