Cass. Sez. III n. 7371 del 16 febbraio 2017 (Ud 13 lug 2016)
Presidente: Andreazza Estensore: Aceto Imputato: Marra
Urbanistica.Violazione sigilli e responsabilità del custode
Ai fini della configurazione del reato di violazione di sigilli previsto dall'art. 349, comma secondo, cod. pen. nei confronti di colui che ha in custodia la cosa, la prova della sussistenza del dolo, che differenzia tale ipotesi delittuosa dall'agevolazione colposa sanzionata amministrativamente dall'art. 350 cod. pen., deve essere fornita dalla pubblica accusa e non può essere desunta dalla negligenza e trascuratezza del custode; tuttavia è onere di quest'ultimo addurre gli elementi specifici che gli hanno impedito di attivarsi, qualora risulti accertato che egli, benché direttamente a conoscenza della effrazione dei sigilli, abbia omesso di avvertire dell'accaduto l'autorità.
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. M.L. ricorre per l'annullamento della sentenza del 30/03/2015 della Corte di appello di Napoli che, in riforma di quella del 18/05/2010 del Tribunale di Torre Annunziata, da lui impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in ordine ai reati di cui ai capi A (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e B (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 95) della rubrica, perchè estinti per prescrizione e ha rideterminato la pena nella minor misura di nove mesi di reclusione per i residui reati di cui ai capi C (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis) e D (art. 349 c.p., comma 1), confermando, sul punto, l'affermazione della sua responsabilità.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c), la nullità assoluta ed insanabile della sentenza per omessa rinnovazione dell'avviso ai sensi dell'art. 420-ter c.p.p..
Deduce, al riguardo, che alla prima udienza del 24/11/2014 la Corte di appello, riconosciuto il suo legittimo impedimento a comparire per motivi di salute, ha rinviato il processo ad altra data (26/01/2015) senza notificargli l'ordinanza di rinvio dell'udienza.
1.2. Con il secondo motivo, deducendo di essere nudo proprietario dell'area di sedime dell'opera abusiva, eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in punto di affermazione della propria responsabilità per i residui reati.
1.3. Con il terzo motivo, deducendone l'astratta sussistenza, invoca, ai sensi dell'art. 609 c.p.p., l'applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., istituto introdotto in epoca successiva alla sentenza impugnata.
2. Con memoria del 27/06/2016, eccepisce l'illegalità della pena, in conseguenza della sentenza n. 56 del 2016 della Corte costituzionale che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale illegittimo il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis, e ribadisce gli argomenti già illustrati a sostegno del secondo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
4. Il primo motivo è infondato.
4.1. La Corte di appello, riconosciuta l'assoluta impossibilità a comparire dell'imputato, legittimamente impedito per motivi di salute, ha rinviato l'udienza al 26/01/2015, rendendolo edotto mediante avviso al difensore di fiducia presente che, pur avendo dichiarato, contestualmente alla nomina, di non accettare le notificazioni per il proprio assistito, nulla ha opposto.
4.2. Questa Corte ha già affermato il principio (che deve essere qui ribadito) che la dichiarazione con la quale il difensore di fiducia abbia esercitato la facoltà di ricusare la ricezione delle comunicazioni e delle notifiche destinate al suo assistito deve intendersi implicitamente revocata quando il professionista abbia poi accettato l'atto senza nulla opporre (Sez. 3, n. 37264 del 05/06/2013, Ciaffi, Rv. 257220; nello stesso senso, Sez. 1, n. 44993 del 14/11/2007, Patitucci, Rv. 238587, secondo cui è valida la notifica del decreto di citazione eseguita ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, al difensore che in precedenza aveva dichiarato di non accettare le notificazioni per conto dell'assistito, qualora per "facta concludentia" risulti l'accettazione tacita e sopravvenuta della notifica stessa).
4.3. Nel caso in esame, il difensore di fiducia aveva prodotto il certificato medico, aveva chiesto il rinvio del processo per legittimo impedimento del proprio assistito e, senza nulla eccepire o obiettare, aveva preso atto dell'ordinanza di rinvio formulata nei termini sopra indicati.
4.4. L'eccezione di nullità è pertanto infondata.
5. Il secondo motivo, cui si collega il primo motivo della memoria, risente del pronunciamento del Giudice delle leggi che, con sentenza n. 56 del 11-23/03/2016, successiva alla pronuncia impugnata, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1-bis, nella parte in cui prevede ": a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'art. 142 ed".
5.1. Per effetto di tale pronuncia, la sussistenza del delitto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis, è limitata ai soli casi in cui i lavori abusivamente realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico hanno comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora hanno comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.
5.2. Nel caso in esame appare chiaro, dalla lettura stessa delle sentenze di merito, che l'immobile abusivamente proseguito non aveva la consistenza necessaria a inquadrarlo nella fattispecie delittuosa, consistenza che, peraltro, non è stata nemmeno oggetto di specifica contestazione.
5.3. La rubrica, infatti, imputa al ricorrente di aver effettuato lavori di completamento (realizzazione impianti elettrici ed idrici sottotraccia, rifinitura delle tramezzature interne mediante posa in opera di intonaco, messa in opera degli infissi interni ed esterni) di un immobile abusivamente realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 8 settembre 1961, senza alcuna ulteriore contestazione in ordine alla consistenza dell'immobile stesso, questione - quest'ultima - rimasta del tutto estranea alla regiudicanda e non affrontata nemmeno incidentalmente dai giudici di merito.
5.4. Residua dunque l'ipotesi contravvenzionale di cui al comma primo che, per intrinseca coerenza (avendo ad oggetto lo stesso manufatto), non può che seguire la stessa sorte delle altre contravvenzioni già dichiarate estinte per prescrizione.
5.5. La concorde valutazione dei Giudici di merito circa la colpevolezza dell'imputato (quanto meno a livello di concorso colposo nel reato) osta all'evidenza della prova della sua innocenza.
5.6. Ne consegue che il reato di cui al capo C, riqualificato ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, deve essere dichiarato estinto per prescrizione.
5.7. Le censure relative al reato di cui all'art. 349 c.p., comma 1, sono fondate.
5.8. La Corte di appello sostiene, sul punto, che il M., nudo proprietario dell'immobile concesso in usufrutto alla madre, "era in grado senz'altro di verificare e rendersi conto dell'esistenza del vincolo materialmente apposto dalla PG, peraltro apposto con segno distintivo ben visibile". La sentenza di primo grado non fornisce informazioni maggiori; vi si legge, infatti, che il 26/11/2008, appartenenti al corpo di polizia municipale di Boscotrecase effettuarono un sopralluogo presso il manufatto abusivo, sequestrato il 10/01/2006, accertando che, nonostante il sequestro, i lavori erano proseguiti. Nessuna indicazione viene fornita sull'autore materiale della condotta, nè se l'imputato fosse presente al momento del sopralluogo. Risulta solo che fu nominato custode ma che non firmò mai il relativo verbale sì che si è dubitato persino che egli fosse a conoscenza di tale qualifica (tant'è che la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 349 c.p., cpv., è stata esclusa dal Tribunale). La responsabilità del M. è stata infatti desunta, in primo grado, dal fatto che l'appartamento in questione era situato in un edificio nel quale abitavano l'imputato, la madre ed il fratello. La risposta della Corte, che egli era comunque in grado di verificare e rendersi conto della violazione dei sigilli, si pone in linea con il pronunciamento appellato ma sembra meglio attagliarsi all'ipotesi, penalmente irrilevante, della agevolazione colposa di cui all'art. 350 c.p., piuttosto che a quella dolosa di cui all'art. 349 c.p..
5.9. Secondo il costante orientamento di questa Suprema Corte, infatti, "il reato di violazione di sigilli punito dall'art. 349 c.p. si distingue dalla ipotesi di agevolazione colposa di cui all'art. 350 per l'elemento psicologico, poichè quest'ultima norma comprende tutte le ipotesi di trascuratezza e negligenza imputabili al custode, mentre l'ipotesi di cui all'art. 349 c.p. si caratterizza per la condotta del custode dolosamente diretta a porre in essere la violazione" (Sez. 6, n. 6246 del 01/03/1984, Amodio, Rv. 165146; Sez. 3, n. 1945, del 24/11/1993, Cavagnoli, Rv. 197265; Sez. 3, n. 22784 del 05/03/2004, Castiello, Rv. 228611; Sez. 3, n. 50984 del 10/10/2013, Saladino, Rv. 257920; Sez. 3, n. 16900 del 19/03/2015, Rv. 263406).
5.10. Occorre dar conto del fatto che alcune pronunce di questa Suprema Corte possono dar adito a conclusioni diverse, più in linea con la "ratio decidendi" della sentenza impugnata. Ed, infatti, secondo la risalente Sez. 6, n. 4815 del 26/02/1993, Pistillo, Rv. 194548, "il custode è obbligato ad esercitare sulla cosa sottoposta a sequestro, e sulla integrità dei relativi sigilli, una custodia continua ed attenta. Egli non può sottrarsi a tale obbligo se non adducendo oggettive ragioni di impedimento e, quindi, chiedendo ed ottenendo di essere sostituito, ovvero, qualora non abbia avuto il tempo e la possibilità di farlo, fornendo la prova del caso fortuito o della forza maggiore che gli abbiano impedito di esercitare la dovuta vigilanza. Ne consegue che, qualora venga riscontrata la violazione di sigilli, senza che il custode abbia provveduto ad avvertire dell'accaduto l'autorità, è lecito ritenere che detta violazione sia opera dello stesso custode, da solo o in concorso con altri, tranne che lo stesso non dimostri di non essere stato in grado di avere conoscenza del fatto per caso fortuito o per forza maggiore. Ciò non configura alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva, estranea alla fattispecie, ma un onere della prova che incombe sul custode". Il principio è stato più recentemente riaffermato da Sez. 3, n. 2989 del 28/01/2000, Capogna, Rv. 215767, secondo cui "in tema di violazione di sigilli il custode è obbligato ad esercitare sulla cosa sottoposta a sequestro una custodia continua ed attenta, e non può sottrarsi a tale obbligo se non adducendo oggettive ragioni di impedimento e chiedendo ed ottenendo, per esse, di essere esonerato dall'incarico e sostituito nella funzione di custodia o, qualora non abbia avuto la possibilità ed il tempo di chiedere il detto esonero, fornendo la prova del caso fortuito o della forza maggiore come cause impeditive dell'esercizio, da parte sua, del menzionato dovere di vigilanza" (nello stesso senso, Sez. 3, n. 29040 del 20/02/2013, Conti, Rv. 256670, che ha precisato che il custode giudiziario - per la sua qualità di soggetto destinatario di uno specifico obbligo di vigilanza sulla cosa affinchè ne venga assicurata o conservata l'integrità - risponde della violazione di sigilli a meno che non dimostri che si verte in ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore.
5.11. Sennonchè la concreta portata applicativa di tali principi va precisata alla luce della natura necessariamente dolosa del reato di cui all'art. 349 c.p., la prova della cui sussistenza, sotto il profilo soggettivo, non può essere elusa mediante il ricorso a formule che, a fronte di un addebito formalmente doloso, dissimulino un rimprovero per un atteggiamento sostanzialmente colposo.
5.12. Trattandosi di reato doloso, la sussistenza dell'elemento psicologico non può essere ritenuta "in re ipsa", nè mediante scorciatoie probatorie che si risolvono in una sostanziale, quanto inammissibile inversione dell'onere della prova a carico del custode. Il dolo deve essere oggetto di specifico accertamento, e della relativa prova deve farsi carico la pubblica accusa, non potendo certo esserne onerato l'imputato; la prova dell'elemento psicologico del reato può certamente esser tratta da ogni elemento utile allo scopo, purchè da un lato il convincimento del giudice sia supportato da motivazione logica, coerente e fondata su fatti concreti, dall'altro all'imputato non venga surrettiziamente attribuito il compito di colmare l'eventuale vuoto probatorio che dovesse essere causato da indagini carenti sullo specifico punto.
5.13. Del resto, nei casi in cui il principio sopra indicato è stato applicato, sussisteva già, a carico del custode, la prova che egli fosse direttamente a conoscenza della violazione dei sigilli consumata da altri o che comunque si trovasse in una condizione tale da rendere ragionevolmente ed altamente probabile che ne fosse a conoscenza o, ancora, che fosse l'autore diretto della violazione (Sez. 6, 4815/1993, cit., in cui il custode aveva omesso di avvertire l'autorità giudiziaria del fatto che erano stati violati i sigilli; Sez. 3, n. 29040 del 20/02/2013, Santini, Rv. 256670; Sez. 3, n. 2989 del 28/01/2000, cit., in cui il custode era anche proprietario dell'immobile oggetto di abusiva trasformazione edilizia); in altre sentenze il principio è stato ribadito perchè il custode aveva addirittura concorso nel reato edilizio posto in essere insieme con i propri congiunti sull'immobile oggetto di sequestro (Sez. 3, n. 35956 del 22/09/2010, Fratarcangeli, Rv. 248553).
5.14. In questi casi è corretta l'affermazione secondo la quale è onere del custode addurre gli specifici elementi che gli hanno impedito di attivarsi.
5.15. Occorre, infatti, pur sempre considerare che la fattispecie aggravata del reato in questione (art. 349 cpv. c.p.) individua il custode quale autore materiale e diretto della violazione dei sigilli apposti sulla cosa affidata alla sua custodia; nel caso in cui tale condotta dovesse esser posta da altri, egli risponderà: a) dell'illecito amministrativo di cui all'art. 350 c.p., ove la violazione dei sigilli dovesse esser stata agevolata, o comunque resa anche solo possibile, dall'esercizio negligente (o dal mancato esercizio) dei doveri a lui facenti capo; b) del reato di cui all'art. 349 cpv. c.p., ove sia provato il concorso doloso nella condotta dell'autore principale della violazione o comunque la dolosa violazione dell'obbligo di impedirla (art. 40 cpv. c.p.).
5.16. E' vero che sul custode incombono doveri di vigilanza e custodia, ma, osserva il Collegio, il mancato adempimento di tali doveri può fondare, al tempo stesso, un addebito di natura dolosa o colposa: quel che conta, tenuto conto della giurisprudenza citata in precedenza, è l'atteggiamento psicologico rispetto all'evento, non il solo dato della violazione dei doveri; la violazione dei doveri è elemento utile a ritenere il concorso causale nell'evento (art. 40 cpv. c.p.), ma neutro rispetto all'indagine sul dolo.
5.17. Sennonchè il caso di specie si caratterizza proprio per l'esclusione della circostanza aggravante di cui all'art. 349 cpv. c.p., a carico dell'imputato il quale, affermava già il Tribunale, non è certo fosse a conoscenza della propria nomina di custode dell'immobile. Il che già comporta una certa frattura logica con le premesse del ragionamento della Corte di appello, che invece sembra presumere l'esatto contrario. Ne consegue che, oltre le considerazioni sopra svolte circa la natura dolosa del reato, la conoscenza dell'esistenza di un vincolo sul bene non è elemento sufficiente a fondare una responsabilità commissiva per omissione per il delitto di cui all'art. 349 c.p., comma 1, da parte del custode che, senza colpa, ignori la sua qualità.
5.18. A ciò si aggiunga che non è nemmeno chiaro se l'imputato sia stato autore materiale dei lavori abusivi; manca l'evidenza della prova della sua estraneità, ma non può nemmeno essere affermato il contrario.
5.19. Ne consegue che in relazione a detto reato il ricorso deve essere accolto con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo esame sul punto.
5.20. L'annullamento rende superfluo l'esame dell'ultimo motivo di ricorso, potendo il ricorrente far valere in sede di rinvio le ragioni che non ha potuto far valere dinanzi al giudice rescisso, posto che l'istituto qui invocato è stato introdotto in epoca successiva alla sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo C) dell'imputazione, riqualificato D.Lgs. n. 42 del 2004, sub art. 181, comma 1, per essere estinto per prescrizione e con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli relativamente al residuo reato.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2016.