Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4287, del 15 settembre 2015
Urbanistica.Edificio “ultimato”, illegittimità diniego condono edilizio in sanatoria

Ai fini del condono, per edifici “ultimati”, s’intendono quelli completi almeno al rustico. Costituisce principio pacifico che per edificio al rustico si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tampognature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili. Nel caso di specie, il criterio dell’esecuzione del rustico e del completamento della copertura risulta soddisfatto, atteso che la soletta in laterocemento posa a chiusura del manufatto integra una reale chiusura superiore in grado di definire la sagoma e la volumetria del fabbricato. Tale copertura, infatti, è in muratura, è stabilmente infissa al corpo verticale ed è costituita con materiale non precario (soltanto non rifinita con tegole o simili): essa è, pertanto, tale da permettere la precisa individuazione del volume da condonare, escludendosi ogni possibilità di far luogo a successive modifiche o ampliamenti. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04287/2015REG.PROV.COLL.

N. 03299/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3299 del 2014, proposto da: 
Valeria Canavero, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Gaggero, Francesco Paoletti, con domicilio eletto presso Francesco Paoletti in Roma, viale Maresciallo Pilsudski Nr.118; 

contro

Comune di Albenga; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 00264/2014, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 00264/2014, resa tra le parti, concernente diniego condono edilizio in sanatoria

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2015 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato Paoletti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Viene in decisione l’appello proposto da Valeria Canavero per ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, con la quale il T.a.r per la Liguria ha respinto il ricorso proposto in primo grado contro il provvedimento del Comune di Albenga (1° ottobre 2007, n. 850) di diniego della sanatoria straordinaria, ex art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 4 novembre 2003, n. 326, per opere di ampliamento (da mq 32 a mq 116) del fabbricato sito in frazione Salea, via Costa Reale, con contestuale mutamento di destinazione da non residenziale (deposito attrezzi) ad abitativa.

2. Il diniego impugnato si fonda sulla motivazione che le opere oggetto della domanda di condono non risulterebbero ultimate alla data del 31 marzo 2003, in quanto: per quel che riguarda la parte interessata dal cambio di destinazione d’uso, le opere non risulterebbero completate dal punto di vista funzionale, mancando tutte le predisposizioni per gli impianti tecnologici; quanto alla nuova volumetria in ampliamento, essa risulterebbe quasi totalmente priva della copertura.

3. Il T.a.r. ha respinto il ricorso richiamando il disposto dell’art. 31, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 a mente del quale “ai fini delle disposizioni del comma precedente [cioè ai fini dell’ottenimento della concessione in sanatoria], si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il risstico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne di edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano completate funzionalmente”.

Il T.a.r. (valorizzando quanto riscontrato dall’Amministrazione in occasione del sopralluogo effettuato in data 10 aprile 2007) ha rilevato che nel caso di specie una porzione della parte semi-nterrata fosse scoperta e che la struttura del piano terra fosse dotata della sola soletta in laterocemento costituente il soffitto della volumetria al piano terra.

In tale situazione, secondo il T.a.r., non poteva ritenersi integrata la copertura dell’edificio: ciò sia perché la soletta funge da copertura soltanto alle stanze dell’ultimo piano (e non dell’intero edificio, come la copertura propriamente detta), sia perché essa non definisce affatto l’ingombro definitivo della struttura, potendo a sua volta rappresentare la base di ulteriori intercapedini e volumi.

Ugualmente il T.a.r. ha ritenuto non completate funzionalmente le opere relative al mutamento della destinazione d’uso per la mancanza degli impianti tecnologici, dell’isolamento termico ed acustico nonché delle rifiniture civili.

4. Nell’atto di appello la signora Canavero articola, in sintesi, le seguenti censure:

a) in primo luogo, il T.a.r. disconoscendo il carattere unitario dell’istanza di condono, avrebbe erroneamente applicato, per verificare il requisito dell’ultimazione dell’opera entro la data del 31 marzo 2003, entrambi i criteri (completamento della copertura e completamento funzionale) previsti dall’art. 31, comma2, legge n. 47 del 1985, dettati rispettivamente con riguardo alla sanatoria delle nuove costruzioni da adibire a residenza e con riguardo alle modifiche interni di edifici già esistenti (anche con riguardo al radicale della destinazione d’uso). Secondo l’appellante, invece, considerato che nel caso di specie le opere realizzate sono consistite nel radicale ampliamento di un piccolo manufatto già esistente, onde poterlo adibire a residenza, passandosi da una superficie di 32 mq ad una superficie di oltre 116 mq, con conseguente ed inevitabile radicabile radicale modifica della sagoma, l’unico criterio da applicare sarebbe stato quello della esecuzione del rustico e del completamento della copertura (e non anche quello più severo del completamento funzionale).

b) in secondo luogo, il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere non ultimato il rustico in quanto carene di copertura, da ritenersi, invece, pacificamente sussistente ed idonea ad integrare il requisito dell’ultimazione richiesto ai fini del condono.

5. All’odierna udienza di discussione la causa è stata trattenuta per la decisione.

6. L’appello merita accoglimento.

7. Il Collegio condivide la tesi dell’appellante secondo cui, in una situazione come quella oggetto del presente giudizio (radicale ampliamento di un piccolo manufatto già esistente, con completo stravolgimento della sagoma, al fine di poterlo adibire a residenza), l’unico criterio da applicare per verificare l’ultimazione dell’opera è quello del completamento del “rustico” e non anche quello del completamento funzionale.

L’art. 31, comma 2, legge n. 47 del 1985 prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito dell’ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono. Si tratta del criterio strutturale, che vale nei casi di nuova costruzione e del criterio funzionale, che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti.

Qualora, come nella fattispecie oggetto del presente giudizio, le opere edilizie, pur avendo ad oggetto una costruzione già esistente, non si limitano ad un semplice mutamento interno o cambio di destinazione, ma abbiano consistenza tale da determinare il completo mutamento dei connotati strutturali di una costruzione già esistente (dato il significato ampliamento della volumetria e il radicale mutamento della sagoma), il criterio di applicare non può che essere unicamente quello c.d. strutturale.

Diversamente opinando, infatti, si finirebbe per riservare un trattamento differenziato e più severo (pretendendosi anche il completamento funzionale) a quelle situazioni in cui l’intervento edilizio, anziché dare vita ad una costruzione prima totalmente inesistente, abbia avuto come base di partenza una costruzione già esistente, ma radicalmente diversa (per volumetria e sagoma) rispetto a quella che risulta all’esito dell’attività di trasformazione.

Tale distinzione, fondata su una circostanza di per sé non significativa, quale è quella appunto quella rappresentata dalla preesistenza o meno di un manufatto sebbene radicalmente diverso da quello poi realizzato, risulterebbe evidentemente irragionevole e, quindi, fonte di un’altrettanto irragionevole disparità di trattamento.

In definitiva, quindi, la ideale suddivisione operata dalla sentenza appellata, del manufatto in due “parti” (una interessata dal cambio di destinazione d’uso ed una interessata dalla nuova volumetria) risulta illogica e contrastante con il risultato realizzato all’esito dell’intervento di edificazione, sostanzialmente equiparabile ad una nuova costruzione.

L’unico criterio da applicare è, pertanto, quello strutturale del completamento del rustico.

7. A tal fine, occorre verificare se risulta ultimata (o meglio risultava ultimata alla data del 31 marzo 2003) la copertura del nuovo edificio. A tale quesito deve darsi risposta positiva.

Ai fini del condono, per edifici “ultimati”, si intendono quelli completi almeno al “rustico”. Costituisce principio pacifico che per edificio al rustico si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tampognature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 130).

Nel caso di specie, il criterio dell’esecuzione del rustico e del completamento della copertura risulta soddisfatto, atteso che la soletta in laterocemento posa a chiusura del manufatto integra una reale chiusura superiore in grado di definire la sagoma e la volumetria del fabbricato. Tale copertura, infatti, è in muratura, è stabilmente infissa al corpo verticale ed è costituita con materiale non precario (soltanto non rifinita con tegole o simili): essa è, pertanto, tale da permettere la precisa individuazione del volume da condonare, escludendosi ogni possibilità di far luogo a successive modifiche o ampliamenti.

In questo contesto è priva di rilevanza la circostanza, valorizzata, invece, dalla sentenza appellata, al fine di respingere il ricorso, secondo cui la copertura del manufatto recherebbe “una piccola apertura, da munire di botola, per consentire l’accesso alla superficie soprastante”.

Tale apertura, infatti, non riguarda la copertura dell’edificio (unica copertura rilevante ai fini del condono), ma piuttosto che la chiusura dell’intercapedine latitante il piano seminterrato.

8. Le considerazioni che precedono consentono di accogliere l’appello; per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso di primo grado con conseguente annullamento dei provvedimenti amministrativi impugnati.

9. La peculiarità della fattispecie, derivante anche dalla difficoltà materiale di accertare fatti complessi anche sotto il profilo tecnico, giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/09/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)