Consiglio di Stato Sez. II n. 4278 del 13 maggio 2024 
Urbanistica. Accertamento di conformità delle opere abusive e potere sostitutivo del segretario generale.

L’attuale funzione del segretario generale si discosta radicalmente da quella originaria di mera certificazione, di verbalizzazione, di rogito dei contratti dell’ente, nonché di autenticazione delle scritture private e degli atti unilaterali, sempre nell’interesse dell’ente stesso, essendo egli chiamato a svolgere sempre più pregnanti funzioni di controllo di legittimità degli atti dell’ente e più in generale di legalità e di attuazione degli indirizzi politico – amministrativi dei suoi organi. Non ne consegue, tuttavia, una competenza generale su tutte le attività gestionali dell’ente nonché un connesso e generalizzato potere di firma in luogo dei dirigenti comunali. Né, nella prospettiva di una competenza generale su tutte le attività dell’ente, può invocarsi l’esercizio da parte del segretario generale del potere sostitutivo, perché anche quest’ultimo non si sottrae ai principi di legalità e tipicità dell’azione amministrativa, potendo essere concretamente esercitato solo se espressamente previsto e nei limiti e con le forme legalmente date. Quanto detto vale a maggior ragione laddove l’amministrazione pretenda di utilizzarlo in deroga alla regola generale che individua nel soggetto, che ha la competenza ad adottare un atto, l’organo preposto a rivalutarne la legittimità. Il regime dell’accertamento di conformità delle opere realizzate in assenza della segnalazione certificata di inizio attività o in difformità dalla stessa è oggetto di disciplina autonoma e distinta dal paradigma generale della sanatoria ordinaria declinato all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001. Sussiste l’obbligo di pronunciarsi sull’istanza di sanatoria ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, la cui inosservanza integra un mero comportamento inadempitivo. L’interessato può legittimamente rivolgersi al segretario comunale dell’ente, a fronte dell’inerzia dell’ufficio competente; analoga possibilità non è invece riconosciuta ai controinteressati, atteso che l’art. 2, comma 9-ter, della l. n. 241 del 1990 non fa riferimento al controinteressato ma solo a colui che ha presentato l’istanza.


Pubblicato il 13/05/2024

N. 04278/2024REG.PROV.COLL.

N. 05582/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5582 del 2023, proposto dal signor Piero Alvisi, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Cimino e Alessandro Pizzato, con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso il loro studio in Padova, piazzale della Stazione, n. 7;

contro

il Comune di Cortina d’Ampezzo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Federico Bressan, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Guglielmo Aldo Giuffrè in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 349;

nei confronti

dei signori Alessandro Niccoletti e Giancarlo Potente, rappresentati e difesi dall’avvocato Pier Vettor Grimani, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Venezia, Santa Croce, n. 466/G;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda, 11 aprile 2023, n. 467, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cortina d’Ampezzo e dei signori Alessandro Niccoletti e Giancarlo Potente;

Vista l’ordinanza del 26 luglio 2023, n. 3087;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Antonio Cimino, l’avvocato Federico Bressan e l’avvocato Chiara Pesce, in sostituzione dell’avvocato Pier Vettor Grimani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il signor Piero Alvisi ha chiesto la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. II, 11 aprile 2023, n. 467, con la quale è stato respinto il suo ricorso avverso i provvedimenti a firma del Segretario Generale del Comune di Cortina d’Ampezzo recanti la data del 23 dicembre 2013, di cui il primo, prot. 26029, di annullamento dell’autorizzazione ambientale (prot. 4676 del 17 aprile 2008, n. 162) e di quella di accertamento di compatibilità paesaggistica (n. 6 del 3 novembre 2011), il secondo, prot. 26042, di ingiunzione a demolire le opere cui ridetti titoli si riferivano.

2. In punto di fatto, come emerge dalla documentazione versata in atti, giova rilevare quanto segue.

2.1. Il signor Piero Alvisi è proprietario di un’unità immobiliare all’interno di un fabbricato che si trova nel Comune di Cortina d’Ampezzo alla via XXIV maggio, n. 44, denominato “residence Palace”, ubicata al piano sottotetto della parte ovest. In data 28 marzo 2007 aveva presentato una d.i.a. per opere di manutenzione straordinaria consistenti nella costruzione di un nuovo abbaino e nella realizzazione di minime modifiche interne al fine di migliorare i parametri igienico-sanitari dell’esistente e in particolare l’altezza dei vani. All’esito favorevole (T.a.r. per il Veneto, 27 luglio 2007, n. 2612) di un primo contenzioso instaurato dal predetto avverso il parere negativo della Commissione edilizia integrata (CEI) del 30 aprile 2007, motivato sulla mancata armonizzazione dell’intervento con la particolare falda di copertura in essere, il Comune di Cortina d’Ampezzo rilasciava il titolo ambientale (provvedimento prot. n. 4676 del 17 aprile 2008), sicché l’interessato effettuava i relativi lavori.

2.2. Con ricorso al T.A.R. per il Veneto (n.r.g. 2470/2009) i signori Alessandro Niccoletti e Giancarlo Potente, proprietari a loro volta di distinti appartamenti all’interno del medesimo residence, contestavano l’assenso implicito all’effettuazione dei lavori conseguito al rilascio del titolo ambientale sopra richiamato.

2.3. Gli stessi in data 7 dicembre 2009 presentavano altresì una denuncia presso la locale Stazione Carabinieri, lamentando il mancato avallo preventivo dell’opera da parte degli altri proprietari ritenendo lo stesso necessario in forza dell’art. 49 del Regolamento igienico edilizio comunale, in quanto l’interessato aveva computato l’intera estensione della falda (mq. 275,30) nella superficie sulla quale calcolare le dimensioni dell’abbaino (che non doveva superare il 18 % della stessa); per altro mentre l’opera era stata assentita per mq. 20,55, secondo i denuncianti misurava in realtà mq. 23,04.

2.4. In data 27 luglio 2010 il Comune notificava all’appellante l’avvio del procedimento di verifica delle denunciate irregolarità; l’interessato avanzava allora istanza di accertamento di conformità ex artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e di autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ammettendo una dimensione dell’abbaino pari a mq. 21,42 (anziché mq. 20,55), corrispondenti a quanto poi effettivamente accertato con sopralluogo del 18 maggio 2011.

2.5. Su parere favorevole della Commissione edilizia integrata del 26 maggio 2011, preso atto altresì «del parere rilasciato in data 18 luglio 2011 con prot. 20029 dalla Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio, ai sensi degli artt. 167 e 181 del d.lgs. 42/2004, favorevole all’accertamento di compatibilità paesaggistica», il Comune irrogava al richiedente la sanzione pecuniaria prevista dagli artt. 37 del T.u.e. e 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 (provvedimento prot. 19861 del 28 settembre 2011, a firma della responsabile del competente servizio, in cui si dava atto dell’avvenuto accertamento della doppia conformità urbanistica degli interventi realizzati).

2.6. Con comunicazione del 4 ottobre 2011 la medesima responsabile del servizio, «al fine dell’emissione dei provvedimenti conseguenti» alla richiesta di sanatoria del 25 agosto 2010, invitava l’interessato a produrre, tra gli altri documenti, anche il consenso espresso dei comproprietari alla realizzazione degli interventi in quanto coinvolgenti parti comuni dell’edificio.

2.7. Con bonifico del 14 ottobre 2011 lo stesso provvedeva al pagamento delle sanzioni irrogate; tuttavia in data 19 marzo 2014 gli venivano notificati i due provvedimenti del 23 dicembre 2023, della cui legittimità si controverte.

2.8. Per effetto dei citati provvedimenti del 23 dicembre 2023 i signori Alessandro Niccoletti e Giancarlo Potente dichiaravano la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso n.r.g. 2470/2009, di cui l’adito Tribunale prendeva atto giusta pronuncia di improcedibilità con decisione della sezione II dell’11 aprile 2023, n. 466, non impugnata.

3. La sentenza segnata in epigrafe ha motivato il rigetto del ricorso del signor Piero Alvisi sull’assunto che correttamente il Segretario generale dell’ente era intervenuto in sostituzione dell’ufficio competente adottando un provvedimento legittimo per l’accertato contrasto dell’intervento edilizio con la vigente disciplina urbanistica. In particolare sarebbe stato violato l’art. 49 del regolamento di igiene, secondo cui la percentuale di estensione dell’opera va calcolata sulla parte di falda in proprietà esclusiva del richiedente, sicché l’utilizzo nel computo di quella condominiale imponeva l’avallo degli altri comproprietari ex art. 1102 c.c., che nel caso di specie era mancato. Infatti «l’appartamento del sig. Alvisi Piero –sottostante il tetto – sviluppa una superficie di 57,65 mq, cui corrisponde una potenziale capacità edificatoria dell’abbaino di 10,37 mq., mentre nel calcolo della superficie dell’abbaino è stata considerata l’intera superficie della falda nord, la quale è in corrispondenza non solo della porzione tavolare n. 35 di proprietà del sig. Alvisi (mq. 57,65), ma anche delle porzioni n. 34 e n. 36 (altre proprietà), del corridoio comune tra le porzioni nn. 34 e 35, nonché del vano scala condominiale (porzioni tavolari dalla n. 2 alla n. 36)».

4. Il signor Piero Alvisi ha chiesto la riforma di tale sentenza, articolando separatamente i motivi di gravame in relazione al provvedimento di annullamento in autotutela dell’accertamento di compatibilità paesaggistica e dell’autorizzazione ambientale (pagg. 7-21 dell’atto di appello) e all’ordinanza di demolizione (pagg. 21-27).

4.1. Con riferimento al primo atto ha lamentato:

i- «incompetenza. Violazione di legge: violazione degli artt. 7, 8 e 21 novies L. 241/1990 e dell’art. 97 D.Lgs. 267/2000. Eccesso di potere per difetto di motivazione»;

ii- «violazione di legge: violazione dell’art. 7 L. 241/1990. Omessa comunicazione di avvio del procedimento. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria»;

iii-«violazione di legge: violazione di legge: violazione degli artt. 146 e 167 D.Lgs. 42/2004. Eccesso di potere per difetto di motivazione e difetto di istruttoria e irrazionalità e contraddittorietà manifesta; violazione degli artt. 3, 21-nonies L. 241/1990. Violazione dell’art. 1102 del Codice civile. Travisamento dei presupposti. Violazione dell’art. 49 del Regolamento edilizio comunale».

4.2. Con riferimento al secondo, ha riproposto le censure originarie, a suo avviso non esaminate dal T.a.r., che si è limitato a rinviare alle deduzioni svolte sull’autotutela, senza tener conto dei vizi propri dell’atto censurato e segnatamente:

iv- «illegittimità derivata dell’Ordinanza di demolizione n. prot. 26042 del 23.12.2013 per illegittimità del provvedimento n. 26029 del 23.12.2013 che annulla in via di autotutela l’accertamento di compatibilità paesaggistica n. 6/2011 e l’autorizzazione ambientale n. prot. 4676/2008, ad esso presupposto, per i motivi esposti sopra»;

v- «incompetenza. Violazione di legge: violazione degli artt. 7, 8 e 21-nonies L. 241/1990 e dell’art. 97 D.Lgs. 267/2000. Eccesso di potere per difetto di motivazione»;

vi- «violazione di legge: violazione dell’art. 7 L. 241/1990. Omessa comunicazione di avvio del procedimento; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria e irragionevolezza; violazione dei principi di economicità e efficienza dell’azione amministrativa»;

vii- «violazione di legge: violazione degli artt. 146 e 167 D.Lgs. 42/2004. Eccesso di potere per irragionevolezza e difetto di motivazione e di istruttoria».

4.3. Relativamente infine alla nota del 4 ottobre 2011, n. 20319, con la quale è stata richiesta un’integrazione documentale all’istanza di sanatoria, impugnata per tuziorismo, ha lamentato: «Violazione di legge; violazione art. 37 D.P.R. 380/2001; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria; irrazionalità manifesta e contraddittorietà; violazione dei principi di efficienza e di economicità dell’azione amministrativa».

5. Si sono costituiti in giudizio i signori Alessandro Niccoletti e Giancarlo Potente per resistere all’appello e chiederne il rigetto, con argomentazioni sviluppate nella memoria in data 21 luglio 2023. A loro avviso, il primo giudice aveva ben argomentato sulla competenza del Segretario Generale in virtù delle disposizioni sul contrarius actus di cui all’art. 2, comma 9-bis, della l. n. 241 del 1990, dei principi generali sul condominio (art. 1102 c.c.) e della corretta lettura dell’art. 49 del regolamento comunale in ordine al calcolo della dimensione degli abbaini, sia in relazione all’annullamento in autotutela che all’ingiunzione a demolire che, in quanto atto di natura vincolata, non necessitava della previa comunicazione di avvio del procedimento; d’altra parte, la nota di richiesta di integrazione documentale, non costituendo un provvedimento, non poteva essere oggetto di impugnativa.

6. Ha resistito al gravame anche il Comune di Cortina d’Ampezzo che in via preliminare ha riproposto le eccezioni di giurisdizione in relazione a tutte le questioni afferenti i rapporti tra privati, rinviando al riguardo alle pagine da 3 a 8 delle note difensive depositate il 3 marzo 2023 nel corso del giudizio di primo grado. Ha quindi dedotto l’inammissibilità e infondatezza delle avverse censure, egualmente argomentando mediante richiamo alle difese già articolate in primo grado. Con successiva memoria ha meglio esplicitato le proprie tesi a sostegno della sentenza impugnata, evidenziando come l’appellante aveva riscontrato la richiesta di integrazione documentale avanzata dal Comune il 4 ottobre 2011 ben oltre i 90 giorni assegnati (ovvero a distanza di 120 giorni) e in maniera non satisfattiva rispetto al richiesto assenso degli altri comproprietari, il che ne provava l’avvenuto coinvolgimento nel procedimento. Infine il richiamo, nell’ingiunzione a demolire, all’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, era servita esclusivamente a ribadire l’altissimo valore ambientale della zona oggetto dell’intervento.

7. Con l’ordinanza n. 3087 del 26 luglio 2023 è stata accolta l’istanza cautelare di sospensione dell’esecutiva della sentenza impugnata al fine di mantenere la res adhuc integra.

8. Nell’imminenza dell’udienza pubblica di discussione tutte le parti hanno depositato memorie e repliche, ognuna ribadendo le proprie tesi difensive.

9. All’udienza pubblica del 9 aprile 2024, esaurita la discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

10. In via preliminare è da respingere l’eccezione di difetto di giurisdizione avanzata dalla difesa civica con un mero richiamo al contenuto della memoria difensiva di primo grado (pagg. da 3 a 8) sul presupposto che la controversia sia riferibile all’estensione del diritto esclusivo sul bene rispetto a quello condominiale. Sennonché i controinteressati non hanno contestato l’esistenza di una parte di falda pertinenziale all’unità immobiliare dell’appellante, ma sostenuto per contro che ai fini della legittimità del titolo edilizio utile per la costruzione da parte dell’appellante del nuovo abbaino nella dimensione dichiarata era necessario il previo avallo condominiale ai sensi dell’art. 49 del regolamento d’igiene edilizio del Comune di Cortina d’Ampezzo (la cui corretta lettura imponeva le rivendicate modalità di calcolo della potenziale dimensione dell’intervento).

Non sussiste pertanto l’eccepito difetto di giurisdizione, non potendosi sottacere che la legittimità dell’intervento edilizio che ciascun partecipante (nel caso di specie il ricorrente in primo grado) ad una comunione chiede alla p.a. di essere autorizzato ad eseguire, finanche in forza della norma che gli consente di «servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto» (come testualmente recita l’articolo 1102 del codice civile), deve comunque essere valutata dall’amministrazione competente solo per i profili amministrativi, senza riguardo cioè a quelli civilistici e ai connessi limiti posti dalla norma, in quanto entrambi azionabili (dai titolari della specifica facultas agendi) davanti al giudice civile.

12. E’ fondata la censura di incompetenza del Segretario Generale ad adottare, rispettivamente, l’atto di annullamento in autotutela e, quale conseguenza dello stesso, l’ingiunzione a demolire.

12.1. Il Tribunale ha rinvenuto il fondamento della legittimazione del Segretario Generale sia nelle disposizioni ordinamentali, che ne consentono il coinvolgimento in attività tipicamente gestionali, quali quelle di cui sono espressione gli atti in controversia (art. 99 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e segnatamente il comma 4, che ne permette la nomina anche a direttore generale), sulla cui legittimità ha richiamato i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza 22 febbraio 2019, n. 23; sia nella disciplina del potere sostitutivo di cui all’art. 2, comma 9-bis, della l. 7 agosto 1990, n. 241, che anche in deroga alla regola sul contrarius actus, ravvisa in tale soggetto quello di riferimento nell’ambito delle figure apicali dell’ente locale. In particolare, ha sottolineato che al Segretario generale di regola è attribuito il ruolo di responsabile della prevenzione della corruzione e di responsabile della trasparenza (l. 6 novembre 2012, n. 190, nonché d.lgs. 14 marzo del 2013, n. 33); che egli può essere nominato direttore generale (art. 97, comma 4, lettera e), del d.lgs. n. 267/2000, che rinvia all’art. 108, comma 4, del medesimo Testo unico); che possono essergli attribuite responsabilità di servizi (art. 97, comma 4, lettera d), del T.u.e.), particolarmente nei Comuni di piccole dimensioni, ove non vi è personale idoneo ad assumere compiti dirigenziali.

Le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice sulla base di tale ricostruzione del quadro normativo tuttavia non sono convincenti.

12.2. Il Collegio ritiene superfluo in questa sede approfondire l’evoluzione legislativa e il dibattito dottrinario che ha caratterizzato, sin dalla sua nascita, la peculiare figura del Segretario Generale dell’ente locale, ben potendo al riguardo richiamare proprio la sentenza della Corte Costituzionale n. 23 del 2019, cui il primo giudice ha fatto ampio riferimento per relationem. Essa infatti costituisce un significativo e risolutivo punto di sintesi, seppure sotto la diversa angolazione della compatibilità di un sistema di spoil system tipico dei rapporti di vertice amministrativo connotati dalla fiduciarietà, con l’indipendenza del relativo operato quale garante di legalità.

É dunque sufficiente osservare che indubbiamente la attuale funzione del Segretario generale si discosta radicalmente da quella originaria di mera certificazione, di verbalizzazione, di rogito dei contratti dell’ente, nonché di autenticazione delle scritture private e degli atti unilaterali, sempre nell’interesse dell’ente stesso, essendo egli chiamato a svolgere sempre più pregnanti funzioni di controllo di legittimità degli atti dell’ente e più in generale di legalità e di attuazione degli indirizzi politico – amministrativi dei suoi organi: del resto, emblematica in tal senso è la formulazione “aperta” dell’elencazione dei compiti che possono essergli affidati, così che la sua funzione concreta è in certo qual modo anche modellata sulle specifiche esigenze del Comune, disponendo la norma che egli eserciti ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti o conferitagli dal sindaco (art. 97, comma 4, lettera d), del d.lgs. n. 267 del 2000).

Ma a ciò non può logicamente e giuridicamente conseguire una sorta di competenza generale su tutte le attività gestionali dell’ente ed un connesso e conseguente altrettanto generale e generalizzato potere di firma in luogo dei dirigenti comunali, che si porrebbe del resto in insanabile contrasto con l’autonomia di questi ultimi e con la necessaria valorizzazione delle loro relative competenze finalizzate, com’è intuibile, al miglior funzionamento possibile della struttura burocratica.

Né nella prospettiva di una competenza generale su tutte le attività dell’ente può invocarsi l’esercizio da parte del Segretario Generale del potere sostitutivo, perché anche quest’ultimo non si sottrae ai principi di legalità e tipicità dell’azione amministrativa (con la conseguenza che esso sussiste e può essere concretamente esercitato solo se espressamente previsto e nei limiti e con le forme di tale previsione). Quanto detto a maggior ragione laddove, come nella specie, l’Amministrazione pretenda di utilizzarlo in deroga alla regola generale che individua nel soggetto che ha la competenza ad adottare un atto l’organo preposto a rivalutarne la legittimità (principio del contrarius actus). L’immanenza dei poteri di annullamento d’ufficio alla funzione di amministrazione attiva cui accede, posto alla base del principio de quo, è tale per cui in caso di trasferimento della competenza da un’autorità ad un’altra, si trasferisce anche il potere di annullamento d’ufficio (Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre 2023, n. 11307). Non si comprende dunque quale peculiare vizio dell’atto, genericamente invocata dal primo giudice, ne avrebbe consentito la deroga.

12.3. Deve poi aggiungersi che l’art. 1 del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito nella l. 4 aprile 2012, n. 35, ha modificato i commi 8 e 9 e aggiunto i commi 9-bis, 9-ter, 9-quater e 9-quinquies, all’art. 2 della l. n. 241 del 1990, così da fornire una cornice completa delle modalità di esercizio del potere sostitutivo. La norma è stata nuovamente incisa (dal d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla l. 29 luglio 2021, n. 108), prevedendo sia la possibilità di attivazione d’ufficio, in precedenza mancante, sia l’individuazione di un’unità organizzativa anziché di una singola figura quale soggetto preposto all’esercizio del potere sostitutivo.

In tale quadro è innegabile che nei Comuni, in assenza di una diversa indicazione, ovvero, sulla base delle più recenti modifiche, della individuazione di un apposito ufficio, il relativo compito ricade sul Segretario Generale. Ma ciò non lo esonera dal rispetto delle regole generali che sovraintendono all’esercizio del relativo potere.

12.4. In linea generale, la disciplina dei poteri sostitutivi nasce con l’apprezzabile intento di disincentivare il contenzioso avverso l’inadempimento della pubblica amministrazione a fronte dell’istanza di un privato. Per tale ragione essa si inserisce all’interno dell’art. 2, concernente la doverosità dell’azione amministrativa e dei suoi tempi, quale peculiare espressione del principio di legalità. A ciò consegue che affinché possa configurarsi un inadempimento della p.a., tale cioè da legittimare l’attivazione del potere sostitutivo, occorre che una norma, ovvero più generiche esigenze di giustizia sostanziale, impongano l’adozione di un provvedimento espresso, in ossequio alla correttezza e buona fede che deve ispirare la condotta pubblica in rapporto alla quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa di una legittima pronuncia.

13. Nel caso di specie i controinteressati hanno compulsato il Segretario generale, individuato come titolare del potere sostitutivo nel regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi del Comune di Cortina d’Ampezzo, indirizzandogli la nota del 24 ottobre 2013, richiamata espressamente negli atti impugnati, per chiedere la definizione (negativa) della domanda di sanatoria avanzata dal signor Piero Alvisi in data 25 agosto 2010 e conseguentemente la demolizione dell’abuso da questi asseritamente commesso.

13.1. Deve allora valutarsi se in relazione alla tipologia dei procedimenti indicati era possibile attivare il potere sostitutivo per concluderli in luogo della responsabile degli stessi, a loro dire inadempiente.

14. Il regime dell’accertamento di conformità delle opere realizzate in assenza della segnalazione certificata di inizio attività o in difformità dalla stessa è oggetto di disciplina autonoma e distinta dal paradigma generale della sanatoria ordinaria declinato all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001. Essa trova infatti riscontro nel successivo art. 37 che, pur prevedendo egualmente il requisito della c.d. doppia conformità (l’intervento realizzato, cioè, deve risultare conforme tanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione, quanto a quella vigente alla presentazione della domanda), si presenta alquanto lacunoso con riferimento al procedimento vero e proprio. A ben guardare infatti esso assorbe il rilascio del titolo -recte, l’avallo postumo all’intervento, vuoi che sia stato oggetto di apposita istanza, vuoi che quest’ultima si sia concretizzata nella presentazione di una nuova s.c.i.a., in sanatoria, appunto- nell’irrogazione di una sanzione pecuniaria il cui valore è stabilito dal responsabile del procedimento in una somma comunque non inferiore a euro 516. Proprio in ragione della condivisione con l’istituto della fiscalizzazione del contenuto di monetizzazione dell’illecito parte della dottrina ha ricondotto a ridetto modello anche la fattispecie di cui all’art. 37 del T.u.e., che peraltro si diversifica dalle ipotesi tipicamente ascritte al medesimo (artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 380/2001) per l’effetto sanante del pagamento della sanzione (sul punto, v. Cons. Stato, sez. II, 15 novembre 2023, n. 9799).

14.1. L’obbligo di pronuncia sull’istanza di sanatoria ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 e il conseguente significato di inadempimento della p.a. che non provvede in merito è già stato affermato dalla Sezione che non ha ritenuto applicabile, in assenza di un’indicazione in tal senso del legislatore, il valore di silenzio rifiuto previsto invece in termini generali dall’art. 36, comma 4. Nella specie, dunque, «il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell’amministrazione procedente, pena la sussistenza di un’ipotesi di silenzio inadempimento» (Cons. Stato, sez. II, 20 febbraio 2023, n. 1708).

14.2. Del tutto legittimamente, dunque, l’interessato avrebbe potuto rivolgersi al Segretario Comunale dell’ente a fronte dell’inerzia dell’ufficio competente; analoga possibilità non è invece riconosciuta ai controinteressati, cui il comma 9-ter dell’art. 2 della l. n. 241 del 1990, sia in ragione della sua formulazione letterale, sia avuto riguardo alla sistematica della norma, non fa riferimento, avendo la norma introdotto un rimedio aggiuntivo e deflattivo del contenzioso a beneficio del richiedente il provvedimento espresso con cui deve concludersi il procedimento che «consegua obbligatoriamente ad un’istanza» (art. 2, comma 1).

15. Peraltro nella specie nessun inadempimento può essere imputato agli uffici comunali, stante che gli stessi hanno adottato l’ordinanza ingiunzione del 28 settembre 2011, riferita espressamente sia alla sanatoria edilizia ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, per la quale si è previsto un importo pari ad euro 516,46, che a quella paesaggistica ex art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, che ha comportato l’irrogazione di euro 686,00, ritenendo sussistenti, a torto o a ragione, i presupposti di entrambe, ovvero il requisito della doppia conformità urbanistica e l’avallo della Soprintendenza, debitamente interpellata in merito.

16. Infine non può sottacersi che l’esercizio del potere sostitutivo, per come declinato nell’art. 2, comma 9-ter della l. n. 241 del 1990, non si concretizza nell’adozione dell’atto direttamente da parte dell’organo di vertice individuato dall’Amministrazione, ma implica la conclusione del procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto «o attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario ad acta». Le due modalità sono tra loro alternative e la norma lascia al soggetto titolare la discrezionalità della scelta, ma non gli consente di agire in prima persona. Nel caso poi in cui anche il titolare del potere sostitutivo non risponda nei termini di legge, non resta all’interessato che la tutela giurisdizionale contro il silenzio serbato dall’Amministrazione.

16.1. Il fatto che l’esercizio del potere sostitutivo si risolve comunque nel coinvolgimento delle strutture competenti ovvero nell’individuazione di un soggetto terzo (il commissario ad acta) risponde all’evidente esigenza di utilizzare le specificità esperienziali delle stesse ovvero di individuarne all’esterno dell’ente: ciò trova conferma anche nei contenuti della già richiamata novella attuata con il d.l. n. 77 del 2021. Pur essendo infatti stato superato il tradizionale modello basato esclusivamente sulla gerarchia a vantaggio di uno schema che vede nella centralità delle scelte organizzative lo strumento principale di concreta attuazione di qualsiasi disegno di riforma, l’ unità organizzativa, cui è possibile riferirsi in alternativa al soggetto singolo, finanche se creata ad hoc, non può in ogni caso esercitare direttamente l’attività gestionale, ma deve egualmente avvalersi di strutture competenti o del commissario ad acta, cui casomai, vista la configurazione come articolazione dedicata nell’organigramma, sarà in grado di fornire tutto il supporto operativo necessario allo scopo.

16.2. Tale schema procedurale trova piena rispondenza nella previsione appositamente riferita ai casi di inerzia degli enti territoriali: l’art. 17, comma 45, della l. n. 127 del 1997, ora confluito nell’art. 136 del d.lgs. n. 267/2000, con riferimento ai provvedimenti che Comuni e Province sono tenuti ad adottare, prevede infatti che se essi, malgrado l’invito «a provvedere entro congruo termine, ritardino o omettano di compiere atti obbligatori per legge, si provvede a mezzo di commissario ad acta nominato dal difensore civico regionale, ove costituito, ovvero dal comitato regionale di controllo», il quale «provvede entro sessanta giorni dal conferimento dell’incarico».

16.3. Vero è che la più recente contrattazione nazionale dell’Area Dirigenza nello specificare cosa debba intendersi per funzioni di coordinamento dei dirigenti comunali svolte dal Segretario Generale ove il Sindaco o il Presidente della Provincia non abbiano nominato il direttore generale, vi ha incluso anche il potere di avocazione degli atti in caso di inadempienza da parte del soggetto deputato ad esercitarlo (art. 101 del CCNL dell’area della dirigenza del comparto Funzioni Locali, sottoscritto il 17 dicembre 2020): ma tale disposizione, indipendentemente da ogni valutazione sul suo carattere innovativo, è comunque inapplicabile al caso di specie ratione temporis e necessita pur sempre per la sua concreta applicazione di un’apposita regolamentazione (circa la casistica di riferimento, la procedura per l’applicazione, le modalità di contestazione dell’inadempimento al dirigente nonché dei termini entro i quali si può o si deve procedere). Ciò senza contare che essa non può che costituire una mera declinazione delle regole di esercizio del potere sostitutivo di cui al più volte ricordato art. 2 della l. n. 24171990.

17. A quanto sopra detto consegue l’annullamento degli atti impugnati per incompetenza del Segretario Generale a firmarli, tanto più che non si comprende nel caso di specie quale «peculiare natura del vizio o della sopravvenienza» abbia reso «irragionevole la pedissequa applicazione […]» del principio del contrarius actus che governa l’esercizio dell’autotutela, legittimando il Segretario comunale a sostituirsi alla titolare del Servizio, firmataria degli atti successivamente annullati.

18. Pur essendo ciò sufficiente ad accogliere l’appello, ai fini dell’effetto conformativo e per completezza espositiva si esaminano di seguito anche gli altri profili di censura, nelle parti che non sono già state oggetto di valutazione positiva giusta la ricostruzione sopra fornita.

19. Gli atti impugnati, che comunque non si risolvono nel richiesto diniego di sanatoria, ma hanno ad oggetto dichiaratamente l’annullamento degli assensi di natura paesaggistica agli stessi, sono pertanto eterogenei rispetto alla richiesta dei controinteressati. Essi attingono l’illegittimità degli atti caducati da asseriti profili di contrasto con la disciplina urbanistica vigente. Tale indubbia commistione di contenuti, oltre a rendere non agevole l’esatto inquadramento del paradigma cui ricondurre l’atto impugnato, comporta l’accoglimento anche del terzo motivo di appello, laddove si evidenzia la mancanza di un qualsiasi vizio originario della valutazione di compatibilità ambientale dell’opera, sia nelle dimensioni dichiarate nella d.i.a. originaria del 2007, che in sede di sanatoria. L’autotutela, inoltre, nulla dice in ordine alla sanatoria del 2011, salvo il tentativo della difesa civica di dequotare la portata della irrogazione delle sanzioni, edilizie e paesaggistiche, a fase endoprocedimentale di un procedimento di sanatoria non ancora concluso, come dimostrerebbe la richiesta di integrazione documentale, sopraggiunta in verità a procedimento ormai definito.

20. Ad ogni buon conto, l’esercizio dell’autotutela si palesa tardivo, quale che ne sia l’effettivo oggetto, ovvero sia che lo si limiti agli atti espressamente richiamati (le autorizzazioni paesaggistiche, comunque denominate), sia che lo si estenda, come la motivazione lascerebbe supporre, ai procedimenti dichiarativi presupposti.

21. Al riguardo deve osservarsi come l’abusività di un’opera non può essere in alcun modo ricondotta all’assenso o dissenso degli altri comproprietari, in quanto essa dipende esclusivamente dal rispetto delle regole sulla edificabilità dei suoli e di buon governo del territorio. I diritti dei comproprietari, infatti, ivi inclusi quelli connessi all’eventuale travalicamento dei limiti imposti a ogni comunista dall’art. 1102 cod. civ., non sono giammai pregiudicati dal rilascio del titolo edilizio (che è sempre legittimamente rilasciato, senza neanche bisogno di esplicitazione, con salvezza dei diritti dei terzi). Essi, cioè, sono tutelabili (esclusivamente) mediante azioni civili innanzi al giudice ordinario.

Tale ricorrente affermazione, pur condivisibile in punto di diritto, va conciliata proprio con l’esatta accezione da attribuire alla previsione della clausola di salvaguardia dei diritti dei terzi. Se per regola essa esime l’Amministrazione procedente da qualsivoglia approfondimento circa l’effettiva titolarità della pienezza del diritto proprietario, sicché l’emergenza di future problematiche in tal senso non incidono sulla legittimità dell’atto adottato, la stessa non consente tuttavia di prescinderne laddove la carenza di legittimazione piena emerga per tabulas e non richieda né indagini suppletive, né, men che meno, prese di posizione a favore dell’una o dell’altra tesi di parte. Il comproprietario, infatti, diviene “terzo” solo nel momento in cui se ne è ignorata la presenza, mentre configura una sorta di litisconsorte necessario in caso di oggettiva conoscenza della contitolarità di un bene e del contrasto tra aventi diritto, a maggior ragione ove espresso, come nel caso di specie, sotto forma di denuncia dell’abuso dell’uno a carico dell’altro. In tali ipotesi, cioè, si ritiene che l’ente debba compiere quel minimo di indagini necessarie per verificare se le contestazioni sono fondate sul piano quanto meno della legittimità formale e denegare il rilascio del titolo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento dell’esclusività, in fatto o in diritto, della sua posizione (in termini, Cons. Stato, sez. II, 21 luglio 2023, n. 7158; sez. IV, 23 dicembre 2019, n. 6394; id., 14 gennaio 2019, n. 310; sez. V, 8 novembre 2011, n. 5894; sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745).

La maggiore ampiezza di soggetti legittimati alla richiesta di una sanatoria, in quanto anche potenziale causa estintiva del reato edilizio, ha come contropartita la valorizzazione del potere di “sbarramento” da parte del comproprietario, diversamente costretto a subire non solo un cambiamento dello stato dei luoghi realizzato (illegittimamente) a sua insaputa, ma pure il suo consolidarsi, a tutela (anche) della incensuratezza di controparte. Considerazione valida anche per l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, non potendosi dare altro rilievo alla diversa terminologia utilizzata dal legislatore ed enfatizzata dall’appellante («proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’area interessati dagli interventi», in luogo di «proprietario o responsabile dell’abuso» utilizzata nell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001).

21.1. Nel caso di specie, tuttavia, la posizione di contrasto degli altri condomini e la necessità di scrutinare alla luce della stessa l’esatta portata dell’art. 49 del regolamento edilizio erano noti al Comune di Cortina d’Ampezzo quanto meno dalla presentazione del ricorso n.r.g. 247/2009 con il quale i signori Niccoletti e Potente avevano chiesto l’annullamento dell’autorizzazione ambientale del 17 aprile 2008 (poi annullata nel 2013) o, in alternativa, l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti della d.i.a. del 28 marzo 2007.

Malgrado ciò, sulla base di altra interpretazione della disciplina urbanistica, a pag. 1 dell’ordinanza del 28 settembre 2011, la responsabile del servizio ha rilasciato la sanatoria affermando di avere «accertata la conformità degli interventi realizzati con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione degli interventi che al momento della presentazione della richiesta di sanatoria». Anche per tale via è chiara da un lato la tardività dell’annullamento d’ufficio, dall’altro la sua parziarietà, non avendo interessato espressamente il titolo edilizio (originario e in sanatoria).

22. D’altro canto, l’annullamento d’ufficio, a maggior ragione tenuto conto della sua complessità contenutistica, avrebbe dovuto essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento. La stessa, infatti, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa civica, non poteva in alcun modo essere surrogata dalla richiesta di integrazione documentale inoltrata alla parte in data 4 ottobre 2011, quando peraltro la sanatoria si era già perfezionata essendo stato monetizzato l’illecito, siccome consentito dalla norma. A ciò consegue l’accoglimento anche del secondo motivo di ricorso.

23. È infine meritevole di positiva valutazione la censura riferita all’ingiunzione a demolire laddove si afferma che, essendo già stato l’abuso sanato e non essendo stata annullato il provvedimento che ha disposto in merito, non vi era ragione di attivare il relativo procedimento sanzionatorio (motivo sub 6).

24. Per tutto quanto esposto l’appello va accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso di primo grado vanno annullati i provvedimenti prot. 26029 e prot. 26042 del 23 dicembre 2013 del Segretario Generale del Comune di Cortina d’Ampezzo.

25. La complessità della vicenda trattata, in fatto e in diritto, e la novità di talune delle questioni affrontate, giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Francesco Guarracino, Consigliere

Ugo De Carlo, Consigliere