Cass. Sez. III n. 17532 del 9 maggio 2025 (UP 3 apr 2025)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric. Nicoletta
Urbanistica.Alterazione data di protocollo di una relazione tecnica
Non v’è dubbio che al di là della utilizzazione che dell’atto falsificato sia stata fatta, la alterazione della sua data di protocollo, incidendo sulla identificazione del momento della sua formazione, è senz’altro idonea a trarre in inganno la Pubblica Amministrazione e i terzi sulla sua funzione, in particolare sul momento della sua adozione, essendo intrinsecamente attinente alla sua funzione certificativa, che è quella di attestare con fede privilegiata la data e la successione nel tempo della ricezione o della spedizione di atti da parte di un ufficio della Pubblica Amministrazione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27 settembre 2024 la Corte d’appello di Salerno, provvedendo sulle impugnazioni degli imputati nei confronti della sentenza del 28 settembre 2023 del Tribunale di Vallo della Lucania, con la quale, tra gli altri, Adelio Nicoletta, quale responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Castellabate, era stato dichiarato responsabile della contravvenzione di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 380/2001 (di cui al capo B della rubrica) e condannato alla pena di quattro mesi di arresto e 22.000,00 euro di ammenda, e del delitto di cui all’art. 479, secondo comma, cod. pen. (di cui al capo C della rubrica, commesso il 26 giugno 2016) e condannato alla pena di otto mesi di reclusione, ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui al capo b) perché estinto per prescrizione e ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato Michele Avallone, che lo ha affidato a due motivi.
2.1. In primo luogo, ha denunciato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, con riferimento alla conferma della dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di falso di cui al capo c), cui la Corte d’appello sarebbe pervenuta unicamente sulla base di giudizio ipotetico di natura indiziaria manifestamente illogico.
La statuizione di condanna si fonderebbe, infatti, sulla valorizzazione di elementi privi di ogni conferenza rispetto al fatto da provare, in quanto l’invio del messaggio mediante l’applicativo what’s app, la data dell’invio e il destinatario dello stesso, non consentirebbero, di per sé, di ritenere provato che la comunicazione si riferisse effettivamente all’atto che si assume falso nella indicazione della data, stante l’assenza di ogni riferimento al soggetto richiedente l’atto o a quest’ultimo; inoltre, il titolo abilitativo rilasciato risulta perfezionato in data successiva a quella di formale acquisizione del protocollo. Non sarebbe, quindi, possibile ritenere che la ritenuta immutazione del vero rispetto alla data di acquisizione del protocollo (antecedente a quella dell’effettivo rilascio dell’atto) riguardi proprio l’atto in contestazione, essendo irrilevante la circostanza che la comunicazione sia destinata al tecnico di fiducia dell’impresa richiedente, non essendo possibile escludere che la comunicazione riguardi un atto differente e nell’interesse di altro interessato.
2.2. In secondo luogo, ha prospettato l’innocuità del falso, essendo l’attestazione del tutto indifferente rispetto al significato dell’atto e al suo valore probatorio, con la conseguenza che essa non sarebbe produttiva di effetti inquinanti rispetto alla funzione che l’atto deve espletare, cosicché la retrodatazione dell’atto (mediante indicazione di acquisizione al protocollo dell’ente in una data anteriore rispetto a quella di effettivo perfezionamento e rilascio) non inciderebbe sugli effetti dell’atto stesso e non comporterebbe pregiudizi per l’ente o per i terzi.
3. Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, sottolineando l’inammissibilità della deduzione di violazione di disposizioni di legge processuale e l’insussistenza di vizi della motivazione e anche la manifesta infondatezza della prospettazione della innocuità del falso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. nella valutazione delle risultanze istruttorie e un vizio della motivazione sul medesimo punto, è inammissibile.
Va, anzitutto, escluso che il prospettato malgoverno delle regole di valutazione della prova stabilite dall'art. 192 cod. proc. pen. integri un vizio di violazione di legge processuale, non essendo l'inosservanza della disposizione denunciata prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza (v., ex multis, Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni S.p.a., Rv. 278196 – 02; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191 – 02; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli, Rv. 271294 – 01; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/ 2012, F., Rv. 253567 - 01; nonché Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 04, che ha definitivamente chiarito, in tema di ricorso per cassazione, che è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità), con la conseguente inammissibilità della relativa censura sollevata con il primo motivo di ricorso.
Quanto al vizio di motivazione denunciato sul medesimo punto, va rammentato che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623). Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Nel caso in esame il ricorrente propone, peraltro in modo generico, consistente per lo più nel richiamo agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in ordine ai criteri di valutazione delle prove, un diverso apprezzamento delle prove disponibili, onde proporne una rilettura, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che è concorde e non manifestamente illogica, come tale non suscettibile di rivisitazioni o rivalutazioni nel giudizio di legittimità.
La Corte d’appello, nel riesaminare gli elementi di fatto considerati per addivenire alla affermazione di responsabilità in ordine al residuo reato di falso di cui al capo c), peraltro, secondo quanto riportato nella non contestata narrativa della sentenza impugnata (sull’obbligo di contestare a pena di inammissibilità tale riepilogo ove non conforme ai motivi di appello si vedano, ex multis, Sez. 3, n. 11830 del 13/03/2024, Ciarella, non mass.; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, Immobile, non mass.; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, Lazzaro, non mass.; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066), non oggetto di censura con l’atto di gravame, con la conseguente insussistenza di un obbligo di analitica e diffusa motivazione sul punto, ha comunque ribadito la falsità della data della relazione tecnica indicata nella contestazione, recante la data del 23 giugno 2016, essendo, invece stata redatta in data 26 giugno 2016, sulla base dell’inequivoco tenore dei messaggi scambiati via what’s app tra il ricorrente e l’Architetto Caterina Acquaviva (riportati a pag. 6 della sentenza impugnata), ritenuti dimostrativi del fatto che il 23 giugno tale atto non era ancora stato emesso e che quindi la relativa data di acquisizione al protocollo comunale sia falsa.
Si tratta di un apprezzamento di tali risultanze istruttorie non manifestamente illogico, come risulta dall’inequivoco tenore di detti messaggi riportati nella motivazione della sentenza impugnata a pag. 6, di cui il ricorrente ha proposto una lettura alternativa, non consentita, in presenza di una valutazione non manifestamente illogica, nel giudizio di legittimità, con la conseguente manifesta infondatezza della denuncia di vizio della motivazione sul punto.
3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata ribadita, peraltro in modo generico e assertivo, la prospettazione difensiva in ordine alla innocuità di tale falso, è anch’esso manifestamente infondato.
Il falso innocuo si configura solo in caso di inesistenza dell'oggetto tipico della falsità, di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo (Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017, Bautista, Rv. 270245 – 01), ossia di assoluta irrilevanza ai fini del significato dell'atto ed ininfluente sulla sua funzione documentale, non dovendo l'innocuità essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto in concreto (Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, dep. 2021, Brisciano, Rv. 280453 – 01; Sez. 5, n. 47601 del 26/05/2014, Lamberti, Rv. 261812 – 01; Sez. 5, n. 35076 del 21/04/2010, Immordino, Rv. 248395 – 01).
Non v’è dubbio, allora, che al di là della utilizzazione che dell’atto falsificato sia stata fatta, la alterazione della sua data di protocollo, incidendo sulla identificazione del momento della sua formazione, è senz’altro idonea a trarre in inganno la Pubblica Amministrazione e i terzi sulla sua funzione, in particolare sul momento della sua adozione, essendo intrinsecamente attinente alla sua funzione certificativa, che è quella di attestare con fede privilegiata la data e la successione nel tempo della ricezione o della spedizione di atti da parte di un ufficio della Pubblica Amministrazione (Sez. 3, n. 30265 del 02/04/2014, Lupi, Rv. 260237 – 01; Sez. 5, n. 6246 del 20/01/2004, Attinà, Rv. 228082 – 01, richiamata anche nella motivazione della sentenza impugnata).
Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza anche dei rilievi fatti valere con il secondo motivo circa l’innocuità del falso ascritto al ricorrente.
4. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza di entrambi i motivi ai quali è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonché Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 3/4//2025