Consiglio di Stato Sez. I n. 1848 del 17 novembre 2020
Urbanistica.Contrasto tra norma regionale e norma statale sopravvenuta in materia di s.c.i.a. e automatica abrogazione della norma regionale

Nel caso di contrasto tra norma regionale e norma statale sopravvenuta in materia di Scia - derivante dalla circostanza che nella prima è più ampio il potere dell’amministrazione di irrogare la misura inibitoria e ripristinatoria pur dopo il decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, non soggiacendo il legittimo esercizio dello stesso alla verifica dell’esistenza dei peculiari presupposti dell’annullamento di ufficio – determina  l’automatica abrogazione della preesistente norma regionale in contrasto con essa, derivando l’obbligo della Regione di adeguare la propria legislazione

Numero 01848/2020 e data 17/11/2020 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 11 novembre 2020

NUMERO AFFARE 00098/2020

OGGETTO:

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti- Dipartimento per le infrastrutture, i sistemi informativi e statistici.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto dai signori Margherita Armellini, Emilio Cocchi e Alessandro Cocchi contro il Comune di Castiglione della Pescaia, per l’annullamento dei seguenti atti: 1) ordinanza n. 361/2015 del 12 novembre 2015 emessa dal Responsabile del Settore Pianificazione e Gestione del Territorio U.O. Urbanistica-Edilizia Privata e pubblica, con la quale si ordinava alla signora Armellini Margherita la demolizione di quanto realizzato con S.C.I.A. n. 2013/2063/2013 del 18-11-2013 e, in particolare, “la realizzazione del portico e dell’ampliamento previsto dalla L. 24/09 e succ. mod. e int. in quanto non rispettano l’altezza massima di zona prevista dal PRG vigente al momento della presentazione e del portico lato strada in pergolato con il conseguente ripristino dello stato dei luoghi”; 2) gli atti presupposti, connessi e successivi: ordine di sospensione dei lavori del 30-6-2014, ordinanza n. 371/2014 del 27-10-2014, ordinanza n. 75/2015 del 9-1-2015, verbale di omessa ottemperanza del 19-2-2016.

LA SEZIONE

Vista la relazione, trasmessa con nota prot. n. 0000873 del 30-1-2020, con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti- Dipartimento per le infrastrutture, i sistemi informativi e statistici ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;

Visto il parere sospensivo ed interlocutorio n. 834/2020 del 4-5-2020, reso nell’adunanza del 29-4-2020;

Vista la relazione integrativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, trasmessa con nota prot. n. 0010574 del 30-9-2020, in uno alla documentazione ad essa allegata acquisita in sede istruttoria;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Francesco Mele;


Premesso:

Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, notificato al Comune di Castiglione della Pescaia in data 14 marzo 2016, i signori Armellini Margherita, Cocchi Emilio e Cocchi Alessandro, hanno impugnato i seguenti atti: 1) ordinanza n. 361/2015 del 12 novembre 2015 emessa dal Responsabile del Settore Pianificazione e Gestione del Territorio U.O. Urbanistica-Edilizia Privata e pubblica, con la quale si ordinava alla signora Armellini Margherita la demolizione di quanto realizzato con S.C.I.A. n. 2013/2063/2013 del 18-11-2013 e, in particolare, “la realizzazione del portico e dell’ampliamento previsto dalla L. 24/09 e succ. mod. e int. in quanto non rispettano l’altezza massima di zona prevista dal PRG vigente al momento della presentazione e del portico lato strada in pergolato con il conseguente ripristino dello stato dei luoghi”; 2) gli atti presupposti, connessi e successivi: ordine di sospensione dei lavori del 30-6-2014, ordinanza n. 371/2014 del 27-10-2014, ordinanza n. 75/2015 del 9-1-2015, verbale di omessa ottemperanza del 19-2-2016.

Esponevano che la signora Armellini Margherita – comproprietaria con il marito, signor Emilio Cocchi, dell’immobile sito in località Vancino, frazione Buriano – aveva presentato la segnalazione certificata di inizio di attività P.E. 2013/263/2013 ai sensi della legge regionale Toscana n. 24/2009, per l’ampliamento del 20% della suddetta unità immobiliare, nonché per la realizzazione di un porticato e di un pergolato, sui terrazzi esistenti nel medesimo immobile.

I lavori venivano completati in data 30-6-2014, senza che il Comune adottasse, nei termini previsti dall’articolo 19, comma 6-bis della legge n. 241/1990, alcun atto inibitorio.

Peraltro, con nota prot. n. 17623 del 30 giugno 2014, diretta alla signora Armellini e al progettista, arch. Daniele Bartoletti, veniva disposta la sospensione dei lavori e comunicato l’avvio del procedimento finalizzato all’emissione di provvedimento di inibizione per carenza delle condizioni legittimanti le opere previste nella SCIA.

Il Comune, in data 27-10-2014, emetteva l’ordinanza n. 371/2014, con la quale si intimava la demolizione delle opere realizzate a seguito della prefata SCIA; provvedimento che, con successiva ordinanza n. 419 del 24-12-2014, veniva annullato in autotutela in quanto non erano state prese in esame le osservazioni presentate dal tecnico di parte, contestualmente disponendosi, all’esito di tale esame e sulla base del mancato rispetto dell’altezza massima di zona, la demolizione delle opere realizzate.

A seguito della presentazione, da parte del tecnico progettista e del legale della signora Armellini di controdeduzioni, con le quali si affermava la legittimità della costruzione in relazione alle altezze, il Comune, con ordinanza n. 75 del 9-4-2015, sospendeva l’efficacia dell’ordinanza n. 419/2014 al fine di verificare le altezze di zona del complesso.

Nelle more, l’unità immobiliare in oggetto veniva donata, con atto pubblico del 3-9-2015, dai signori Armellini Margherita e Cocchi Emilio al figlio Cocchi Alessandro e tale passaggio veniva comunicato all’amministrazione con nota del 9-12-2015.

All’esito degli ulteriori accertamenti disposti, il Comune adottava l’impugnata ordinanza n. 361/2015 del 12-11-2015, con la quale ingiungeva la demolizione delle opere realizzate, rilevando, tra l’altro, che, in seguito alla verifica del 3-11-2015, “…è emerso che è stato realizzato un porticato sul balcone lato strada, dove da progetto (SCIA n. 2013/263/2013) era prevista la realizzazione di un pergolato; inoltre l’ampliamento eseguito con la SCIA ha comportato la realizzazione di una volumetria aggiuntiva la cui altezza massima definitiva supera quella preesistente e quella massima consentita dalle norme di PRG vigenti al momento di presentazione della SCIA”.

La predetta ordinanza aveva come destinatari la signora Armellini ed il tecnico progettista e veniva solo a questi notificata. Con successiva nota prot. n. 36104 del 28-12-2015, a seguito della comunicazione del 9-12-2015 di trasferimento della proprietà dell’immobile, il provvedimento veniva trasmesso, per opportuna conoscenza, anche al signor Alessandro Cocchi.

Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità dei provvedimenti impugnati e ne hanno, quindi, chiesto l’annullamento, previa concessione della misura cautelare della sospensione dell’esecutività.

Hanno chiesto, altresì, la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti in conseguenza degli illegittimi atti adottati dall’Amministrazione.

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano: Violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.) – violazione del principio del contraddittorio partecipativo (art. 21 bis l. n. 241/1990) - violazione degli artt. 138 e ss. C.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 31 DPR n. 380/2001 – illegittimità derivata.

Essi deducono che né l’ordinanza impugnata né gli atti del procedimento che ha condotto alla sua adozione risultano essere stati notificati al signor Cocchi Emilio, comproprietario dell’immobile fino alla data del 3-9-2015, così determinandosi violazione dei diritti di difesa e del contraddittorio procedimentale.

Da tanto conseguirebbe l’illegittimità dell’emanando atto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, nonché della stessa ordinanza di demolizione in considerazione del carattere costitutivo della notifica con riferimento agli atti recettizi.

Rilevano, altresì, la violazione dell’articolo 31 del DPR n. 380 del 2001, il quale prevede che la demolizione sia ingiunta “al proprietario e al responsabile dell’abuso”.

Evidenziano, in proposito, che alcun atto del procedimento è stato notificato al comproprietario dell’immobile, signor Cocchi Emilio, né vi è stata rituale notifica al proprietario subentrato, signor Cocchi Alessandro, al quale l’ingiunzione di demolizione risulta essere stata unicamente comunicata, senza rinnovazione della stessa.

Con il secondo motivo si lamenta: Eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e sviamento – violazione degli artt. 3 e 6 lett. b) della legge n. 241/1990 – difetto di istruttoria.

I ricorrenti rilevano in proposito che il procedimento difetta di un’istruttoria diretta ad evidenziare la situazione di fatto sulla quale si fonda il provvedimento inibitorio, limitandosi il provvedimento impugnato a richiamare la normativa regionale e comunale che si assume violata in merito all’altezza massima delle opere, senza alcun riferimento alle modalità del sopralluogo ed alle ragioni che hanno portato a ritenere sussistente la violazione della suddetta normativa.

Con il terzo motivo i signori Armellini e Cocchi deducono: Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà con atti e determinazioni precedenti del Comune, dal momento che l’ordine di demolizione interviene su opere già assentite a seguito di SCIA e correlate autorizzazioni.

Essi evidenziano che, essendo oramai divenuta efficace la SCIA n. 2013/263/2013, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 19, comma 3 della legge n. 241/1990 essendosi consumato il potere di controllo con esito inibitorio consentito nel termine di trenta giorni, l’amministrazione avrebbe potuto esercitare esclusivamente i poteri di autotutela di cui all’articolo 21 quinquies e 21 nonies, nella specie non attivati.

Invero, l’ente locale si è limitato ad adottare un provvedimento di demolizione delle opere realizzate, oltre il termine consentito dalla legge, senza intervenire sull’atto presupposto, procedendo all’annullamento di ufficio della SCIA.

L’ordine di demolizione è stato, quindi, illegittimamente emanato con riferimento a lavori edili retti da un titolo edilizio ancora valido ed efficace, in quanto non rimosso.

Con il quarto mezzo di gravame i signori Armellini e Cocchi lamentano: Violazione e/o eccesso di potere per violazione e vizi del procedimento – violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss., 19 e 21 nonies della legge n. 241/1990 – eccesso di potere per mancanza di motivazione- violazione del principio di tutela dell’affidamento.

Deducono che la necessaria attivazione del potere di autotutela non poteva essere esclusa dalla previsione di cui all’articolo 146 della legge regionale Toscana n. 65/2014, attributiva di un potere inibitorio pur dopo il decorso del termine di trenta giorni dalla data di presentazione della SCIA “in caso di difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti di pianificazione urbanistiche, degli strumenti urbanistici generali o dei regolamenti edilizi”.

Evidenziano in proposito che identica previsione normativa, contenuta nell’articolo 84 bis della legge regionale Toscana n. 1/2005, era stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 49 del 9 marzo 2016, per violazione dell’articolo 117, terzo comma della Costituzione, comportando “l’invasione della riserva di competenza statale alla formulazione di principi fondamentali”, atteso che “la normativa regionale…, lungi dall’adottare una disciplina di dettaglio, ha introdotto una normativa sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale; pertanto, viene a toccare i punti nevralgici del sistema elaborato nella legge del procedimento amministrativo (sede già di per sé significativa) e cioè il potere residuo dell’amministrazione, a termini ormai decorsi, e il suo ambito di esercizio (in concreto, i casi che ne giustificano l’attivazione)”.

Ribadiscono, pertanto, anche alla luce di quanto affermato dalla Consulta, che il Comune non avrebbe potuto emanare alcuna ordinanza di demolizione in presenza di un titolo edilizio, mediante legittima SCIA, ormai divenuto efficace per decorrenza dei termini, se non procedendo all’annullamento in autotutela del medesimo titolo.

Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano: Eccesso di potere per assoluta carenza dei presupposti, travisamento dei fatti – violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3 della LRT 24/2009 – violazione e falsa applicazione della normativa di cui al Regolamento Urbanistico ed alle collegate NTA del Comune di Castiglione della Pescaia (delibere del Consiglio comunale del 31-7-2014 n. 57).

Deducono che l’Amministrazione erroneamente ritiene che l’ampliamento sia stato posto in essere in violazione della disciplina di cui alla legge regionale n. 24/2009 per mancato rispetto delle altezze massime di zona previste dalle NTA del RU.

Premesso che l’articolo 3, comma 3 della legge regionale prevede che gli interventi edilizi siano realizzati in deroga ai parametri edilizi ed urbanistici, nel rispetto delle distanze minime e delle altezze massime dei fabbricati, così come definite dai regolamenti urbanistici o dai regolamenti edilizi comunali, evidenziano che la definizione di altezza massima deve essere individuata nelle NTA al RU approvato con la delibera di Consiglio comunale n. 57 del 31-7-2014.

L’articolo 10, comma 1, lett. b) consente, sugli edifici esistenti plurifamiliari l’ampliamento attraverso la chiusura o il tamponamento di logge e portici esistenti, prevedendo che le coperture dovranno essere eseguite in continuità con quelle del corpo principale, senza sfalsamenti o discontinuità che non siano opportunamente giustificati. Questo concetto di continuità è ulteriormente ribadito nel successivo articolo 12 NTA, comma 6, relativo agli indici di altezza, il quale, definendo i parametri, fa salvo il disposto di cui all’articolo 10.

Di conseguenza, il limite di altezza che essi dovevano osservare era costituito dalla continuità con il corpo principale, nella specie rispettato.

Con memoria datata 29 settembre 2018 il Comune di Castiglione della Pescaia ha rassegnato le proprie controdeduzioni, rilevando l’infondatezza del ricorso.

Ha evidenziato che: l’omessa notifica del provvedimento di demolizione ad uno dei comproprietari non comporta l’illegittimità del provvedimento, rendendolo inefficace nei suoi confronti e rendendo inapplicabile la sanzione dell’acquisizione al patrimonio comunale, che nella specie non era stata disposta; il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 2016 non era pertinente in quanto l’ordinanza aveva ingiunto la demolizione di opere realizzate in difformità dalla SCIA ed, inoltre, l’ente aveva in concreto esercitato i poteri di autotutela, avendo inviato l’avviso di avvio del procedimento ed avendo fatto caducare la SCIA come dimostrato dal richiamo, contenuto nel provvedimento, all’articolo 21 quater della legge n. 241 del 1990; l’articolo 26 delle norme di PRG vigenti ratione temporis prevedevano per la zona B5 un’altezza massima di mt. 7,50, non rispettata nella specie essendosi accertata un’altezza massima, successiva all’ampliamento, di mt. 8,60.

Con memoria del 28-8-2019 i ricorrenti hanno replicato alle argomentazioni svolte dal Comune, insistendo per l’accoglimento del ricorso ed evidenziando che, con sentenza n. 445/2019 del Tribunale di Grosseto essi erano stati assolti dalle imputazioni loro ascritte, in relazione ai lavori edilizi effettuati.

Il Comune ha ulteriormente controdedotto con memoria del 24 settembre 2019, evidenziando che la predetta sentenza non poteva avere alcuna influenza sul giudizio amministrativo in quanto il Comune non aveva partecipato al giudizio penale quale parte civile. Inoltre, la stessa non aveva incidenza alcuna sulla legittimità dell’ordinanza impugnata, atteso che la stessa – che aveva mandato assolti gli imputati perché il fatto non costituisce reato – non si era pronunciata né sulla difformità rispetto alla SCIA del porticato realizzato in luogo del pergolato né sul mancato rispetto dell’altezza prevista dagli strumenti urbanistici.

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota prot. n. 0000873 del 30 gennaio 2020, ha trasmesso la prescritta relazione, chiedendo a questo Consiglio l’espressione del parere.

L’autorità ministeriale, condividendo le argomentazioni del Comune, ha concluso per l’infondatezza del ricorso.

Con parere n. 834/2020, reso nell’adunanza del 29-4-2020, la Sezione, oltre a pronunciarsi sull’accoglibilità della domanda cautelare proposta, ha disposto incombenti istruttori.

In particolare, ha richiesto al comune di Castiglione della Pescaia “analitiche controdeduzioni alle argomentazioni svolte dai ricorrenti nella memoria di osservazioni datata 28-8-2019 in ordine alla legittimità delle opere realizzate quanto al rispetto dell’altezza massima consentita, relazionando anche in ordine alle modalità di computo delle altezze, così come regolamentate dalla normativa urbanistica, di piano e regolamentare, vigenti al momento di presentazione della SCIA, in caso di fabbricati – come quello per cui è controversia- realizzati su terreni in pendenza ovvero con lati insistenti su piani di campagna aventi quote diverse e, pertanto, sfalsati. Il Comune dovrà, altresì, specificare le ragioni per le quali non sia possibile operare riferimento all’altezza della costruzione preesistente sulla quale, in continuità della linea di colmo, è stato effettuato l’ampliamento”.

Ha, inoltre, richiesto al Ministero, sulla base dei nuovi elementi acquisiti, la redazione di una relazione integrativa.

Il Comune ha prodotto le controdeduzioni richieste, con relazione del 16-6-2020, alla quale è stata allegata documentazione.

I ricorrenti hanno presentato memoria, datata 29-9-2020, con la quale hanno preso posizione sui contenuti della relazione del Comune, argomentandone l’erroneità sotto il profilo tecnico e giuridico. Hanno rilevato che l’ente locale, negli schemi grafici allegati al verbali di sopralluogo non ha correttamente misurato l’altezza del fabbricato, non avendo calcolato nella stessa il parapetto posto sulla terrazza. Hanno, poi, evidenziato che doveva tenersi presente la disposizione di cui all’art. “46.18 Hmax” del regolamento edilizio comunale, il quale, nel disciplinare l’altezza massima degli edifici, prescrive che “Sono considerate anche le eventuali porzioni di edificio arretrate rispetto al filo della facciata principale, laddove emergenti dal profilo della copertura”; in tal modo deve considerarsi tutto l’edificio alto quanto la porzione più alta posta sul fronte principale anche se la metà sul fronte posteriore è costituita da un piano in meno.

Hanno concluso, pertanto, nel senso che “qualunque sia stata l’altezza del fabbricato esistente, il semplice intervento di traslazione in avanti di una porzione dell’ultimo piano del fabbricato non può costituire un incremento dell’altezza massima dell’edificio”.

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota prot. n. 0010574 del 30-9-2020, ha trasmesso a questo Consiglio di Stato, ai fini dell’espressione del parere definitivo, la propria relazione integrativa, in uno alla documentazione acquisita in sede istruttoria.

L’autorità riferente, aderendo alla tesi esposta dal Comune nelle proprie controdeduzioni, ha espresso l’avviso che il ricorso debba ritenersi infondato.

L’affare è stato trattenuto per l’espressione del parere all’adunanza dell’11 novembre 2020.

Considerato:

Deve in primo luogo essere esaminata la domanda di annullamento proposta dai ricorrenti.

In proposito, la Sezione ritiene che il ricorso sia meritevole di accoglimento relativamente alla demolizione dell’ampliamento volumetrico ex lege n. 24/2009 ed al portico previsto in progetto al lato valle del fabbricato, risultando fondati ed assorbenti il terzo e il quarto motivo del gravame laddove viene censurato il mancato esercizio dell’autotutela ai sensi dell’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990 nell’adozione del provvedimento impugnato.

Questo giustifica la demolizione “di quanto realizzato con la scia 2013/263/2013” e, in particolare, della realizzazione del portico e dell’ampliamento previsto dalla legge n. 24/2009 “in quanto non rispettano l’altezza massima di zona prevista dal PRG vigente al momento della presentazione”, facendo applicazione dell’articolo 146 della legge Regione Toscana n. 65/2014.

Si legge, invero, nell’ordinanza n. 361/2015 del 12-11-2015 “che l’art. 146 della L.R.T. 65/2014 non preclude la potestà di controllo, anche a campione, da parte del Comune nell’ambito dell’attività di vigilanza”.

Giova, al riguardo, preliminarmente riportare i contenuti di tale disposizione normativa per la parte di interesse:

“ 1. Con riferimento agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 135, comma 2, lett. d), il decorso del termine di cui all’art. 145, comma 6, non preclude la potestà di controllo, anche a campione, del comune nell’ambito di vigilanza di cui all’art. 193.

“ 2. Nei casi di SCIA relativa ad interventi di cui all’articolo 135, comma 1, lettere a), c), d) ed e), e comma 2, lettere a), b), c), e), f), g) h) ed i), decorso il termine di trenta giorni di cui all’articolo 145, comma 6, possono essere adottati provvedimenti inibitori e sanzionatori qualora ricorra uno dei seguenti casi:

a) in caso di falsità o mendacia delle asseverazioni, certificazioni, dichiarazioni sostitutive di certificazioni o degli atti di notorietà allegati alla SCIA medesima;

b) in caso di difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti di pianificazione urbanistica, degli strumenti urbanistici generali o dei regolamenti edilizi;

c) qualora dall’esecuzione dell’intervento consegua pericolo di danno per il patrimonio storico-artistico, culturale e paesaggistico, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.”

Osserva il Collegio che dalla lettura combinata dei sopra riportati commi 1 e 2 dell’articolo 146 emerge che il legislatore regionale ha inteso consentire, per gli interventi soggetti a SCIA di maggiore incidenza urbanistica (ristrutturazione), la possibilità generalizzata di adottare la misura inibitoria e ripristinatoria prevista dall’articolo 145, comma 6 (quest’ultimo prevede che: “…ove entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA sia riscontrata l’assenza di uno o più degli atti di cui al comma 2, o la non conformità delle opere da realizzare agli strumenti o alle normative di cui alla lettera a) del medesimo comma 2, il comune notifica al proponente, al progettista o al direttore dei lavori, entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione degli interventi e l’ordine di ripristino delle parti poste in essere”).

Con riferimento, invece, agli interventi soggetti a SCIA di minore incidenza urbanistica (art. 135, comma 1, lett. a), c), d), e) e comma 2, lettere a), b), c), e), f), g) h) ed i)) la misura inibitoria e ripristinatoria può essere adottata solo in presenza di determinate condizioni.

In ogni caso la previsione di cui all’articolo 146 citato esclude che nei casi dallo stesso contemplati la misura inibitoria e ripristinatoria, adottata oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, debba essere assunta con le forme dell’autotutela, ossia applicando i presupposti previsti dall’articolo 21 nonies della legge n. 241/1990 per l’annullamento di ufficio.

Ciò premesso in ordine ai contenuti della norma regionale, la Sezione ritiene che alla data di adozione del provvedimento impugnato (12-11-2015) la stessa fosse stata abrogata per effetto dell’entrata in vigore (in data 28-8-2015) del comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, nel nuovo testo come sostituito dall’articolo 6, comma 1, lettera a) della legge 7 agosto 2015, n. 124.

Tanto in virtù del disposto di cui agli articoli 9 e 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (cd. “legge Scelba”).

L’articolo 9, rubricato “Condizioni per l’esercizio della potestà legislativa da parte della Regione”, prevede, al comma 1, che “L’emanazione di norme legislative da parte delle Regioni nelle materie stabilite dall’articolo 117 della Costituzione si svolge nei limiti dei principi fondamentali quali risultano dalle leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti”.

Il successivo articolo 10, rubricato “Adeguamento delle leggi regionali alle leggi della Repubblica”, dispone, al comma 1, che “Le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo precedente abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse”, aggiungendo, al comma 2, che “I Consigli regionali dovranno portare alle leggi regionali le conseguenti necessarie modificazioni entro novanta giorni”.

Alla luce delle richiamate disposizioni, pertanto, la sopravvenienza di una norma statale di principio in materia di legislazione concorrente (qual è quella del governo del territorio) determina l’automatica abrogazione della preesistente norma regionale in contrasto con essa (cfr. Corte Cost., 25-6-2015, n. 117; 21-6-2007, n. 223; 31-12-1993, n. 498), derivando l’obbligo della Regione di adeguare la propria legislazione in modo che la norma statale di principio venga rispettata.

Orbene, non vi è dubbio che l’articolo 146 della legge regionale Toscana n. 65 del 2014, nella formulazione sopra riportata, sia in contrasto con la sopravvenuta disposizione recata dal comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall’articolo 6, comma 1, lettera a) della legge 7 agosto 2015, n. 124 (in vigore dal 28 agosto 2015).

Ed, invero, il suddetto comma 4 prevede che “Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6 bis, l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21 nonies”.

Dunque, a tenore di tale disposizione, l’adozione della misura inibitoria e ripristinatoria è sempre possibile pur dopo il decorso dell’ordinario termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, ma ciò è consentito solo adottando le forme ed i presupposti normativi previsti per l’esercizio dell’autotutela annullatoria dall’articolo 21 nonies della legge n. 241/1990.

Non si tratta, dunque, di annullamento in senso proprio, in quanto manca un provvedimento amministrativo di primo grado da ritirare, considerandosi che la SCIA non è un provvedimento amministrativo in forma tacita e non dà luogo ad un titolo costitutivo provvedimentale, costituendo piuttosto una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge (cfr. Cons. Stato, VI, 7-7-2016, n. 3014; VI, 9-5-2014, n. 2384).

E’ comunque una forma di intervento amministrativo in autotutela, considerandosi che il potere interviene su di un titolo abilitativo ormai formatosi (sia pur per effetto della dichiarazione di volontà del privato ed in assenza di un provvedimento amministrativo) e una volta decorso il termine ordinario di trenta giorni normativamente previsto per l’esercizio dello stesso in via ordinaria; richiedendo, altresì, la disposizione normativa l’esistenza dei presupposti (sostanziali e procedimentali) necessari per l’annullamento di ufficio.

Il richiamato articolo 146 della legge regionale Toscana n. 65/2014, invece, prevede che la misura inibitoria e ripristinatoria possa essere adottata comunque pur dopo il decorso dei trenta giorni dalla presentazione della SCIA, in maniera generalizzata per gli interventi di ristrutturazione edilizia e, per gli interventi di minore incidenza urbanistico-edilizia soggetti a SCIA, in presenza di altri presupposti, che non sono comunque quelli relativi all’esercizio dell’autotutela decisoria contemplati dall’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990.

La disposizione regionale, dunque, a differenza di quella statale, non subordina l’intervento inibitorio e ripristinatorio tardivo all’esercizio dell’autotutela.

Il contrasto tra norma regionale e norma statale sopravvenuta è, pertanto, evidente, risultando nella prima decisamente più ampio il potere dell’amministrazione di irrogare la misura inibitoria e ripristinatoria pur dopo il decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, non soggiacendo il legittimo esercizio dello stesso alla verifica dell’esistenza dei peculiari presupposti dell’annullamento di ufficio; in particolare, la norma regionale consente l’esercizio del potere inibitorio pur dopo il termine di trenta giorni anche in caso di contrasto dell’intervento con la normativa urbanistica, mentre la sopravvenuta norma statale, generalizzando l’obbligo di autotutela, prevede anche per tale ipotesi l’adozione della misura ripristinatoria solo in presenza dei requisiti previsti dall’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990.

Osserva, inoltre, il Collegio, a dimostrazione dell’effetto abrogativo determinatosi in virtù dell’articolo 10, comma 1, della legge n. 62 del 1953, che la sopravvenuta disposizione statale di cui al richiamato comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241/1990 è certamente norma di principio.

Valga in proposito richiamare i contenuti della sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 9-3-2016, intervenuta in un giudizio di legittimità costituzionale relativo all’articolo 84 bis della legge regionale Toscana n. 1 del 2005, avente lo stesso contenuto sostanziale dell’articolo 146 della legge n. 65/2014 della quale in questa sede si discute; giudizio conclusosi con la declaratoria di illegittimità costituzionale del richiamato articolo 84 bis, comma 2, lett. b) per violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto “la normativa regionale in esame, nell’attribuire all’Amministrazione un potere di intervento, lungi dall’adottare una disciplina di dettaglio, ha introdotto una normativa sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale”.

Nella suddetta pronuncia si legge quanto segue: “8.- E’ giurisprudenza pacifica che , nell’ambito della materia concorrente “governo del territorio” …, i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale (sentenze n. 259 del 2014, n. 139 e n. 102 del 2013, n. 303 del 2003) e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la denuncia di inizio di attività (DIA) e per la SCIA che, seppure con la loro indubbia specificità, si inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi (sentenze n. 121 del 2014, n. 188 e n. 164 del 2012).

Va subito soggiunto, peraltro, che tale fattispecie ha una struttura complessa e non si esaurisce, rispettivamente, con la dichiarazione o la segnalazione, ma si sviluppa in fasi ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo dell’Amministrazione (rispettivamente nei termini di sessanta e trenta giorni); una seconda, in cui può esercitarsi l’autotutela amministrativa.

Non vi è dubbio, infatti, che anche le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione, una volta che siano decorsi i termini in questione, debbano considerarsi il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché la individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall’amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi.

La disciplina di questa fase ulteriore, dunque, è parte integrante di quella del titolo abilitativo e costituisce con essa un tutt’uno inscindibile.

Il suo perno è costituito da un istituto di portata generale – quello dell’autotutela – che si colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo e il suo riesercizio, da una parte, e la tutela dell’affidamento del privato, dall’altra….

Ne discende che anche per questa parte la disciplina in questione costituisce espressione di un principio fondamentale della materia ‘governo del territorio’ ”.

Le considerazioni espresse dal Giudice delle leggi evidenziano chiaramente come il richiamato comma 4 dell’art.19 della legge n. 241 del 1990 (come sostituito dalla legge 7-8-2015, n. 124), nel regolamentare l’esercizio del potere di autotutela in caso di SCIA, costituisca una norma di principio, risultando parte integrante della disciplina del predetto titolo abilitativo.

Sulla base delle argomentazioni tutte sopra esposte, pertanto, deve ritenersi che l’entrata in vigore (come detto, in data 28-8-2015) del comma 4 dell’art.19 della legge n. 241 del 1990, recante una norma di principio della legislazione statale, abbia determinato l’abrogazione della norma regionale previgente di cui all’articolo 146 della legge regionale n. 65 del 2014.

Tale effetto viene, poi, nella sostanza confermato dal successivo intervento del legislatore regionale, osservandosi che, con la successiva legge regionale Toscana n. 43 dell’8 luglio 2016, vi è stato pieno adeguamento alle previsioni della legge statale, venendo il comma 2 dell’articolo 146 abrogato ed il comma 1 sostituito dalla previsione che “Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 145, comma 6, il comune adotta i provvedimenti previsti dal medesimo comma in presenza delle condizioni di cui all’articolo 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi)”.

Ciò posto, rileva, dunque, la Sezione che, abrogata (dal 28-8-2015) la norma di cui al richiamato articolo 146 della legge regionale per effetto della entrata in vigore della nuova norma di principio statale, il Comune di Castiglione della Pescaia non poteva fondare il provvedimento demolitorio sulla mera constatazione del contrasto dell’opera con l’altezza massima di zona prevista dal PRG vigente al momento di presentazione della DIA, così sostanzialmente esercitando il potere inibitorio oltre il termine di trenta giorni previsto dall’articolo 145, comma 6 della medesima legge regionale; dovendo, invece, l’ente, scaduto il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, fare applicazione della sopravvenuta disposizione statale e, pertanto, adottare la propria determinazione in via di autotutela, verificando la sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990 ed esternando adeguatamente in proposito gli esiti della valutazione compiuta.

Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del Comune, l’impugnata ordinanza n. 361/2015 non risulta adottata in via di autotutela e comunque non ha rispettato i presupposti previsti dall’articolo 21 nonies per il legittimo esercizio del potere di ritiro.

Non risulta dirimente in proposito il richiamo, contenuto nell’atto, all’articolo 21 quater della legge n. 241/1990, disciplinando tale norma la diversa fattispecie della efficacia ed esecutività del provvedimento.

Né vale la circostanza che nella specie sia stato inviato l’avviso di avvio del procedimento, trattandosi - è vero – di elemento necessario per procedere all’autotutela decisoria, ma certamente non esaustivo al legittimo esercizio della stessa.

Di poi, con riguardo all’ampliamento ex lege n. 24/2009 ed al portico lato valle previsto in progetto, l’ordinanza motiva la disposta demolizione con esclusivo riferimento al mancato rispetto dell’altezza massima di zona, elemento quest’ultimo che non è di per sé dirimente ai fini della configurazione di un esercizio in concreto del potere di autotutela , configurando il contrasto con la normativa urbanistica certamente il vizio di legittimità che è alla base di un atto di ritiro, ma anche il presupposto per l’esercizio ordinario (non in autotutela) del potere di inibizione e rimozione di cui all’articolo 145, comma 6, della legge regionale.

Da ciò deriva che la configurazione del provvedimento in termini di esercizio dell’autotutela può discendere unicamente dalla avvenuta considerazione (ed esternazione) degli elementi peculiari della stessa, come individuati dall’articolo 21 nonies della legge n. 241/1990.

In particolare, tale norma, nella formulazione vigente alla data di adozione dell’ordinanza (12-11-2015), disponeva, al comma 1, che “Il provvedimento amministrativo illegittimo, ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge…”.

Dalla lettura della disposizione emerge chiaramente che, a fondare il legittimo esercizio del potere, è necessaria l’esistenza di un interesse pubblico diverso da quello al mero ripristino della legalità violata, da acclararsi come prevalente rispetto agli interessi contrapposti, all’esito di una valutazione comparativa che tenga necessariamente conto della posizione del soggetto destinatario del titolo abilitativo.

La giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, VI, 30-10-2017, n. 5018; VI, 14-10-2019, n. 6975; VI, 28-6-2016, n. 2842; VI, 22-9-2014, n. 4780) ha in proposito affermato il principio per cui, affinchè il potere di intervento sulla DIA (oggi SCIA) possa dirsi legittimamente esercitato, è indispensabile che, ai sensi dell’articolo 21 nonies l. n. 241/1990, l’autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati; in particolare, evidenziandosi che il potere di autotutela deve essere supportato dall’esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio, emerso come prevalente all’esito della comparazione con l’aspettativa del privato, consolidata dal decorso del tempo e dalla consapevolezza dell’avvenuta formazione del titolo medesimo.

Orbene, nella vicenda in esame, la gravata ordinanza si palesa illegittima in quanto difetta in essa ogni riferimento alla sussistenza del suddetto interesse pubblico prevalente, né contiene la doverosa valutazione comparativa degli interessi coinvolti come sopra esplicitata.

Non merita, inoltre, favorevole considerazione l’argomentazione difensiva del Comune, secondo la quale il provvedimento avrebbe ingiunto la demolizione in ragione della rilevata difformità con la SCIA a suo tempo presentata dal privato.

Con riferimento all’ampliamento dell’abitazione ed alla realizzazione del portico lato valle, va, invero, in primo luogo rilevato che tale difformità dal titolo abilitativo non è contestata.

Nel provvedimento, richiamandosi l’accertamento del 3-11-2015, si riferisce che “l’ampliamento eseguito con la SCIA ha comportato la realizzazione di una volumetria aggiuntiva la cui altezza massima supera quella preesistente e quella massima consentita dalle norme di PRG vigenti al momento di presentazione della SCIA” e si ordina “la demolizione di quanto realizzato con la scia n. 2013/263/2013 del 18-11-2013, inerente la realizzazione del portico e dell’ampliamento previsto dalla L. 24/09 e succ. mod. e int. in quanto non rispettano l’altezza massima di zona prevista dal PRG vigente…”

La demolizione è, dunque, disposta unicamente per la mancata osservanza del limite massimo di altezza previsto per la zona urbanistica di riferimento e non anche per difformità dalla SCIA.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, deve ritenersi l’illegittimità della gravata ordinanza di demolizione relativamente all’ampliamento ex lege n. 24/2009 ed al portico lato valle realizzato secondo quanto previsto dal progetto allegato alla SCIA presentata dalla signora Armellini.

Per tale parte, dunque, il ricorso è meritevole di accoglimento.

La domanda di annullamento proposta non può, invece, essere accolta con riferimento all’ingiunzione di demolizione del portico realizzato sul lato strada in luogo del pergolato previsto in progetto.

Invero, la relazione tecnica, allegata alla SCIA, dopo aver descritto l’ampliamento dell’abitazione ed il porticato da realizzarsi in aderenza al primo, prevede che: “Infine, sull’altro terrazzo, posto sul fronte opposto a quello prima indicato e collegato alla cucina, sarà installato un pergolato ombreggiante realizzato sempre in legno lamellare con manto di copertura in cannucciato…”.

Il provvedimento impugnato opera riferimento all’accertamento effettuato e afferma che “è emerso che è stato realizzato un porticato sul balcone lato strada, dove da progetto (SCIA n. 2013/263/2013) era prevista la realizzazione di un pergolato” e ordina la demolizione “del portico lato strada in pergolato”

Vi è, dunque, con riferimento a tale manufatto, un ordine di demolizione giustificato da una rilevata difformità rispetto alla SCIA ovvero dalla realizzazione di un’opera diversa rispetto a quella contemplata dalla segnalazione del privato.

Orbene, nella specie il Comune ha esercitato il potere sanzionatorio previsto dall’articolo 200 della citata legge regionale n. 65 del 2014, relativo all’abuso edilizio “Interventi eseguiti in assenza di SCIA o in difformità da essa”.

L’esercizio dello stesso non richiede l’obbligo, per il Comune, di ricorrere alle forme della autotutela, decorso il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA.

Invero, l’articolo 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990 (come sostituito dall’articolo 6, comma 1, lettera a) della legge n. 124 del 7 agosto 2015) impone l’esercizio dell’autotutela per l’adozione dei “provvedimenti previsti dal …comma 3”.

Tale comma si riferisce ai “provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa” da adottarsi “in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1”.

Orbene, nella specifica materia edilizia i presupposti per l’adozione, nei trenta giorni, di un divieto di prosecuzione degli interventi e di un ordine di ripristino delle parti poste in essere vengono indicati dall’articolo 145 della legge regionale n. 65 del 2014; specificandosi, al comma 6 dello stesso, che “…ove entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA sia riscontrata l’assenza di uno o più degli atti di cui al comma 2, o la non conformità delle opere da realizzare agli strumenti o alle normative di cui alla lettera a) del medesimo comma 2, il comune notifica al proponente…, entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione degli interventi e l’ordine di ripristino delle parti poste in essere”.

Da quanto sopra emerge che il superamento dei trenta giorni dalla presentazione della SCIA determina il necessario ricorso all’autotutela solo per le ipotesi sopra considerate, cioè per il caso in cui l’ordine inibitorio o ripristinatorio trovi fondamento nella mancata produzione degli atti da allegare obbligatoriamente alla SCIA ovvero nella riscontrata non “conformità degli interventi ed opere da realizzare agli strumenti della pianificazione urbanistica comunali adottati o approvati ed al regolamento edilizio” e nel mancato ”rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia…”.

Non vi è, pertanto, obbligo di ricorrere alle forme dell’autotutela, decorso il suddetto termine, quando il potere sanzionatorio dell’amministrazione trova fondamento nella constatata realizzazione di un abuso edilizio in senso proprio e, dunque, nel caso in cui le opere siano realizzate in assenza della SCIA (cioè, quando trattasi di interventi non previsti nella segnalazione del privato) o in difformità da essa.

Tale conclusione trova conferma, oltre che nel dato letterale delle disposizioni sopra richiamate che non contemplano il richiamato potere inibitorio e sanzionatorio da esercitarsi nei trenta giorni per le ipotesi di mancanza o difformità dal titolo, anche dai contenuti del comma 6-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990.

Invero, esso prevede che “Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo di cui al comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali”.

Dunque, anche in materia edilizia trova applicazione il richiamato obbligo dell’esercizio dell’autotutela, ma solo nei limiti da tale norma previsti e, dunque, per i casi del potere inibitorio e ripristinatorio tardivo esercitato per l’ipotesi di mancanza di documentazione o di non conformità dell’intervento alla normativa urbanistica; al contrario, l’espresso richiamo alla salvezza delle disposizioni relative alle sanzioni edilizie evidenzia che l’ordine demolitorio per un abuso edilizio consistente nella realizzazione di un’opera in mancanza di SCIA o in difformità da essa, può essere adottato, anche dopo il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, nelle forme ordinariamente previste dalle disposizioni che lo contemplano, senza alcun limite riveniente dal decorso del suddetto lasso temporale.

Orbene, l’articolo 200 della legge regionale n. 65 del 2014, che prevede la demolizione delle opere realizzate in assenza o in difformità dalla SCIA, non impone limiti temporali all’esercizio del potere sanzionatorio né richiede l’esistenza dei presupposti di cui all’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990.

Ciò posto, non può poi revocarsi in dubbio l’esistenza del contestato abuso edilizio, atteso che l’ordinanza impugnata espressamente richiama l’avvenuto accertamento dello stesso all’esito di sopralluogo comunale, evidenziando che “è emerso che è stato realizzato un porticato sul balcone lato strada, dove da progetto (SCIA n. 2013/263/2013) era prevista la realizzazione di un pergolato”.

D’altra parte, i ricorrenti solo in una memoria difensiva datata 28-8-2019 (e non anche nei motivi svolti nel ricorso straordinario, inducendo ciò a dubitare che l’ordinanza del Comune sia stata effettivamente per tale parte gravata) contestano l’esistenza di tale abuso edilizio.

Orbene, a prescindere dai profili di inammissibilità rivenienti dalla circostanza di cui sopra, va comunque evidenziato nel merito che la suddetta contestazione fonda l’inesistenza dell’abuso relativo alla realizzazione del porticato in luogo del pergolato sulla sentenza irrevocabile del Tribunale Ordinario di Grosseto n. 445/2019 depositata il 29-3-2019, che ha mandato assolti i ricorrenti “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.

Ritiene, peraltro, la Sezione che tale sentenza, pur se passata in giudicato, non può spiegare effetti nella presente procedura contenziosa, non essendo questo Consiglio di Stato vincolato dagli esiti del suddetto giudizio penale.

Invero, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI, 23-11-2017 n. 5473; VI, 11-1-2018, n. 145) ritiene che nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola, almeno tendenziale, è quella dell’autonomia e della separazione, fermo il disposto dell’articolo 654 c.p.p.

Pertanto, il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell’accertamento compiuto dal giudice penale è subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi. Sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o sia intervenuto nel processo penale; mentre, sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l’accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo.

Nel caso in esame, non risulta che al relativo giudizio abbia partecipato il Comune di Castiglione della Pescaia in qualità di parte civile; evidenziandosi, infine, che la difformità dell’opera realizzata dal permesso di costruire non attiene all’accertamento del fatto, bensì alla sua qualificazione o valutazione giuridica, come tale non vincolante nel giudizio amministrativo.

D’altra parte, l’avvenuta realizzazione di un porticato in luogo di un pergolato non è esclusa dalla richiamata sentenza, laddove nel capo di imputazione si parla di “un pergolato…successivamente trasformato in tettoia” e nel corpo della motivazione si afferma che “può ritenersi che abbiano storicamente posto in essere le condotte oggetto di incriminazione se non altro perché ciò risulta non contestato ed anzi comprovato dagli elementi indotti in giudizio dai rispettivi difensori”; seguendo il proscioglimento degli imputati (con la formula il fatto non è previsto dalla legge come reato) solo “perché i fatti suddetti non danno luogo a violazioni della legge penale suscettibili di apprezzamento alla stregua dei dati cognitivi di ordine fattuale e tecnico introdotti nel giudizio”.

Da quanto sopra consegue, pertanto, che le deduzioni difensive non sono idonee a confutare l’accertamento da parte del Comune dell’avvenuta realizzazione dell’opera in difformità dalla SCIA, onde l’abuso contestato va ritenuto sussistente e, pertanto, sotto tale profilo legittimamente esercitato il potere sanzionatorio dell’amministrazione con il provvedimento impugnato.

Ritiene, infine, il Collegio che, con riferimento alla realizzazione del porticato in luogo del pergolato, neppure la disamina degli altri motivi di ricorso possa condurre all’annullamento dell’ordinanza gravata.

Non rileva, in primo luogo, ai fini caducatori invocati dai ricorrenti, la circostanza che il provvedimento non è stato notificato al comproprietario dell’unità immobiliare all’epoca della realizzazione dell’abuso (sig. Cocchi Emilio) né al nuovo proprietario subentrato per effetto dell’atto di donazione del 3-9-2015 (sig. Cocchi Alessandro).

La Sezione ritiene, infatti, in relazione al carattere reale della sanzione edilizia demolitoria, diretta al perseguimento dell’interesse pubblico ripristinatorio alla ricostituzione dell’ordine urbanistico violato, che la mancata notifica ai suddetti soggetti non incide sul perfezionamento né sulla legittimità dell’atto, il quale è validamente formato quando indirizzato al solo responsabile dell’abuso (tale è la signora Armellini, in quanto comproprietaria dell’immobile al momento della realizzazione dell’opera ed intestataria della SCIA).

La mancata notifica ai suddetti soggetti rileva solo per la fase integrativa dell’efficacia, dovendosi, pertanto, ritenere che essa consente agli interessati pretermessi di impugnare il provvedimento entro il termine decadenziale che decorre da quando ne abbiano acquisito la piena conoscenza (come è avvenuto nel caso in esame) e che, non producendo l’atto effetti nei loro confronti, resta preclusa l’acquisizione del bene al patrimonio indisponibile del Comune, non potendosi configurare in capo agli stessi, a cagione della suddetta inefficacia, l’obbligo demolitorio il cui inadempimento costituisce il presupposto normativo dell’acquisizione gratuita (cfr., ex multis, Cons. Stato,VI, 24-7-2020, n. 4745; VI, 27-3-2012, n. 1810).

Anche la doglianza relativa alla mancata partecipazione procedimentale, dedotta nel primo motivo di ricorso, non è meritevole di favorevole considerazione.

Deve, infatti, essere sottolineato che, con riferimento al portico lato strada realizzato in luogo del pergolato, si è di fronte all’esercizio di un ordinario potere sanzionatorio e non anche, come in precedenza esposto, ad un’attività della pubblica amministrazione assoggettata all’esercizio dell’autotutela.

Vale, pertanto, con valenza assorbente, il principio giurisprudenziale, condiviso dalla Sezione, secondo il quale l’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, costituendo un atto dovuto, non deve essere preceduto dall’avviso di avvio del procedimento. Invero, l’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto e, in quanto tale, non deve essere preceduto dalla comunicazione di cui all’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l’abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo (cfr. Cons. Stato; II, 18-5-2020, n. 3156; V, 28-4-2014, n. 2194; VI, 5-6-2017, n. 2681).

Sotto altro profilo, deve, poi, essere osservato che i ricorrenti si limitano nel primo motivo di ricorso a dedurre l’omissione della garanzia procedimentale prevista dalla norma, senza esplicitare le circostanze concrete che intendevano sottoporre all’amministrazione né ragioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle che la signora Armellini, all’epoca proprietaria e responsabile dell’abuso in quanto titolare della SCIA, aveva rappresentato nel corso della partecipazione procedimentale che ad essa era stata assicurata.

Orbene, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, V, 29-4-2009, n. 2737; TAR Sicilia-Catania, III, 5-6-2018, n. 1154) afferma che in tale caso la doglianza relativa alla omissione dell’avviso di avvio del procedimento deve ritenersi inammissibile; ciò in quanto le norme in materia di partecipazione procedimentale non devono essere applicate meccanicamente e formalisticamente, in quanto non solo dirette ad assicurare una funzione di favore per il destinatario dell’atto, ma anche a formare nell’amministrazione procedente una più completa e meditata volontà, dovendo le stesse essere interpretate in senso sostanziale, coordinando in modo ragionevole e sistematico principi di legalità, imparzialità e buon andamento ed i corollari di economicità e speditezza dell’azione amministrativa.

Sotto il profilo sostanziale, si osserva, infine, che la partecipazione al procedimento, con ampia possibilità di difesa (in concreto spiegata), risulta comunque essere stata assicurata alla comproprietaria dell’epoca, responsabile dell’abuso ed intestataria della SCIA, sig.ra Armellini; con la conseguenza, da un lato, che la possibilità di contestare i rilievi dell’amministrazione con riferimento all’abusività dell’opera (e, dunque, al dato oggettivo inerente la res, a prescindere dai profili soggettivi della imputabilità dell’illecito) risulta essere stata garantita e, dall’altro, che appare assai improbabile che i signori Cocchi Emilio e Cocchi Alessandro non avessero conoscenza del procedimento avviato, considerato che trattasi del coniuge e del figlio della signora Armellini (per incidens, va pure osservato che il signor Cocchi Alessandro aveva partecipato al sopralluogo del Comune del 9-4-2014, in relazione al quale era stata redatta la relazione del Comando di Polizia municipale prot. n. 24455 del 16-9-2014, in atti).

Neppure è meritevole di accoglimento il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta una carenza di istruttoria richiamando i molteplici atti adottati nel corso del tempo dal Comune, a dimostrazione anche della contraddittorietà dell’azione amministrativa.

I vizi lamentati non sussistono, considerandosi che i diversi provvedimenti emanati nel corso dell’attività procedimentale, lungi dall’evidenziare una carenza istruttoria e una contraddittorietà dell’azione amministrativa, rivelano, invece, l’attenzione dell’ente locale al rispetto delle garanzie procedimentali ed alla necessità di giungere a determinazioni definitive solo previo esame degli apporti partecipativi del privato; in tal modo risultando anche indice di un’istruttoria approfondita e meditata.

Non sussiste, infine, deficit motivazionale, avendo il Comune bastevolmente esplicitato, trattandosi di un abuso edilizio, la rilevata realizzazione di un’opera diversa (porticato) in luogo del pergolato previsto dal progetto allegato alla SCIA.

Proseguendo nella disamina del ricorso, si rileva, come sopra già chiarito, che il lamentato mancato esercizio dell’autotutela non impinge sulla legittimità della disposta demolizione del porticato lato strada (non contemplato dal titolo abilitativo), trattandosi di esercizio ordinario del potere sanzionatorio in materia di abusi edilizi, per il quale non vi è il limite dei trenta giorni di cui alla richiamata normativa nazionale e regionale. I motivi terzo e quarto di ricorso sono, pertanto, infondati relativamente alla suddetta opera, non contemplata dalla SCIA.

Allo stesso modo, non giova ai ricorrenti, ai fini dell’annullamento dell’ordinanza per tale parte, il quinto motivo di ricorso, con il quale si evidenzia il rispetto dell’altezza massima del fabbricato e, dunque, l’osservanza, per l’ampliamento effettuato ex lege n. 24/2009, dei presupposti previsti dalla suddetta normativa speciale.

Osserva la Sezione che dall’esame comparativo degli atti di causa e, in particolare, del progetto allegato alla SCIA con lo schema grafico allegato alla relazione di sopralluogo del Comune del 3-11-2015, emerge che il manufatto è stato realizzato sul prospetto “lato strada” del fabbricato, dove l’altezza massima rilevata dal Comune è pari a mt. 6,20 e, dunque, inferiore rispetto all’altezza massima di zona di mt. 7,50; ciò, come si evince dal predetto schema grafico allegato al verbale di sopralluogo, anche tenendo conto dell’altezza del pergolato/porticato, che non supera tale altezza massima.

Peraltro, tale circostanza, riguardando comunque un’opera diversa dalla SCIA presentata, avrebbe dovuto essere necessariamente dedotta in ricorso per inferire ( sempre ove il manufatto, così come realizzato, fosse comunque assoggettato al regime abilitativo della SCIA) una violazione dell’articolo 200 della legge regionale n. 65 del 2014, il quale prevede la sanzione demolitoria solo per interventi realizzati in assenza o in difformità dalla SCIA che siano in contrasto con la normativa urbanistica (applicandosi diversamente la sanzione pecuniaria).

Tuttavia, il mezzo di gravame non lamenta tale violazione, né indicando la norma violata né sostanzialmente adducendo l’applicabilità nella specie di una sanzione pecuniaria, sul rilievo che, pur non contemplata dalla SCIA presentata, l’opera era comunque soggetta a tale regime abilitativo e per la stessa andava irrogata solo una sanzione pecuniaria.

Nella specie, invece, l’avvenuto rispetto del limite dell’altezza massima viene dedotto unicamente per assumere il rispetto dei presupposti richiesti dalla legge regionale n. 24/2009 sul piano casa per giustificare l’ampliamento dell’unità abitativa; vizio di legittimità non conferente con la disposta demolizione del pergolato lato strada, assunta in relazione a una ordinaria fattispecie di abuso (non dunque riferibile ad un mero contrasto con la normativa urbanistica in presenza comunque di un’opera prevista dalla SCIA e realizzata in conformità ad essa), contestata sul solo assunto della non riconducibilità di quanto realizzato a quanto autorizzato.

Orbene, è pacifico che, in sede di giudizio impugnatorio, non possa addivenirsi all’annullamento del provvedimento amministrativo per vizi non dedotti in ricorso.

Ed, invero, l’ambito di cognizione del giudice amministrativo (ed il conseguente potere di annullamento) è necessariamente limitato dai motivi del ricorso e dai vizi di legittimità nello stesso prospettati.

Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, la domanda di annullamento proposta è meritevole di accoglimento solo per l’ampliamento volumetrico dell’abitazione e per il portico, realizzato sul lato valle del fabbricato, mentre va respinta per il porticato lato strada non previsto dalla SCIA presentata dalla signora Armellini.

La domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni è, invece, inammissibile.

Invero, l’articolo 8 del DPR n. 1199 del 1971 prevede che “Contro gli atti amministrativi definitivi è ammesso ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per motivi di legittimità da parte di chi vi abbia interesse”, così configurando un rimedio che ha natura tipicamente impugnatoria, attraverso il quale possono essere introdotte unicamente azioni di annullamento di provvedimenti amministrativi, finalizzate alla loro eliminazione dal mondo giuridico attraverso una pronuncia di tipo caducatorio.

Le azioni di accertamento e di condanna non sono, invece, ammissibili in sede di ricorso straordinario.

La domanda risarcitoria è, dunque, estranea al petitum deducibile con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, non potendosi esercitare azioni diverse rispetto a quella di annullamento (cfr., ex multis, Cons. Stato, I, n. 1683/2020; I, 1286/2020; I, n. 978/2020 e n. 115/2019).

In conclusione, pertanto, la Sezione esprime il parere che il ricorso debba essere in parte accolto, in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile nei sensi specificati in motivazione.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr., ex multis, Cass.civ. 16-5-2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

P.Q.M.

La Sezione esprime il parere che il ricorso deve essere in parte accolto, in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile nei sensi di cui in motivazione.