Cass. Sez. III n. 45294 del 25 novembre 2009 (Ud. 21 ott 2009)
Pres. Petti Est. Franco Ric. Acampora
Urbanistica. Pavimentazione area con tappeto bituminoso
Integra il reato previsto dall’art. 44, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la pavimentazione di una vasta area con tappeto bituminoso in assenza di permesso di costruire, in quanto tale attività edilizia rientra tra gli interventi di urbanizzazione secondaria ovvero infrastrutturali considerati come di “nuova costruzione” dall’art. 3, comma primo, lettere e.2) ed e.3), del d.P.R. citato
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A.V. e G.G. vennero rinviati a giudizio per rispondere di diversi reati edilizi ed ambientali. Il giudice del tribunale di Napoli, sezione distaccata di Sorrento, con sentenza 22.12.2006 li dichiarò colpevoli del solo reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. c), (capo A) e limitatamente alla cementificazione senza permesso di costruire di parte del piazzale per mq. 2600 adibito a parcheggio (poi oggetto di demolizione).
La corte d'appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, confermò la sentenza di primo grado.
Gli imputati propongono ricorso per cassazione deducendo:
1) mancanza e manifesta illogicità della motivazione e violazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Osservano che l'area in questione era adibita da decenni a parcheggio per attività balneari, sicchè non vi era stata alcuna trasformazione edilizia del territorio nè la realizzazione di una nuova costruzione. Le opere contestate quindi rientravano nella nozione di manutenzione e non necessitavano del permesso di costruire. Vi era stato infatti solo il rifacimento del manto del parcheggio, mentre era irrilevante che l'intervento fosse avvenuto in area vincolata. La motivazione della sentenza impugnata è quindi inconferente e manifestamente illogica perchè si riferisce ad opere realizzate ex novo e non al solo rifacimento del manto di un parcheggio già esistente. Non viene spiegato perchè le opere non rientrerebbe nella nozione di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. a), e si fa solo un rinvio alla sentenza di primo grado, la quale però a sua volta non aveva affrontato la questione avanzata dalla difesa. Del resto, anche se fosse stato fatto il dovuto accertamento e fosse stato provato che non si verteva in tema di manutenzione straordinaria o di risanamento conservativo, si sarebbe dovuto procedere ad una modifica della imputazione in quanto il fatto accertato sarebbe stato diverso da quello contestato.
2) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in riferimento al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 29 e 44. Osservano che nella specie l'immobile era di proprietà di una società e che non era stato accertato a quale persona-organo della società era riconducibile l'intervento. Del resto nemmeno era stato provato con quali modalità era amministrata la società così come non era provato che gli imputati fossero stati i committenti. Sul punto della loro qua-lifica di committenti la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente illogica e carente.
3) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione ai criteri di calcolo della pena inflitta. Sul punto infatti la motivazione del giudice di primo grado è contraddittoria mentre quella di appello, in riferimento ai motivi di gravame è solo apparente. Immotivatamente poi è stata disposta la sospensione condizionale della sola pena detentiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è infondato. La corte d'appello, invero, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha escluso che i lavori eseguiti potessero rientrare nel novero della ordinaria manutenzione, in quanto la condotta posta in essere non era neppure astrattamente sussumibile nelle ipotesi di riparazione, di rinnovamento, di sostituzione delle finiture degli edifici oppure in quelle di integrazione o manutenzione in efficienza degli impianti tecnologici esistenti. Secondo la corte d'appello, quindi, si trattava di una nuova costruzione idonea alla trasformazione permanente dell'assetto urbanistico ed edilizio territoriale. Tale conclusione appare giuridicamente corretta. E difatti gli imputati hanno realizzato ex novo una piattaforma in cemento sul piazzale di circa 2600 mq.. Ora, la giurisprudenza di questa Corte, ha già affermato il principio, che qui si ribadisce, secondo cui "integra il reato previsto dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. b), la pavimentazione di una vasta area con tappeto bituminoso in assenza di permesso di costruire, in quanto tale attività edilizia rientra tra gli interventi di urbanizzazione secondaria ovvero infrastrutturali considerati come di nuova costruzione dall'art. 3, comma 1, lett. e.2) ed e.3), D.P.R. citato" (Sez. 3^, 24.10.2008, n. 42896, Carotenuto, m. 241545). Appare poi irrilevante la circostanza, evidenziata dalla difesa, che il terreno era già in precedenza adibito a parcheggio. Tale circostanza, invero, non trasforma l'esteso intervento di nuova costruzione di una ampia piattaforma in cemento in un semplice intervento manutentivo e non può escludere che si tratti pur sempre della realizzazione di una nuova costruzione mediante un intervento di urbanizzazione secondaria ovvero di infrastruttura, considerate anche le notevoli dimensioni della pavimentazione abusivamente posta in essere. Del resto la possibilità di configurare l'intervento come di manutenzione straordinaria o di risanamento conservativo è esclusa anche dal rilievo che non vi era niente da manutenere o da risanare, posto che la ampia piattaforma di cemento non esisteva in precedenza ma è stata appunto realizzata ex novo. Correttamente pertanto la sentenza impugnata ha affermato che l'intervento edilizio realizzato doveva essere assentito mediante permesso di costruire (oltre che munito della autorizzazione della autorità amministrazione preposta alla tutela del vincolo esistente).
Il secondo motivo è infondato. Infatti, se è vero che la corte d'appello ha errato nel fare riferimento ad una pretesa acquiescenza all'accusa e ad un "silente comportamento processuale", è anche vero che il giudice di primo grado ha accertato che gli imputati erano amministratori e legali rappresentanti della s.r.l. Cala di Puolo, proprietaria del terreno in questione, e che la loro qualità di committenti si desumeva non solo dalla qualifica rivestita, ma anche dal fatto che i medesimi erano presenti sia in occasione dei sopralluoghi (fra cui quello del 12.9.2005, quando l'area fu sequestrata ed il G. fu nominato custode) sia in occasione del dissequestro temporaneo chiesto al fine del ripristino dei luoghi, il che dimostrava il loro concreto e diretto interesse alla realizzazione dei lavori abusivi. Si tratta di un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede. D'altra parte gli imputati non hanno contestato di essere legali rappresentanti della società, mentre l'assunto, secondo cui nelle società a responsabilità limitata l'amministrazione può essere affidata anche a terzi, è rimasto generico non essendo stato dedotto, e tanto meno provato, che la società in questione avesse una diversa e particolare struttura organizzativa.
Il terzo motivo è in parte infondato perchè i giudici del merito hanno fornito congrua ed adeguata motivazione sull'esercizio del proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, richiamando espressamente l'entità dell'abuso realizzato.
D'altra parte, il motivo di appello relativo alla entità della pena inflitta era del tutto generico, e quindi la corte d'appello non era tenuta a motivare in proposito. Per quanto concerne la limitazione della sospensione condizionale alla sola pena detentiva (che il giudice di primo grado aveva deliberato per la ragione che la pena ragguagliata superava il limite dei due anni), la relativa eccezione è inammissibile perchè non era stata dedotta con i motivi di appello e non può quindi essere proposta per la prima volta in questa sede di legittimità.
Il reato è stato contestato come permanente fino al (OMISSIS), che quindi costituisce la data di consumazione. Il sequestro è stato disposto il 27 agosto 2005, mentre non emergono elementi da cui risulti che i lavori abusivi fossero stati ultimati in una data anteriore. D'altra parte, la consumazione del reato alla data del (OMISSIS) costituisce un accertamento di fatto che non è stato contestato con l'atto di appello e che non può quindi essere messo in discussione per la prima volta in questa sede di legittimità. La prescrizione quindi maturerà il 26 ottobre 2009.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 21 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2009