Cass. Sez. III n. 21908 del 7 giugno 2022 (UP 30 mar 2022)
Pres. Aceto Est. Reynaud Ric. Donnicola ed al.
Urbanistica.Illegittima cessione di cubatura
Integra il reato previsto dall'art. 44 t.u.e. la realizzazione di un immobile in assenza di valido permesso di costruire, perché ottenuto mediante illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio tra terreni non reciprocamente prossimi, aventi un indice di fabbricabilità differente o una diversa destinazione urbanistica.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 novembre 2020, la Corte d’appello di Lecce, per quanto qui rileva, accogliendo parzialmente il gravame del pubblico ministero e decidendo altresì sugli appelli proposti da Cosimo Bisanti e Giancarlo Bisanti, ha innanzitutto confermato l’affermazione di penale responsabilità per questi ultimi già intervenuta in primo grado in relazione ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, 380, d’ora in avanti t.u.e., (capo A), e 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (capo B) con riguardo alle opere eseguite in difformità rispetto ai titoli abilitativi. In parziale riforma della pronuncia appellata, il giudice d’appello ha poi dichiarato gli stessi ed i coimputati Maria Donnicola, Francesco Chiffi e Lucio Ricciardi altresì colpevoli dei medesimi reati con riguardo all’ulteriore contestazione – rispetto alla quale in primo grado era invece intervenuta per tutti assoluzione – di aver eseguito le opere in forza di permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica illecitamente rilasciati. Previa derubricazione del reato contestato al capo D) nel delitto di cui all’art. 480 cod. pen. – per il quale pure in primo grado era intervenuta assoluzione – la Corte territoriale ha inoltre dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti e cinque gli imputati per intervenuta prescrizione del reato concernente la falsità ideologica dei provvedimenti autorizzatori.
Le contestazioni concernenti i reati urbanistico e paesaggistico si fondano sul fatto che gli imputati Maria Donnicola e Giancarlo Bisanti (quest’ultimo quale successivo acquirente del fondo, divenuto intestatario del permesso di costruire e quindi committente dei lavori) avevano ottenuto i titoli per la realizzazione di un fabbricato residenziale in zona agricola paesaggisticamente vincolata con il concorso di Francesco Chiffi quale tecnico progettista e direttore dei lavori - autore delle relazioni allegate alle istanze, contenenti false attestazioni - e di Lucio Ricciardi, responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Castrignano del Capo che ebbe materialmente a rilasciare le autorizzazioni. In forza di detti provvedimenti, illegittimi perché affetti da falsità ideologica ed in contrasto con le previsioni normative e urbanistiche e da ritenersi dunque inesistenti, con il concorso dell’esecutore materiale delle opere Cosimo Bisanti i predetti avevano quindi realizzato l’immobile, peraltro in difformità dal progetto approvato. In particolare, la fattispecie di falsità ideologica delle relazioni allegate all’istanza e delle autorizzazioni conseguentemente rilasciate – pur dichiarata prescritta – era stata ritenuta in relazione all’attestazione di conformità dell’intervento alle norme di legge ed agli strumenti urbanistici nonché alla sua conformità ambientale, laddove la volumetria edificata, non consentita dall’indice di fabbricabilità del fondo agricolo, era stata ottenuta in base ad un illecito asservimento urbanistico di terreni distanti e comunque in contrasto con le previsioni concernenti le edificazioni in zona agricola contenute nello strumento urbanistico.
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.
3. Maria Donnicola, con il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 31 t.u.e. per essere stata la sospensione condizionale subordinata alla demolizione delle opere abusive, benché ella non fosse più proprietaria dell’immobile.
3.1. Con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 157 e 161 cod. pen. per non essere stata dichiarata la già intervenuta prescrizione del reato.
3.2. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 429, comma 2, cod. proc. pen. essendo carente l’enunciazione del fatto addebitato per il contestato reato di falso ideologico.
3.3. Con gli ultimi due motivi di ricorso si lamenta il vizio di motivazione con riguardo, rispettivamente, all’affermazione dell’elemento psicologico dei reati e al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
3.4. Con dichiarazione del 27 gennaio 2022, il difensore di fiducia di Maria Donnicola, costituito procuratore speciale, ha dichiarato di rinunciare al ricorso.
4. Giancarlo Bisanti, con il primo motivo di ricorso lamenta erronea applicazione dell’art. 44 t.u.e. e di norme integrative del precetto penale per essere stata ritenuta l’illiceità del permesso di costruire benché sia del tutto ammissibile l’accorpamento di aree ai fini di cessione di cubatura, salve eventuali limitazioni regionali o comunali nella specie non ravvisabili.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce il vizio di totale mancanza di motivazione con riguardo all’individuazione delle difformità rispetto a quanto consentito con il permesso di costruire ed alla ritenuta data di ultimazione dei lavori.
4.2. Con il terzo motivo si lamenta il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle contravvenzioni urbanistica e paesaggistica pur in presenza di elementi di prova che confermerebbero la prossimità tra i fondi asserviti, vale a dire le mappe acquisite agli atti, come in tal senso valutate dal primo giudice. Nel valorizzare le contrarie dichiarazioni rese dal testimone cap. De Matteis senza specificarne le ragioni, la Corte territoriale aveva reso una decisione manifestamente illogica. Del pari illogica era la motivazione sulla ritenuta diversa destinazione d’uso – non altrimenti specificamente argomentata – attribuita al manufatto rispetto all’opposta conclusione raggiunta dal giudice di primo grado.
4.3. Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 181 d.lgs. 42/2004 per essere stato lecitamente emesso il permesso di costruire.
4.4. Con il quinto ed il sesto motivo si deducono, rispettivamente, l’inosservanza dell’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione per essere stata ribaltata la decisione assolutoria emessa in primo grado anche per la ritenuta inattendibilità delle generiche e non dettagliate dichiarazioni rese dal teste De Matteis circa la distanza tra i fondi accorpati, avendo la Corte territoriale invece ritenuto dette dichiarazioni attendibili, senza tuttavia disporre la rinnovazione della prova dichiarativa e senza rendere specifica motivazione sulle ragioni di quel diverso apprezzamento.
4.5. Con il settimo e l’ottavo motivo di ricorso si lamenta il vizio di motivazione con riguardo, rispettivamente, alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo delle ritenute contravvenzioni – nonostante l’incertezza interpretativa sulla legittimità dell’accorpamento ed avendo la sentenza erroneamente ritenuto che i richiedenti il permesso di costruire avessero fraudolentemente taciuto di non essere imprenditori agricoli – ed alla mancata esclusione della punibilità per ignoranza inevitabile della legge penale ex art. 5 cod. pen.
4.6. Con il nono e il decimo motivo di ricorso si deducono, rispettivamente, l’inosservanza degli artt. 157 e 158 cod. pen. ed il vizio di motivazione per non essere stata individuata nell’agosto 2013 la data di cessazione dei lavori e di consumazione del reato ai fini della prescrizione, essendosi invece ritenuto, con motivazione illogica e carente, che il dies a quo andasse individuato nel 23 marzo 2014, data del sequestro, benché gli operanti avessero attestato che l’immobile risultava ultimato.
4.7. Con l’undicesimo motivo di ricorso si lamenta erronea applicazione della legge penale, sotto due distinti profili, con riguardo all’individuazione delle cause di sospensione del corso della prescrizione.
4.8. Con gli ultimi due motivi di ricorso si lamentano, rispettivamente, la nullità dell’ordinanza emessa dalla Corte d’appello in data 6 novembre 2020 – impugnata unitamente alla sentenza – per erronea applicazione degli artt. 107 e 108 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione nella parte in cui è stata rigettata la richiesta di termine a difesa da parte del difensore nominato il giorno prima dell’udienza a fronte della revoca del precedente difensore di fiducia, non essendo nella specie ravvisabile, contrariamente a quanto ritenuto, una situazione di abuso del diritto.
5. Con il primo motivo di ricorso, Cosimo Bisanti lamenta l’erronea applicazione dell’art. 44, comma 1, lett. c), t.u.e. e dell’art. 43 cod. pen., nonché vizio di motivazione, per essere stato ritenuto l’elemento soggettivo del reato urbanistico contestato, con particolare riguardo all’esecuzione di lavori assentiti con permesso di costruire illecitamente rilasciato, avendo egli accertato l’esistenza del titolo abilitativo e non potendo al proposito pretendersi dall’esecutore delle opere alcun ulteriore accertamento. Si invoca, al proposito, il riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 48 cod. pen.
5.1. Con riguardo alla ritenuta responsabilità per il reato urbanistico rispetto all’esecuzione di opere in difformità dal progetto assentito, con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione dell’art. 44, comma 1, lett. c) e 29 t.u.e. e vizio di motivazione per essere stata contraddittoriamente ed illogicamente riconosciuta la responsabilità del costruttore ed esclusa quella del direttore dei lavori, scardinandosi il paradigma codificato nella disposizione da ultimo citata. Si lamenta, inoltre, il difetto di prova che Cosimo Bisanti sia autore delle opere abusive realizzate in difformità rispetto al progetto, ciò che – deve desumersi dalla sentenza – sarebbe avvenuto solo successivamente all’attestazione della fine dei lavori, vale a dire il 26 luglio 2013 (data di acquisizione della stessa al protocollo del Comune).
5.2. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 158 cod. pen. per non essere conseguentemente stata ritenuta la suddetta data quale dies a quo del termine di prescrizione dei reati.
6. Con il primo motivo di ricorso, Francesco Chiffi lamenta violazione della legge processuale e mancanza di motivazione sulla subordinata richiesta di rinnovazione istruttoria ex art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen., avanzata per il caso in cui si fosse deciso di operare una diversa valutazione di prove dichiarative decisive, tema in alcun modo affrontato in sentenza.
6.1. Con il secondo motivo, si deducono violazione degli artt. 157 e 161 cod. pen. sul rilievo che la condotta illecita del ricorrente si sarebbe arrestata, al più, all’8 agosto 2013, data del rilascio del certificato di agibilità del manufatto da parte del Comune, con conseguente maturazione del termine di prescrizione dei reati già alla data di celebrazione del giudizio di appello.
6.2. Con il terzo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 51 l. reg. Puglia n. 56/1980, erroneamente ritenuto ancora vigente dalla sentenza impugnata, il cui impianto motivazionale si reggerebbe su tale fallace premessa. Non è infatti altrimenti previsto – si allega – alcun divieto di cessione di cubatura tra fondi (legittimato invece dal d.l. n. 70/2011) e nella specie si era travisato un dato istruttorio di fatto (inesistente) non potendo affermarsi con la dovuta certezza quale fosse la reale distanza tra i lotti accorpati.
6.3. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta il vizio di motivazione per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
7. Con i primi due motivi del ricorso proposto da Lucio Ricciardi si lamentano violazione degli artt. 597, commi 1 e 3, e 521 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per elusione dei limiti di cognizione del giudice di appello e difetto di correlazione tra accusa e sentenza, rispettivamente sotto due profili.
Innanzitutto, si allega, a fronte di un’imputazione in cui si addebitava al ricorrente un concorso di tipo commissivo, consistito nell’intervenuto rilascio degli atti amministrativi ritenuti illeciti, che la sentenza impugnata ne aveva invece affermato la responsabilità per omissione, consistita nel mancato esercizio dei poteri di vigilanza e di autotutela, fatti mai addebitati.
In secondo luogo, la sentenza si era discostata dall’imputazione anche affermando l’illegittimità del permesso di costruire per contrasto con l’art. 27 p.d.f. comunale con riferimento alle destinazioni d’uso previste in zona agricola, fatto non contestato in imputazione, ove si addebita soltanto la violazione delle regole di accorpamento dei terreni.
7.1. Con il terzo motivo di ricorso si lamentano violazione dell’art. 44, comma 1, lett. c), t.u.e., dell’art. 5 d.l. n. 70 del 2011, dell’art. 51 l.reg. Puglia n. 56 del 1980, e vizio di motivazione.
Ci si duole, innanzitutto, del fatto che sia stato illegittimamente ritenuto violato l’art. 27 n.t.a. del p.d.f. comunale, che ammetteva la destinazione residenziale in zona E1, travisandosi peraltro il contenuto dei provvedimenti autorizzativi, che avevano non già riguardo (come erroneamente ritenuto in sentenza) ad un “fabbricato ad uso deposito agricolo avente caratteristiche residenziali”, bensì ad un “fabbricato rurale ad uso abitazione di campagna”.
In secondo luogo, si deduce che – in contrasto con la normativa in materia quale sopra citata e con l’interpretazione giurisprudenziale – si era ritenuta l’illegittimità dell’accorpamento dei fondi ai fini del computo volumetrico delle opere realizzabili, nonostante l’omogeneità dei fondi accorpati (identici per destinazione urbanistica ed indice di fabbricabilità) e senza che la legge preveda la loro contiguità.
7.2. Con il quarto motivo di ricorso si deducono, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. a), b), e), cod. proc. pen., l’esercizio di potestà riservate alla pubblica amministrazione, la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione. Si lamenta, in particolare, che l’illegittimità dell’intervento sia stata ritenuta in base ad un presupposto – quello della contiguità tra i fondi accorpati – non previsto da alcuna disposizione, normativa o di pianificazione (in particolare lo stesso non si ricava dall’art. 5 d.l. n. 70 del 2011), trattandosi di un principio di matrice esclusivamente giurisprudenziale (peraltro ritenuto superato anche da una parte della giurisprudenza amministrativa) contrastante con i principi di legalità, prevedibilità e determinatezza delle norme incriminatrici, operanti in materia penale in forza delle previsioni di cui all’art. 1 cod. pen., 25, secondo comma, e 101, secondo comma, Cost. Dare rilievo, come fa la sentenza impugnata, al principio secondo cui non sarebbe mai possibile l’accorpamento di fondi distanti tra loro, poiché in tale caso l’intervento edilizio potrebbe incidere sulla densità abitativa delle diverse zone significa legittimare - lamenta il ricorrente - una “giustizia penale di scopo” che si pone in contrasto con il principio di legalità in materia penale giusta gli insegnamenti ricavabili dalla giurisprudenza della Corte costituzionale citata in ricorso. Inoltre, in assenza di disposizioni di piano che depongano in tal senso, la valutazione di pregiudizio per l’assetto territoriale che, secondo il giudice penale, l’accorpamento di fondi distanti avrebbe sulla densità delle diverse zone omogenee sarebbe incongrua e arbitrariamente invasiva delle prerogative riservate alla pubblica amministrazione.
7.3. Con il quinto motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione per essere stato ritenuto l’elemento soggettivo del reato edilizio nonostante si fosse seguita una prassi amministrativa consolidata e diffusa in ambito provinciale – quella dell’accorpamento tra fondi – con la convinzione della piena legittimità della stessa, sì da non rendere configurabile alcun profilo di colpa, senza peraltro che la sentenza impugnata chiarisca come il dirigente comunale potesse essere consapevole della vigenza di una regola ostativa costituita dalla contiguità tra i fondi accorpati.
7.4. Con il sesto motivo si lamentano violazione della legge processuale e vizio di motivazione per mancata indicazione degli elementi di prova da cui si era desunto che l’autorizzazione paesaggistica sarebbe stata rilasciata dall’arch. Ricciardi.
7.5. Con il settimo motivo di ricorso si lamentano violazione dell’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato paesaggistico. L’eventuale illegittimità dell’asservimento della cubatura sul piano urbanistico non potrebbe comunque rilevare a proposito della valutazione di compatibilità paesaggistica dell’opera, trattandosi provvedimenti autorizzatori che afferiscono ad interessi pubblici ontologicamente diversi.
7.6. Con l’ottavo motivo di ricorso ci si duole della mancanza della motivazione circa il diniego delle circostanze attenuanti generiche, senza considerare le particolarità del caso di specie, e del beneficio della sospensione condizionale della pena, sussistendo i presupposti richiesti dall’art. 163 cod. pen.
7.7. Con l’ultimo motivo di ricorso si deduce violazione della legge penale per aver la sentenza affermato che i reati non erano prescritti perché non ultimati alla data dell’accertamento, benché il verbale di sequestro indicasse che l’immobile risultava all’epoca già ultimato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con riguardo all’affermazione di penale responsabilità di tutti gli imputati per i reati di cui ai capi A e B, quale statuita dalla sentenza impugnata in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero ed in riforma di decisione assolutoria sul punto pronunciata in primo grado, sono fondati il quinto ed il sesto motivo del ricorso proposto da Giancarlo Bisanti ed il primo motivo del ricorso proposto da Francesco Chiffi. Come di seguito si dirà, tali motivi sono assorbenti, e, non essendo esclusivamente personali, il loro accoglimento giova a tutti gli altri imputati, concorrenti nel medesimo reato, ai sensi dell’art. 587, comma 1, cod. proc. pen. e sul punto determina, per tutti i ricorrenti, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere detti reati estinti per intervenuta prescrizione.
2. Va premesso che, diversamente da quanto sostenuto nei ricorsi, il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza circa la necessaria verifica del presupposto della prossimità tra i fondi ai fini di ritenere la legittimità, sul piano urbanistico e paesaggistico, della c.d. cessione di cubatura tra diversi terreni edificabili onde realizzare su uno di questi un edificio di volumetria maggiore rispetto a ciò che sarebbe consentito in base all’indice di fabbricabilità, cumulando la cubatura che potrebbero esprimere gli altri fondi e che viene appunto fatta oggetto di cessione.
Occorre peraltro precisare che – diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente Francesco Chiffi – la sentenza impugnata, richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto, conclude per la non applicabilità della l. reg. 56/1980. Questa Corte, di fatti, ha da tempo chiarito che, essendo stato emanato, con delibera della Giunta regionale della Puglia n. 1748 del 15 dicembre 2000, il Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il paesaggio (PUTT/P), si è verificata la clausola risolutiva espressa dell’efficacia della predetta disposizione legislativa (così, Sez. 3, n. 8635 del 18/9/2014, dep. 2015, Manzo e aa., Rv. 262512; Sez. 3, 18/03/2017, n. 35166, n.m.; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, dep. 2018, Siciliano e aa., Rv. 271770).
2.1. Ciò posto, al di là della riconosciuta inapplicabilità della citata legge regionale, la sentenza impugnata si è correttamente posta il problema di verificare, alla luce dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, quando la cessione di cubatura possa dirsi legittima. Occorre richiamare, in particolare, le argomentazioni svolte nelle recenti decisioni Sez. 3, n. 38838 del 09/07/2018, Baracetti e a., n.m., Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna, n.m., Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, Rv. 274673, nelle quali si è affermato il principio secondo cui integra il reato previsto dall'art. 44 t.u.e. la realizzazione di un immobile in assenza di valido permesso di costruire, perché ottenuto mediante illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio tra terreni non reciprocamente prossimi, aventi un indice di fabbricabilità differente o una diversa destinazione urbanistica. Le argomentazioni esposte nelle motivazioni di queste decisioni, condivise dal Collegio, sono state peraltro riproposte in numerose altre sentenze (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del 09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 39248 del 12/07/2018, Chiarillo e a.; Sez. 3, n. 51831 del 03/10/2018, Morciano e a.; Sez. 3, n. 54706 del 13/11/2018, Bonerba e a.).
2.2. In dette sentenze si è chiarito che la cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata anche dalla giurisprudenza amministrativa (per tutte si richiama C. St., Sez. V, 28 giugno 2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è tuttavia soggetto a determinate condizioni, una delle quali - rilevante anche nella vicenda esaminata - è costituita dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio. A titolo di esempio, le citate decisioni ricordano come si potrebbe verificare, laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubatura" fra terreni fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di "affollamento edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di carenza in altre (ove sono situati i terreni cedenti), con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Pur essendo spesso stata detta ratio decidendi associata all’ulteriore rilievo –ritenuto parimenti ostativo ad una legittima cessione di cubatura – dell’essere i terreni caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro diversi (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 35166 del 28/3/2017, Nespoli e aa., n.m.; Sez. 3, n. 30040 del 30/1/2018, Strambone, n.m.; Sez. 3, n. 30025 del 4/12/2017, dep. 2018, Scrudato, n.m.; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, dep. 2018, Siciliano e aa., Rv. 271770; Sez. 3, n. 56085 del 18/10/2017, Melcarne, n.m.; Sez. 3, n. 52605 del 4/10/2017, Renna, n.m.; Sez. 3, n. 26714 del 14/1/2015, Tedoldi, n.m.), si è ritenuto che anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità, qual è il caso qui sub iudice, non può essere esclusa la illegalità dell’operazione effettuata (Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna; Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del 09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 51833 del 03/10/2018, Sangalli e aa.).
Va infatti richiamata l’attenzione sul significativo dato fattuale, più volte correttamente valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa, dell’assenza del necessario requisito della “contiguità” dei fondi, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza (così C. St., Sez. V, n. 6734, 30 ottobre 2003; C. St., Sez. V, n. 400, 1 aprile 1998; più recentemente, TAR Campania –Salerno, Sez. II n. 1675 del 19/7/2016). Tali principi, come detto, sono stati richiamati anche da questa Corte nelle numerose decisioni più sopra citate.
2.3. Nel caso di specie, peraltro, erano certamente questi i principi di diritto che si dovevano applicare, poiché i titoli autorizzatori sono stati rilasciati il 12 maggio 2011, vale a dire, (appena) prima dell’approvazione del d.l. 13 maggio 2001, n. 70, conv., con modiff., in l. 12 luglio 2001, n. 106. Anche a prescindere dal fatto che tale provvedimento non ha in alcun modo disciplinato le condizioni di legittimità della cessione di cubatura tra fondi – limitandosi l’art. 5, comma 1, lett. c), della citata legge alla «tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura"» – le contestazioni mosse sul punto dai ricorrenti ed i problemi di rispetto del principio di legalità posti, in particolare, nel ricorso di Lucio Ricciardi non sono neppure astrattamente fondati, proprio perché argomentati con riguardo ad una legge sopravvenuta che è inapplicabile rispetto a provvedimenti amministrativi regolati dal principio tempus regit actum. In allora certamente mancava una disciplina che consentisse di edificare su un fondo una volumetria maggiore di quella dallo stesso esprimibile, sicché non può certo dirsi praeter legem l’interpretazione – che discende in modo piano dall’applicazione del consolidati principi generali – secondo cui provvedimenti autorizzatori rilasciati per l’edificazione di una volumetria non consentita non siano legittimi (donde la sussistenza delle contravvenzioni) e, nel caso in cui se ne affermi la compatibilità con la disciplina normativa, sussista anche il reato di falso ideologico. Per contro, è la mancata riconduzione delle condotte al fatto tipico che si fonda su un’interpretazione che dà rilievo all’istituto, conosciuto dalla prassi, della cessione di cubatura. Ma, se così è – e, a prescindere dal rilievo che possa riconoscersi all’art. 5, d.l. n. 70/2011, certamente così era prima della sua approvazione, allorquando furono adottati i provvedimenti qui esaminati – non ci si può certo dolere del fatto che l’area di irrilevanza penale sia segnata dall’individuazione dei requisiti che, secondo la suddetta prassi, legittimavano una condotta apparentemente contra legem.
3. Ciò premesso, occorre tuttavia considerare che la sentenza impugnata ha riconosciuto l’illiceità del provvedimenti autorizzatori – facendone conseguentemente derivare la loro insussistenza ai fini del riconoscimento delle due contravvenzioni contestate – soltanto per la ritenuta illegittimità dell’accorpamento di terreni dovuta alla loro distanza, al proposito valorizzando unicamente una specifica prova dichiarativa testimoniale: «i terreni asserviti a quello su cui era prevista l’edificazione del manufatto non solo non erano confinanti o vicini, ma erano situati in zone del tutto diverse dall’agro del Comune di Castrignano distanti alcuni chilometri, come riferito dal teste De Matteis» (pag. 8). Per giungere a tale conclusione la sentenza impugnata non richiama alcun altro elemento di prova, né, in particolare, considera le mappe catastali acquisite agli atti, che erano state invece valorizzate dal primo giudice per affermare conclusioni opposte e, proprio per questa ragione, per ritenere non provata quella distanza tra terreni che giustificherebbe l’illegittimità dell’accorpamento a fini edificatori.
Ed invero, la sentenza di primo grado, dopo aver dato atto che il compendio probatorio «si sostanzia essenzialmente nella deposizione del capitano De Matteis e nella documentazione versata in atti dalle parti» (pag. 1) e che il teste aveva riferito che «i terreni erano alla distanza di alcuni…chilometri in linea d’aria nel territorio di Castrignano del Capo» (pag. 2), ha sostanzialmente ritenuto non corretta, e quindi inattendibile, detta dichiarazione, reputandola smentita per tabulas. Ed invero, si afferma a pag. 6, «si tratta di terreni certamente non contermini ma neanche distanti come genericamente riferito dal teste – che non dettaglia non precisione la distanza – tenuto conto degli stralci di mappa prodotti in giudizio che riportano la misura di scala in base alla quale non sembra possa parlarsi di “alcuni chilometri” di distanza, ma di un tratto molto più breve».
4. Alla luce del confronto tra le due sentenze di opposto di segno – e del rilievo che il giudice d’appello non valuta in alcun modo le mappe acquisite al processo – osserva innanzitutto il Collegio che la sentenza impugnata non si è uniformata al consolidato ’orientamento secondo cui il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 5704 del 22/11/2021, dep. 2022, Cascioli; Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907; Sez. 6, n. 39911 del 04/06/2014, Scuto e a., Rv. 261589; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 254638).
Oltre a questo rilievo – già per sé sufficiente ad imporre l’annullamento della sentenza impugnata per radicale vizio di motivazione – ricorre certamente nella specie la violazione del principio sancito nell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. Se la riassunzione in grado di appello della prova dichiarativa ritenuta decisiva non è indispensabile laddove il secondo giudice riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, essendo sufficiente offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (così, Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, che, pure, la reputa opportuna), nel caso di révirement in peius non ci si può invece sottrarre alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sul punto.
4.1. Com’è noto, ancor prima che fosse introdotto nel corpo dell’art. 603 cod. proc. pen. il disposto di cui al comma 3-bis, della cui inosservanza i due citati ricorrenti si dolgono, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato l’orientamento secondo cui la previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d), CEDU, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo - che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all'esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487, che ha confermato il prevalente orientamento di legittimità formatosi dopo la nota pronuncia della Corte EDU 5 luglio 2011, Dan c. Repubblica della Moldavia: v., ex plurimis, Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone e aa., Rv. 265879; Sez. 5, n. 6403 del 16/09/2014, dep. 2015, Preite e a., Rv. 262674; Sez. 5, n. 16975 del 12/02/2014, Sirsi, Rv. 259843). Conseguentemente – si è affermato – laddove non abbia luogo la rinnovazione dell’istruzione, è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell'art. 603, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492).
4.2. La richiamata sentenza Dasgupta afferma altresì che costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova - ai fini dell'esito della condanna (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491).
Secondo la giurisprudenza di legittimità successiva, il giudice d'appello che intenda procedere alla reformatio in peius di una sentenza assolutoria di primo grado, emessa all'esito di giudizio ordinario o abbreviato non ha l'obbligo di rinnovare la prova dichiarativa decisiva qualora emerga che la lettura della prova compiuta dal primo giudice sia stata travisata per omissione, invenzione o falsificazione (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786), tale obbligo sussistendo soltanto quando si tratti di valutazione "differente" della prova dichiarativa e non di mero "travisamento" di essa, caso quest'ultimo in cui si può pervenire al giudizio di colpevolezza senza necessità di rinnovazione delle prove dichiarative (Sez. 6, n. 35899 del 30/05/2017, Forini, Rv. 270546, in cui la prova dichiarativa utilizzata per la riforma della sentenza in grado d’appello non era stata in primo grado considerata dal giudice, incorso in travisamento per omissione). Già in precedenza, sulla stessa linea, si era affermato che in tema di valutazione della prova, il giudice di appello che intenda riformare in peius la sentenza assolutoria di primo grado non ha l'obbligo di disporre la rinnovazione di una prova dichiarativa ritenuta decisiva allorché si limiti a valorizzare integralmente una deposizione solo parzialmente considerata - per una svista, una dimenticanza o un vero e proprio "salto logico" - da parte del primo giudice (Sez. 2, n. 54717 del 01/12/2016, Ciardo e aa., Rv. 268826).
Il diverso apprezzamento di una dichiarazione ritenuta decisiva, invece, ricorre anche nel caso in cui non si sia proceduto a valutare diversamente l'attendibilità del dichiarante, quanto, piuttosto, a dare una differente interpretazione del significato delle sue dichiarazioni (Sez. 3, n. 24306 del 19/01/2017, I., Rv. 270630).
Per contro, non sussiste l'obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell'assoluzione, quando la deposizione è valutata in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, ma il suo significato probatorio viene diversamente apprezzato nel rapporto con le altre prove (Sez. 3, n. 19958 del 21/09/2016, dep. 2017, Chiri, Rv. 269782), magari nell’ambito di una valutazione organica, globale ed unitaria degli ulteriori elementi indiziari a carico (esterni alle dichiarazioni), erroneamente considerati in maniera atomistica dalla decisione del primo giudice (Sez. 2, n. 3917 del 13/09/2016, dep. 2017, Fazi, Rv. 269592) ovvero affatto considerati (Sez. 5, n. 45847 del 28/06/2016, Colombo, Rv. 268470). Si è ulteriormente precisato che nel caso di condanna in appello, non sussiste l'obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando l'attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere ad un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice (Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471), come pure qualora non vengano messi in dubbio la credibilità dei testi o il contenuto delle loro deposizioni, ma la decisione in sede di gravame sia invece fondata solo su una diversa valutazione del medesimo materiale probatorio utilizzato in primo grado (Sez. 5, n. 53415 del 18/06/2018, Boggi, Rv. 274593) e, più in generale, qualora il giudice abbia riformato la sentenza assolutoria di primo grado non già in base al diverso apprezzamento di una prova dichiarativa, bensì all'esito della differente interpretazione della fattispecie concreta, fondata su una complessiva valutazione dell'intero compendio probatorio (Sez. 5, n. 42746 del 09/05/2017, Fazzini, Rv. 271012).
4.3. L’orientamento giurisprudenziale sopra delineato è stato sostanzialmente recepito dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, che, con l’art. 1, comma 58, ha introdotto un nuovo comma nella disposizione relativa alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di secondo grado, statuendo che «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale» (art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.). La citata disposizione, peraltro, non contiene elementi distonici rispetto alle linee interpretative elaborate dalla giurisprudenza in precedenza formatasi quali più sopra riepilogate (per analoghe considerazioni v., in motivazione, Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430).
4.4. L’applicazione dei richiamati principi al caso di specie porta a concludere – ad avviso del Collegio – per la violazione della regola processuale oggi codificata nell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.
Come già si è sottolineato, difatti, la sentenza di secondo grado ha affermato l’illegittimità dei titoli edilizio e paesaggistico rilasciati in forza dell’avvenuta cessione di cubatura tra i fondi soltanto sul rilievo che gli stessi fossero distanti “alcuni chilometri” come riferito dal teste De Matteis, la cui dichiarazione sul punto, dunque, ha indubbiamente costituito prova decisiva della condanna. Il fatto che essa fosse invece stata invece disattesa in primo grado, perché ritenuta inattendibile – in quanto addirittura smentita dalle mappe catastali acquisite – imponeva al giudice d’appello la rinnovazione istruttoria, avendo questi fondato il ribaltamento della sentenza d’assoluzione sulla sola diversa valutazione di quella deposizione testimoniale e non avendo esaminato alcun altro elemento di prova, neppure quello documentale richiamato nella sentenza di primo grado, quantomeno per disattenderne la rilevanza che il primo giudice vi aveva attribuito.
5. La sentenza impugnata dovrebbe dunque sul punto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, ma, essendosi i reati medio tempore prescritti, l’annullamento va disposto senza rinvio per sopravvenuta estinzione e la conclusione vale anche per i ricorrenti che non hanno al proposito formulato alcun motivo di doglianza. Limitatamente alle contestazioni in esame, del resto, anche per quanto più sopra osservato in diritto (§§. 2 ss.), non vi è evidenza di una più favorevole causa di proscioglimento nel merito.
5.1. Ed invero, secondo un recente – pur non incontroverso – indirizzo di questa Corte, sarebbe addirittura rilevabile di ufficio nel giudizio per cassazione, ai sensi dell'art. 609, comma 2, cod. proc. pen., l'omessa rinnovazione della istruzione dibattimentale da parte del giudice di appello che abbia riformato la sentenza assolutoria resa in primo grado e condannato l'imputato – sulla base di un diverso apprezzamento della prova dichiarativa decisiva, poiché la regola processuale posta dall'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen. configura una garanzia fondamentale dell'ordinamento, la cui violazione qualifica la sentenza come emessa al di fuori dei casi consentiti dalla legge (Sez. 6, n. 14062 del 16/03/2021, A., Rv. 281661). Al di là di questa notazione, non v’è tuttavia dubbio che i motivi di doglianza sul punto proposti dai soli ricorrenti Giancarlo Bisanti e Francesco Chiffi non abbiano carattere personale, sicché, ai sensi dell’art. 587 cod. proc. pen., giovano anche agli altri coimputati che si trovano nella medesima situazione vale a dire a tutti i ricorrenti, che sono stati assolti in primo grado dai reati di cui ai capi A e B, limitatamente alla seconda contestazione che viene qui in rilievo, e sono invece stati ritenuti responsabili di tali reati in appello.
5.2. La conclusione vale anche per Maria Donnicola, pur avendo la stessa ritualmente rinunciato al ricorso proposto, sicché nei suoi riguardi lo stesso dovrebbe essere dichiarato inammissibile per tale causa.
Ed invero, va ribadito che l'effetto estensivo dell'impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione non esclusivamente personale, giova anche agli altri imputati che non hanno proposto ricorso, ivi compresi coloro che hanno concordato la pena in appello, che hanno proposto un ricorso originariamente inammissibile o che al ricorso hanno successivamente rinunciato (Sez. 3, n. 55001 del 18/07/2018, Cante, Rv. 274213-02; Sez. 1, n. 2940 del 17/10/2013, dep. 2014, Del Re, Rv. 258393). Né, in tali casi, l'inammissibilità dell'impugnazione impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, posto che qualora un diverso impugnante abbia proposto un valido atto di gravame, l'effetto estensivo dell'impugnazione fondata su motivi non esclusivamente personali produce i suoi effetti anche con riferimento all'imputato non ricorrente (o il cui ricorso sia inammissibile), sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente (Sez. 2, n. 189 del 21/11/2019, dep. 2020, Bonometti, Rv. 277814-02; Sez. 3, n. 16158 del 26/02/2019, Masoni, Rv. 275403).
6. Residuano le questioni proposte dai ricorrenti Cosimo Bisanti e Giancarlo Bisanti con riguardo alla loro affermazione di responsabilità – già avvenuta in primo grado e confermata in appello, sicché sul punto si registra una doppia pronuncia conforme - per le contestazioni di cui ai capi A e B afferenti all’esecuzione di lavori in difformità rispetto al permesso di costruire e all’autorizzazione paesaggistica.
I motivi di doglianza sul punto proposti da entrambi i ricorrenti presentano profili, per un verso di non manifesta infondatezza e, per altro verso, addirittura di fondatezza, sicché, trattandosi di reati parimenti prescritti e non essendovi ragioni che consentano di fare applicazione del principio sancito nell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., anche sul punto la sentenza impugnata dev’essere annullata sentenza rinvio.
6.1. Quanto a Cosimo Bisanti, non è manifestamente infondata la doglianza, proposta con il secondo motivo di ricorso, circa l’inosservanza della legge penale incriminatrice ed il vizio di motivazione connessi al difetto di prova che egli fosse autore delle opere realizzate in difformità rispetto al progetto assentito.
Con il primo motivo di appello, egli aveva lamentato che dalle prove assunte – si richiamavano la dichiarazione di fine lavori del 25 luglio 2013, il successivo certificato di agibilità e le dichiarazioni rese nell’esame dal coimputato Francesco Chiffi – al momento della formale chiusura dei lavori gli stessi erano conformi al progetto assentito (tanto da aver ottenuto l’agibilità), sicché le opere abusive accertate nel sopralluogo del 23 marzo 2014, quando vi fu il sequestro, furono eseguite successivamente e, non essendo stato trovato alcuno in cantiere, non vi era alcuna prova che fossero da attribuire all’impresa costruttrice indicata in atti, la quale, appunto, aveva già terminato il proprio incarico, così come accaduto per il direttore dei lavori Chiffi, che, contraddittoriamente, era stato da quell’addebito assolto già in primo grado.
La sentenza impugnata (pagg. 10 e 11) ha respinto quelle doglianze, osservando che non poteva attribuirsi rilievo dirimente alle dichiarazioni del coimputato Chiffi e alla dichiarazione di fine dei lavori depositata in Comune dal medesimo e dal committente, né dal dato – di per sé neutro – che nessuno fosse stato trovato al lavoro in cantiere al momento del sequestro, pur non essendo le opere ancora state ultimate. Questi rilievi – in quanto tali non manifestamente illogici – non rispondono in alcun modo, tuttavia, alla censura proposta dall’appellante circa la mancanza di prova che, dopo la formale chiusura dei lavori, questi fossero proseguiti ad opera della stessa impresa costruttrice, né sul punto soccorre la conforme pronuncia di primo grado, che (pag. 7), si era limitata all’assertiva conclusione secondo cui delle difformità dovesse rispondere il “costruttore”, senza peraltro chiarire perché ad esse fosse stato ritenuto estraneo il direttore dei lavori: le doglianze di mancata risposta a tali censure dedotte dal ricorrente non sono, pertanto, manifestamente infondate e consentono di ritenere validamente costituito, sul punto, il rapporto processuale di legittimità, sì da consentire il rilievo della sopravvenuta prescrizione.
6.2. Quanto al committente Giancarlo Bisanti, con il secondo motivo di ricorso egli ha dedotto il vizio di totale mancanza di motivazione con riguardo, tra l’altro, alla censura mossa con l’appello circa la mancata individuazione delle difformità rispetto a quanto consentito con il permesso di costruire, che il primo giudice aveva ritenuto con un mero rinvio per relationem al verbale di sequestro – contenente una generica segnalazione, priva di approfondimenti tecnici – senza che neppure si specificasse se si trattava di difformità totali, di variazione essenziali, di difformità parziali.
La lettura della sentenza di primo grado conferma la correttezza della ricostruzione posta a base della dichiarazione di appello: vi si legge (pag. 7) soltanto la laconica osservazione secondo cui «quanto alle difformità, (invece,) non vi è dubbio che esse siano riscontrabili nei termini descritti nel verbale di sequestro cui si fa rimando». La sentenza impugnata – che di tale censura dà atto nella riproposizione dei motivi di appello (pag. 2) – non reca sul punto alcuna risposta. Il motivo di ricorso, dunque, è fondato, ma l’intervenuta prescrizione induce a pronunciare l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata anche su questo punto.
7. Conclusivamente – dovendo ritenersi assorbiti tutti i restanti motivi di ricorso proposti – la sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio, nei confronti di tutti i ricorrenti, perché i residui reati di cui ai capi A e B d’imputazione sono estinti per prescrizione.
Va conseguentemente revocato l’ordine di demolizione disposto con la sentenza di primo grado, trattandosi di statuizione che – ai sensi dell’art. 31, comma 9, t.u.e. (come pure vale per il ripristino dello stato dei luoghi di cui all’art. 181, comma 2, d.lgs. 42 del 2004) – postula una sentenza di condanna e non può essere invece contenuta in una pronuncia di estinzione del reato (Sez. 3, n. 39455 del 10/05/2017, La Barbera, Rv. 271642; Sez. 3, n. 37836 del 29/03/2017, Catanzaro, Rv. 270907; Sez. 3, n. 50441 del 27/10/2015, Franchi, Rv. 265616).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché i residui reati di cui ai capi A e B sono estinti per prescrizione.
Revoca l’ordine di demolizione.
Così deciso il 30 marzo 2022.