Cass. Sez. III n. 7789 del 26 febbraio 2021 (CC 9 feb 2021)
Pres. Sarno Est. Ramacci Ric. Severino  
Urbanistica.Impossibilità tecnica di dare esecuzione all’ordine di demolizione

L’impossibilità tecnica di dare esecuzione all’ordine di demolizione, oltre a dover essere ovviamente dimostrata, non assume rilievo quando dipende da una causa imputabile allo stesso condannato.
E’ inammissibile per genericità il motivo di ricorso per cassazione che si limita a menzionare come rilevante, ai fini della richiesta sospensione o revoca dell’ordine di demolizione, la pendenza di un ricorso al giudice amministrativo relativamente al provvedimento di diniego della sanatoria per condono edilizio emessa dall’amministrazione comunale, senza tuttavia fornire alcun elemento di individuazione del ricorso e dello stato dello stesso, sicché la deduzione risulta priva di oggettivo riscontro.


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Nocera Inferiore, quale giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 23/7/2020 ha rigettato l’istanza di rimessione in termini per impugnare la sentenza n.1585\1995 emessa dal Pretore di Nocera Inferiore, nonché di revoca dell'ordine di demolizione avanzata nell'interesse di Annamaria Severino.
Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. Fortunato Massimiliano Lafranco, deducendo i motivi di seguito enunciati.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che, in una precedente istanza, era stata richiesta la revoca o, quantomeno, la sospensione dell'ordine di demolizione in ragione dell’illegittimità della procedura di affidamento dei lavori eseguita dalla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore e che tale richiesta veniva rigettata dal giudice dell'esecuzione, con conseguente emissione di una nuova ingiunzione a demolire con contestuale ordine di sgombero.
Fatta tale premessa, rileva che, pur non essendo espressamente specificati, nel nuovo ordine di demolizione, né il nome della ditta né le generalità del direttore dei lavori incaricati dello sgombero e della successiva demolizione, sarebbe altamente verosimile che sia ancora valido il precedente atto di affidamento e plausibile che, anche nella presente occasione, la Procura della Repubblica affiderà l'incarico e la demolizione alla medesima impresa edile ed al medesimo direttore dei lavori.
Ciò posto, aggiunge che la procedura attuata dalla Procura della Repubblica sarebbe illegittima in quanto, rivestendo quell'ufficio il ruolo di stazione appaltante, avrebbe dovuto seguire la procedura prevista per gli appalti pubblici e che, contrariamente a quanto affermato dal giudice dell’esecuzione, vi sarebbe un interesse da parte sua alla corretta applicazione di tale procedura in quanto titolare di un interesse legittimo a che l'azione amministrativa sia conforme alle regole vigenti.

3. Con un secondo motivo di ricorso rileva che il giudice dell'esecuzione avrebbe totalmente omesso di compiere la necessaria verifica circa la possibilità di un rilascio di sanatoria per condono edilizio, richiesta ai sensi della legge 326/2003 e non avrebbe, inoltre, considerato che avverso il provvedimento di diniego del condono era stato presentato ricorso, tuttora pendente, al giudice amministrativo e che, conseguentemente, l’istanza di condono ed il ricorso avrebbero potuto essere accolte in tempi molto brevi.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta che il giudice avrebbe omesso di considerare la impossibilità di procedere alla demolizione senza danneggiare la parte lecita del fabbricato, opponendo a tale censura una motivazione del tutto contraddittoria e manifestamente illogica, oltre che in contrasto con gli art. 33 e 34 del d.P.R. 380\2001.

5. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Occorre considerare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che il provvedimento impugnato, oltre a porre in luce l’oggettiva carenza di un interesse concreto della ricorrente a criticare la procedura di affidamento dell’intervento demolitorio posta in essere dalla Procura, evidenzia anche, nel considerare tale questione, che le modalità di affidamento dei lavori erano già note alla ricorrente al momento della presentazione del primo incidente di esecuzione e, ciò nonostante, non censurate in quella sede.  
Ciò premesso, risulta assorbente il fatto che la ricorrente specifica, nella premessa al motivo di impugnazione, che la procedura censurata era stata attuata in relazione al precedente ordine di demolizione, mentre in quello oggetto dell’attuale incedente di esecuzione non figurano la ragione sociale della ditta ed il nome del direttore dei lavori precedentemente coinvolti.
La ricorrente ritiene, tuttavia, “altamente verosimile che sia ancora valido il precedente affidamento” e come sia “plausibile” che, anche in quest’occasione, la Procura della Repubblica abbia affidato l’incarico ai medesimi soggetti.
Il motivo di ricorso, pertanto, formula censure relative a circostanze meramente ipotetiche e non ancora verificatesi ed è, per ciò solo, inammissibile.

3. Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso.
In primo luogo, il motivo è generico perché si limita a menzionare come rilevante, ai fini della richiesta sospensione o revoca dell’ordine di demolizione, la pendenza di un ricorso al giudice amministrativo relativamente al provvedimento di diniego della sanatoria per condono edilizio emessa dall’amministrazione comunale, senza tuttavia fornire alcun elemento di individuazione del ricorso e dello stato dello stesso, sicché la deduzione risulta priva di oggettivo riscontro.
Va detto, a tale proposito, che secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con sentenza irrevocabile, non può essere revocato o sospeso sulla base della mera pendenza di un ricorso in sede giurisdizionale avverso il rigetto della domanda di condono edilizio (Sez. 3, n. 35201 del 3/5/2016, Citarella e altro, Rv. 268032; Sez. 3, n. 16686 del 5/3/2009, Marano, Rv. 243463; Sez. 3, n. 43878 del 30/9/2004, Cacciatore, Rv. 230308 ed altre prec. conf.).
Tale condivisibile principio risulta, di per sé, determinante, sebbene debba comunque porsi in evidenza che eventuali censure prospettate sulla base della asserita pendenza di un procedimento davanti al giudice amministrativo sono, in ogni caso, inammissibili per assoluta genericità, laddove, come nel caso di specie, ci si limiti a richiamare apoditticamente la esistenza di un giudizio davanti al giudice amministrativo senza offrire alcun elemento di verifica, quali, ad esempio, l’indicazione del giudice, della sezione, dell’anno, del numero di ricorso generale, il nome delle parti, lo stato del procedimento.

4. Anche l’infondatezza del terzo motivo di ricorso risulta di macroscopica evidenza, perché il giudice dell’esecuzione, rileva che la specifica censura consiste nella mera riproposizione di altra già precedentemente rigettata e che dagli atti non emerge alcun elemento di riscontro all’affermazione secondo cui la demolizione non sarebbe possibile se non arrecando danno alla parte dell’immobile legittimamente costruita.
Risulta, inoltre, del tutto destituita di fondamento la reclamata applicazione dell’art. 34 d.P.R. 380\01, poiché tale disposizione, la cui violazione viene dedotta in ricorso, si riferisce agli interventi ed alle opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, che sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio e, decorso tale termine, sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.
Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
Le disposizioni dell’articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 1, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.
Come è stato già chiaramente affermato da questa Corte, il provvedimento adottato dall'autorità amministrativa a norma dell’art. 34, comma 2 citato trova applicazione solo per le difformità parziali e, in ogni caso, non equivale ad una sanatoria, atteso che non integra una regolarizzazione dell'illecito ed, in particolare, non autorizza il completamento delle opere, considerato che le stesse vengono tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione della conservazione di quelle realizzate legittimamente (così, Sez. 3, n. 19538 del 22/4/2010, Alborino, Rv. 247187. Conf. Sez. 3, n. 24661 del 15/4/2009, Ostuni, Rv. 244021; Sez. 3, n. 13978 del 25/2/2004, Tessitore, Rv. 228451).  
Tali principi venivano successivamente ribaditi, condivisibilmente affermando che la disciplina prevista dall'art. 34, comma secondo, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, cosiddetta procedura di fiscalizzazione dell'illecito edilizio, trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, e non equivale ad una "sanatoria" dell'abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell'illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate (Sez. 3, n. 28747 del 11/5/2018, Pellegrino, Rv. 273291).  
Non risulta, dal provvedimento impugnato, che le opere da demolire rientrino tra gli interventi in difformità parziale.   

5. Relativamente all’ulteriore questione della impossibilità della demolizione, comunque non dimostrata per le ragioni già dette,  occorre invece richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, con riferimento ad ipotesi di sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione del manufatto abusivo, l'impossibilità tecnica di provvedervi non rileva come motivo di revoca del beneficio solo se non dipenda da causa imputabile al condannato (Sez. 3, n. 19387 del 27/4/2016, Di Dio, Rv. 267108; Sez. 3, n. 35972 del 22/9/2010, Lembo, Rv. 248569; Sez. 3, n. 32706 del 27/4/2004, Giardina, Rv. 229388), ritenendo tale il caso in cui sia stato il medesimo a realizzare l’abuso sull'iniziale manufatto o, comunque, a tollerare la realizzazione delle opere.
I richiamati principi sono stati successivamente ribaditi, ritenendoli applicabili anche ad analoga situazione dedotta in corso di incidente di esecuzione concernente l’ordine di demolizione di un manufatto abusivo (Sez. 3, n. 28740 del 27/4/2018, Ferrante, non massimata; Sez. 3 n. 51056 del  9/10/2018, Chimirri, non massimata).
Si tratta di conclusioni pienamente condivise dal Collegio, dovendosi conseguentemente affermare che l’impossibilità tecnica di dare esecuzione all’ordine di demolizione, oltre a dover essere ovviamente dimostrata, non assume rilievo quando dipende da una causa imputabile allo stesso condannato.

6. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 3.000,00.



P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.  
Così deciso in data 9/2/2021