Cass. Sez. III n. 8225 del 2 marzo 2021 (UP 18 dic 2021)
Pres. Andreazza Est. Reynaud Ric. Pettina  
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e responsabilità dirigente ufficio tecnico comunale

Il dirigente dell’ufficio tecnico comunale che, con condotta commissiva sorretta da colpa cosciente, illegittimamente rilasci un titolo edilizio in forza del quale avvenga – o prosegua - una trasformazione del suolo integrante il reato colposo di lottizzazione abusiva materiale concorre nella medesima contravvenzione, avendo apportato un contributo causale rilevante, cosciente e consapevole, nella realizzazione dell’illecito urbanistico. Ricorrono, difatti, tutti gli elementi richiesti anche in dottrina per poter ravvisare una responsabilità concorsuale commissiva in un reato colposo, vale a dire: una condotta agevolatrice rispetto alla commissione del fatto tipico; la violazione di una regola cautelare da parte dell’agente; la consapevolezza che la propria azione si lega all’attività di trasformazione del territorio posta in essere da altri soggetti (quantomeno) poco attenti all’osservanza delle stesse regole cautelari che gravano sull’agente.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 marzo 2019, la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della sentenza di primo grado, per quanto qui interessa in relazione alla posizione degli odierni ricorrenti: ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Giuseppe Pettina e Silvana Nastasi in relazione ai reati, ritenuti in primo grado, di lottizzazione abusiva in concorso formale loro ascritti ai capi A), B), C), D), perché estinti per prescrizione, confermando le relative statuizioni civili; ha conseguentemente rideterminato la pena nei confronti dei predetti per il delitto di deposito incontrollato di rifiuti in zona ove vige lo stato di emergenza, di cui all’art. 6, lett. b), d.l. 6  novembre 2008, n. 172, conv., con modiff., in l. 30 dicembre 2008, n. 210;  ha respinto gli appelli proposti da Francesco Rando e dal responsabile civile Comune di Messina, confermando la condanna alle pene di legge del primo, rinunciante alla prescrizione, per le contravvenzioni urbanistiche di cui sopra, pure a lui contestate in concorso quale dirigente del Comune di Messina, e le statuizioni civili nei confronti del medesimo e del responsabile civile; ha confermato la confisca, disposta ai sensi dell’art. 44, comma 2, T.U.E., di quanto in sequestro, vale a dire dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite.

2. Avverso detta sentenza, per il tramite dei difensori fiduciari, sono stati proposti i ricorsi per cassazione di seguito indicati.

3. Con i primi cinque motivi del ricorso proposto nell’interesse di Giuseppe Pettina, rispettivamente relativi al  capo A), i primi due, e, gli altri tre, a ciascuna delle ulteriori contestazioni a lui mosse ai capi B), C) e D) quale legale rappresentante della Pett s.r.l. – società proprietaria dei terreni e committente delle opere - ci si duole del fatto che sia stata emessa sentenza di prescrizione dei reati, piuttosto che di assoluzione per insussistenza degli stessi. Al proposito si lamentano violazione degli artt. 40, cpv., 110 e 157 ss. cod. pen., 44, comma 1, lett. c, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (d’ora in avanti, T.U.E.), 125 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione - priva di risposte alle doglianze proposte con il gravame e comunque illogica - con particolare riguardo:
- quanto alla contestazione di cui al capo A.1) di imputazione, alla dedotta non necessità di nulla-osta idrogeologico in quanto il Programma Costruttivo non era stato approvato in variante urbanistica rispetto al Piano Regolatore;
- quanto alla contestazione di cui al capo A.2), all’assenza di vincolo paesaggistico al momento del rilascio delle concessioni edilizie, poiché il Decreto Assessoriale n. 46 del 21 febbraio 2015, che aveva istituito le nuove ZPS, ne differiva l’efficacia al momento della ratifica ministeriale, avvenuta in data 5 luglio 2007, e comunque perché, a seguito di richiesta del Comune del 5 giugno 2007, le società proprietarie dell’area avevano prodotto la valutazione d’incidenza ambientale;
- quanto alla contestazione di cui al capo B), alla non necessità di alcuna variante del Programma Costruttivo, essendo stati osservati tutti i parametri del medesimo;
- quanto alla contestazione di cui al capo C), al fatto che gli artt. 45 e 49 Reg. Ed. rendevano legittimo il cronoprogramma ed il successivo rilascio delle concessioni edilizie, essendo a tale momento state realizzate le opere di urbanizzazione primaria nella misura dell’82,65%;
- quanto alla contestazione di cui al capo D), al fatto che la sentenza fa illogico riferimento ad una presunta irrealizzabilità delle opere di urbanizzazione piuttosto che, come contestato in imputazione, alla mancata realizzazione delle stesse.
3.1. Con riferimento alla conferma della condanna per il delitto di cui al capo F), con il sesto motivo si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione per la mancata risposta alla doglianza secondo cui si era trattato di un temporaneo accumulo di materiali per l’immediato riutilizzo nel cantiere, che non comportava necessità di alcuna autorizzazione da contenersi nel permesso di costruire e la cui trasgressione prevedeva comunque soltanto sanzioni amministrative.
Sempre con riguardo a tale reato, con il successivo settimo motivo si lamentano violazione della legge penale e l’esercizio da parte del giudice di una potestà riservata a organi amministrativi perché nell’annotazione di polizia giudiziaria del 22 luglio 2010 si muovevano esclusivamente contestazioni di carattere amministrativo.
3.2. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamentano violazione dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla C.E.D.U., degli artt. 40, cpv., 110 e 157 ss. cod. pen., 30, comma 7, e 44, primo comma, lett. c, T.U.E., 125 cod. proc. pen., nonché vizio di mancanza di motivazione in relazione alla conferma, in una sentenza dichiarativa della prescrizione del reato, del provvedimento di confisca dei 240 appartamenti e dei terreni in sequestro, soprattutto con riguardo al requisito della proporzionalità della misura.

4. Con il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di Silvana Nastasi, si lamentano violazione dell’art. 6, lett. b), d.l. 172/2008, in relazione all’art. 186, comma 5, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e vizio di motivazione perché, pur trattandosi di reato che richiede il dolo specifico, essendo stata l’imputata amministratrice della SE.GI. Srl – altra società proprietaria dei terreni e committente delle opere - dal 10 aprile 2008 al 17 dicembre 2010, ella non era a conoscenza del deposito di terre e rocce da scavo derivanti dai lavori svolti con riguardo alle opere di urbanizzazione del primo lotto, in precedenza compiuti. Quanto ai lavori del secondo lotto, la ricorrente rileva, come anche riconosciuto dal giudice di primo grado, che ella aveva dato comunicazione agli organi competenti del riutilizzo delle terre e rocce da scavo, secondo le disposizioni vigenti.
In secondo luogo si lamenta che, per l’art. 186 d.lgs. 152 del 2006, le terre e rocce da scavo non costituiscono rifiuti, ma sottoprodotti.
Si aggiunge che, anche con riguardo ai reati di cui ai capi A), B), C), D) della rubrica, pur dichiarati prescritti, la ricorrente non poteva essere ritenuta responsabile in ordine alle concessioni edilizie richieste e rilasciate nel periodo in cui ella non era legale rappresentante della società.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale, in particolare dell’art. 157 cod. pen., e vizio di motivazione per non essere stata dichiarata la prescrizione anche del delitto, dovendo nei suoi riguardi il dies a quo del relativo termine decorrere dalla cessazione della carica da parte sua, sì che lo stesso sarebbe decorso già al momento della pronuncia della sentenza impugnata, pur considerando i periodi di interruzione.
4.2. Con il terzo motivo si lamenta violazione degli artt. 539 e 541 cod. proc. pen. e vizio di motivazione con riguardo alla conferma delle statuizioni in favore delle parti civili costituite benché, in forza di quanto argomentato nei precedenti motivi, non fosse stata raggiunta la prova della commissione da parte sua dei fatti contestati, né dell’effettivo patimento di danni, lamentati ma non provati.
4.3. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamentano violazione degli artt. 132, 133 e 175 cod. pen. e vizio di motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, per non essere stata ridotta la pena inflitta e per l’immotivata mancata concessione dell’invocato beneficio della non menzione della condanna.
Si lamenta, inoltre, la mancanza di motivazione circa l’omessa revoca della confisca in primo grado disposta ai sensi dell’art. 44, comma 2, T.U.E., posto che nei riguardi dell’imputata non poteva affermarsi la penale responsabilità.

5. Con i primi due motivi del ricorso proposto nell’interesse di Francesco Rando – dirigente del Dipartimento “Attività Edilizie e Repressione Abusivismo” del Comune di Messina - in relazione alle contestazioni di cui ai capi A), B), C) e D) dell’imputazione si lamentano, rispettivamente, violazione degli artt. 40, secondo comma, cod. pen., 27 e 44, comma 1, lett. c), T.U.E. e 27 Cost., e vizio della motivazione, per essere stato ritenuto il suo concorso nei suddetti reati sull’erroneo rilievo che egli avrebbe omesso di rilevare l’illegittimità del Programma di Costruzione e dei titoli concessori precedentemente, da altri, rilasciati con riguardo alle opere di urbanizzazione primaria ed al primo lotto di lavori. Non essendo peraltro stata da alcuno denunciata la difformità delle opere eseguite rispetto alla disciplina urbanistica e ai titoli rilasciati, egli non aveva alcun obbligo di intervenire ai sensi dell’art. 31 T.U.E. e ben poteva fare legittimo affidamento sull’operato degli uffici che in precedenza avevano adottato i provvedimenti di loro competenza, sicché la pronuncia di condanna impugnata sarebbe in contrasto con il principio costituzionale di personalità della responsabilità penale. Con riguardo alle concessioni edilizie da lui rilasciate era invero pacifico che egli avesse acquisito i pareri dei competenti uffici in relazione sia al vincolo idrogeologico sia al vincolo ambientale.
5.1. Con il terzo ed il quarto motivo si lamentano, rispettivamente, violazione della legge penale e vizio di motivazione per essere stato erroneamente affermato il concorso dell’extraneus nei medesimi reati urbanistici pur in assenza di un contributo causale rilevante e consapevole sotto il profilo del dolo o della colpa. Nel momento in cui egli era chiamato a rilasciare le concessioni edilizie non poteva più apportare alcun contributo causale al reato di lottizzazione abusiva che sarebbe semmai stato favorito dall’asserita illegittimità del Programma di Costruzione.
Inoltre, osservandosi che trattasi di reati propri che possono essere commessi soltanto dai soggetti indicati nell’art. 29 T.U.E., il ricorrente richiama un recente precedente di legittimità che, in un caso analogo, avrebbe escluso la configurabilità del concorso colposo nel reato doloso.
    Pretendendo di ricavare argomenti di prova circa la consapevolezza da parte del ricorrente delle criticità che l’intervento edilizio presentava dagli accertamenti che avevano condotto il primo giudice ad assolverlo dal delitto di abuso di ufficio originariamente contestato al capo G), la sentenza impugnata aveva reso una motivazione manifestamente illogica – posto che quell’addebito si riferiva alla valutazione di uno specifico episodio contestato - e contraddittoria, posto che l’assoluzione avrebbe semmai dovuto condurre ad escludere che l’ing. Rando abbia inteso favorire i beneficiari nelle concessioni.
    Del pari viziata era la motivazione nella parte in cui aveva valorizzato le dichiarazioni rese da Biagio Grasso – indagato o imputato in un procedimento connesso - in un verbale di interrogatorio, acquisito in grado di appello sull’accordo delle parti. Tali dichiarazioni, peraltro de relato, erano prive di riscontri e non si era motivato circa la credibilità e attendibilità del dichiarante.
    5.2. Con il quinto ed il sesto motivo si lamentano, rispettivamente, violazione degli artt. 44 T.U.E. e 27 Cost. e vizio di motivazione per essere stata ritenuta la responsabilità con riguardo alla contravvenzione di cui al capo A) benché, come già rilevato, le concessioni edilizie rilasciate nel 2009 dal ricorrente fossero provviste del parere sul vincolo idrogeologico e condizionate al parere favorevole relativo alla Zona di Protezione Speciale.
    Il Programma di Costruzione – si rileva – era peraltro soggetto soltanto al nulla-osta dell’Ufficio del Genio Civile, che in quella sede cura anche la prevenzione del rischio idrogeologico, e non anche al nulla-osta idrogeologico, richiesto soltanto per il rilascio delle concessioni edilizie. In ogni caso, il ricorrente aveva fatto affidamento sulla regolarità degli atti amministrativi preesistenti e non aveva il potere di dichiararne l’eventuale illegittimità.
    5.3. Con il settimo motivo di ricorso, in relazione alla contestazione di cui al capo B), si lamentano violazione degli artt. 12, 27 e 44, primo comma, lett. c), T.U.E. e anche vizio di motivazione per essere stato erroneamente ritenuto che il progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione avesse variato nei punti salienti il Programma di Costruzione, ciò che avrebbe richiesto una variante al piano attuativo, mentre si erano verificate leggere variazioni rispettose degli standards urbanistici, non vi era stata trasformazione della suddivisione dei lotti, né mutamento della tipologia edilizia delle costruzioni. Non si era data risposta alla doglianza con cui era argomentato che non spettava al dirigente Rando mettere in discussione un progetto giudicato rispondente a quanto previsto nell’Atto Unilaterale d’Obbligo del 19 marzo 2004.
5.4. Con l’ottavo ed il nono motivo si lamentano, rispettivamente, violazione della legge penale e dell’art. 27 Cost., e violazione dell’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riguardo al reato di cui al capo C) dell’imputazione. Ci si duole del fatto che era stata erroneamente ritenuta fondata la contestazione che, in contrasto con il d.m. 1444/1968 e con l’art. 45 Reg. Ed., il cronoprogramma per la suddivisione in lotti fosse basato su un criterio quantitativo delle opere di urbanizzazione, piuttosto che sul criterio dei lotti funzionali, essendosi invece dimostrata l’osservanza di tale disciplina ed essendo apparente la motivazione della sentenza, fondata su elementi non fatti oggetto di contestazione nell’imputazione, vale a dire lo stato dei luoghi descritto dai consulenti del pubblico ministero e documentati dalle fotografie allegate alla loro relazione.
5.5. Con il decimo e l’undicesimo motivo di ricorso si lamentano, rispettivamente, violazione della legge penale e dell’art. 27 Cost., e violazione dell’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riguardo al reato di cui al capo D) dell’imputazione. In spregio al principio costituzionale di personalità della responsabilità penale, non si era tenuto conto che il Programma Costruttivo era stato approvato dagli organi regionali previa acquisizione del giudizio tecnico di idoneità della dotazione viaria, che aveva preceduto anche il rilascio delle singole concessioni edilizie. La sentenza aveva poi omesso di valutare le testimonianze a discarico rese dagli architetti Parlato e La Fauci e aveva argomentato su un fatto – vale a dire il rilascio della concessione edilizia anche per l’edificazione di un edificio ubicato sopra al tracciato di una galleria, sostanzialmente rendendola irrealizzabile – che non aveva costituito oggetto di contestazione.
5.6. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamentano violazione degli artt. 132 e 133 cod. pen. e vizio di motivazione con riguardo alla quantificazione della pena inflitta in primo grado – confermata in appello senza motivazione – ed alla condanna al risarcimento dei danni ed al rimborso delle spese processuali nei confronti delle parti civili costituite, senza prova che i danni da costoro lamentati fossero riferibili alla condotta contestata all’imputato, ciò che valeva tanto per gli acquirenti degli appartamenti, quanto per il Comune di Messina.

6. Con memoria contenente motivi aggiunti datata 30 novembre u.s – cui sono allegati i verbali di udienza del giudizio di appello per segnalare come, in una prima fase del giudizio, anche il Procuratore generale avesse richiesto la sua assoluzione - il ricorrente Rando riassume le ragioni di doglianza già espresse in ricorso, relative a violazione di legge e vizio di motivazione per aver la sentenza fondato la condanna su una errata ed illogica interpretazione della posizione di garanzia fissata nell’art. 27 T.U.E., non avendo egli apportato alcun contributo causale e rilevante alla lottizzazione illecita ritenuta. Le concessioni da lui emesse erano legittime ed egli, pena la violazione di legge per abuso di potere, non avrebbe potuto esimersi dal rilasciarle, né aveva il potere di sindacare la legittimità del Programma Costruttivo approvato dal Comune e dalla Regione. Per altro verso, anche in assenza di denunce, non si poteva al medesimo muovere alcuna contestazione di carattere omissivo. Si rileva, ancora, come la sentenza sia contraddittoria in relazione all’affermazione dell’elemento soggettivo, di cui neppure bene si chiarisce la natura colposa piuttosto che dolosa.

7. Con il ricorso proposto dal responsabile civile Comune di Messina si deducono violazione dell’art. 44 T.U.E. e vizio di motivazione con riguardo all’affermata responsabilità penale dell’ing. Rando in relazione ai capi d’imputazione A), B), C), D).
Si lamenta che le doglianze contenute negli appelli proposti da quest’ultimo e dallo stesso Comune quale responsabile civile erano state liquidate in poche righe, che per l’imputato non era facile avvedersi delle asserite irregolarità che avevano caratterizzato gli atti amministrativi da altri precedentemente adottati, che non vi erano state significative varianti del Programma Costruttivo, che non erano state prese in considerazione due favorevoli deposizioni testimoniali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Prima di analizzare i motivi di ricorso proposti, va premesso che - secondo la non contestata ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito (la sentenza impugnata richiama sul punto le prime dieci pagine di quella di primo grado) – la vicenda sub iudice attiene ad un importante intervento di lottizzazione per la costruzione, inizialmente programmata, di 18 palazzine composte da complessive 239 unità abitative in edilizia convenzionata, in località Torrente Trapani del comune di Messina.
Le due società proprietarie dei lotti presentarono nel luglio 2001 il relativo progetto di Programma di Costruzione, che fu approvato dal Comune di Messina il 4 marzo 2003 e successivamente ratificato dal competente Assessorato Regionale del Territorio ed Ambiente, e affidarono poi l’incarico di realizzare il programma ad una società da esse appositamente costituita, denominata La Residenza Immobiliare delle Imprese C.O.C. e Costa Srl.
Il 16 gennaio 2004, quest’ultima presentò il progetto delle opere di urbanizzazione denominato “disposizione planimetrica esecutiva dei lotti edificabili”, con il quale, in variante al programma di costruzione approvato, venivano modificate la viabilità, la disposizione di alcuni lotti residenziali e le tipologie edilizie, con l’eliminazione delle unità immobiliari a schiera. La stessa società, il successivo 2 luglio 2004, sottoscrisse un atto unilaterale d’obbligo con il quale s’impegnava a realizzare il programma costruttivo, a cedere al Comune le aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e ad eseguire le opere di urbanizzazione primaria fondamentali (parcheggi, pubblica illuminazione, rete fognaria, rete acque bianche, rete idrica, rete distribuzione energia elettrica, opere viarie) prima del rilascio delle concessioni edilizie relative agli alloggi.
Ottenuta, il 15 luglio 2004, la concessione edilizia n. 169/2004 per la realizzazione delle opere di urbanizzazione relative al programma costruttivo, la Residenza Immobiliare cominciò i relativi lavori, ottenendo nel successivo mese di novembre una concessione in variante relativa ad un parcheggio.
Il 10 ottobre 2005 La Residenza Immobiliare presentò un Cronoprogramma per la realizzazione dell’intervento edilizio, rispetto al quale il Comune di Messina rilasciò il nulla-osta, precisando che il rilascio delle concessioni edilizie per le unità abitative sarebbe avvenuto soltanto dopo la realizzazione delle opere di urbanizzazione previste.
Il 29 novembre 2006, il Comune di Messina rilasciò la concessione edilizia n. 173/2006, relativa al primo lotto (avente ad oggetto la costruzione di 6 palazzine per 84 alloggi complessivi), cointestandola anche alle società PETT Srl e SE.GI Srl, nel frattempo divenute cessionarie dei relativi terreni, le quali ultime, a mezzo di ditte subappaltatrici, cominciarono quindi ad eseguire i lavori, successivamente ottenendo, ad integrazione e sanatoria dei lavori del primo lotto, le concessioni edilizie nn. 143/2009 e 153/2009.
Il 9 aprile 2009 fu rilasciata la concessione edilizia n. 45/2009 per la realizzazione delle unità abitative del secondo lotto (96 alloggi, suddivisi in 7 fabbricati), con successiva concessione in variante n. 114/2009 del 7 agosto 2009.
A seguito di sopralluogo effettuato il 23 marzo 2010 da personale del Comando Vigili del Fuoco e del Genio Civile di Messina – che aveva evidenziato il pericoloso accumulo, lungo i versanti del pendio, in precarie condizioni di stabilità, di una consistente quantità di materiali derivanti dagli scavi e sbancamenti effettuati nel corso dei lavori di lottizzazione nonché il mancato completamento delle opere di urbanizzazione primaria – il Genio Civile ordinò la sospensione delle autorizzazioni edilizie rilasciate per le opere in conglomerato cementizio armato e, il 27 aprile 2010, l’ing. Carmelo Famà, dirigente del Dipartimento Attività Edilizie e Repressione dell’Abusivismo del Comune di Messina, ordinò la sospensione dell’efficacia delle concessioni edilizie nn. 45/2009 e 114/2009, relative ai lavori del secondo lotto.
Per quanto qui interessa, il procedimento penale successivamente avviato ha condotto all’accertamento della complessiva illiceità dell’attività di lottizzazione ed edificazione descritta sotto plurimi profili, contestati ai capi A), B), C) e D) d’imputazione, relativi all’originaria illegittimità del Programma di Costruzione ed all’illegittimità di tutte le concessioni edilizie sopra richiamate (concernenti le opere di urbanizzazione, i lavori del primo e del secondo lotto).

2. Ciò premesso quanto ai principali aspetti della ricostruzione del fatto – e fermo quanto più oltre al proposito si aggiungerà nella disamina dei motivi di ricorso proposti dai ricorrenti – cominciando la trattazione dal ricorso presentato da Giuseppe Pettina, ne vanno innanzitutto dichiarati inammissibili i primi cinque motivi. Le doglianze di violazione di legge e vizio di motivazione proposte con riguardo alle contravvenzioni urbanistiche al medesimo contestate quale legale rappresentante della Pett s.r.l. – come si è detto, società divenuta proprietaria dei terreni e committente delle opere dei primi due lotti – sono infatti generici e manifestamente infondati per le ragioni di seguito indicate.

3. Quanto alla contestazione relativa al capo A.1) di imputazione, la sentenza impugnata ha ritenuto l’illegittimità del Programma Costruttivo in quanto rilasciato sul falso presupposto che la zona interessata non fosse gravata da vincolo idrogeologico, avendo le società proprietarie dei terreni allegato al progetto presentato una dichiarazione dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste del 2 aprile 2001, che erroneamente attestava l’insussistenza del vincolo idrogeologico sull’area interessata dal progetto, ed avendo invece celato la successiva dichiarazione del medesimo Ispettorato dell’8 maggio 2001 con cui, correggendosi quell’errore, si attestava la sussistenza del vincolo idrogeologico ai sensi dell’art. 1 R.D. 3267 del 1923. Richiamando soltanto la prima delle citate dichiarazioni, sia il Comune di Messina, sia l’Assessorato Regionale, approvarono il Programma Costruttivo dando atto che l’area non risultava soggetta a rischio idrogeologico, senza quindi effettuare alcuna valutazione circa la compatibilità del significativo intervento di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio con la assai precaria stabilità della zona collinare interessata, ricadente nel bacino idrografico del torrente Trapani ed in cui già in passato si erano verificati fenomeni alluvionali anche con vittime.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente Pettina non contesta questa ricostruzione, ma sostiene che il Programma Costruttivo non avrebbe necessitato di nulla-osta idrogeologico in quanto non era stato approvato in variante urbanistica rispetto al Piano Regolatore.
La doglianza, tuttavia, è generica e non si confronta con la motivazione resa nel provvedimento impugnato, che (pagg. 28 e 29) ha ritenuto l’illegittimità del Programma Costruttivo non già perché non assistito dal nulla-osta idrogeologico – formalità non reputata necessaria dalla Corte territoriale – ma perché approvato dal Comune e dall’Assessorato Regionale sull’erroneo presupposto, indotto dai proponenti con la fraudolenta condotta sopra descritta, che il vincolo non sussistesse, sì che, data la consistenza dell’intervento e la precarietà idrogeologica del sito (quale ampiamente descritta in sentenza alle pagg. 14-17), ciò aveva falsato su un punto essenziale la valutazione degli organi competenti, viziando così sin dall’origine il provvedimento di approvazione per non aver consentito alle Autorità preposte di considerare il complessivo impatto dell’intervento di lottizzazione su un’area connotata da estrema fragilità. Del tutto correttamente la sentenza reputa – richiamando anche conforme giurisprudenza amministrativa – che la localizzazione di un programma costruttivo, parificabile ad un piano particolareggiato, imponga alle amministrazioni di tenere conto degli eventuali vincoli posti a difesa di altri interessi settoriali, ciò che trova conferma anche nel procedimento nella specie seguito, in cui, come detto, nell’approvare il Programma, le autorità si erano poste il problema dell’eventuale sussistenza di un vincolo idrogeologico, escludendolo in base alle false informazioni addotte dai proponenti. Questa non illogica e corretta conclusione, dunque, non è in alcun modo inficiata dalla generica doglianza proposta dal ricorrente Pettina (né dalle doglianze sul punto svolte dagli altri ricorrenti, in particolare da Francesco Rando)
Peraltro, anche di recente questa Corte ha chiarito che il reato di lottizzazione abusiva è configurabile pur quando venga realizzato un insieme di opere che comportino una trasformazione urbanistica o edilizia del territorio in violazione del vincolo idrogeologico, atteso il richiamo da parte dell'art. 44, comma 1, lett. c), primo periodo, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 all'art. 30 dello stesso d.P.R., che, descrivendo la lottizzazione abusiva dei terreni, fa riferimento alla violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali (Sez.  3, n. 5508 del 02/10/2019, dep. 2020, Briarava, Rv. 278253).
 
4. Quanto alla contestazione di cui al capo A.2) d’imputazione, la sentenza impugnata – sia pure, come più oltre si dirà, non condividendone in toto le argomentazioni - ha confermato quella di primo grado, riportandone anche un ampio stralcio in nota 1, alle pagg. 33 ss. Quest’ultima, ritenendo non operante il vincolo paesaggistico sull’area interessata dal progetto al momento dell’approvazione del Programma di Costruzione, in quanto non ancora dichiarata Zona di Protezione Speciale, aveva rilevato l’illegittimità di alcune concessioni edilizie, rilasciate successivamente all’istituzione della Z.P.S. ITA 030042, avvenuta con Decreto dell’Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente del 21 febbraio 2005, efficace dopo la pubblicazione sulla G.U.R.S. del 7 ottobre 2005. In particolare, erano state illegittimamente rilasciate senza la prescritta VINCA (Valutazione di Incidenza Ambientale): la concessione n. 143/2007 dell’8 ottobre 2007 per le opere di urbanizzazione (espressamente qualificata non già quale concessione in proroga della prima concessione n. 169/2004, ma quale nuova concessione essendo la prima scaduta); la concessione n. 173/2006, relativa al primo lotto di lavori (con conseguente illegittimità delle successive varianti nn. 146/2009 e 153/2009, pur rilasciate condizionatamente al preventivo rilascio del parere relativo alla Z.P.S. “qualora ricorra”); la concessione relativa al secondo lotto di lavori, n. 45/2009, in quanto rilasciata in base ad falso parere favorevole emesso dalla Commissione per la verifica delle valutazioni di incidenza affetto da evidente falsità ideologica nella parte in cui attestava, contrariamente a quanto risultava dal progetto, che “non sono previsti sbancamenti significativi”; la concessione n. 114/2009, in variante rispetto alla precedente 45/2009, in quanto illegittimamente rilasciata, contro la prassi sempre seguita nel Comune, in base ad un mero screening, senza richiedere la valutazione d’incidenza ambientale alla competente commissione.
4.1. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta che non era stata data risposta alle doglianze sollevate con il gravame circa il fatto che il Decreto Assessoriale n. 46 del 21 febbraio 2015, che aveva istituito le nuove ZPS, ne differiva l’efficacia al momento della ratifica ministeriale, avvenuta in data 5 luglio 2007, e comunque perché, a seguito di richiesta del Comune del 5 giugno 2007, le società proprietarie dell’area avevano prodotto la valutazione d’incidenza ambientale.
Tali doglianze sono tuttavia generiche, perché non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata, e, comunque, manifestamente infondate.
4.1.1. Ed invero, la sentenza d’appello attesta che, contrariamente a quanto allegato dagli appellanti, il vincolo posto dal citato Decreto Assessoriale era operante dalla data di pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale e la doglianza del ricorrente è dunque priva di specificità, poiché non indica la disposizione che, differendo l’efficacia del provvedimento, renderebbe erronea tale conclusione. Il citato Decreto quale pubblicato sulla G.U.R.S. – osserva il Collegio – non prevede alcun differimento d’efficacia.
In ogni caso, la sentenza impugnata – recependo quanto al proposito osservato dai consulenti tecnici del pubblico ministero ed in ciò distaccandosi dalla sentenza di primo grado - reputa che l’area fosse già in precedenza qualificabile come Z.P.S. perché inserita nell’Elenco dei siti di importanza comunitaria e delle zone di protezione speciale pubblicato nella G.U.R.S. del 15 dicembre 2000 (si tratta delle aree, appartenenti alla c.d. “Rete Natura 2000, già inserite nel d.m. 3 aprile 2000, recante  Elenco dei siti di importanza comunitaria e delle zone di protezione speciali, individuati ai sensi delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE, pubblicato in G.U., Serie Gen. n.95 del 22 aprile 2000 - Suppl. Ord. n. 65). Il ricorrente Pettina non si confronta in alcun modo con questa, di per sé autosufficiente, autonoma ratio decidendi. Vale, dunque, il principio secondo cui è affetto da difetto di specificità, con violazione dell’art. 581 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez.  3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448;  Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, non massimata); sotto altro angolo visuale, ricorre negli stessi casi il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l'eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all’accoglimento del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506).
4.1.2. Quanto alla valutazione d’incidenza ambientale prodotta dalle società nel corso del 2007, il ricorrente nuovamente non si confronta con la sentenza impugnata, che dà bensì atto di tale circostanza, attestando, tuttavia, che essa si riferiva alla richiesta di concessione edilizia per i lavori del secondo lotto – e non già, dunque, alle precedenti concessioni edilizie più sopra richiamate, rilasciate per le opere di urbanizzazione e per il primo lotto - e che fu al proposito integrata da quel parere ideologicamente falso che viziò anche la concessione n. 45/2009 poi adottata per i lavori del secondo lotto.

5. Parimenti inammissibile per genericità e manifesta infondatezza è lo stringato terzo motivo di ricorso, afferente alla contestazione di cui al capo B), limitandosi il ricorrente a richiamare le doglianze proposte con il gravame di merito circa la pretesa non necessità di alcuna variante del Programma Costruttivo, senza in alcun modo confrontarsi con la diffusa motivazione con cui la sentenza impugnata aveva respinto i motivi d’appello sul punto (pagg. 44-48).
Ed invero, con argomentazioni corrette in diritto e del tutto logiche, richiamando anche conforme giurisprudenza del Consiglio di Stato, la sentenza attesta che il Programma Costruttivo – pur soggetto ad un procedimento semplificato - ha natura di piano particolareggiato di attuazione del Piano Regolatore Comunale e che quello nella specie approvato ne aveva appunto i contenuti, quali previsti dall’art 13 l. 1150/1942, oltre che quelli di cui all’art. 4 l. 167 del 1962 per l’edilizia economica e popolare. Del tutto condivisibile, dunque, è la conclusione sul fatto che le concessioni edilizie rilasciate dovessero essere conformi al Programma di Costruzione sotto il profilo della viabilità, della suddivisione in lotti edificabili e della tipologia edilizia delle costruzioni quali da esso previste. In assenza di una variante – che avrebbe necessariamente dovuto seguire il procedimento previsto per la sua approvazione – non era dunque legittimo, come nella specie invece avvenuto, apportare in un atto unilaterale quale il progetto delle opere di urbanizzazione modifiche sostanziali al Programma Costruttivo, sia quanto alla viabilità ed alle strade previste, significativamente variate, sia quanto alla trasformazione della suddivisione dei lotti edificabili – essendone stati eliminati due con distribuzione della volumetria sugli altri lotti - sia quanto al mutamento delle tipologie edilizie previste con l’eliminazione totale di quelle a schiera, sia quanto alle modifiche delle unità abitative, portate da 239 a 248, sia pur con riduzione di metratura, ma con evidente aggravio del complessivo carico urbanistico.
Sotto questo profilo, dunque, l’intervento realizzato era in contrasto con il Programma di Costruzione, sì che tutte le opere realizzate sui terreni interessati – tanto quelle di urbanizzazione, quanto quelle relative al primo ed al secondo lotto – hanno comportato la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni stessi in violazione del menzionato strumento urbanistico esecutivo, per ciò solo integrando, ex art. 30, comma 1, prima parte, T.U.E., la contestata lottizzazione abusiva (per un caso analogo, avente riguardo all’illegittimo rilascio del permesso di costruire avente ad oggetto l'esecuzione di opere diverse da quelle previste su un'area ricompresa in un piano di insediamento produttivo (PIP), rilasciato in assenza di previa modifica del piano medesimo adottata dal competente consiglio comunale ed approvata dalla Regione, v. Sez.  3, n. 3649 del 03/12/2013, dep. 2014, Attolini e aa., Rv. 257997).

6. E’ inammissibile per genericità e manifesta infondatezza anche lo stringato quarto motivo di ricorso, che non si confronta con l’articolata motivazione con cui la sentenza impugnata ha attestato – quale ulteriore profilo di contrasto, ex art. 30, comma 1, T.U.E., tra la trasformazione urbanistica operata e quella autorizzata con il Programma di Costruzione nonché con la disciplina urbanistica nazionale e comunale di riferimento (capo C di imputazione) – l’illegittimità delle concessioni edilizie rilasciate per essere illegittimo il cronoprogramma per la suddivisione in lotti, richiamato supra, sub § 1, in quanto fondato su un criterio quantitativo delle opere di urbanizzazione, piuttosto che sulla realizzazione di lotti funzionali, e ciò a dispetto di quanto in esso apparentemente indicato. Ed invero – sulla scorta delle conclusioni della consulenza tecnica del pubblico ministero, che il ricorrente non contesta specificamente – la sentenza impugnata (pagg. 49 ss.), in ciò conforme a quella di primo grado, attesta che il cronoprogramma in parola, pur dichiaratamente qualificato come organizzato per lotti funzionali, rispondeva in realtà unicamente a criteri quantitativi senza in alcun modo spiegare a quali criteri di funzionalità rispondessero gli interventi previsti per ciascun lotto. In sostanza, l’impegno economico complessivamente stimato per le opere di urbanizzazione a carico del costruttore era stato ripartito in percentuali di spesa via, via crescenti, da quasi il 40% per il primo loto fino al 15% per il quarto ed ultimo lotto. La sentenza – anche qui senza che il ricorrente contesti specificamente la correttezza della conclusione in diritto – argomenta che questo modo di operare era in contrasto con la disciplina nazionale contenuta nell’art. 3 d.m. 2 aprile 1969, n. 1444, che fissa la dotazione minima inderogabile di opere di urbanizzazione per ciascun abitante, e con lo stesso art. 45 Reg. ed. comunale. In particolare, si legge in sentenza, quest’ultima disposizione, nel caso di piano di lottizzazione di vaste dimensioni - quale certamente è quello di specie, secondo la del tutto logica e corretta analisi della sentenza impugnata, in ricorso pure non contestata – prevede che «il rilascio delle concessioni edilizie per l’edificazione nei singoli lotti avvenga dopo la realizzazione di quota parte delle opere di urbanizzazione primaria, in modo che opere di urbanizzazione e tipi edilizi costituiscano “lotto funzionale”». Nel caso di specie, la sentenza (pag. 54) attesta che importanti opere di urbanizzazione primaria – vale a dire i due parcheggi e l’unica area di verde pubblico – erano stati indistintamente previsti a servizio dei quattro lotti e che al momento del rilascio delle concessioni edilizie per il primo ed il secondo lotto, al di là della spesa sostenuta rispetto all’impegno complessivamente previsto, non erano state realizzati in quota-parte rispetto agli insediamenti dei primi due lotti, come si sarebbe dovuto fare per il rispettare l’art. 3 d.m. 1444/1968 e l’art. 45 Reg. ed. com.

7. Del pari generico e manifestamente infondato è il laconico quinto motivo del ricorso proposto da Giuseppe Pettina.
Diversamente da quanto allega il ricorrente, la sentenza impugnata (pag. 57) attesta che nessuna delle due opere viarie fondamentali per rendere fruibile a scopi residenziali l’area lottizzata, quali previste dal Piano Regolatore Generale, erano state realizzate, con conseguente illegittimità della lottizzazione e delle concessioni edilizie rilasciate per violazione dell’art. 2 n. att. PRG, che subordina la legittimità delle trasformazioni edilizie del suolo al fatto che le principali opere di urbanizzazione, tra cui quelle viarie, esistano o siano in corso di realizzazione, ovvero che i richiedenti la trasformazione si impegnino, con atto scritto, a realizzarle a propria cura e spese. Non essendo stato assunto questo impegno, i giudici di merito hanno ritenuto che la mancanza delle due opere – e, in particolare, della nuova strada di piano che, mediante una galleria, avrebbe dovuto attraversare per intero il lotto oggetto dell’intervento in questione in direzione nord-sud, come specificamente contestato al capo D) d’imputazione – rendeva illecita la lottizzazione, ed illegittime le concessioni edilizie rilasciate, per contrasto con la citata disposizione dello strumento urbanistico. La conclusione – osserva il Collegio – è assolutamente aderente all’accusa mossa in imputazione ed il fatto che la sentenza impugnata reputi che l’avvenuta edificazione di un fabbricato proprio sul tracciato della galleria avrebbe verosimilmente  impedito, anche in futuro, la realizzazione della fondamentale infrastruttura prevista dal piano regolatore è osservazione funzionale ad ulteriormente attestare la fondatezza dell’accusa mossa. Per rispondere ad una critica mossa dagli appellanti – i quali sostenevano che l’assunto accusatorio sarebbe stato comunque infondato perché le opere realizzate per garantire l’accesso carrabile erano sufficienti – la sentenza aggiunge, senza che sul punto il ricorrente Pettina muova contestazioni, che la rete viaria era certamente insufficiente ed in contrasto con quanto previsto dal Programma di Costruzione. Questo, difatti, prevedeva che il nuovo complesso edilizio fosse servito da due strade, una alternativa all’altra, a pendenza agevole e sezione adeguata, mentre era stata realizzata una sola strada, peraltro a forte pendenza, l’altra essendo stata addirittura eliminata nel progetto per le opere di urbanizzazione.

8. Le doglianze contenute nei motivi sesto e settimo del ricorso proposto da Giuseppe Pettina sono inammissibili per genericità e manifesta infondatezza, ma, per quanto più oltre si dirà, con riguardo al delitto contestato al capo F) d’imputazione la sentenza va annullata d’ufficio per essere stata fatta applicazione di una pena illegale.
8.1. Ancora una volta, il ricorrente non si confronta con le sentenze di merito, che hanno del tutto correttamente ritenuto la sussistenza del reato ascritto.
Ed invero, in fatto è stato accertato, in modo non contestato, che in data 22 luglio 2010, nel cantiere della società di cui l’imputato era legale rappresentante – così come in quello della SE. GI. Srl - furono rinvenuti cumuli di terre e rocce da scavo derivanti dai lavori eseguiti per le opere di urbanizzazione, per quelle del primo e del secondo lotto, materiali che, ancora nell’atto di appello, Giuseppe Pettina aveva sostenuto essere destinati e reinterri e riempimenti nel medesimo cantiere.
Per ciò solo, dunque, non ricorre l’ipotesi del “deposito temporaneo” di rifiuti genericamente invocata dal ricorrente, posto che – giusta la definizione contenuta nell’art. 183, lett. bb, d.lgs. 152 del 2006 (sostanzialmente identica era la precedente definizione, vigente all’epoca dei fatti, contenuta nella lett. m della medesima disposizione) – l’ipotesi concerne esclusivamente il raggruppamento dei rifiuti effettuati  nel luogo in cui gli stessi sono prodotti prima della raccolta ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento. Come si è detto, il ricorrente non ha mai sostenuto che i materiali in questione erano stati depositati in attesa di essere smaltiti come rifiuto e, in ogni caso, il deposito preliminare richiede, da sempre, l’osservanza di alcune condizioni tra cui quella delle cadenze – trimestrale o al massimo annuale - in cui i rifiuti debbono essere avviati alle operazioni di recupero e smaltimento (cfr. Sez.  3, n. 50129 del 28/06/2018, D., Rv. 273965; Sez.  3, n. 38046 del 27/06/2013, Speranza, Rv. 256434), cadenze che nella specie non risultano rispettate, né il ricorso contiene, sul punto, specifiche allegazioni, sostenendosi, al contrario, che i materiali sarebbero appunto stati destinati al riutilizzo nel cantiere.
8.2. La sentenza impugnata ha pertanto logicamente valutato i fatti nell’ottica allegata dallo stesso ricorrente e si è posta il problema se i materiali in questione potessero costituire non già rifiuti, bensì sottoprodotti assoggettati alla speciale disciplina delle terre e rocce di scavo, all’epoca prevista dall’art. 186 d.lgs. 152 del 2006.
 Posto che sia nella versione vigente all’epoca dell’esecuzione dei lavori di urbanizzazione e del primo lotto, sia nella versione risultante dalle modifiche successivamente approvate con d.lgs. n. 4 del 2008, l’art. 186 d.lgs. 152 del 2006 prevedeva che le terre e rocce da scavo non costituivano rifiuto soltanto se, tra l’altro, il riutilizzo fosse avvenuto secondo le modalità previste in un apposito progetto approvato dalla competente autorità, le sentenze di merito – quella impugnata richiama, sul punto, la decisione di primo grado – hanno accertato che non era mai stato adottato alcun progetto in ossequio alla citata normativa, sicché i materiali in questione erano assoggettati al regime dei rifiuti. Soltanto con la concessione edilizia in variante del secondo lotto, la n. 114/2009, era stata emessa l’autorizzazione al riutilizzo del materiale di scavo, ma non erano state comunque seguite le ulteriori prescrizioni previste dall’art. 186, comma 3, d.lgs. 152 del 2006, come modificato dal citato d.lgs. 4 del 2008, il quale prevedeva che gli stringenti requisiti previsti dal primo comma della disposizione, richiesti per poter escludere la qualificazione come rifiuti delle terre e rocce da scavo, e i tempi dell’eventuale deposito in attesa del riutilizzo, non superiori all’anno, dovessero essere dimostrati e verificati nell’ambito della procedura per il rilascio del titolo edilizio.
Del tutto correttamente, pertanto, i giudici di merito hanno ritenuto che, nel caso di specie, le terre e le rocce da scavo, in assenza di prova della sussistenza delle condizioni perché fossero considerati sottoprodotti, costituivano rifiuti, posto che l’art. 186, comma 5, d.lgs. 152 del 2006, nella versione all’epoca vigente, prevedeva che «le terre e rocce da scavo, qualora non utilizzate nel rispetto delle condizioni di cui al presente articolo, sono sottoposte alle disposizioni in materia di rifiuti di cui alla parte quarta del presente decreto». Del resto, è consolidato orientamento di questa Corte quello secondo cui, in tema di gestione dei rifiuti, l'applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo  quale prevista dall’art. 186 d.lgs. n. 152/2006, nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sottoprodotti e non a quello dei rifiuti, è subordinata alla prova positiva, gravante sull'imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria (Sez.  3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336; Sez.  3, n. 37280 del 12/06/2008, Picchioni, Rv. 241087). Com’è noto – e sul punto il ricorrente non solleva questioni – i principi informatori della speciale disciplina che consente di sottrarre le rocce e terre da scavo alle regole in tema di gestione di rifiuti, pur dopo l’abrogazione dell’art. 186 d.lgs. 152 del 2006, hanno trovato sostanziale conferma nel d.P.R. 13 giugno 2017, n. 120 (cfr. Sez.  3, n. 8026 del 27/09/2017, dep. 2018, Masciotta e a., Rv. 272355).
8.3. Essendo dunque applicabile la normativa in tema di rifiuti, non sussistendo le condizioni per ravvisare l’ipotesi del deposito preliminare, è stata esattamente ritenuta l’ipotesi dell’abbandono o del deposito incontrollato di tali materiali sul cantiere, ciò che, in caso di abbondanti precipitazioni, avrebbe peraltro potuto innescare fenomeni di ruscellamento determinando pericolo per la pubblica incolumità, come ebbe modo di accertare il personale dei Vigili del Fuoco e dell’ufficio del Genio Civile che effettuò il sopralluogo in data 23 marzo 2010 (cfr. sent. di primo grado, pag. 6, sul punto richiamata dalla sentenza impugnata).
Non essendo contestato che all’epoca dei fatti in Sicilia vigeva lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti, è quindi stato correttamente ritenuto il contestato delitto di cui all’art. 6, lett. b), d.l. 6 novembre 2008, n. 172, conv., con modiff., dalla l. n. 210 del 2008.
Alla luce di tale esatta conclusione, sono del tutto generiche e manifestamente infondate le – curiose - allegazioni del ricorrente circa il fatto che nel verbale della Polizia Municipale di Messina sarebbero state richiamate soltanto disposizioni prevedenti illeciti amministrativi, sicché, disattendendo la qualificazione giuridica proposta dagli accertatori, i giudici avrebbero esercitato una potestà riservata dalla legge a organi amministrativi, come se l’autorità giudiziaria dovesse soggiacere, piuttosto che alla legge come vuole l’art. 111, secondo comma, Cost., alla qualificazione giuridica di un illecito data da un organo ispettivo o di polizia.
8.4. Va rilevato, tuttavia, che la richiamata disposizione penale, contestata in imputazione e ritenuta dai giudici, punisce i titolari di imprese ed i responsabili di enti che abbandonano, scaricano o depositano rifiuti sul suolo o nel sottosuolo in modo incontrollato «con la reclusione da tre mesi a quattro anni se si tratta di  rifiuti  non  pericolosi e con la reclusione da sei mesi a cinque anni se si tratta di rifiuti pericolosi».
Nel caso di specie, la sentenza di primo grado – sul punto confermata da quella impugnata – ha applicato a Giuseppe Pettina, per detto reato, la pena di mesi sei di reclusione e 10.000 Euro di multa, benché, come si è detto, la pena pecuniaria non sia prevista per il reato ascritto e ritenuto (essa è invece prevista, in aggiunta alla pena detentiva, per il più grave reato di cui all’art. 6, lett. d, d.l. 172 del 2008).
Pur non avendo il ricorrente articolato doglianze sul punto – anche in forza della previsione di cui all’art. 587, comma 1, cod. proc. pen., giusta quanto più oltre si dirà con riguardo all’identica posizione della coimputata Silvana Nastasi, cui il medesimo delitto è stato contestato e ritenuto in concorso con Giuseppe Pettina – deve d’ufficio rilevarsi l’illegalità della pena pecuniaria applicata. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, trattandosi di pena illegale non osta il fatto che il ricorso, tempestivamente proposto, sarebbe altrimenti inammissibile (Sez. 2, n. 7188 del 11/10/2018, dep. 2019, Elgendy, Rv. 276320; Sez.  3, n. 6997 del 22/11/2017, dep. 2018, C., Rv. 272090; Sez.  5, n. 46122 del 13/06/2014, Oguekemma, Rv. 262108).
Il reato, consumato in data 22 luglio 2010, pur tenendo conto della sospensione dei termini di prescrizione per complessivi 410 giorni, in conseguenza di plurime sospensioni del dibattimento avvenute sia in primo, sia in secondo grado, si è tuttavia prescritto nelle more del ricorso per cassazione.
Nei confronti di Giuseppe Pettina, la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente al capo F) di imputazione, perché il reato è estinto per prescrizione.
 
9. L’ultimo motivo del ricorso proposto da Giuseppe Pettina è inammissibile per carenza d’interesse.
Giuseppe Pettina non risulta – né allega - essere proprietario degli immobili confiscati, che le sentenze di merito attestano essere sempre stati, prima della cessione delle unità abitative, nella titolarità di società, sicché, in forza del principio sancito nell'art. 568, comma 4, cod. proc. pen., in tema di lottizzazione abusiva, in difetto dell'allegazione di uno specifico interesse concreto ed attuale, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'imputato prosciolto per intervenuta prescrizione con il quale è dedotta l'illegittimità della confisca disposta ai sensi dell'art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite appartenenti a terzi (Sez.  3, n. 372 del 09/10/2019, dep. 2020, Acampora, Rv. 278274).
Detta sanzione ricade, infatti, in parte in danno delle società proprietarie degli immobili – nella misura in cui esse ancora lo siano – e, in parte, in danno dei soggetti, alcuni dei quali costituiti parti civili, che già hanno acquistato le unità immobiliari. Come questa Corte ha più volte precisato, costoro – che nel presente giudizio non hanno avuto la possibilità di contestare la misura ablatoria – hanno la possibilità di far valere le proprie ragioni mediante la proposizione di incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 676 cod. proc. pen. (Sez.  3, n. 58444 del 04/10/2018, S.I.E.M. Spa, Rv. 275459; Sez.  6, ord. n. 21741 del 10/04/2018, Barbieri, Rv. 273041; Sez.  1, n. 27201 del 30/05/2013, Can, Rv. 257599). Con specifico riguardo alla confisca disposta ai sensi dell’art. 44, comma 2, TUE per il reato di lottizzazione abusiva, questa Corte ha infatti ripetutamente chiarito che il giudice dell'esecuzione, investito della opposizione del terzo rimasto estraneo al procedimento, è tenuto ad accertare, dal punto di vista oggettivo, l'effettiva esistenza della lottizzazione e, dal punto di vista soggettivo, l'insussistenza della buona fede, trattandosi di verifiche che non si pongono in contrasto con alcun principio costituzionale o convenzionale affermato in materia (Sez.  3, n. 32363 del 24/05/2017, Mantione, Rv. 270443; v. anche Sez.  3, n. 42115 del 19/06/2019, Capital Service Spa, Rv. 277057; Sez.  3, n. 51387 del 24/10/2013, La Nuova Immobiliare Srl, Rv. 258015). Lo svolgimento degli accertamenti nell'ambito del procedimento di esecuzione per verificare la sussistenza delle condizioni per la confisca, di fatti, può essere condotto in modo pieno, assicurando il contraddittorio e il diritto di difesa, atteso che in tale fase il giudice ha ampi poteri istruttori ai sensi dell'art. 666, comma 5, cod. proc. pen. (Sez.  3, n. 1503 del 22/06/2017, dep. 2018, Di Rosa e a., Rv. 273535). Ed in tale sede sarà dunque possibile per i terzi proprietari far valere le proprie ragioni anche con riguardo al rispetto della previsione di cui all’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU, di cui il ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte del giudice di merito con particolare riguardo alla verifica della proporzionalità della misura ablativa.

10. Salvo che per il riconoscimento dell’illegalità della pena inflitta con riguardo al reato di cui al capo F) per le ragioni più sopra esplicitate, il ricorso proposto da Silvana Nastasi è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza, in larga parte per motivi analoghi a quelli esposti esaminando il ricorso di Giuseppe Pettina. Anche per la ricorrente, difatti, la contestazione, mossa in concorso con il predetto, riguarda identiche condotte di deposito incontrollato dei materiali di scavo provenienti dai lavori effettuati per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e per quelli del primo e del secondo lotto.
10.1. Con riguardo al primo motivo, va soltanto rilevato come sia destituita di qualsiasi fondamento la tesi – in alcun modo argomentata – per cui il reato previsto dall’art. 6, lett. b), d.l. 172/2008 richiederebbe il dolo specifico. Al contrario, si tratta delitto per la cui integrazione è sufficiente il dolo generico, come correttamente ritenuto dalla sentenza di primo grado (pag. 44), richiamata da quella impugnata. Detta sentenza aveva di fatti ravvisato l’elemento soggettivo in base alla consapevolezza della condotta di abbandono sul suolo dei rifiuti la cui utilizzazione ed il cui deposito non erano stati autorizzati in ossequio alla illustrata disciplina normativa che eccezionalmente consente di gestire come sottoprodotto le terre e rocce da scavo.
La conclusione è detto tutto logica e non è inficiata dal fatto che la ricorrente ebbe a ricoprire la carica di amministratrice della SE.GI. Srl – altra società proprietaria dei terreni e committente delle opere - dal 10 aprile 2008 al 17 dicembre 2010. Il reato fu accertato, lo si è rilevato, il 27 luglio 2010, sicché è inverosimile – e, comunque, la ricorrente non muove sul punto specifiche contestazioni – che ella, negli oltre due anni in cui fu amministratrice, non si sia resa conto dell’illecito deposito in cantiere dei materiali derivanti anche dagli scavi in precedenza effettuati. La protrazione della condotta illecita di deposito incontrollato durante la gestione della società da parte dell’imputata – che in alcun modo si è attivata, com’era suo dovere, per smaltire i rifiuti in precedenza accumulati – determina la natura permanente del reato in questione, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (cfr. Sez.  3, 36411 del 09/05/2019, Vitale, Rv. 277068).
 Quanto ai lavori del secondo lotto e, più in generale, alla natura di rifiuto dei materiali in questione, si è detto di come i giudici di merito abbiano correttamente ritenuto non adempiute le prescrizioni per poter qualificare come sottoprodotto riutilizzabile in loco le terre e rocce da scavo, anche in relazione all’autorizzazione contenuta nella concessione edilizia in variante del secondo lotto, sicché la doglianza al proposito svolta dalla ricorrente è del tutto generica e non si confronta in alcun modo con le ragioni della sentenza.
10.2. Con riferimento ai reati di cui ai capi A), B), C), D) della rubrica – la cui sussistenza sul piano oggettivo e soggettivo non viene specificamente contestata – con stringata, e generica, doglianza la ricorrente lamenta che ella non poteva essere ritenuta responsabile con riguardo alle concessioni edilizie richieste e rilasciate nel periodo in cui non era legale rappresentante della società. Basta leggere i capi d’imputazione, tuttavia, per rendersi conto di come tutti si riferiscano a condotte commesse anche con riguardo a concessioni edilizie emesse nel periodo in cui la ricorrente era amministratrice ed afferenti ancora ai lavori del primo lotto (le n. 146/2009 e 153/2009), oltre che a quelle del secondo lotto (le nn. 45/2009 e 114/2009), mentre – in assenza di specifica, contraria, allegazione – non v’è ragione di non ritenere che allorquando ella assunse la carica fossero ancora in corso anche i lavori di urbanizzazione autorizzati con concessione edilizia n. 143/2007, rilasciata pochi mesi prima ed ancora efficace. In ogni caso, trattandosi di reati tutti contestati in concorso ex art. 110 cod. pen., è evidente come la responsabilità di Silvana Nastasi sia stata ritenuta per i fatti commessi durante il non breve, cruciale, periodo in cui ella fu legale rappresentante della SE.GI. Srl.
10.3. Contrariamente alla generica doglianza proposta con il secondo motivo di ricorso, rispetto alla data di consumazione del reato – precedente alla cessazione dalla carica di amministratrice – e tenendo conto delle sospensioni del corso della prescrizione precisate supra, sub § 8.4, il delitto non era certo prescritto al momento della pronuncia della sentenza impugnata.
10.4. Quanto al terzo motivo di ricorso, sulla scorta di ciò che si è più sopra argomentato lo stesso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza in relazione alla conferma delle statuizioni in favore delle parti civili costituite, essendo stata certamente raggiunta la prova della concorsuale commissione dei reati urbanistici contestati alla ricorrente. Trattandosi, peraltro, di condanna generica, la liquidazione dei danni direttamente connessi all’attività illecita da lei tenuta sarà valutata in sede civile.
10.5. La doglianza secondo cui non sarebbero stati accertati danni è invece inammissibile giusta la preclusione di cui all’art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen., trattandosi di violazione di legge – e connesso vizio di mancanza di motivazione – non dedotta nei motivi d’appello.
Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l’atto d’appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie ciò non è stato fatto e per questo soltanto il ricorso sul punto sarebbe inammissibile per genericità.
Deve aggiungersi che l’esame dell’atto d’appello ha consentito al Collegio di verificare che al punto 5 dei motivi di appello, quelli riservati alla condanna al risarcimento del danno riconosciuto in favore delle parti civili, non si contestasse la mancata prova di danni patiti dalle parti civili, sicché, a fronte delle specifiche argomentazioni svolte sul punto a pag. 50 della sentenza di primo grado, la Corte territoriale non era tenuta a rendere alcuna motivazione.
10.6. Come si accennava, per le ragioni esposte supra, sub § 8.4, è invece fondato l’ultimo motivo di ricorso quanto alla pena pecuniaria illegalmente inflitta. Benché questo profilo non abbia costituito specifico motivo di doglianza neppure nel ricorso proposto da Silvana Nastasi, essendosi dedotti violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’eccessiva pena inflitta, anche a prescindere dalla già segnalata rilevabilità d’ufficio della pena illegale, il punto può considerarsi devoluto a questa Corte, sì che, anche per questa ragione, ai sensi dell’art. 587, comma 1, cod. proc. pen., il rilievo dell’illegittimità della pena pecuniaria inflitta non può non giovare anche al coimputato Pettina.
Pure nei confronti di Silvana Nastasi, dunque, la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio con riguardo al capo F), nel frattempo prescrittosi, con assorbimento delle altre doglianze proposte in punto pena, dovendosi incidentalmente rilevare come fosse peraltro fondata anche quella concernente l’assoluta assenza di motivazione sul beneficio della non menzione della condanna, effettivamente richiesto con l’atto di appello (pag. 19).
10.7. Quanto, da ultimo, alla doglianza sulla confisca, anche a prescindere dal fatto che la stessa sarebbe inammissibile per difetto di interesse per le ragioni esposte supra, sub § 9, trattandosi di motivo fondato esclusivamente sulla pretesa assenza di responsabilità della ricorrente per i reati urbanistici prescritti, vale a dire su un presupposto di cui già è stata riconosciuta la manifesta infondatezza, la conclusione va ad esso del pari riferita.
    
11. Passando alla disamina del ricorso proposto nell’interesse di Francesco Rando, i primi quattro motivi ed i motivi nuovi ed aggiunti illustrati nella successiva memoria – da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione – non sono fondati.
Il ricorrente, nella qualità di dirigente del Dipartimento “Attività Edilizie e Repressione Abusivismo” del Comune di Messina, avendo rinunciato alla prescrizione, è stato dichiarato responsabile delle contravvenzioni di cui ai capi A), B), C) e D) dell’imputazione a titolo di concorso con i legali rappresentanti delle società proprietarie dei terreni.
Confermando la decisione di primo grado, la sentenza impugnata (pag. 62) precisa nitidamente che le ragioni dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato poggiano su una condotta in cui, in conformità all’addebito mosso in imputazione, sono individuabili sia un profilo di omesso controllo sulla legittimità degli atti prodromici della lottizzazione materiale più sopra descritta quali in precedenza adottati da altre autorità (vale a dire, come si è detto, lo stesso Programma di Costruzione e le prime concessioni edilizie per le opere di urbanizzazione e per l’esecuzione del primo lotto di lavori) con conseguente omessa adozione dei provvedimenti interdittivi e cautelari volti ad inibirne la prosecuzione, sia un profilo commissivo consistente nel rilascio, da parte sua, delle illegittime concessioni edilizie del 2009, afferenti alle varianti sul primo lotto di lavori ed all’esecuzione del secondo lotto di lavori.
Reputa il Collegio che tale conclusione, fondata su argomentazioni in fatto non illogiche, sia senza dubbio corretta in diritto, con le precisazioni di seguito indicate.
11.1. Va innanzitutto osservato che non è dirimente il richiamo che il ricorrente fa all’orientamento secondo cui le contravvenzioni urbanistiche costituirebbero reati propri e non sarebbero quindi addebitabili a soggetti diversi da quelli indicati nell’art. 29 T.U.E.
Nella giurisprudenza di questa Corte, invero, non mancano decisioni che – in linea con l’opinione della pressoché unanime dottrina – espressamente affermano che i reati urbanistici oggi previsti dall’art. 44 T.U.E. non hanno, di regola, natura di reati propri. Si è infatti ritenuto che tali contravvenzioni devono essere qualificate come reati comuni e possono dunque essere commesse da qualsiasi soggetto, fatta eccezione per le condotte di inottemperanza all'ordine di sospensione dei lavori, per quelle ascrivibili esclusivamente al direttore dei lavori, nonché per alcune fattispecie riconducibili alla lettera a) della norma in quanto riferibili a specifici destinatari (Sez.  3, n. 45146 del 08/10/2015, Fiacchino e a., Rv. 265443; Sez.  3, n. 47083 del 22/11/2007, Tartaglia, Rv. 238471).
Il contrario, prevalente, orientamento, formatosi in relazione alla disciplina prevista dalla l. 47 del 1985 (cfr., ex multis, Sez.  3, n. 5946 del 20/03/1987, Auricchio, Rv. 175940; Sez.  3, n. 9961 del 21/09/1988, Maglione, Rv. 179399; Sez.  3, n. 4779 del 04/02/1994, Romagnolo, Rv. 199113; in senso dubitativo, v. già Sez.  3, n. 7310 del 12/06/1996, Venè e aa., Rv. 206028) e tralaticiamente ribadito dopo l’approvazione del testo unico in materia edilizia, effettua invece un collegamento tra la citata disposizione incriminatrice ed il disposto oggi contenuto nell’art. 29, comma 1, T.U.E., che individuerebbe i soggetti responsabili delle contravvenzioni edilizie. Di fatto, tuttavia, tale ricostruzione dogmatica non ha effetti sostanziali, poiché si ammette pacificamente la possibilità del concorso del (ritenuto) extraneus che abbia apportato un contributo causale, rilevante e consapevole, alla realizzazione dell’evento (Sez.  3 n. 42105 del 19/06/2019, D’Alterio, Rv. 277054; Sez.  3, n. 6872 del 08/07/2016, dep. 2017, Petronelli e aa., Rv. 269301; Sez.  3, n. 16571 del 23/03/2011, Iacono e aa., Rv. 250147) ovvero, si precisa in altre decisioni, un contributo meramente colposo (Sez.  3, ord. n. 7765 del 07/11/2013, dep. 2014, Benigni, Rv. 258300; Sez.  3, n. 35084 del 25/03/2004, Barreca, Rv. 229651) o, ancora, che abbia tenuto una condotta denotante un vincolo univoco con il reato per il quale si procede (Sez.  3, n. 201 del 21/01/1999, Quaranta, Rv. 213170).
11.2. La dogmatica distinzione in parola è ancor meno rilevante nella contravvenzione di lottizzazione abusiva, nella cui ampia e variegata condotta – quale descritta dall’art. 30, comma 1, T.U.E. – possono inserirsi soggetti certamente diversi da quelli menzionati nell’art. 29, comma 1, T.U.E., senza che questa disposizione costituisca impedimento normativo, dovendo in realtà ad essa riconoscersi un effettivo valore precettivo soprattutto con riguardo all’individuazione di posizioni di garanzia in capo a chi rivesta le qualifiche ivi richiamate (per qualche applicazione cfr. Sez.  4, n. 27574 del 16/09/2020, Melis, Rv. 279960; Sez.  3, n. 38479 del 13/06/2019, Candido, Rv. 276762; Sez.  3, n. 47434 del 24/11/2011, Rossi, Rv. 251636; Sez.  3, n. 34602 del 17/06/2010, Ponzio, Rv. 248328).
Anzi, la tesi giusta la quale le contravvenzioni urbanistiche sarebbero reati propri e potrebbero essere commesse soltanto dai soggetti indicati nell’art. 29 T.U.E. si rivela all’evidenza inadeguata con riguardo al reato lottizzazione abusiva, posto che le qualifiche in essa indicate (il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore, il direttore dei lavori) non esauriscono certo la condotta illecita tipica descritta nell’art. 30, comma 1, T.U.E. E basti pensare, nella lottizzazione abusiva c.d. negoziale, al venditore lottizzante (v. Sez.  3, n. 42361 del 18/09/2013, Barra e aa., Rv. 257731; Sez.  3, n. 42361 del 18/09/2013, Barra e aa., Rv. 257731), ovvero all’acquirente, in mala fede, che ancora non abbia posto mano alla trasformazione del suolo o che si sia limitato ad acquistare l’edificio da altri costruito nell’ambito di una lottizzazione illecita (cfr. Sez.  3, n. 39078 del 13/07/2009, Apponi e a., Rv. 245345). Tali soggetti non figurano nell’art. 29, comma 1, T.U.E., ma la loro condotta è certamente essenziale, in particolare per realizzare il reato di lottizzazione abusiva allorquando questa si esaurisca nella forma negoziale.
Laddove, poi, la condotta illecita si manifesti anche (lottizzazione c.d. mista) ovvero soltanto (lottizzazione c.d. materiale) nella concreta trasformazione del suolo, trattandosi, di regola, di reato di durata che può protrarsi sino al completamento dei manufatti realizzati sulle aree illecitamente lottizzate (cfr. Sez.  3, n. 48346 del 20/09/2017, Bortone e aa., Rv. 271330; Sez.  3, ord. n. 24985 del 20/05/2015, Diturco e a., Rv. 264122; Sez.  3, n. 35968 del 14/07/2010, Rusani e a., Rv. 248483), nell’iter criminoso ben possono intervenire, in tempi diversi, distinti soggetti, ciascuno dei quali apporti un contributo causale all’illecita trasformazione del suolo. Al proposito, questa Corte ha da tempo avvertito che, in tema di concorso di persone nel reato di lottizzazione abusiva, la correità non investe la partecipazione alle singole azioni rilevanti sul piano della qualificazione criminosa e, segnatamente, la edificazione delle singole opere, poiché, per la natura stessa del reato di lottizzazione, il concorso non implica lo svolgimento di attività dello stesso tipo da parte degli autori dell'abuso (Sez.  3, n. 6970 del 04/05/1988, Antonuccio, Rv. 178595). Oltre ai venditori lottizzanti, agli acquirenti non in buona fede, ai soggetti che a diverso titolo intervengono nell’attività edificatoria (a cominciare da quelli indicati nell’art. 29, comma 1, T.U.E.), nella casistica giurisprudenziale si ritrova l’affermazione di responsabilità concorsuale per altri soggetti che, sussistendo il necessario elemento soggettivo, abbiano dato un contributo causale all’illecita trasformazione del suolo (v., ad es.: Sez.  3, Sentenza n. 9403 del 15/06/1983, Luciani, Rv. 161077, con riguardo al concorso del geometra che predispose il piano di lottizzazione, di cui richiese ed ottenne l'approvazione da parte dell'UTE; Sez.  3, n. 10061 del 13/07/1995, Barletta e aa., Rv. 203472, con riguardo al tecnico che ebbe ad operare l'ulteriore frazionamento di particelle già frazionate, comprese anch'esse nella maggiore estensione della proprietà originaria, poiché anche lui inseritosi con efficienza causale nel determinismo produttivo dell'evento; Sez.  3, n. 12989 del 08/11/2000, Petracchi, Rv. 218015, con riguardo al notaio rogante gli atti di vendita dei lotti). Tra questi trova collocazione anche il funzionario comunale che abbia concorso nel rilascio dei titoli edilizi; si è al proposito affermato, infatti, che sussiste la responsabilità a titolo di concorso nel reato di lottizzazione abusiva del tecnico comunale che, in funzione di capo della Ripartizione edilizia privata, abbia apposto il visto sulle licenze edilizie, in quanto detta condotta, conferendo una valutazione positiva all'operato dei funzionari all'uopo preposti, si inserisce con efficacia eziologica nella determinazione dell'evento lesivo, costituendo una tappa necessaria nell'iter procedimentale (Sez.  3, n. 30141 del 14/06/2002, Drago, Rv. 222191).
11.3. In tali casi, più in generale, è stata non di rado correttamente affermata la responsabilità concorsuale del funzionario comunale che, violando le previsioni urbanistiche o le norme di legge, abbia illegittimamente contribuito a rilasciare il titolo edificatorio in forza del quale altri abbia poi realizzato un abuso edilizio anche con riguardo al meno grave reato di costruzione sine titulo nella specie ravvisabile. Si è ad es. ritenuto configurabile il concorso nel reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, commesso dal privato che abbia realizzato un intervento in contrasto con gli strumenti urbanistici, a carico del funzionario comunale nominato responsabile del procedimento che, procedendo ad istruire la pratica edilizia, abbia colposamente espresso parere favorevole al rilascio di un titolo abilitativo illegittimo, in tal modo apportando un contributo causale rilevante ai fini della determinazione dell'evento illecito (Sez.  3, ord. n. 7765 del 07/11/2013, dep. 2014, Benigni, Rv. 258300), come pure del dirigente dell'area tecnica comunale che abbia rilasciato una concessione edilizia (ora permesso di costruire) illegittima (Sez.  3, n. 4911 del 14/07/2016, dep. 2017, Scarpa, Rv. 269260; Sez.  3, n. 19566 del 25/03/2004, D’Ascanio, Rv. 228888).
A differenza di quanto ritenuto nelle due decisioni da ultimo citate – che hanno fondato la responsabilità sulla posizione di garanzia rilevante ex art. 40, secondo comma, cod. pen. – reputa il Collegio che, come invece correttamente ritenuto nelle altre pronunce citate e relative a casi analoghi, si tratti di condotta commissiva, concretizzatasi nell’adozione di un atto amministrativo illegittimo costituente necessario antecedente causale, ex art. 41, primo comma, cod. pen., rispetto all’illecita trasformazione del territorio che sulla base di esso altri poi realizzi.
11.4. Oltre al rapporto di causalità materiale è tuttavia ovviamente necessario anche il richiesto coefficiente psicologico, che – come correttamente di regola precisato in tutte le numerose pronunce più sopra richiamate – può indifferentemente essere di natura colposa o dolosa, giusta la generale previsione di cui all’art. 42, quarto comma, cod. pen., ciò che vale non soltanto con riguardo al reato di costruzione sine titulo, ma anche per la lottizzazione abusiva. Superando un risalente, contrario, orientamento, la giurisprudenza di questa Corte è infatti da tempo attestata sul principio secondo cui il reato di lottizzazione abusiva può essere integrato anche a titolo di sola colpa (Sez.  3, n. 15205 del 15/11/2019, dep. 2020, Capuano, Rv. 278915-02; Sez.  3, n. 38799 del 16/09/2015, De Paola, Rv. 264718; Sez.  3, n. 17865 del 17/03/2009, Quarta e aa., Rv. 243750; Sez.  3, n. 36940 del 11/05/2005, Stiffi e a., Rv. 232189).
Per questa ragione non rileva la contestazione che il ricorrente, richiamando una recente decisione di questa Corte (Sez.  3, n. 42105 del 19/06/2019, D’Alterio, Rv. 277054), muove alla sentenza impugnata con riguardo al fatto che si sarebbe illegittimamente affermato il concorso colposo in un reato doloso. Difatti, non viene qui in discussione il principio, non incontroverso, secondo cui non è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso in assenza di una espressa previsione normativa, non ravvisabile nell'art. 113 cod. pen., che contempla esclusivamente la cooperazione colposa nel delitto colposo (Sez.  4, n. 7032 del 19/07/2018, dep. 2019, Zampi, Rv. 276624; Sez.  5, n. 57006 del 05/10/2018, Curti, Rv. 274626-02; contra, Sez.  4, n. 22042 del 27/04/2015, Donatelli e aa., Rv. 263499; Sez.  4, n. 34748 del 04/05/2010, Vollono e a., Rv. 248343). Detto principio, invero, non rileva nel caso di specie per due ragioni.
In primo luogo, perché il reato ascritto al ricorrente non è un delitto, ma una contravvenzione, sicché l’art. 113 cod. pen. – disposizione il cui significato e la cui funzione, com’è noto, sono particolarmente controversi anche in dottrina – non è qui direttamente invocabile, trattandosi di norma che disciplina la sola cooperazione nel delitto colposo. Secondo il prevalente orientamento dottrinale, il concorso nelle contravvenzioni trova invece la propria disciplina incriminatrice nella generale previsione, che riguarda qualsiasi reato, di cui all’art. 110 cod. pen., ciò che, nella materia de qua, è stato più o meno implicitamente ritenuto in tutte le decisioni, più sopra citate, che hanno ravvisato il concorso di diversi soggetti nelle contravvenzioni urbanistico-edilizie.
In secondo luogo, anche a volerne ritenere l’applicabilità sul rilievo che la cooperazione nel reato colposo quale espressamente prevista dall'art. 113 cod. pen. per i soli delitti sarebbe riferibile anche alle contravvenzioni della stessa natura, ai sensi dell'art. 43, secondo comma, cod. pen., per il quale la distinzione tra reato doloso e colposo, stabilita dalla legge per i delitti, si applica anche alle contravvenzioni ogni qualvolta da tale distinzione discendono effetti giuridici (così, espressamente, Sez.  3, n. 48016 del 05/11/2014, Galluzzi e aa., Rv. 261165; Sez.  1, n. 138 del 15/11/1994, dep. 1995, Composto e aa., Rv. 200095), nel caso di specie la richiamata disposizione sul concorso non sarebbe in alcun modo ostativa. Come detto, difatti, secondo l’ormai prevalente, condivisibile, orientamento di questa Corte, la contravvenzione di lottizzazione abusiva è punibile anche soltanto a titolo di colpa e, nel caso di specie, i giudici di merito mostrano di avere accertato nei confronti di tutti gli imputati condotte sostanzialmente colpose. Per questo non giova il richiamo alla citata sent. n. 42105 del 2019, avendo in tal caso questa Corte escluso – diversamente da quanto era stato fatto con la sentenza impugnata - la possibilità di affermare il concorso colposo in una contravvenzione che i giudici di merito avevano invece in concreto ritenuto di natura dolosa (il caso, peraltro, era molto particolare, perché riguardava la condotta di uno dei componenti della commissione edilizia comunale che aveva reso parere favorevole al rilascio di un titolo edilizio, poi ritenuto illegittimo, in base al quale era stata realizzata la condotta di illecita lottizzazione, vale a dire la condotta di un soggetto peraltro neppure investito, come la sentenza puntualmente osserva, della posizione di garanzia di cui all’art. 27 T.U.E.).
 11.5. Va, pertanto, affermato il principio secondo cui il dirigente dell’ufficio tecnico comunale che, con condotta commissiva sorretta da colpa cosciente, illegittimamente rilasci un titolo edilizio in forza del quale avvenga – o prosegua - una trasformazione del suolo integrante il reato colposo di lottizzazione abusiva materiale concorre nella medesima contravvenzione, avendo apportato un contributo causale rilevante, cosciente e consapevole, nella realizzazione dell’illecito urbanistico. Ricorrono, difatti, tutti gli elementi richiesti anche in dottrina per poter ravvisare una responsabilità concorsuale commissiva in un reato colposo, vale a dire: una condotta agevolatrice rispetto alla commissione del fatto tipico; la violazione di una regola cautelare da parte dell’agente; la consapevolezza che la propria azione si lega all’attività di trasformazione del territorio posta in essere da altri soggetti (quantomeno) poco attenti all’osservanza delle stesse regole cautelari che gravano sull’agente.
11.6. La sentenza impugnata ha fatto buon governo di tale principio e le doglianze al proposito mosse dal ricorrente circa l’insussistenza di un contributo causale e dell’elemento soggettivo sono infondate.
11.6.1. Quanto al primo profilo, contrariamente a quanto si allega in ricorso, non rileva che la lottizzazione illecita fosse (certamente) iniziata già prima che l’ing. Rando adottasse le illegittime concessioni edilizie che autorizzavano la prosecuzione dell’intervento con riguardo ai lavori in variante del primo lotto ed all’esecuzione dei lavori del secondo lotto ed in forza delle quali le opere illecite proseguirono sino all’adozione dei provvedimenti interdittivi di cui più sopra si è dato conto. Come si è visto, la contravvenzione in esame è spesso – e comunque lo è in questo il caso - reato di durata e dunque ne risponde chi, in una qualunque fase, si inserisca nell’iter illecito apportandovi un contributo.
Come già si è più sopra precisato analizzando i motivi del ricorso proposto da Giuseppe Pettina e come ulteriormente si ribadirà analizzando i motivi proposti da Francesco Rando con riguardo alle diverse contestazioni di cui ai capi A), B), C) e D) di imputazione, le concessioni edilizie rilasciate dal ricorrente sono da ritenersi illegittime per tutti i profili fatti oggetto di addebito.
11.6.2. Con riguardo all’elemento soggettivo, la sentenza impugnata, con motivazione non illogica, ha ravvisato quantomeno la colpa cosciente dell’ing. Rando, sia con riguardo ai profili di illegittimità delle concessioni da lui rilasciate, sia, più in generale, con riguardo al fatto che la trasformazione del territorio in questione, nel cui iter la sua condotta si inserì, poneva seri problemi di compatibilità con la disciplina urbanistica sostanziale e, ad un più attento, doveroso, esame, sarebbe certamente stata qualificabile come contra legem da parte di un soggetto esperto che svolgeva la funzione amministrativa apicale da lui ricoperta e che ebbe modo di concretamente valutare il precedente iter amministrativo.
Ed invero, con argomentazioni non certo illogiche, la sentenza ha al proposito valorizzato l’articolata nota del 13 luglio 2009 con cui il ricorrente, in prima battuta, respinse l’istanza avanzata dalle società proprietarie affinché si procedesse ad una procedura di screening semplificata che escludesse la necessaria VINCA per l’approvazione della prima variante alla concessione edilizia per l’edificazione del secondo lotto, variante estremamente significativa quanto all’incidenza delle opere, nota la sentenza (pag. 65). In detta nota – il cui contenuto è riportato alle pagg. 64 ss. della sentenza impugnata – il ricorrente espressamente, e del tutto correttamente, argomentava le ragioni per cui non si poteva applicare la procedura semplificata, spiegando che mai essa era stata adottata in casi simili, essendo necessario procedere alla valutazione di incidenza ambientale da parte della competente commissione comunale, composta da esperti in diverse discipline, e attestava «(come scritto dal consulente ambientale il 5.6.2008 in riferimento ad un esposto inviato da un’associazione ambientalista) che l’area interessata è oggetto di dissesto idrogeologico, comporta impatti visivi, necessita della gestione delle acque superficiali e che per la stessa, originariamente erano stati richiesti dalla competente commissione consultiva comunale, per lo studio di incidenza, in considerazione dell’entità dell’opera progettuale, appositi elaborati di approfondimento». Nonostante la consapevolezza della necessità della VINCA – e dei problemi di dissesto idrogeologico che il Programma Costruttivo poneva, dell’impatto sull’ambiente e degli esposti già presentati da un’associazione ambientalista – a seguito di una memoria presentata il successivo 24 luglio dal tecnico che assisteva le società, il 7 agosto 2009, «con un “cambio di rotta” repentino e di fatto immotivato», si legge in sentenza, l’ing. Rando modificò radicalmente la propria posizione, esprimendo parere favorevole allo screening e contestualmente rilasciando la concessione edilizia n. 114/2009 in variante rispetto alla 45/2009, da lui già in precedenza emessa, in violazione dell’art. 5 d.P.R. 9 settembre 1997, n. 357. Questa opaca, e comunque illegittima, condotta – ha logicamente argomentato la sentenza impugnata – rivela: per un verso, la consapevolezza del degrado idrogeologico dell’area su cui si operava la lottizzazione, delle criticità che l’imponente intervento edilizio presentava, del fatto che fossero stati addirittura presentati esposti; per altro verso, l’iniziale consapevolezza dell’illegittimità della richiesta, peraltro contrastante con la prassi amministrativa del Comune, non adeguatamente superata dalla poco comprensibile formula burocratica con cui, circa tre settimane dopo, l’imputato rilasciò invece la concessione in variante in assenza di VINCA.
Un profilo soggettivo, dunque, nella più favorevole delle ipotesi quantomeno sorretto da colpa cosciente, nella misura in cui il paradigma della colpevole previsione dell’evento di cui all’art. 43, primo comma, cod. pen. può essere esteso, al di là della causalità naturalistica, anche all’evento giuridico, vale a dire alla realizzazione dell’offesa del bene penalmente protetto (nel caso di specie, la trasformazione del territorio in contrasto con la disciplina urbanistica sostanziale). Ben si attaglia anche al caso di specie, invero, il principio da ultimo affermato dalle Sezioni unite di questa Corte circa il fatto che ricorre la colpa cosciente quando la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astiene dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (Sez.  U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e aa., Rv. 261104-01; Sez.  4, n. 35585 del 12/05/2017, Schettino, Rv. 270776).
Contrariamente a quanto allega il ricorrente, proprio per la diversa natura del coefficiente psicologico accertato e nella specie sufficeinte, questa conclusione non è contraddittoria rispetto all’assoluzione di Francesco Rando – pronunciata già in primo grado – dal delitto di abuso di ufficio contestatogli al capo G) di imputazione con riguardo all’adozione della concessione in variante in assenza di VINCA. L’assoluzione – ricorda la sentenza impugnata – poggiava sulla mancanza di prova certa circa il dolo intenzionale richiesto dall’art. 323 cod. pen., argomentata anche dal fatto che non erano emersi rapporti di alcun tipo tra il funzionario e le società richiedenti, sicché non poteva ritenersi, al di là di ogni ragionevole dubbio, che egli intendesse indebitamente avvantaggiarle. Immediatamente dopo, peraltro, la sentenza dà tuttavia conto delle dichiarazioni rese in  interrogatorio, in un procedimento connesso, da tale Biagio Grasso, soggetto cui è riferibile la SE.GI Srl - verbale acquisito sull’accordo delle parti in sede di rinnovazione istruttoria dibattimentale in grado d’appello – con cui il medesimo riferiva di aver saputo dal precedente titolare della società e dai titolari della PETT Srl che l’ing. Rando e un altro funzionario comunale avevano omesso il controllo sull’attività edilizia in cambio di 14 appartamenti che sarebbero stati realizzati nel terzo lotto. La sentenza impugnata valorizza tali dichiarazioni quale «generica conferma dell’impianto accusatorio», senza tuttavia concludere per la sussistenza, con esclusivo riferimento alle contravvenzioni ancora sub iudice, di una condotta dolosa di corruzione, essendo a tal fine sufficiente ravvisare un profilo di colpa nei termini più sopra descritti. Per questa ragione il richiamo a quell’elemento di prova non è decisivo e sono pertanto prive di specificità le contestazioni mosse dal ricorrente circa l’utilizzabilità di quelle dichiarazioni in difetto di un vaglio di soggettiva attendibilità del dichiarante, risultando comunque superata la c.d. “prova di resistenza”, applicabile anche nel giudizio di legittimità (Sez.  2, n. 30271 del 11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303), con conseguente inammissibilità per genericità della relativa doglianza (Sez.  2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv. 269218; Sez.  6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452). Va peraltro osservato che – collocandosi questo sopravvenuto elemento di prova in modo del tutto armonico rispetto ai restanti, di per sé già sufficienti, elementi di valutazione – la sentenza impugnata ha evidentemente ritenuto, sia pur in modo implicito (ciò che pure è dipeso dal fatto che il verbale è stato acquisito con il consenso di tutte le parti processuali), come quelle dichiarazioni fossero attendibili, così sostanzialmente operando quel vaglio di credibilità soggettiva del dichiarante e di attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni che – per consolidato orientamento di questa Corte - non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (Sez.  U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina e aa., Rv. 255145; Sez.  4, n. 34413 del 18/06/2019, Khess Kalid, Rv. 276676; Sez.  1, n. 22633 del 05/02/2014, Pagnozzi, Rv. 262348). Nel criticare il giudizio finale, il ricorso – sul punto privo di specificità – non individua le ragioni che avrebbero invece dovuto indurre a concludere per la non attendibilità del dichiarante e/o delle dichiarazioni.
11.7. Benché la condotta commissiva più sopra evidenziata sia di per sé già sufficiente a consentire l’affermazione del concorso del ricorrente nell’attività lottizzatoria, rivelando la totale infondatezza della doglianza sollevata con riguardo alla violazione del principio costituzionale di personalità della responsabilità penale, la sentenza impugnata non presta il fianco a censure neppure nella parte in cui – con rilievo che a questo punto si pone ad abundantiam rispetto alla conclusione raggiunta – ha rilevato pure una contestuale condotta concorrente omissiva. Ed invero, l’ing. Rando, pur avvedutosi dei profili di illegittimità dell’operazione di trasformazione del suolo che era in essere - giusta i rilievi più sopra operati sub § 11.6.2., avendo dato lui stesso atto, nella sua nota del 13 luglio 2009, che associazioni ambientaliste avevano al proposito presentato un esposto – quantomeno colposamente (e “pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito”, per dirla con le parole della citata sentenza Espenhahn) non esercitò i poteri-doveri di vigilanza di cui all’art. 27 T.U.E., astenendosi dall’ordinare la sospensione cautelativa dei lavori ai sensi del terzo comma e dall’adottare i successivi provvedimenti di autotutela e sanzionatori che il suo successore finalmente poi assunse, pur compulsato dai rilievi ispettivi effettuati dal Genio civile anche in relazione ai concreti pericoli per l’incolumità pubblica che l’esecuzione dei lavori presentava (v. supra, sub §. 1).
La citata disposizione, invero, anche alla luce dell’attribuzione delle relative competenze dal sindaco ai dirigenti comunali ex art. 107, comma 3, lett. g) d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, fonda una posizione di garanzia per culpa in vigilando (cfr. Sez.  3, n. 36571 del 21/06/2011, Garetto, Rv. 251242) certamente idonea a configurare, ex art. 40, secondo comma, cod. pen., la responsabilità concorsuale del responsabile del competente ufficio comunale sulle illecite trasformazioni edilizie del territorio che, pur iniziate in epoca precedente (ed in forza di provvedimenti amministrativi da altri rilasciati) siano tuttora in itinere, ciò che spesso può accadere proprio con riguardo ad un tipico reato di durata qual è la lottizzazione abusiva nella forma c.d. materiale o mista. Tale forma di responsabilità – sussistendone gli elementi oggettivo e soggettivo, quali nella specie non illogicamente argomentati dalla sentenza impugnata – è stata ritenuta configurabile da plurime pronunce di questa Corte a cui deve senz’altro darsi continuità (Sez.  3, n. 5439 del 25/10/2016, dep. 2017, Colasante, Rv. 269247; Sez.  3, n. 9281 del 26/01/2011, Bucolo, Rv. 249785).
    L’ing. Rando, dunque, quale soggetto titolare della posizione di garanzia di cui all’art. 27 T.U.E. per essere dirigente del Dipartimento “Attività Edilizie e Repressione Abusivismo” del Comune di Messina, intervenuto nel procedimento lottizzatorio con cognizione di causa – proprio perché richiesto di adottare ulteriori provvedimenti concessori che si inserivano nell’esecuzione del Programma di Costruzione – aveva l’obbligo di esercitare, tra l’altro, «la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge ed di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici» (art. 27, comma 1, T.U.E.), compresa la rispondenza alla disciplina sulla tutela del vincolo idrogeologico, essendo la stessa, quale contenuta nel r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267, espressamente richiamata nel secondo comma della citata disposizione. Proprio per la particolare funzione svolta dal ricorrente non giova al medesimo il richiamo – contenuto nella memoria contenente motivi aggiunti - alla recente sent. Sez. 3, n. 7210 del 08/10/2019, dp. 2020, Scorziello e a., n.m., che si è pronunciata con riguardo alla condotta di un soggetto, componente della commissione igienico-edilizia comunale, certamente non titolare della posizione di garanzia di cui all’art. 27 T.U.E.
    11.8. La sentenza impugnata, dunque, ha fatto buon governo del principio di diritto secondo cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, tenuto ad esercitare la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia ai sensi dell’art. 27, comma 1, T.U.E., il quale, a fronte dell’evidente illegittimità di una trasformazione urbanistica del suolo in itinere, con colpa cosciente non adotti i provvedimenti cautelari e sanzionatori previsti dalla stessa disposizione e da quelle successive, così consentendo la prosecuzione dell’illecita condotta di abuso, concorre, ex art. 40, secondo comma, cod. pen. nel reato permanente (o progressivo nell’evento) di cui all’art. 44, comma 1, T.U.E. da altri materialmente commesso.
La illecita trasformazione del suolo che costituisce elemento oggettivo del reato di lottizzazione abusiva materiale secondo la definizione datane dall’art. 30, comma 1, T.U.E. – ma lo stesso vale per l’esecuzione di lavori in difformità o in assenza dal permesso di costruire, ovvero di prosecuzione nonostante l’ordine di sospensione - rappresenta, infatti, evento illecito per il quale vale la regola dell’equivalenza causale posta dall’art. 40, secondo comma, cod. pen., la quale, non essendo ravvisabili elementi ostativi nella formulazione della norma, trova applicazione, in particolare nel caso di concorso di persone, anche al di là dei c.d. reati causali puri, come la casistica delle pronunce di questa Corte indubbiamente rivela (cfr., ex multis: Sez.  F, n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939-02; Sez.  6, n. 27187 del 13/04/2018, Spinella, Rv. 273583; Sez.  5, n. 7332 del 07/01/2015, Fasola, Rv. 262767; Sez.  3, n. 22919 del 06/04/2006, Rv. 234474). In particolare, in questa accezione – condivisa pure in dottrina – l’evento preso in considerazione dall’art. 40, secondo comma, cod. pen. può essere anche quello tipico di un reato commissivo, da altri realizzato, che il titolare della posizione di garanzia ha l’obbligo d’impedire.

    12. Il quinto ed il sesto motivo di ricorso – da esaminarsi congiuntamente – sono inammissibili per genericità e manifesta infondatezza.
    Richiamando quanto più sopra già osservato circa la correttezza in diritto e la logicità della motivazione  con riguardo alla ritenuta sussistenza dei profili di responsabilità contestati ai correi sub capo A d’imputazione (supra, §§ 3 e 4 ss.), si osserva come neppure le doglianze proposte dal ricorrente Rando – sostanzialmente non dissimili da quelle sul punto proposte dal ricorrente Pettina – scalfiscano la motivazione della sentenza impugnata, né quanto all’evidente illegittimità originaria del Programma di Costruzione, né quanto all’illegittimità (derivata) delle concessioni edilizie in base al medesimo rilasciate, alcune delle quali peraltro pure sprovviste del parere sul vincolo idrogeologico e della necessaria VINCA, ciò di cui il ricorrente si sarebbe necessariamente dovuto accorgere al momento del rilascio delle concessioni edilizie del secondo lotto di lavori e di quelle rilasciate in variante rispetto ai lavori del primo lotto, con conseguente obbligo di adottare i provvedimenti interdittivi e sanzionatori di cui si è detto.
    Si ribadisce, inoltre, come la sentenza impugnata attesti che autonomi profili di illegittimità caratterizzavano anche le concessioni edilizie rilasciate dall’ing. Rando nel 2009, posto che
    • le due concessioni edilizie in variante (nn. 146/2009 e 153/2009) dell’originaria concessione per i lavori del primo lotto (la n. 173/2006) furono rilasciate con la – sibillina – condizione del preventivo parere relativo alla Z.P.S. “qualora ricorra”, senza considerare che la VINCA (da effettuarsi prima del rilascio della concessione, ex art. 5, comma 8, d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, applicabile ratione temporis secondo il più esteso campo di operatività che la norma aveva prima dell’approvazione dell’art. 57, comma 2, l. 28 dicembre 2015, n. 221) era certamente necessaria e che il provvedimento originario era peraltro illegittimo perché non preceduto dalla VINCA (peraltro espressamente richiesta – e, dunque, non incolpevolmente omettibile - nel nulla-osta rispetto al vincolo idrogeologico);
    • la favorevole VINCA rilasciata per i lavori del secondo lotto, che precedette il rilascio delle concessioni nn. 45/2009 e 114/2009 poggiava su un presupposto manifestamente falso, costituito dalla affermata “assenza di significativi sbancamenti”, smentito dalla stessa relazione accompagnatoria del progetto – di cui pertanto il ricorrente si sarebbe dovuto accorgere – la quale evidenziava la costruzione di un muro in cemento armato dell’altezza di mt. 10,80, mentre la variante da ultimo approvata (la 114/2009) non fu neppure formalmente preceduta dalla VINCA effettuata dalla competente commissione, essendosi il ricorrente da ultimo, ed immotivatamente, accontentato di uno screening, dopo aver egli stesso argomentato l’illegittimità di questa procedura semplificata;
    • con riguardo ai titoli edilizi di cui sopra, rilasciati in variante rispetto alle originarie, illegittime, concessioni edilizie del primo e del secondo lotto, va in ogni caso precisato che, in tema di lottizzazione abusiva, il rilascio di un permesso di costruire "in variante" ad un precedente permesso illegittimamente rilasciato non sana l'illegittimità di quest'ultimo né rende legittima l'attività edilizia successivamente svolta, costituente lo sviluppo dell'originaria attività e, quindi, da considerarsi abusiva se effettuata in mancanza del rilascio di un nuovo e diverso permesso di costruire rispettoso della normativa urbanistica (Sez.  3, n. 25925 del 17/06/2020, Morinelli, Rv. 280038; Sez.  3, n. 10713 del 28/01/2009, Leo, Rv. 243109).

    13. Del pari inammissibili per genericità e manifesta infondatezza è il settimo motivo di ricorso, in relazione alla contestazione di cui al capo B).
    Come già si è osservato supra (§ 5), analizzando l’analogo motivo di doglianza al proposito proposto dal ricorrente Pettina, del tutto correttamente e logicamente la sentenza impugnata ha attestato che, in difetto di variante, le opere realizzate – quelle di urbanizzazione e quelle relative al primo ed al secondo lotto – hanno comportato la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni stessi in violazione, sotto diversi profili, del Programma di Costruzione. Non essendo in questa sede consentito – come il ricorrente tenta invece di fare – rivalutare, in fatto, la ritenuta, significativa, difformità di quanto autorizzato con lo strumento urbanistico, in questa prospettiva è d’immediata evidenza, e non necessita di ulteriori chiose, ex art. 30, comma 1, prima parte, d.P.R. 380/2001, la sussistenza della contestata lottizzazione abusiva ed il colpevole contributo causale alla stessa dato dalla condotta direttamente tenuta dall’ing. Rando per il rilascio di concessioni edilizie in contrasto con il richiamato strumento urbanistico esecutivo. Per questa ragione è ictu oculi irrilevante la lamentata omessa risposta alla doglianza con cui si era argomentato che non sarebbe spettato al dirigente Rando mettere in discussione un progetto giudicato rispondente a quanto previsto nell’Atto Unilaterale d’Obbligo del 19 marzo 2004, non essendo certo quest’atto privato il parametro di legalità a cui il funzionario comunale avrebbe dovuto informare l’esercizio del potere-dovere a lui affidato, posto, invece, che il titolo edilizio «è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente» (art. 12, comma 1, T.U.E.). Generico ed irrilevante, a quest’ultimo proposito, è il riferimento all’art. 65 bis n. att. PRG, che, quanto alla rete viaria, riguarda il discostamento – a certe condizioni consentito - del progetto esecutivo dalle previsioni del piano regolatore generale e non già la violazione del piano esecutivo approvato.

14. Richiamando ciò che si è osservato supra, sub § 6, vanno ritenuti inammissibili per genericità e manifesta infondatezza anche l’ottavo ed il nono motivo del ricorso proposto da Francesco Rando, le cui doglianze non scalfiscono – e neppure si confrontano con – le argomentazioni, corrette e logiche, spese nella sentenza impugnata per rilevare come le concessioni edilizie rilasciate in base al  cronoprogramma, anche quelle a firma del ricorrente, contrastassero con il d.m. 1444/1968 e con l’art. 45 Reg. Ed.
Diversamente da quanto si lamenta in ricorso, poi, la sentenza non addebita agli imputati un profilo di contrasto, non fatto oggetto di contestazione, tra quanto eseguito e quanto previsto dal cronoprogramma, ma richiama l’accertamento dello stato dei luoghi effettuato dai consulenti del pubblico ministero – non criticato nemmeno dal ricorrente Rando – per attestare come il rilascio delle concessioni edilizie fosse avvenuto, in spregio alla normativa richiamata, senza la previa realizzazione delle necessarie opere di urbanizzazione funzionali all’utilizzo dei lotti da edificare.

15. Sono inammissibili per genericità e manifesta infondatezza anche le doglianze proposte con il decimo e l’undicesimo motivo di ricorso, posto che il ricorrente non si confronta in alcun modo con le diffuse argomentazioni svolte nella sentenza impugnata circa il fatto che nessuna delle due opere viarie fondamentali per rendere fruibile a scopi residenziali l’area lottizzata, quali previste dal Piano Regolatore Generale, erano state realizzate, con conseguente illegittimità della lottizzazione e delle concessioni edilizie rilasciate per violazione dell’art. 2 n. att. PRG, né si confronta con la valutazione circa l’insufficienza della rete viaria specificamente prevista nel Programma di Costruzione e con l’attestazione che neppure quest’ultima era stata realizzata, essendo stata (illegittimamente) soppressa in sede di esecuzione dei lavori una delle due strade.
All’evidenza generica, poi, è la dedotta contestazione di travisamento delle dichiarazioni rese dai testimoni architetti Parlato e La Fauci, dichiarazioni che – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso – il ricorrente non trascrive, né allega, così non consentendo a questa Corte alcun tipo di sindacato, non essendo al proposito sufficiente il generico rinvio a quanto dedotto nell’atto di appello. Va qui ribadito, difatti, il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez.  3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 25/02/2019, C., Rv. 275853-02; Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014, dep. 2015, B. e a., Rv. 264879). Per altro verso, la deduzione del vizio di travisamento della prova postula che la motivazione risulti incompatibile con altri atti del processo indicati in modo specifico ed esaustivo dal ricorrente nei motivi del suo ricorso (c.d. autosufficienza), in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr. Sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, Gagliardo e a., Rv. 241449). Ne deriva che il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l'omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece, a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez.  3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Papini, Rv. 274816; Sez.  6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).

16. Quanto all’ultimo motivo del ricorso proposto da Francesco Rando, le doglianze rassegante con riguardo alla quantificazione della pena sono inammissibili, giusta la preclusione di cui all’art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen., trattandosi di violazione di legge – e connesso vizio di mancanza di motivazione – non dedotta nei motivi d’appello.
Richiamandosi, al proposito, i principi già esposti supra, sub § 10.5, deve osservarsi come il ricorrente non abbia contestato l’omessa indicazione, nella sentenza impugnata, di motivi di gravame sulla pena da lui effettivamente proposti e l’esame dell’atto d’appello ha consentito al Collegio di verificare che alcuna doglianza sul trattamento sanzionatorio era stata devoluta alla Corte territoriale.
16.1  Con riguardo alla condanna al risarcimento dei danni ed al rimborso delle spese processuali nei confronti delle parti civili costituite, la sentenza impugnata afferma che le pretese risarcitorie avanzate da tutte le parti civili costituite si riferivano alle unità abitative comprese nel secondo lotto di lavori, vale a dire quello direttamente riconducibile alle illegittime concessioni edilizie rilasciate dal ricorrente, e che questi non aveva specificamente contestato l’affermata titolarità degli immobili da parte dei danneggiati intervenuti in giudizio, con conseguente genericità della doglianza proposta con il gravame e qui  nuovamente, negli stessi generici termini, reiterata.
La sentenza, del tutto logicamente, ha inoltre ritenuto che il danno patito dai privati fosse quantomeno parametrabile alla intervenuta confisca degli immobili, mentre i danni patiti dalle altre parti civili – ed in particolar modo dal Comune di Messina – vengono qui contestati sul generico rilievo, che si è dimostrato essere destituito di fondamento, della liceità della condotta tenuta dall’imputato.

17. Venendo, da ultimo, al ricorso proposto nell’interesse del responsabile civile Comune di Messina, posto che si deducono, in maniera peraltro assai stringata, violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’affermata responsabilità penale dell’ing. Rando in relazione ai capi d’imputazione A), B), C), D), senza nulla aggiungere a quanto da quest’ultimo fatto oggetto di espressa doglianza, i motivi sono da ritenersi all’evidenza infondati per le ragioni più sopra dettagliatamente esposte esaminando il ricorso dell’imputato.

18. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, nei confronti di Pettina Giuseppe e Nastasi Silvana, limitatamente al capo F), perché il reato è estinto per prescrizione, con declaratoria di inammissibilità nel resto di entrambi i ricorsi. I ricorsi di Francesco Rando e del responsabile civile – nel complesso infondati con particolare riguardo a quanto osservato ai §§ 11 ss. e 12 – vanno invece rigettati con condanna dei suddetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Essendo tutti gli imputati ricorrenti soccombenti rispetto all’azione esercitata in processo dalle parti civili costituite, gli stessi devono essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Messina, Associazione WWF Italia, Società Cooperativa Costruzioni Convenzionate, Ferrito Giuseppe, Giovanni Maugeri – da liquidarsi equitativamente, per ciascuna parte, in euro 3.500,00 oltre accessori di legge -  nonché da Brigandì Domenico, Galtieri Daniela, Zampaglione Domenico, Bordenca Giuliana, Campolo Vittorio, Cosenza Caterina, rappresentati da unico difensore, nella congrua misura, sostanzialmente richiesta dal patrono, di euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
    
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Pettina Giuseppe e Nastasi Silvana limitatamente al capo F), perché il reato è estinto per prescrizione e dichiara inammissibili i ricorsi di entrambi nel resto.
Rigetta i ricorsi di Rando Francesco e del Comune di Messina quale responsabile civile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, Pettina Giuseppe, Nastasi Silvana, Rando Francesco alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Messina, Associazione WWF Italia, Società Cooperativa Costruzioni Convenzionate, Ferrito Giuseppe, Giovanni Maugeri che liquida per ciascuna parte in euro 3.500,00 oltre accessori di legge, nonché da Brigandì Domenico, Galtieri Daniela, Zampaglione Domenico, Bordenca Giuliana, Campolo Vittorio, Cosenza Caterina che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 18 dicembre 2020.