Cass. Sez. III n.38492 del 16 settembre 2016 (Ud 19 mag 2016)
Pres. Fiale Est. Aceto Ric. Avanzato
Urbanistica. Violazioni urbanistiche quali reati comuni
I reati previsti dall'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 devono essere qualificati come reati comuni e non come reati a soggettività ristretta, salvo che per i fatti commessi dal direttore dei lavori e per la fattispecie di inottemperanza all'ordine di sospensione dei lavori impartito dall'Autorità amministrativa. Ne consegue che anche il proprietario "estraneo" (ovvero privo delle qualifiche soggettive specificate all'art. 29 del richiamato decreto: committente, titolare del permesso di costruire, direttore dei lavori) può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, purchè risulti un suo contributo soggettivo all'altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40, comma secondo, cod. pen., in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato.
RITENUTO IN FATTO
1.La sig.ra A.C. ricorre per l'annullamento della sentenza del 15/01/2015 della Corte di appello di Palermo che l'ha definitivamente condannata alla pena di tre mesi di arresto e 45.000,00 Euro di ammenda, integralmente confermando l'affermazione della sua penale responsabilità per il reato continuato di cui all'art. 81 cpv. c.p., al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), artt. 64, 65 e 71, artt. 93, 94 e 95, al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, accertato in (OMISSIS), a lei ascritto perchè, quale nuda proprietaria e committente dei lavori, in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza di permesso di costruire e dell'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, senza il progetto esecutivo e la direzione di un tecnico qualificato, senza averne dato preventivo avviso ai competenti uffici del Genio civile e del Comune interessati, aveva realizzato un manufatto in cemento armato, ampio 735,44 metri cubi e composto da seminterrato e due elevazioni fuori terra, circondato da muri perimetrali in pietra calcarea, con cancelli in ferro sostenuti da pilastri anche in cemento armato, ottenuto dalla demolizione e ricostruzione di un precedente fabbricato rurale.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'errata applicazione delle norme incriminatrici, nonchè degli artt. 192, 533 e 535 c.p.p., e il correlato vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova e della violazione del principio del ragionevole dubbio.
Lamenta, nello specifico, che la sua responsabilità è stata affermata in base a prove del tutto insufficienti, travisate e illogiche, non potendosi ritenere tali: a) la presenza di giochi per bambini nell'area di pertinenza del fabbricato, che secondo i Giudici di merito escluderebbe l'uso dell'immobile da parte dell'ottuagenario zio dell'imputata, I.R., usufruttuario dell'area; b) il rinvenimento di una fattura per utenza elettrica intestata all' I. e riferita anche all'indirizzo di residenza della nipote che, sempre secondo i Giudici di merito, dimostrerebbe una commistione di interessi tale da escludere che quest'ultima fosse all'oscuro della realizzazione dei lavori; c) il trasferimento dell' I. presso l'abitazione della nipote per motivi di salute già alla data di stipula dell'atto di compravendita del rustico.
Deduce, al riguardo che:
- non è mai stato provato che la propria figlia avesse a sua volta figli in età tale da utilizzare i giochi in questione; l'argomento utilizzato dalla Corte territoriale per superare l'eccezione difensiva che l'imputata ha figli adulti che mai avrebbero potuto utilizzare quei giochi, è perciò puramente congetturale e non è in ogni caso idoneo a provare la eventuale complicità della madre con la figlia;
- il fatto che il rogito fosse stato stipulato presso l'abitazione dell'imputata non prova che lo zio si fosse colà trasferito, avendo dichiarato la residenza altrove;
- i due testimoni sentiti hanno escluso che l'imputata fosse presente all'epoca di realizzazione dei lavori, e uno di essi aveva notato proprio la presenza dell' I., circostanza che non solo non può essere sminuita con affermazioni apodittiche e indimostrate, ma che sul piano logico indebolisce la portata accusatoria delle altre considerazioni accusatorie;
- il vigile urbano che effettuò l'accesso ha escluso che l'imputata vi abitasse; la sua presenza, in sede di sopralluogo, fu dovuta al fatto che lo zio era allettato.
Conclude, sul punto, stigmatizzando l'opera dei Giudici di merito volta a superare con argomenti logici e di natura probabilistica il deserto di certezze probatorie desumibile dalla realtà dei fatti.
1.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), il malgoverno degli artt. 157 e 161 c.p., artt. 192, 530 e 531 c.p.p., e deduce, al riguardo, che secondo quanto affermano gli stessi Giudici di merito, l'opera era stata realizzata poche settimane dopo la stipula dell'atto ((OMISSIS)) e dunque in tempo utile per la maturazione del corso della prescrizione prima della sentenza impugnata.
1.3. Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'errata applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, e artt. 163 e 165 c.p., e lamenta, al riguardo, l'ingiusta subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo.
1.4. Con il quarto motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), la violazione degli artt. 62 bis, 132 e 133 c.p., e vizio di difetto di motivazione in punto di quantificazione del trattamento sanzionatorio, confermato in appello con motivazione del tutto assente, a fronte delle specifiche deduzioni devolute con l'impugnazione della sentenza di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è fondato.
3. Il primo motivo di ricorso ripropone la questione della prova della responsabilità penale del proprietario dell'area di sedime sulla quale è stato realizzato il manufatto abusivo; si tratta, in particolare, di stabilire se la qualità di proprietario dell'area: a) è sufficiente ad affermarne la penale responsabilità penale per la realizzazione dell'opera; b) in caso negativo, se sia sufficiente a dimostrarne la committenza.
3.1. Al primo quesito è agevole rispondere ricordando che il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, all'art. 29, non attribuisce al titolare del diritto reale sull'area di sedime o sull'immobile abusivamente realizzato alcuna posizione di garanzia; ne consegue che il proprietario (o il titolare di altro diritto reale) non può essere per ciò solo ritenuto responsabile dell'abuso commesso sul proprio immobile, nemmeno facendo ricorso al meccanismo di imputazione causale di cui all'art. 40, cpv. c.p. (Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 257625, che ha affermato che la responsabilità del proprietario non committente non può essere oggettivamente dedotta dal diritto sul bene nè può essere configurata come responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40 c.p., comma 2, ma dev'essere dedotta da indizi ulteriori rispetto all'interesse insito nel diritto di proprietà, idonei a sostenere la sua compartecipazione, anche morale, al reato; nello stesso senso anche Sez. 3, n. 47083 del 22/11/2007, Tartaglia, Rv. 238471; in senso contrario, ma con pronuncia isolata sul punto, Sez. 4, n. 19714 del 03/02/2009, Assante Di Ponzillo, Rv. 243961).
3.2. Il D.P.R. n. 380 del 2001, all'art. 29, individuando la figura del "committente" e del "costruttore dei lavori" (oltre quelle del titolare del permesso di costruire, quando rilasciato, e del direttore dei lavori, quando nominato), predilige situazioni fattuali che ampliano la sfera delle responsabilità a chiunque si sia ingerito, anche solo di fatto, nella realizzazione dei lavori, al di là ed oltre qualifiche o rapporti formali (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 43608 del 15/09/2015, Rosati, Rv. 265159 secondo cui il committente ben può identificarsi in colui che ha la materiale disponibilità del bene oggetto dell'intervento abusivo, anche senza esserne il proprietario o senza avere con lo stesso un rapporto giuridicamente qualificato; nell'affermare il medesimo principio, Sez. 3, n. 537 del 10/12/2014, Toschi, Rv. 261957, ha precisato come committente possa essere anche il titolare di altro diritto reale, come l'usufruttuario o il titolare del diritto di abitazione; per Sez. 3, n. 39400 del 21/03/2013, Spataro, Rv. 257676, la responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che ha la disponibilità dell'immobile ed un concreto interesse all'esecuzione dei lavori).
3.3. Il concetto è stato ben espresso da questa Sezione Terza con sentenza n. 47083 del 22/11/2007, cit., che ha affermato il principio per il quale i reati previsti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44 devono essere qualificati come reati comuni e non come reati a soggettività ristretta, salvo che per i fatti commessi dal direttore dei lavori e per la fattispecie di inottemperanza all'ordine di sospensione dei lavori impartito dall'Autorità amministrativa. Ne consegue che anche il proprietario "estraneo" (ovvero privo delle qualifiche soggettive specificate all'art. 29 del richiamato decreto: committente, titolare del permesso di costruire, direttore dei lavori) può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, purchè risulti un suo contributo soggettivo all'altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40 c.p., comma 2, in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato.
3.4. La questione, dunque, riguarda la prova della responsabilità del proprietario (ovvero del suo concorso nel reato commesso da terze persone sul suo immobile) che non può essere risolta, senza rispolverare forme criptiche di responsabilità oggettiva, in base alla mera titolarità di situazioni giuridiche attive sul bene. La giurisprudenza di questa Suprema Corte è restia a sostenere che la titolarità di un diritto reale sull'immobile abusivamente realizzato possa di per sè dimostrare che il proprietario sia anche il committente dell'opera, quand'anche solo a titolo concorsuale.
3.5. Nè tale prova può essere desunta dal sol fatto che il proprietario o altro diritto reale di godimento sia il destinatario dei provvedimenti amministrativi - sanzionatori - demolitori - ripristinatori, questi sì collegati alla sola qualifica formale del destinatario e non a comportamenti positivamente da egli eventualmente tenuti.
3.6. Il diritto reale sull'immobile costituisce un indizio grave, ma pur sempre un indizio che, a norma dell'art. 192 c.p.p., comma 2, deve essere valutato insieme con altri tenendo conto: a) della disponibilità giuridica dell'immobile, e dunque del dominio finalistico che su di esso può essere esercitato dal proprietario; b) dell'interesse al mutamento di un bene che, restando nella titolarità giuridica del proprietario e non dell'autore della condotta, normalmente corrisponde a quello del primo.
3.7. La gravità dell'indizio può risentire di molteplici variabili; per esempio, alla disponibilità giuridica può non corrispondere il possesso e dunque l'effettiva disponibilità materiale dell'immobile (si pensi ai casi di usucapione che legislativamente presuppongono la dissociazione tra il diritto e l'esercizio effettivo delle facoltà che lo caratterizzano, ivi compreso lo jus aedificandi). Non sempre, inoltre, il principio del "cui prodest" trova univoco fondamento nella possibilità, espressamente riconosciuta al titolare del diritto reale di godimento, di apportare modifiche all'immobile o nel fatto stesso che la legge riservi al proprietario la scelta tra il ritenere l'opera effettuata senza il suo consenso e chiederne l'eliminazione. Si pensi, inoltre, alle infinite possibilità - pur regolate dalla legge - che ha il conduttore o l'affittuario del bene di effettuare modifiche agli immobili di proprietà altrui senza nemmeno il consenso del proprietario. Del resto, nemmeno l'intima adesione del proprietario alla condotta altrui è sufficiente a fondare l'affermazione della responsabilità penale a titolo di concorso nel reato, se essa non si trasforma in un contributo morale effettivo all'altrui illecita condotta.
3.8. La titolarità del diritto reale determina, insomma, una signoria "legale" che non sempre corrisponde, nei fatti, ad un dominio effettivo sul bene che ne è oggetto e non autorizza pertanto suggestive quanto automatiche attribuzioni al titolare del diritto di ogni modificazione del bene stesso, automatismo escluso persino dal legislatore (cfr., sul punto, la disciplina civilistica delle accessioni nei casi, in particolare, previsti dagli artt. 936 e 937 c.c.). E' piuttosto il possesso inteso in senso civilistico, quale potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 c.c.), che da questo punto di vista esprime forse meglio di ogni altra la situazione di dominio effettivo sul bene.
3.9. Vertendosi in tema di responsabilità penale, l'informazione probatoria derivante dalla titolarità del diritto reale sul bene deve essere filtrata alla stregua dei principi dettati in materia dal codice di rito e, prima ancora, dalla presunzione di innocenza prevista dall'art. 27 Cost..
3.10. I criteri di imputazione oggettiva e soggettiva dell'abuso edilizio non vanno dunque ricercati in base ad astratte categorie civilistiche ma nel rigoroso rispetto del principio di personalità della responsabilità penale.
3.11. In sede penale la proprietà (o comunque la titolarità di un diritto reale) sul bene abusivamente realizzato o modificato costituisce, come detto, un'informazione probatoria, un indizio (grave, non sempre univoco) di colpevolezza, non la sua prova.
3.12. Questa Corte, quale giudice non del fatto, ma delle regole e della logica che presiedono alla sua ricostruzione, ha nel tempo fornito, senza pretesa di completezza, una serie di elementi dalla cui valutazione congiunta si può ragionevolmente desumere, oltre ogni ragionevole dubbio, la piena partecipazione (o compartecipazione) del proprietario alla realizzazione dell'immobile abusivo.
3.13. Si è così giustamente affermato, in termini generali, che la responsabilità del proprietario per la realizzazione di costruzione abusiva deve essere ricostruita sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili certamente anche dalla disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dal suo interesse specifico alla realizzazione del manufatto ivi esistente, pure allo stesso appartenente in virtù della disciplina civilistica dell'accessione (Sez. 3, n. 35376 del 24/05/2007, De Filippo, Rv. 237405, che ha anche sostenuto che in tal caso l'affermazione della responsabilità del proprietario può essere affermata in mancanza di ogni altra contraria risultanza probatoria).
3.14. L'individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell'abuso edilizio può essere desunta anche dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dai rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest'ultimo "in loco" e dallo svolgimento di attività di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella, Rv. 261522; Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253065), oppure dalla presentazione di una denunzia di inizio di opere di manutenzione ordinaria e dalla successiva domanda di sanatoria delle opere realizzate (Sez. 3, n. 33487 del 05/07/2006, Laforè, Rv. 235124; sul positivo apprezzamento della presentazione di istanze per la realizzazione di opere edilizie di portata di gran lunga minori di quelle realizzate, unitamente alla presenza "in loco", si veda anche Sez. 3, n. 32856 del 13/07/2005, Farzone, Rv. 232200).
3.15. Quanto all'incidenza del rapporto di coniugio, sulla riaffermata premessa che la responsabilità del comproprietario, qualora non sia committente o esecutore dei lavori, deve essere ricavata da indizi precisi e concordanti, quali l'accertamento della concreta situazione in cui è stata svolta l'edificazione abusiva, i rapporti di parentela con l'esecutore dell'opera, ovvero il committente o il proprietario, questa Corte ha ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito i quali avevano fondato la responsabilità del comproprietario, coniuge del committente, non solo sulla considerazione che la comunione di vita rende solitamente partecipe il coniuge delle deliberazioni che assumono rilevanza familiare e sulla mancanza di qualsiasi opposizione manifestata dal coniuge in merito alle opere abusive, ma su plurimi elementi positivi, quali la comunanza di interessi tra i coniugi in relazione all'attività commerciale che veniva svolta nel manufatto, il concreto interessamento posto in essere dal coniuge comproprietario per la realizzazione dell'opera, evidenziatosi anche per mezzo della sottoscrizione diretta di istanze presso varie autorità amministrative (Sez. 3, n. 24319 del 04/05/2004, Rizzuto, Rv. 229428).
3.16. Si può riassuntivamente affermare, parafrasando il principio già espresso da Sez. 3, n. 216 del 08/10/2004, Fucciolo, Rv. 230660, che ai fini della configurabilità della responsabilità del proprietario del fondo sul quale risulta realizzato un manufatto abusivo può tenersi conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, del suolo e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (in applicazione del principio del "cui prodest"), ma altresì dei rapporti di parentela o di affinità tra esecutore dell'opera abusiva e proprietario, dell'eventuale presenza "in loco" di quest'ultimo, dello svolgimento di attività di materiale vigilanza dell'esecuzione dei lavori, della richiesta di provvedimenti abilitativi successivi, del regime patrimoniale dei coniugi, e complessivamente di tutte quelle situazioni e comportamenti, sia positivi che negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove di una compartecipazione, anche solo morale, all'esecuzione delle opere da parte del proprietario.
3.17. Quel che però deve essere chiaro è che non esiste un catalogo predefinito di indizi dai quali poter univocamente trarre la conclusione della responsabilità del (com)proprietario per gli abusi edilizi commessi nell'area di sedime o sull'immobile di (com)proprietà.
3.18. Al di là di mere indicazioni che, come detto, in ossequio alla funzione di legittimità di questa Corte non possono che risolversi nella verifica della idoneità di concetti (quali il pieno dominio sul bene e l'interesse alla realizzazione dell'abuso) che validamente possono esprimere il dominio finalistico dell'azione, resta il dato di fondo che l'elaborazione giurisprudenziale, non diversamente da tutti gli altri casi, è stata sempre volta a verificare la non manifesta illogicità del ragionamento che dal fatto noto vuole trarre conclusioni ignote ma le direttrici principali di questo ragionamento non devono costituire il mezzo per eludere il principio della responsabilità personale da reato e della sua affermazione oltre ogni ragionevole dubbio.
3.19. E' comunque necessario che l'azione appartenga al proprietario sotto ogni profilo, oggettivo (e dunque causale) e soggettivo, e che in questa delicata opera ricostruttiva il Giudice penale si conformi ai principi di diritto penale sostanziale utilizzando gli arnesi probatori forniti esclusivamente dal codice di rito.
3.20. Nel caso di specie i Giudici di merito hanno fondato il proprio convincimento circa la responsabilità della ricorrente, nuda proprietaria del terreno e del fabbricato rurale concessi in usufrutto alla zio ottuagenario e sul quale sono stati realizzati gli interventi edilizi descritti in premessa, sulla base dei seguenti dati fattuali e considerazioni logiche: a) l'acquisto del terreno e del fabbricato rurale (in data (OMISSIS)) ad un prezzo (Euro 130.000,00) che rende poco credibile che possa essersi disinteressata dell'oggetto del proprio ingente investimento e delle trasformazioni urbanistico-edilizie la cui realizzazione, per le loro dimensioni, aveva impegnato sicuramente qualche mese; b) la conseguente irragionevolezza dell'ipotesi che lo zio possa aver tenuto la nipote all'oscuro della realizzazione di una villa; c) la presenza, all'interno della villa, di giochi per l'infanzia, incompatibili con il regime di vita quotidiana di un inquilino ultraottantenne; d) la domiciliazione, per una delle bollette elettriche intestate allo zio, presso la residenza della nipote, a dimostrazione della forte commistione di interessi tra i due.
3.21. Tale prova logica non è inficiata, secondo i Giudici di merito, dal fatto che nel cantiere era stato visto solo lo zio dell'imputata; ciò sul rilievo della sporadicità delle osservazioni dei due testimoni della difesa che avevano palesato anche notevoli difficoltà di percezione dell'area di proprietà dell'imputata.
3.22. La Corte di appello, sul rilievo difensivo che avendo l'imputata solo figli maggiorenni non può trarsi dalla presenza di giochi per l'infanzia alcun ragionevole, univoco collegamento con la sua persona, non ha comunque escluso la valenza indiziante del dato sul rilievo che tali giochi potrebbero essere utilizzati dai figli che "del tutto verosimilmente" aveva avuto la figlia dell'imputata, sposatasi una seconda volta il 02/08/2007. Tra l'altro, afferma la Corte territoriale, l'immobile era stato arredato per ospitare una coppia con bambini "verosimilmente la figlia e i nipoti dell' A., e non certamente una persona anziana", oltretutto in precarie condizioni di salute, il che, in base al principio del "cui prodest" avalla l'ipotesi che la donna fosse l'unica realmente interessata alla realizzazione di un'opera di cui solo lei avrebbe potuto godere, viste le condizioni di salute dello zio. Ha quindi aggiunto, a ulteriore dimostrazione della comunanza di interessi tra questi e la nipote, che al momento dell'accertamento si presentò sui luoghi proprio quest'ultima perchè lo zio - che aveva trasferito il proprio domicilio presso l'abitazione della stessa già dall'epoca della stipula del rogito - non era in grado di deambulare. I Giudici distrettuali liquidano pertanto la valenza probatoria difensiva della presenza dell' I. nel cantiere sul rilievo della sua occasionalità che non consente di escludere, alla luce delle considerazioni che precedono, la riconducibilità della reale committenza all'imputata.
3.23. Il ragionamento seguito dai Giudici di merito è chiaro ma vuol provare troppo. L'unico dato di fatto certo è che tra la (nuda) proprietaria del bene e l'usufruttuario intercorre un rapporto di parentela rispetto al quale la dedotta comunanza di interessi non aggiunge alcuna informazione aggiuntiva che possa qualificare in modo diverso i normali rapporti che possono intercorre tra uno zio e la propria nipote. Questa "comunanza di interessi" - anche se si traduce in una convivenza o nella domiciliazione presso il parente di bollette relative a utenze casalinghe - collocata, come detto, nell'ambito di un rapporto parentale cui fisiologicamente appartiene, non prova niente più che una mera "scienza" e "tolleranza" (che al più impedisce alla nipote di obbligare lo zio alla rimozione dell'opera; art. 936 c.c., comma 4), ma non di certo il concorso nella realizzazione dell'opera, tanto meno il dominio effettivo sul bene. Al contrario esistono dati precisi, acquisiti al processo e provenienti dalla difesa, che tendono ad escludere tale dominio, non potendosi a tal fine sottovalutare la presenza esclusiva dello zio sul cantiere (che fornisce una plausibile diversa spiegazione della presenza della nipote sul luogo dell'accertamento al posto dello zio nel frattempo impedito). Del principio del "cui prodest", sulla cui labilità s'è già detto, è stato fatto un uso non corretto. La Corte di appello è infatti costretta a puntellarlo con mere ipotesi, con giudizi di verosimiglianza che non solo non trovano alcun riscontro fattuale nemmeno nella motivazione della sentenza, ma si pongono in apparente contraddizione con la sussistenza stessa dell'interesse dell'imputata alla realizzazione di un'opera a lei evidentemente non destinata.
3.24. Quel che insomma appare, stando a quanto emerge dal testo del provvedimento impugnato, è che la dissociazione tra proprietà e signoria effettiva sul bene, che trova nelle forme negoziali di acquisizione e gestione del bene un effettivo riscontro, è reale. La conclusione che la realizzazione dell'opera possa essere ricondotta ad un disegno condiviso tra zio e nipote non può essere esclusa, ma nemmeno confermata da prove che non superano il vaglio della ragionevolezza del dubbio, dovendo essere corroborata da ben altri elementi.
3.25. La situazione di incertezza, che si traduce in un vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione, giustifica l'annullamento della sentenza che però deve essere disposto senza rinvio, essendo nel frattempo maturata al 17/03/2015 la prescrizione quinquennale dei reati.
3.26. Per tale motivo restano assorbiti gli altri motivi di ricorso il cui esame è superfluo e irrilevante.
3.27. All'annullamento consegue la revoca dell'ordine di demolizione.
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.
Revoca l'ordine di demolizione.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2016