Cass. Sez. III n.39109 del 28 novembre 2006 (ud. 24 ott. 2006)
Pres. Papa Est. Lombardi Ric. Palombo
Beni culturali. Impossessamento di
cose
Per integrare la fattispecie criminosa di cui all'art, 176, c. 1, del
D. L.vo n. 42-2004, che si pone in evidente continuità
normativa
con il reato già previsto dall'art. 125 del D. L.vo n.
490-99, non occorre aIlcun provvedimento formale, che
dichiari
l’interesse artistico, storico, archeologico e
etnoantropologico
delle cose di cui il privato sia stato trovato in possesso,
allorché quest'ultimo non dimostri di esserne legittimo
proprietario, sicché si possa affermare, anche sulla base di
adeguati elementi indiziari, che gli stessi siano stati oggetto di
ritrovamento ed essendo, peraltro, sufficiente l'accertamento dei
requisiti culturali del bene, secondo le indicazioni
contenute
nell’ articolo 10.
P.U. 24.10.2006
SENTENZA N. 1670
REG. GENERALE n. 2146/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
Dott. Enrico
Papa
Presidente
Dott. Pierluigi
Onorato
Consigliere
Dott. Claudia
Squassoni
Consigliere
Dott. Alfredo Maria
Lombardi
Consigliere
Dott. Antonio
Ianniello
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dall'Avv. Domenico Oropallo, difensore di fiducia
di Palombo Angelo, n. a Latina il 27.3.1957, avverso la semenza in data
2.2.2004 della Corte di Appello di Roma, con la quale, a conferma di
quella del Tribunale di Latina in data 18.2.2003, venne condannato alla
pena di mesi due di reclusione € 50,00 di multa, quale
colpevole del reato di cui all’art. 125 del D.L.vo n. 490/99.
isti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo
Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott.
Guglielmo Passacantado, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma ha confermato la
pronuncia di colpevolezza di Palombo Angelo in ordine al reato di cui
all’art. 125 del D.L.vo n. 490/99, attualmente art. 176, co.
I, del D.L.vo n. 42/2004, ascrittogli per essersi impossessato di due
monete e di un’ansa di bronzo di epoca romana, classificati
quali beni culturali appartenenti allo Stato.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali
l'appellante aveva contestato l'esistenza dell'elemento psicologico del
reato o chiesto, in subordine, la riduzione della pena inflitta dal
giudice di primo grado.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che
la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo di impugnazione il ricorrente denuncia la
violazione ed errata applicazione della norma incriminatrice,
nonché la mancanza o manifesta illogicità della
motivazione dalla sentenza.
Si osserva, in sintesi, che per la configurazione del reato di cui alla
contestazione è necessario accertare che il possessore di
uno dei beni tutelati dalla norma penale sia stato consapevole della
natura del medesimo quale oggetto di interesse storico o artistico;
che, nel caso in esame, ai fini dell'accertamento della natura delle
cose rinvenute presso l’imputato, si è fatto
ricorso, nella fase delle indagini preliminari, al giudizio di un
esperto, il quale ha escluso la rilevanza della maggior parte degli
oggetti rinvenuti ed ha attribuito interesse archeologico, non senza
qualche dubbio, alle sole monete di cui alla contestazione.
Si deduce, quindi, che nel caso in esame, considerato che la natura
delle predette monete non si palesava ictu oculi riconoscibile, la
sussistenza dell'elemento psicologico del reato doveva formare oggetto
di uno scrupoloso accertamento, di cui la motivazione della sentenza
impugnata non da affatto conto. Nel prosieguo del motivo di gravame si
censurano, poi, sul piano della congruenza logica, gli argomenti
addotti nella sentenza impugnata sostegno del convincimento espresso
dai giudici di merito circa la consapevolezza da parte
dell’imputato del valore archeologico delle cose da lui
possedute.
Il ricorso, che è al limite dell'ammissibilità,
risolvendosi prevalentemente nella censura della valutazione delle
risultanze probatorie da parte dei giudici di merito, non è
fondato.
Preliminarmente il Collegio osserva che non si ravvisano ragioni per
discostarsi, dopo la riforma di cui al D.L.vo 22.1.2004 n. 42 (Codice
dei beni culturali o del paesaggio) dall'indirizzo interpretativo,
ribadito da questa Suprema Corte con varie pronunce nella vigenza
dell'abrogato D.L.vo n. 490/99, secondo il quale, “Ai fini
della configurabilità del reato di cui all’art.
125 del D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, impossessamento illecito di beni
culturali appartenenti allo Stato, non è necessario che i
beni siano qualificati come tali da un formale provvedimento della
pubblica amministrazione, essendo sufficiente la
desumibilità della sua natura culturale dalle stesse
caratteristiche dell'oggetto, non essendo richiesto un particolare
pregio per i beni culturali di cui all’art 1 comma primo, del
citato decreto n. 490.” (sez. III, 200347922, Petroni, RV
226870; sez. III 200145814, Cricelli, RV 220742; 200142291,
Licciardello, RV 220626)
L’art. 91, Co. 1, del Codice dei beni culturali e del
paesaggio attualmente vigente, infatti, attribuisce alla
proprietà dello Stato tutti i beni immobili e mobili,
oggetto di ritrovamento, da "chiunque ed in qualunque modo" che
presentano interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico, analogamente a quanto previsto dall'art 88 del
D.L.vo n. 490/99, senza che sia necessario un formale provvedimento che
riconosca il loro interesse culturale, emesso
dall’autorità amministrativa ai sensi
dell’art. 13 del citato D.L.vo n. 42/2004.
Detto provvedimento è invece, necessario solo per i beni di
cui all’art. 10, co. 3, del D.L.vo n. 42/2004 e,
cioè, per quei beni che risultino appartenere a privati in
base ad in titolo che ne legittimi disponibilità.
In tutti gli altri casi, perciò, i beni di cui
all’art. 10, co. 1, del D.L.vo n. 42/2004 appartengono allo
Stato sulla base del mero accertamento del loro interesse culturale.
Per integrare la fattispecie criminosa di cui all’art. 176,
co. l, del D.L.vo n. 42/2004, che si pone in evidente
continuità normativa con il reato già previsto
dall’art. 125 del D.L..vo n, 490/99, di cui alla
contestazione, pertanto, non occorre alcun provvedimento formale, che
dichiari l’interesse artistico, storico, archeologico e
etnoantropoIogico delle cose di cui il privato sia stato trovato in
possesso, allorché quest’ultimo non dimostri di
esserne legittimo proprietario, sicché si possa affermare,
anche sulla base di adeguati elementi indiziari, che gli stessi sano
stati oggetto di ritrovamento ed essendo, peraltro, sufficiente
l'accertamento dei requisiti culturali del bene, secondo le indicazioni
contenute nel citato articolo 10.
Non appare, perciò, condivisibile il diverso orientamento
interpretativo espresso da questa Corte in altra pronuncia (sez. III
200428929, Mugnaini, RV 229491), peraltro riferentesi a misura
cautelare, salvo che le affermazioni contenute nella citata sentenza
non debbano interpretassi con esclusivo riferimento ai beni che
rientrano con certezza nella categoria di quelli di cui
all’art. 10 co. 3, del D.L.vo n. 42/2004.
Passando all’esame dei vizi di motivazione denunciati dal
ricorrente, si deve rilevare che la sentenza impugnata la valorizzato,
al fine di affermare la consapevolezza da parte dell'imputato
dell’interesse archeologico delle monete di cui al capo di
imputazione, le contraddizioni riscontrate tra le successive versioni
riferite dallo stesso circa le modalità attraverso le quali
ne era venuto in possesso (prima avrebbe affermato di averle acquistate
presso un mercatino unitamente agli altri oggetti, che si è
accertato essere privi di interesse storico, e successivamente di
averle ricevute dal nonno).
I giudici di merito hanno altresì valorizzato, ai fini
dell’accertamento dell’elemento psicologico del
reato, il possesso da parte deIl’imputato di un metaldetector
abitualmente utilizzato da chi effettua scavi archeologici; possesso
che non può essere contestato per la prima volta in sede di
legittimità, così come dedotto in ricorso.
Si palesa inoltre inconferente quale argomento addotto a sostegno delle
difficoltà di classificazione delle predette monete di epoca
romana, il fatto che nel corso delle indagini preliminari sia stato
chiesto il giudizio di un esperto, in quanto la consulenza tecnica
costituisce, in ogni caso, nelle indagini relative a reati che abbiano
ad oggetto beni di interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico uno strumento indispensabile per
Non sussiste, pertanto, la denunciata contraddittorietà o
carenza della motivazione dalla sentenza in punto di accertamento della
consapevolezza da parte dell’imputato del valore archeologico
dello monete di epoca romana di cui alla contestazione.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto
dell’impugnazione segue a carico del ricorrente
l’onere delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 24.10.2006
L'
estensore
Il presidente
Alfredo Maria
Lombardi
Enrico Papa
Beni culturali. Impossessamento di cose
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