Cass. Sez. III n. 22038 del 20 maggio 2019 (PU 11 apr 2019)
Pres. Ramacci Est. Mengoni Ric. Tosi
Urbanistica.Lottizzazione mediante frazionamento di un complesso immobiliare
In materia edilizia, configura comunque il reato di lottizzazione abusiva la modifica di destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione attraverso il frazionamento di un complesso immobiliare, di modo che le singole unità perdano la originaria destinazione d'uso alberghiera per assumere quella residenziale, atteso che tale modificazione si pone in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 14/11/2018, il Tribunale del riesame di Forlì rigettava il ricorso proposto da Vittorio Tosi e, per l’effetto, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso il 18/10/2018 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale con riguardo alla contravvenzione di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
2. Propone ricorso per cassazione il Tosi, quale legale rappresentante p.t. della Casalogic Mare s.r.l., proprietaria dell’immobile in sequestro, deducendo i seguenti motivi:
- violazione ed errata applicazione dell’art. 44 contestato; manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale del riesame, che peraltro avrebbe riconosciuto la legittimità dei titoli edilizi abitativi in possesso della “Casalogic”, avrebbe fondato il proprio giudizio su un presupposto errato, quale la natura propriamente alberghiera del complesso immobiliare in oggetto; per contro, sin dal 2002 lo stesso avrebbe assunto la natura di Residenza Turistico Alberghiera (RTA), previa demolizione di una vecchia e fatiscente struttura, e, dal 2013, di Casa Appartamenti per le Vacanze (CAV), che l’art. 55, l.r. n. 15 del 2013 – in uno con l’art. 80, NTA del Piano regolatore generale del Comune di Cesenatico – consentiva di realizzare, con unità immobiliari vendibili singolarmente. Nessun mutamento di destinazione d’uso, pertanto, vi sarebbe stato, atteso che la normativa consentirebbe il frazionamento delle strutture turistico ricettive espressamente finalizzato alla compravendita di ridotte unità immobiliari adibite ad attività produttiva; quel che sarebbe avvenuto, peraltro, con il pieno assenso dell’amministrazione comunale e senza aggravio del carico urbanistico, come confermato dal versamento di oltre 34.000,00 euro a titolo di oneri di monetizzazione di parcheggio pubblico, equiparati a quelli di urbanizzazione;
- violazione dell’art. 11, l.r. n. 16 del 2004, artt. 2082 e 2555 cod. civ. Contrariamente all’interpretazione offertane dal Tribunale, l’art. 11, l.r. n. 16 del 2004 consentirebbe la gestione – anche di un solo appartamento – in forma imprenditoriale, ossia anche ad opera di un imprenditore individuale; ne consegue che il reato in rubrica non potrebbe esser ascritto al Tosi, il quale avrebbe venduto la proprietà (per l’appunto) anche a singoli, peraltro imponendo la gestione come CAV, senza tuttavia poter esser chiamato a rispondere delle diverse intenzioni eventualmente maturate nel foro interno degli acquirenti stessi. Quanto precede, peraltro, risulterebbe confermato dal tenore degli atti di compravendita, che attesterebbero la natura dell’immobile (casa vacanza), con obbligo per gli acquirenti di attuare una gestione di tipo “alberghiero”, ossia imprenditoriale, per le rispettive parti di proprietà esclusiva. In sintesi, dunque, si tratterebbe di un bene CAV, venduto come tale e ad uso vincolato CAV, secondo lo strumento urbanistico vigente, sì da rispettare la destinazione d’uso assentita. E con la precisazione conclusiva per cui, contrariamente a quanto si legge nell’ordinanza, nella struttura non vi sarebbero soggetti residenti.
Si chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell'art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
4. Tanto premesso in termini generali, ritiene il Collegio che il ricorso in esame sia inammissibile, atteso che – lungi dal muovere censure nei ristretti termini appena richiamati – 1) denuncia un travisamento del fatto (la dedotta natura della struttura, che si assume non essere un albergo dal 2002, perché trasformata prima in RTA e poi in CAV); 2) lamenta una manifesta illogicità della motivazione (così già espressamente rubricata nel primo motivo) in relazione agli artt. 55, l.r. n. 15/2013 e 80, NTA del PRG del Comune di Cesenatico; 3) offre un’interpretazione della normativa interessata (il citato art. 11, l.r. n. 16/2004 e la nozione di impresa) differente da quella sviluppata dal Tribunale (peraltro, come si dirà, con argomento del tutto congruo); 4) richiama il contenuto di atti (amministrativi e notarili), neppure allegati alla stessa impugnazione, invocandone all’evidenza una diversa e più favorevole lettura di merito.
5. In sintesi, un insieme di doglianze precluse nella fase di legittimità, con le quali si sollecita al Collegio una integrale rivalutazione del materiale istruttorio, compresi – si ribadisce – plurimi profili di fatto, peraltro meramente asseriti, in palese dissonanza con la lettera e la ratio del citato art. 325 cod. proc. pen.
6. A ciò peraltro deve aggiungersi – in termini contrari al contenuto del ricorso – l’ampia ed esaustiva motivazione stesa dal Tribunale del riesame, il quale, con lettura congrua e non manifestamente illogica delle emergenze investigative, ha individuato il fumus del reato di lottizzazione abusiva ed il periculum legato alla libera disponibilità degli immobili (profilo, peraltro, estraneo alla presente impugnazione). In particolare, l’ordinanza ha sottolineato che la società proprietaria della struttura aveva realizzato, in luogo di un precedente albergo, 23 unità immobiliari singole, “divenute di proprietà esclusiva degli acquirenti”, alcune delle quali con autonomi allacciamenti domestici all’energia elettrica e due di queste divenute luogo di residenza anagrafica dei rispettivi proprietari. Di seguito, il Collegio ha sottolineato che emergeva quindi evidente il fumus di quanto contestato, ossia “aver realizzato una lottizzazione abusiva di tipo giuridico, ovvero avere frazionato formalmente l’immobile per ricavarne una parcellizzazione consentita dalla legge per finalità turistico ricettive, tale da dare impulso alla locale economia, ma sostanzialmente avendo voluto sin dall’inizio delle opere realizzare, come poi è stato, delle unità immobiliari autonome e distinte, da vendere a soggetti privati, cambiando di fatto la destinazione d’uso dell’area da turistico ricettiva e residenziale.”
7. Ancora, e giungendo al fulcro del provvedimento, l’ordinanza ha richiamato l’art. 11, l.r. n. 16 del 2004, in tema di case e appartamenti per vacanze, evidenziando che la norma prevede che gli stessi immobili: a) possono esser gestiti soltanto in forma imprenditoriale, per essere locati ai turisti; b) possono esser venduti ad un soggetto privato che ne acquisti almeno tre, sempre per esser locati ai turisti; c) possono esser gestiti anche in numero a questo inferiore, ma – in tal caso – “da imprese, comprese le agenzie immobiliari che operano nel campo del turismo”, e sempre con la medesima finalità locatizia.
8. Ipotesi, queste appena richiamate, che il Tribunale ha ritenuto non sussistenti nel caso di specie, con argomento immeritevole di censura. In particolare, l’ordinanza ha evidenziato che dall’esame degli atti notarili (il cui professionista è del pari indagato nel procedimento, insieme al ricorrente ed agli acquirenti), nonché da quelli di polizia giudiziaria, emerge che le strutture abitative – “tutte accatastate autonomamente, dotate di allacci alle utenze individuali, prive di ogni servizio comune, soggette a divisione millesimale e a regolamento condominiale allegato ad ogni singolo atto di compravendita” – non sono rispondenti a quanto stabilito dalla normativa regionale, risultando sì assentite, ma “fatto salvo il rispetto della destinazione d’uso della zona, classificata come turistica e non residenziale.” Sì da concludere, dunque, che “aggirare la norma di cui all’art. 11, l.r. 16/2004, vendendo singoli appartamenti a soggetti privati, cui a questo punto nessuno potrebbe vietare di stabilirsi in via permanente, in spregio allo spirito della legge e della volontà della P.A. al momento della pianificazione del territorio, appare evidente sintomo dell’intento lottizzatorio abusivo, alla luce della definizione dell’art. 30, d.P.R. n. 380 del 2001.” Quanto precede, ancora, con piena coscienza e volontà – emersa in capo al ricorrente, allo stato degli atti – di realizzare un complesso immobiliare ad uso residenziale.
E senza poter apprezzare, in termini diversi, gli elementi in fatto richiamati nel ricorso (dal contenuto degli atti notarili al pagamento di taluni oneri), perché ancora propri della fase di merito e non ammessi innanzi alla Corte di legittimità; al pari, peraltro, della difforme interpretazione della normativa per come proposta dal ricorrente, il quale, per un verso, ha richiamato la nozione (anche) di imprenditore individuale, ma, per altro verso, non ha considerato quella finalità locatizia, più volte citata, che costituisce il fulcro attorno al quale la stessa disciplina ha inteso garantire la destinazione d’uso del bene, ovviamente nel doveroso rispetto degli strumenti urbanistici vigenti.
9. Proprio a tale riguardo, da ultimo, rileva la Corte che l’ordinanza in esame, pronunciandosi su una tesi reiterata anche in questa sede (ossia, la possibile vendita degli appartamenti a soggetti privati), ha richiamato il condiviso indirizzo di legittimità in forza del quale, in materia edilizia, configura comunque il reato di lottizzazione abusiva la modifica di destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione attraverso il frazionamento di un complesso immobiliare, di modo che le singole unità perdano la originaria destinazione d'uso alberghiera per assumere quella residenziale, atteso che tale modificazione si pone in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione (tra le altre, Sez. 3, n. 38799 del 16/9/2015, De Paola, Rv. 264717; Sez. 3, n. 13687 del 28/2/2007, Signori, Rv. 236340). Quel che rileva, dunque, non è il regime proprietario della struttura, ma la configurazione della stessa (anche se appartenente a più proprietari) come albergo o struttura assimilata per finalità turistico-ricettiva (come nel caso di specie), ed una configurazione siffatta deve essere caratterizzata dalla "concessione in locazione delle unità immobiliari ad una generalità indistinta ed indifferenziata di soggetti e per periodi di tempo predeterminati". Difettando la quale, non si ha più destinazione/utilizzazione (per l’appunto) turistico-ricettiva, bensì residenziale (per un diffuso richiamo giurisprudenziale, tra le altre, Sez. 3, n. 4248 del 15/1/2019, Diana+altri, non massimata).
10. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, l’11 aprile 2019