Cass. Sez. III n. 43160 del 21 settembre 2017 (Ud 21 giu 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Andreazza Imputato: Carrozzo
Urbanistica. Abuso di ufficio e dolo intenzionale

In tema di abuso di ufficio non può rilevare, al fine di escludere il dolo intenzionale, la compresenza di una finalità pubblicistica, salvo che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l'obiettivo principale dell'agente

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Carrozzo Andrea ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Lecce resa in data 09/20/2015, che, dichiarando non doversi procedere nei suoi confronti in ordine al reato di cui all'art. 44, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 perché estinto per prescrizione, ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce quanto al reato di cui all'art. 323 cod. pen. in relazione all'autorizzazione, in violazione della disciplina urbanistica vigente, alla prosecuzione di lavori di ristrutturazione di un fabbricato rilasciando la concessione edilizia, autorizzando sanatoria dei lavori in corso e prorogando poi la concessione edilizia in violazione dell'art.12 del d.P.R. n. 380 del 2001 in difetto dei presupposti per il rilascio dell'originaria concessione.

2. Con un unico motivo lamenta la violazione di legge in relazione alla carenza dell'elemento psicologico del dolo intenzionale del reato di abuso di ufficio ex art. 323 cod. pen., nonché mancanza ovvero contraddittorietà della motivazione. In particolare lamenta che la sentenza, affermando che la condotta del Carrozzo è apparsa strumentalmente indirizzata a favorire l'Unione Coop. di consumo, ha ignorato il dato di fatto per cui, a seguito del crollo del fabbricato, lo stesso ricorrente ebbe a ordinare la sospensione dei lavori e il fatto che il successivo permesso rilasciato dal ricorrente prevedeva un ridimensionamento sostanziale dell'intervento edilizio. L'imputato, peraltro, a fronte della legittimità sia del permesso a costruire originario, sia del successivo permesso in sanatoria sia del provvedimento di proroga del termine, aveva invece, nella qualità di responsabile dell'Ufficio Comunale competente, l'obbligo di intervenire proprio al fine di porre rimedio, nella necessaria tutela del pubblico interesse, alla situazione di pericolo oggettivo per la staticità degli immobili adiacenti e al fine di riqualificare uno spazio cittadino importante non lasciando incompiuto il cantiere in atto e consentendo la presenza di una voragine nel centro cittadino; né aveva avuto conoscenza del contenuto della pronuncia del Tribunale di Lecce in ordine alla illegittimità del permesso di costruire in sanatoria.
Deduce che d'altro canto dal giudizio non era emerso alcun elemento, decisivo nella prospettiva dell'intenzionalità del dolo, che consenta di individuare un legame amicale o di interesse tra il ricorrente medesimo ed i responsabili dell' Unione coop di consumo. Tanto più avendo la Corte omesso di considerare che gli atti amministrativi impugnati, tra cui anche la concessione in sanatoria, hanno retto al vaglio di legittimità dell'autorità giudiziaria amministrativa.
In altri termini la Corte avrebbe dovuto affrontare la questione della sussistenza dell'interesse pubblico alla riqualificazione dell'area, quale elemento di fatto rilevante ai fini della esclusione del dolo intenzionale, invece automaticamente dedotto dalla asserita illegittimità degli atti amministrativi.

3. Il ricorso è inammissibile.
A fronte di censura con cui si è sostanzialmente invocata una diversa "lettura" delle risultanze fattuali sotto il profilo in particolare della volontà dell'imputato di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale al presidente dell'unione Cooperativa Consumatori a r.I., risultanze che, secondo il ricorrente, non consentirebbero appunto di ritenere sussistente il dolo intenzionale del reato contestato, la sentenza impugnata, facendo corretta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, ha invece logicamente giustificato la conclusione in senso contrario,in tal modo giungendo a confermare la sentenza di primo grado.
L'assunto difensivo fa leva sulla prospettata esigenza, cui l'imputato avrebbe avuto primariamente riguardo, di perseguire l'interesse pubblico a che la situazione urbanistica ormai pregiudicata dal crollo dell'edificio, intervenuto il giorno successivo l'inizio dei lavori, venisse sanata, non lasciando incompiuto il cantiere relativo, e sulla mancata emersione di interessi che legassero l'imputato al destinatario dei provvedimenti amministrativi. Va tuttavia ricordato come questa Corte abbia già chiarito che la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa, non deve necessariamente essere desunta dall'accertamento di un accordo collusivo con la persona che si intende favorire, ma anche da elementi sintomatici come la macroscopica illegittimità dell'atto compiuto, l'evidenza, reiterazione e gravità delle violazioni, la competenza dell'agente nonché l'intento di sanare le illegittimità con successive violazioni di legge, giacché l'intenzionalità del vantaggio ben può prescindere dalla volontà di favorire specificamente il privato interessato alla singola vicenda amministrativa (tra le altre, da ultimo, Sez.3, n. 35577 del 06/04/2016, dep. 29/08/2016, Cella, Rv. 267633; Sez. 6, n. 36179 del 15/04/2014, dep. 27/08/2014, Dragotta, Rv. 260233).
Nella specie, la sentenza impugnata ha fondatamente ritenuto di dovere valutare in proposito la complessiva condotta dell'imputato, caratterizzata significativamente : 1) dal rilascio in data 29/01/2003 di concessione edilizia per 3 l'esecuzione di lavori di ristrutturazione che non erano consentiti (men che mai la effettuata sostituzione delle volte a stella o a botte tipiche di molti edifici) nella zona del centro storico di Casarano, ove erano permessi unicamente interventi sostanzialmente conservativi ed in presenza di un progetto necessariamente comportante la demolizione totale dell'esistente; 2) dal rilascio di concessione in sanatoria in data 16/12/2004, successivamente al crollo dell'edificio già menzionato ed intervenuto il giorno dopo l'inizio dei lavori, concessione dichiarata illegittima, per assenza del presupposto della "doppia conformità", con sentenza del 26/05/2005 del Tribunale di Lecce, sez. dist. di Casarano; 3) dal successivo rilascio, in data 05/11/2008, di proroga della originaria concessione nonostante la appena ricordata illegittimità della sanatoria e nonostante lo stesso imputato avesse effettuato personalmente un sopralluogo dopo il crollo così potendosi rendere conto degli aspetti di contrasto dei lavori con le previsioni urbanistiche.
Sulla base di tali dati, quindi, appare logicamente corretta la conclusione dei giudici di appello secondo cui tutta la condotta dell'imputato, sin dal rilascio dell'originaria concessione edilizia, è apparsa strumentalmente indirizzata a favorire l'Unione coop. di consumo, restando evidentemente recessivo e, dunque, non significativo dell'assenza del dolo richiesto, il fine, pur eventualmente legittimo, di sanare la situazione urbanistica pregiudicata dal crollo in oggetto; e del resto, come sempre chiarito da questa Corte, non può appunto rilevare, al fine di escludere il dolo intenzionale, la compresenza di una finalità pubblicistica, salvo che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l'obiettivo principale dell'agente (tra le altre, Sez. 2, n. 23019 del 05/05/2015, dep. 29/05/2015, Adamo, Rv.264280), ciò che, tuttavia, la Corte territoriale ha motivatamente escluso in ragione della molteplicità degli indici di perseguimento dell'ingiusto vantaggio.

4. All'inammissibilità del ricorso, di per sé preclusiva della possibilità di prendere atto della prescrizione del reato maturata in data 05/05/2016, ovvero successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, dep. 21/12/2000, D.L., Rv.217266), deve seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 21 giugno 2017