Cass. Sez. III n. 5538 del 11 febbraio 2025 (CC 16 gen 2025)
Pres. Ramacci Rel. Mengoni Ric. Giaccio
Urbanistica.Demolizione e diritto all'abitazione
L'Autorità giudiziaria, nel dare esecuzione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo costituente l'unica abitazione familiare, è tenuta a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale, a condizione che chi intenda avvalersene si faccia carico di allegare, in modo puntuale, i fatti addotti a sostegno del suo rispetto: questi, peraltro, non possono dipendere dalla sua inerzia ovvero dalla volontà sua o del destinatario dell'ordine, non potendo il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l'ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza dell’8/5/2024, il Tribunale di Napoli rigettava l’incidente di esecuzione proposto da Antonio Giaccio, Giuseppina Racca, Maria Rosaria Racca e Axhija Shatri, volto ad ottenere la revoca dell’ordine di demolizione disposto con la sentenza del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Marano, dell’11/1/2000.
2. Propongono congiunto ricorso per cassazione gli istanti, deducendo i seguenti motivi:
- nullità dell’ordinanza perché resa da Giudice incompetente. Il motivo evidenzia che, con riguardo alla medesima questione, sarebbe stato già proposto un precedente incidente di esecuzione, nel corso del quale il Tribunale di Napoli avrebbe dichiarato la propria incompetenza per territorio, in favore del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che poi avrebbe rigettato l’istanza; la Corte di cassazione, con la sentenza n. 40078/2018, avrebbe infine ribadito la competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Un secondo incidente (con medesimo oggetto) sarebbe stato poi proposto direttamente a quest’ultimo Ufficio, che, tuttavia, avrebbe dichiarato la propria incompetenza per territorio in favore del Tribunale di Napoli. Tanto premesso, i ricorsi affermano di aver sollevato la relativa eccezione anche innanzi a quest’ultimo Giudice, che, tuttavia, l’avrebbe respinta con argomento viziato, dato che questa Corte, con la citata pronuncia n. 40078/2018, avrebbe implicitamente (e correttamente) confermato la competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, quale Giudice che avrebbe pronunciato la sentenza divenuta irrevocabile per ultima;
- mancanza e manifesta illogicità della motivazione; violazione di legge (motivi nn. 2-3). Contrariamente a quanto affermato dal Giudice, con l’incidente di esecuzione sarebbe stato chiesto di applicare i principi costituzionali e convenzionali relativi alla natura penale dell’ordine di demolizione quando, come nel caso in esame, intervenuto a distanza di numerosi anni dall’accertamento del fatto: questo profilo, tuttavia, non sarebbe stato affrontato nell’ordinanza. Ancora, non sarebbe stato verificato il diritto costituzionale e convenzionale alla proprietà, così come viziata sarebbe la motivazione in punto di interesse pubblico alla demolizione. Nel merito, i ricorsi affermano – a più riprese – che l’ordine riguarderebbe due immobili in aderenza, di proprietà esclusiva, l’uno, di Maria Rosaria Racca, l’altro di Giuseppina Racca, al pari dei rispettivi terreni; questi immobili, con 6 appartamenti ciascuno, sarebbero stati sì costruiti senza titolo, ma poi fatti oggetto di distinte istanze di condono, ai sensi della l. n. 326 del 2003, ricorrendone i presupposti (ciascun appartamento avrebbe volume inferiore a 750 mc e ciascuna palazzina non supererebbe i 3.000 mc). Tali istanze sarebbero state erroneamente rigettate dal Comune, e contro questo provvedimento sarebbero stati proposti ricorsi al TAR e, al momento, penderebbe giudizio innanzi al Consiglio di Stato. Ebbene, l’ordinanza non avrebbe tenuto conto di questi elementi e – omettendo ogni esame di due perizie giurate che attesterebbero il rispetto dei limiti di cubatura per ottenere il condono – avrebbe rigettato le istanze sulla base di argomenti errati e parziali, di certo non desumibili da una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., e certamente diversi da quelli che valuterà il Consiglio di Stato. L’ordinanza, inoltre, avrebbe confuso i presupposti di legge quanto ai condoni del 1994 e del 2003, non riscontrando che il secondo terrebbe conto non solo della volumetria del singolo immobile (750 mc), ma anche di quella complessiva della nuova costruzione (3.000 mc).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi risultano manifestamente infondati.
4. Con riguardo al primo motivo, che contesta l'ordinanza impugnata nella parte in cui non ha accolto l'eccezione di incompetenza per territorio, il Collegio osserva che gli argomenti spesi dal Tribunale di Napoli non possono essere censurati in questa sede.
4.1. In particolare, è stata richiamata l'ordinanza del 29/6/2023 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (innanzi al quale era stato proposto l'incidente di esecuzione), che aveva sottolineato - in forza del certificato del casellario giudiziario di tutti gli istanti - che l'ultima sentenza emessa era proprio quella del Tribunale di Napoli contenente l'ordine di demolizione qui in esame. Con riguardo, poi, alla pronuncia di legittimità n. 40078/2018, che aveva rigettato il ricorso proposto dagli odierni ricorrenti avverso il provvedimento del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 27/3/2017 sul medesimo oggetto, l'ordinanza qui impugnata ha rilevato che, nell'occasione, questa Corte si era limitata a riscontrare che l’ultimo Ufficio - ricevuti gli atti dal Tribunale di Napoli - non aveva sollevato conflitto, ritenendo perciò radicata la propria competenza.
4.2. Tanto premesso, il comune motivo di ricorso non può essere accolto – in quanto inammissibile - laddove sostiene che la sentenza n. 40078/2018 conterrebbe “una pronuncia, sia pure implicita”, sulla competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Non è certo consentito a questa Corte, infatti, operare una sorta di interpretazione autentica di una propria decisione, come qui sollecitato, specie se resa in un differente giudizio, originato sì dagli stessi soggetti, ma con un distinto incidente di esecuzione che aveva generato provvedimenti giudiziari diversi da quelli qui in esame.
4.3. Per la medesima ragione, inoltre, il motivo di ricorso non può essere ammesso neppure laddove sostiene che il Tribunale di Napoli, pronunciando l'ordinanza impugnata, avrebbe ignorato il dictum di questa Corte in punto di competenza per territorio, che la sentenza n. 40087/2018 avrebbe ormai definito in modo “vincolante per tutta la durata del procedimento esecutivo.”
4.4. Il primo motivo di impugnazione, dunque, è del tutto infondato.
5. Alle stesse conclusioni, poi, la Corte giunge anche sulle ulteriori censure, da esaminare congiuntamente.
6. In primo luogo, quanto alla natura di sanzione penale che si vorrebbe attribuita all'ordine di demolizione, deve essere ribadito il costante e condiviso indirizzo in forza del quale in materia di reati concernenti violazioni edilizie, l'imposizione dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso e non ha finalità punitive, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso (tra le molte, Sez. 3, n. 51044 del 3/10/2018, M., Rv. 274128).
6.1. Quanto, poi, ai principi convenzionali che i ricorsi richiamano, questa Corte ha più volte affermato che in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 4/8/2020, valutando la disponibilità, da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attività edificatoria (tra le molte, Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria, Rv. 282950).
6.1.1. Ancora, e con particolare rilievo nel caso in esame, è stato affermato che l'Autorità giudiziaria, nel dare esecuzione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo costituente l'unica abitazione familiare, è tenuta a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale sopra richiamata, a condizione che chi intenda avvalersene si faccia carico di allegare, in modo puntuale, i fatti addotti a sostegno del suo rispetto: questi, peraltro, non possono dipendere dalla sua inerzia ovvero dalla volontà sua o del destinatario dell'ordine, non potendo il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l'ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia (Sez. 3, n. 21198 del 15/2/2023, Esposito, Rv. 284627).
6.1.2 Tanto premesso in termini generali, questo onere di allegazione non risulta adempiuto dai ricorrenti, che si sono limitati a richiamare il numero di anni trascorsi dai fatti e dalla irrevocabilità della sentenza, sostenendo in modo generico che tale ampio arco di tempo sarebbe decorso “per cause assolutamente non imputabili ai condannati”: ebbene, rilevato che questo incidente di esecuzione origina propriamente dall'inerzia tenuta dai ricorrenti per molti anni, si osserva che gli stessi non hanno neppure dedotto di aver cercato invano nel frattempo una differente soluzione abitativa, né hanno (almeno) menzionato ostacoli di sorta allo spontaneo adempimento dell'obbligo, così da non poter contestare, in questa sede, il tempo trascorso (dovuto, peraltro, anche a legittime azioni giudiziarie intraprese per contrastare l'ordine di demolizione in oggetto).
7. Ancora del tutto generico, poi, risulta il richiamo al diritto di proprietà, che si censura violato con l'eventuale demolizione dell'immobile: premesso il richiamo all’art. 42 Cost. in termini – virgolettati - diversi da quelli contenuti nella Carta fondamentale, tale diritto viene evocato sulla base degli stessi argomenti che i ricorrenti hanno prospettato prima al Comune, quindi al Tar, infine al Consiglio di Stato, nei medesimi termini qui riproposti, da ritenere inammissibili.
8. I ricorsi, infatti, contestano nel merito la decisione del Tribunale, e sollecitano in questa sede una nuova e non consentita lettura degli elementi in fatto sottoposti al giudice dell'esecuzione, oltre che, peraltro, a quello amministrativo: il riferimento è alle circostanze più volte ripetute nell’atto, secondo cui le ricorrenti Racca avrebbero avuto ciascuna la proprietà esclusiva di terreni confinanti, lì avrebbero costruito (con i rispettivi mariti) due immobili in aderenza ed edificato 6 appartamenti ciascuna, con cubatura, relativa ed assoluta, coerente con i termini fissati d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
8.1. Il tema, peraltro, risulta affrontato dal Tribunale di Napoli con adeguato e solido argomento, non censurabile in questa sede.
8.1. L’ordinanza impugnata, infatti, ha specificato che le due istanze di condono sono state rigettate dal Comune competente e che lo stesso esito ha avuto anche il ricorso al Tar proposto contro il medesimo provvedimento (penderebbe il ricorso al Consiglio di Stato). Di seguito, è stata sottolineata l'assenza dei requisiti di condonabilità, in quanto le opere abusive avevano interessato un unico manufatto dal quale erano stati ricavati ben 12 appartamenti, con volumetria complessiva pari a 6.430 mc; a questo riguardo, peraltro, non può essere accolta – perché meramente congetturale - l'affermazione dei ricorrenti secondo cui il Tribunale non avrebbe potuto trarre questo dato dalla sentenza, in quanto pronunciata ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., dunque senza attività istruttoria. Ancora sul punto, non possono essere accolte - perché in fatto e precluse al Giudice di legittimità – neppure le considerazioni circa la materiale distinzione dei due immobili ed il volume degli stessi (nonché dei singoli appartamenti).
8.2. Non può essere ammessa, di seguito, neppure la tesi – congetturale - secondo cui il giudizio amministrativo di appello avrà di certo esito favorevole ai ricorrenti, e che in quella sede il Consiglio di Stato terrà conto del volume dichiarato dal Comune in sede di diniego (meno di 6.000 mc) e non di quello dichiarato dalla Procura della Repubblica (più di 6.000 mc).
8.3. Infine, quanto alle due perizie giurate che il Tribunale non avrebbe preso in considerazione (e che attesterebbero un volume di poco inferiore a 3.000 mc con riguardo a ciascuna delle due costruzioni di proprietà delle sorelle Racca), si osserva che le relative considerazioni risultano espressamente disattese dagli argomenti in fatto già sopra espressi, con i quali il giudice dell'esecuzione ha individuato la consistenza dell'immobile (pag. 3).
9. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025